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Autore: A_Typing_Heart    29/08/2020    1 recensioni
«Sto cercando un libro sui vampiri... qualcosa che parli di loro, della loro psicologia... qualcosa che non sia solo letteratura.» disse con una certa delusione interiore: nella sua testa suonava molto meno ridicolo. «Esiste qualcosa del genere?»
«Ovviamente esiste.» rispose lui, con uno sguardo che sembrava brillare di eccitazione. «Posso chiederti come mai ti interessa un argomento così singolare o è una domanda troppo intima per il primo incontro?»
«Mi interessano perché non ne so niente e ne devo prendere uno.»
Qualsiasi altra persona a quella frase avrebbe riso o l'avrebbe preso per matto, ma non quell'uomo, che sorrise se possibile ancora di più.
«Stai cercando quell'assassino, il Vampiro di West End.»
Genere: Drammatico, Mistero, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Het, Yaoi | Personaggi: Crowley Eusford, Ferid Bathory, Krul Tepes, Mikaela Hyakuya, Yūichirō Hyakuya
Note: AU, OOC | Avvertimenti: Contenuti forti, Tematiche delicate
Capitoli:
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- Questa storia fa parte della serie 'La spada di Dio'
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La sera seguente fu il primo momento di tregua per Crowley, se così poteva dirsi dato che ancora non si avevano notizie sull'identità della bambina.

Quasi alle nove di sera Crowley uscì dalla doccia, prese la teglietta di pasticcio di carne che la signora Bernadette gli aveva consegnato all'ingresso e si piazzò sul divano con le migliori intenzioni di spulciare decine di documentari registrati e scegliere i più interessanti. Aveva già il telecomando in una mano e il cucchiaio nell'altra quando il suo sguardo si posò sulla poltrona e sul diario di Ferid.

La sera prima non aveva avuto la forza di leggerlo; troppe ore di video, di prove e di cartelle scombinate unite agli aggiornamenti di Horn sul profilo psicologico gli avevano fatto venire un mal di testa così feroce da non riuscire nemmeno a guidare fino a casa, perciò De Stasio l'aveva accompagnato e dopo un paio di pillole si era buttato a letto con la testa sotto il cuscino.

Appoggiò il telecomando piano piano e allungò la mano lentamente verso il quaderno, quasi pensasse fosse un essere vivente che sarebbe scappato se l'avesse spaventato con un movimento brusco. Quando l'aprì non rimase molto sorpreso della bella calligrafia, dato che ne aveva avuto già un assaggio quando aveva tentato di leggerne uno in centrale, ma nonostante fosse un corsivo piuttosto fronzoluto era ben distinto e si leggeva scorrevolmente. Abbandonò le poche righe iniziali su una giornata di forte pioggia e scorse le date fino al quattordici febbraio, prese un boccone di ottimo pasticcio e si mise a leggere.

Ferid scriveva per prima cosa che ricorreva la decima rosa che non gli veniva regalata. Per Crowley questo, come il dubbio se la rosa sarebbe stata ancora rossa o sarebbe diventata bianca, non aveva il minimo significato. Riportava poi il fatto che il negozio era stato chiuso per la sospensione dell'energia elettrica e che Pandora aveva tali e tanti nodi del pelo che lo aveva graffiato più volte mentre cercava di spazzolarla.

Finora sembra più o meno il diario di una ragazzina. Anzi... probabilmente nel diario di una ragazzina troverei almeno qualcosa di relativamente imbarazzante.

Proseguiva poi raccontando della biblioteca. Crowley non trovò nulla di sospetto in quelle righe, Ferid non aveva annotato nulla di inappropriato sulle loro caratteristiche fisiche, limitandosi a indicarne l'approssimativa età, l'etnia come nel caso di un cui notò un bambino ispanico molto assorto nella lettura, e annotava i titoli. Faceva una riflessione su ognuno, sul loro grado di interesse e di cultura, e non faceva altro che riporre le sue rosee speranze nell'età adulta di coloro che dimostravano interesse per la lettura più che per i colori e le immagini, ma senza trascurare o disprezzare questi ultimi.

Crowley arrivò quindi alla fine delle annotazioni del giorno e prese un altro boccone di pasticcio, pensieroso. Era evidente che tenesse in grande considerazione la cultura e che gli facesse piacere vedere tutti quei piccoli lettori, anche se non capiva perché ne sembrasse così profondamente felice. Non c'era assolutamente nulla, comunque, che avrebbe potuto risultare imbarazzante e tanto meno incriminante.

Decise di leggere altre sortite alla biblioteca, per sicurezza, e dall'ottobre precedente quando il diario aveva inizio lesse tutte le annotazioni di martedì. Non vi trovò altro di spinoso: talvolta spazzolava il gatto, a volte leggeva, innaffiava i fiori, puliva casa o sistemava la spesa che si faceva portare, prima di andare alla biblioteca dove faceva sempre la stessa cosa. Descriveva i bambini con qualche dettaglio, annotava le loro letture, dava le sue opinioni in merito. Niente altro, nessuna bizzarra fantasia, nessun tentativo o pensiero sull'ipotesi di portare i bambini a casa, di approcciarli più di quanto fosse sufficiente a chiedere loro cosa leggevano o se gli piacesse farlo.

«Da questo diario emerge solo un candore incredibile… perché mai aveva così paura di farmelo leggere?»

Crowley sfogliò il diario lentamente, chiedendosi se la parte peggiore non fosse negli altri giorni, ma gli sembrava veramente un abuso leggere più di quanto fosse sufficiente per dissipare i possibili sospetti. Ma dopotutto Ferid glielo aveva lasciato, gli aveva dato il permesso di leggerlo anche per intero… con bizzarre parole: non giudicarmi troppo male.

Tornò alla prima pagina, datata sabato sette ottobre, e iniziò a leggere senza saltare più nemmeno una riga.

Nelle ore che seguirono il pasticcio restò a freddarsi, perché era troppo immerso nel mondo – no, nella persona – di Ferid Bathory per pensare di nutrirsi con qualche altra cosa: attraverso il suo diario l’umile libraio ne usciva davvero spogliato delle sue maschere e dei suoi travestimenti e ne emergeva l’indicibile solitudine su tutto.

In diversi mesi non aveva citato una volta un’uscita con amici o amiche, con il suo capo, con un amante né tanto meno qualche accenno a dei parenti, come se Ferid fosse realmente il vampiro secolare che millantava di essere e fosse costretto a isolarsi dagli esseri umani, mortali, che lo avrebbero comunque abbandonato alla fine delle loro vite effimere.

Crowley sospettò che le sue abitudini scandite servissero a riempire i vuoti della sua vita: i lunghi turni di lavoro, le sortite alla biblioteca, il parrucchiere sempre alla stessa ora del martedì, la serata di lettura del giovedì che spesso proseguiva anche in altre sere, il bagno con il bicchiere di vino ogni venerdì e lunedì…

Fu mentre meditava su questo che scorse qualcosa di strano. La calligrafia si era fatta più disordinata, come scritta premendo di più sulla penna e più frettolosamente, più rabbiosamente.

Se soltanto non fossi io, se non fossi stato figlio suo la mia vita non sarebbe un così colossale spreco di tempo… se solo lei non avesse maledetto anche me nella sua follia contro il mondo intero, se non mi avesse lasciato addosso il segno di appartenenza alle tenebre, così lontano da lei avrei anche potuto camminare alla luce del sole!

«Questo… di chi stai parlando?» mormorò Crowley assorto, accigliandosi. «Lei… figlio suo… tua madre?»

Ancora una volta si trovò a rimuginare sul certificato di nascita occultato e dovette contenersi per non far volare la mano al cellulare e tirare giù dal letto qualche sua conoscenza che potesse avere abbastanza qualifiche da sbirciare negli archivi del tribunale dei minori. Si domandò se Ferid avrebbe risposto alle sue domande, se gliele avesse poste di persona.

Proseguì la lettura, sebbene le giornate di Ferid fossero in apparenza tutte molto simili, tutte ugualmente solitarie e con poche varianti. Una nota interessante ma poco chiara arrivò in novembre, in cui scriveva qualche riga in memoria di un caro amico chiamato Nicholas. Crowley non poté non provare una profonda empatia, perché gli sembrava che Ferid fosse anche incredibilmente sfortunato, nel perdere puntualmente amicizie e persone care in un modo o nell'altro.

In dicembre si imbatté ancora nella grafia di quando scriveva di qualcosa che lo faceva arrabbiare, ma qui c'erano dettagli succosi e meno foschi: un avvocato chiamato Price, un inglese, l'aveva cercato per informarlo che aveva ricevuto una sostanziosa eredità, ma più che esserne felice questo sembrava aver fatto davvero infuriare Ferid che non sopportava l'idea di non poterla formalmente rifiutare.

Purtroppo per Crowley non spiegava come mai non potesse farlo, lasciandolo vagamente confuso. Era una data molto più recente di quella del verbale della successione del signor Trobiano, quindi aveva ricevuto una seconda eredità? Da chi? Dai suoi genitori naturali, forse, e per questo desiderava a tal punto rinunciarvi? Che cosa ne aveva poi fatto?

Proseguì la lettura del diario fino alla fine, poco dopo l'inizio di marzo, ma non c'era più alcun riferimento all'avvocato, all'eredità o a che cosa avesse risolto di farne. Chiuse il quaderno con un profondo senso di insoddisfazione, come se avesse scoperto che un appassionante romanzo non aveva le pagine finali con la soluzione della vicenda, e sospirò.

«Non capisco.» disse allora. «Non capisco, che cosa dovevo leggere qui dentro che mi doveva far pensare male di te? Sei un uomo bizzarro, ma lo sapevo già… e in verità, questo diario… questo diario lo mostra molto più normale di quanto non voglia apparire con quelle assurde lenti a contatto e quei vestiti da teatro.»

Crowley gettò il quaderno sulla poltrona e si alzò, lanciando un'occhiata all'orologio: erano quasi le due di notte. Come se il suo corpo si fosse accorto solo in quel momento della stanchezza sbadigliò vistosamente, si stiracchiò e si trascinò a letto abbandonando il pasticcio lì dove si trovava. Non si infilò nemmeno sotto le coperte e chiuse gli occhi, ma non fece altro che continuare a ripercorrere con la memoria le pagine del diario finché quelle non si fusero con un sogno nel quale un avvocato arcigno dall'accento inglese quasi comico gli chiedeva di firmare per decidere se lasciare in eredità a Ferid una rosa rossa, bianca o viola.

Al suono della sveglia, dopo apparentemente un secondo, Crowley non ricordava più che sogno stesse facendo.

 

 

Quando arrivò alla sua scrivania vi trovò De Stasio seduto sopra, con l'orecchio incollato al suo telefono. Dovette bussargli sulla spalla e fargli un gesto eloquente per fargli sapere che era arrivato il momento di togliere il fondoschiena dai suoi rapporti stampati.

«Sì, certo, quindi la conosce? Capisco!» stava dicendo De Stasio quando scese dalla scrivania. «Alla sua scuola, dice? Mi può ripetere il suo nome?»

Freneticamente strappò di mano a Crowley la penna che aveva appena preso per firmare le copie dei suddetti rapporti e questi ingoiò due o tre imprecazioni irlandesi di antico lignaggio. Guardò invece cosa stava scribacchiando: Jessica Cezanne, un indirizzo di West End, e poi Samara Mitchell, nome che cerchiò.

«Perfetto, ma per favore, si rechi all'ufficio di polizia più vicino per depositare formalmente questa dichiarazione. Appena possibile la ricontatteremo anche noi del distretto di Satbury, la ringrazio infinitamente!»

Mise giù la cornetta e Crowley si riprese la penna con una certa stizza non celata.

«Cosa fai alla mia scrivania, De Stasio?»

«Non è il momento delle lotte territoriali, Crowley, abbiamo trovato la bambina!»

«Eh?»

«Ero al telefono con... aspetta. Gillespie!»

«Comandi, signore!» rispose quello, due scrivanie più in là, con la solita voce gioviale.

«Trovami tutte le famiglie Mitchell a West End, e poi quella che ha una figlia di nome Samara!»

«Signorsì!»

Gillespie si fiondò subito sulla sedia e prese a digitare al computer. De Stasio picchiettò il nome che aveva segnato.

«Ero al telefono con una certa Jessica Cezanne, che è tesserata alla Wilde... ha visto la locandina che abbiamo lasciato lì e ha riconosciuto la bambina, dice che è una sua allieva alla scuola di danza. Lei insegna danza classica.»

«Ne è sicura?»

«Certo che ne è sicura, infatti è preoccupatissima per lei… e anch'io. Sai che giorno è oggi, no?»

Crowley annuì rigidamente: era ben chiaro nella sua mente che ormai, per loro come per i genitori di New Oakheart, il giovedì era un giorno da temere. Gillespie si avvicinò alla scrivania mentre Crowley si infilava in bocca il boccone più grosso possibile di un panino con uova e pancetta che rischiava di essere abbandonato a raffreddarsi, come era successo al suo pasticcio di carne.

«De Stasio, dagli elenchi ho trovato undici famiglie di nome Mitchell residenti a West End, la prima che ho controllato ha una figlia di nome Samara. Vuoi che li chiami per conferme?»

«Passami la telefonata, ci parlo io.»

«Subito!»

«Samara non è un nome molto diffuso.» osservò Crowley, scarabocchiando la sua firma il più velocemente possibile sui rapporti. «Possibile che siamo così fortunati?»

«Parla quello che dopo due proiettili al petto e due arresti cardiaci sta qui a mangiare schifezze.»

Crowley guardò il suo panino come se si fosse reso conto solo in quel momento di stare mangiando. Lanciò uno sguardo penetrante a De Stasio mentre deglutiva.

«Ma tu non mangi mai un cheeseburger, o uova e pancetta?»

«Non mischiarmi con gli anglo-americani, per favore.» fece lui secco, e sollevò il ricevitore.

«La tua è una forma di razzismo.»

De Stasio gli fece segno di tacere e Crowley si rimise a firmare e a ingollare il panino il più rapidamente che potesse senza rischiare il soffocamento. Il collega ebbe risposta alla chiamata e inserì il vivavoce.

«Casa Mitchell, chi parla?» rispose una voce di uomo.

«Detective Dante De Stasio, squadra omicidi di Satbury. La prego di non allarmarsi per la chiamata.»

«Squadra omicidi…? Che cos'è successo?»

«Nulla, stiamo conducendo delle indagini… può intanto dirmi il suo nome, prego?»

«Nathan, Nathan Mitchell.»

Benché l’avesse pregato di restare calmo, il signor Mitchell si era innervosito immediatamente.

«Mi può confermare che lei ha una figlia di nome Samara? Le ripeto che non deve allarmarsi per le mie domande.» ribadì De Stasio. «Non ho cadaveri da identificare, quindi non si spaventi.»

«Io… sì, ho due figlie, e la più grande si chiama Samara… ma che cosa succede, perché queste domande?»

«Sua figlia ha i capelli biondi? Quanti anni ha?»

«Sì, ha… undici anni… ma che cosa succede, detective De Stasio; ha detto di chiamarsi così?»

«Sì, Dante De Stasio. Per favore, le spiegheremo nei dettagli non appena saremo a casa vostra. È mio consiglio che la porti immediatamente a casa da scuola.»

«Ma… mia figlia non è a scuola, detective… è andata dalla nonna, mia suocera, sa. È depressa per la recente perdita di un'amica e abbiamo pensato di mandare Samara a casa sua fino a lunedì, è la sua prima nipote… hanno un legame speciale, capisce.»

«Dove abita sua suocera?»

«Ha una casetta nella zona nord di West End, è un'area rurale, come probabilmente sa…»

«Sì, ho presente… per favore, mi dia l'indirizzo preciso e avvisi sua suocera per telefono che stiamo andando lì. È probabile che sua figlia possa dirci qualcosa di un caso e potrebbe, ripeto, potrebbe essere in pericolo.»

«Oh, cielo…»

«L'indirizzo, per favore, prima che lei chiami sua suocera.»

Il signor Mitchell diede l'indirizzo a De Stasio e si affrettò a riagganciare per poter telefonare.

«Bel colpo davvero… sei bravo a parlare con la gente, De Stasio.»

«È ovvio che un genitore si spaventi se un detective della squadra omicidi telefona facendo domande criptiche sulla figlia.» ribatté lui, strappando il foglietto con nomi e indirizzo. «Su, ingurgita quell'ultimo boccone di colesterolo e trigliceridi.»

Che palle.

Crowley obbedì, seppur vagamente seccato, e seguì De Stasio fuori dalla stazione di polizia. Dato che conosceva la zona nord di West End meglio di lui lasciò che prendesse il volante e non persero ulteriore tempo, immettendosi in strada e cercando il percorso con meno traffico.

«Questa bambina è più grande degli altri.» osservò Crowley dopo qualche minuto di silenzio.

«Ha undici anni, sì. È un po' più grande.»

«Pensi che si stia verificando una di quelle evoluzioni di cui parlava Horn ieri?»

«È presto per dirlo, anche perché non sappiamo davvero se l'età sia un fattore importante. Potrebbe puntare qualsiasi persona virtualmente indifesa con la quale Ferid parla… onestamente nemmeno io ci capisco più niente, ma prima mettiamo al sicuro la bambina. Poi facciamo un comunicato alle famiglie, che tutti i bambini che sono stati alla Wilde Library vengano ben seguiti sempre, e nel frattempo noi prenderemo quello squilibrato. Di certo avrà qualcosa a che fare con Ferid, non credi?»

«Di certo… e dopo questo farò una bella chiacchierata col capitano.»

«A che riguardo?»

«Deve assegnare una scorta a Ferid. Quel pazzo lo segue da mesi o entra in casa sua a leggere i suoi diari. Nessuna delle due opzioni mi fa stare tranquillo.»

«Hai ragione… quanti bambini ha in lista prima di prendersela direttamente con lui?»

Crowley guardò De Stasio intensamente, perché qualcosa nel suo tono gli era sembrato insolitamente cauto.

«De Stasio…»

«Che cosa, Crowley?»

«Sei… tu mi credi, vero? Voglio dire, gli credi? Che non è l'assassino che cerchiamo…»

De Stasio rilassò le spalle e assunse un’espressione da poker, tipica dei suoi ragionamenti a mente fredda.

«Quello che so è che ci sono serial killer in grado di uccidere orrendamente senza che nessuno di quelli intorno a loro se ne accorgano… e anche assassini che non sanno di aver fatto quello che hanno fatto…»

«Vuoi dire che hai ancora dei dubbi su di lui?»

«Crowley, se non ti avessero sparato e fossi stato su un tavolo operatorio mentre Gaia Windsor moriva sospetterei anche di te, capisci che cosa voglio dire? È questo il nostro lavoro: soppesare ogni possibilità e trovare prove certe.»

«Ho letto il suo diario.»

De Stasio lo guardò per un attimo, quanto gli consentisse il traffico sulla strada, e tacque per diversi secondi prima di parlare.

«Non avresti dovuto farlo.»

«Mi ha dato il suo permesso, non gliel'ho imposto. Non c'era nulla di compromettente, non ha strane fantasie, non sente voci o altre pazzie del genere… Ferid… è un uomo molto solo. Questo è tutto.»

«Per questo non avresti dovuto farlo, non capisci? Fin dal primo giorno tu non cerchi il Vampiro di West End… cerchi qualcuno che si prenda la colpa al posto dell'uomo che ti ha salvato la vita. Lo vediamo tutti, Crowley… tu lo ammiri per le qualità che vedi in lui, e lo vuoi proteggere per le debolezze altrettanto profonde che ha. Sei il suo guardiano, adesso.»

«Non è così, è ovvio che io voglio prendere l'assassino, non uno qualsiasi che posso incolpare!»

«E se invece i nostri istinti si sbagliassero… se lui fosse tanto bravo da imbrogliare anche noi e scoprissimo che sta facendo tutto da solo? Addirittura che i suoi diari sono falsi, che sta giocando con noi come i serial killer da manuale che vogliono farsi prendere per riscuotere la macabra gloria che si sono guadagnati? Se fosse così… tu lo prenderesti comunque?»

Non è possibile che fosse una recita… tremava davvero. Era sconvolto davvero. Non stava giocando.

Crowley strinse il pugno davanti alla bocca, come non si rendeva conto di fare spesso quando era molto combattuto, e serrò gli occhi. Se Ferid si fosse rivelato essere il Vampiro, oltre ogni ragionevole dubbio… se il procuratore gli avesse imposto di arrestarlo, sicuro di ottenere la condanna esemplare, l'avrebbe fatto? Bastò rivedere i flash di quella notte, Chess che cadeva sulla strada sotto la pioggia, il capitano chino su di lui a pregare, le scrivanie vuote dei suoi colleghi; senza nemmeno arrivare a scomodare le piccole vittime. Riaprì gli occhi.

«Certo che lo prenderei.» rispose, senza vacillare. «E mi proporrei per premere il bottone per l'iniezione.»

De Stasio tese un accenno di sorriso.

«Ora auguriamoci di avere ancora un buon istinto. So che ti si spezzerebbe il cuore se ti sbagliassi.»

«Non trattarmi come se fossi un'adolescente con una cotta, che diamine.»

«Se ti dicessi che lo sembri proprio?»

Crowley gli scoccò l'occhiata più velenosa mai lanciata a chi non fosse un criminale con una fedina lunga almeno quanto la propria altezza, ma De Stasio non la notò e indicò invece qualcosa sul lato destro.

«Eccoci, dovrebbe essere da questa parte. Leggi la numerazione.»

«Eh?»

Crowley guardò dal finestrino, un po' confuso, e notò all'inizio della strada che scendeva verso case con ampi cortili un cartello che recava l'intervallo di numeri civici. Era una novità per lui, dato che dentro la città le numerazioni erano regolari su ogni strada: prendendo come riferimento la Queen Mary Avenue e la Madigans come equatore e meridiano di Greenwich le numerazioni seguivano uno schema preciso che rendeva intuitivo capire dove un certo numero fosse collocato su ogni strada.

«C'è scritto che sono dal 1110 al 1196… che stranezza.»

«Eh… non andare mai in Italia senza di me, ti ritroveremmo solo dopo mesi.»

De Stasio svoltò nella stradina. Non sembrava nemmeno di essere ancora nei confini di New Oakheart, a Crowley sembrava di essere finito da qualche parte in West Virginia o in qualche altra zona rurale d'America. Memore della sua prima infanzia dai nonni nelle zone più basse degli Appalachi a Crowley sembrò quasi di tornare da loro, quando scese dall'auto davanti a una casetta azzurrina con il giardino cintato di roseti, la staccionata di legno e sul retro un ampio orto.

«Chiudi la bocca, Crowley, sembra che tu non abbia mai visto una casa di campagna.»

«Ma questa non è campagna, è il West End.»

«È la campagna del West End… e siamo proprio sul confine, vedi quella macchia di bosco laggiù? Superata quella siamo già nella contea di Dern.»

«Wow, davvero? Abbiamo fatto così tanta strada?»

«Qualche tempo fa avevo una ragazza che viveva a Dern, quindi ho imparato la strada più veloce.»

De Stasio si avvicinò al campanello, ma prima che lo premesse una signora anziana con l'abito a fiori e un grembiule deliziosamente ricamato uscì dalla porta e si fece loro incontro sorridendo.

«Ah, voi siete della polizia, vero? Mio genero mi ha telefonato… ah, che bei ragazzoni siete, sicuri che non siete venuti per me? Eheh!»

De Stasio e Crowley si scambiarono un’occhiata perplessa mentre la signora apriva loro il cancellino.

Non aveva detto che era depressa?

«Signora, non dovrebbe aprire a qualcuno senza sapere chi sia.» la rimproverò con tatto Crowley. «Anche se suo genero l'ha chiamata, non poteva essere sicura che fossimo noi le persone che aspettava.»

«Oh, poco male, non vedo due bei ragazzi come voi da tempo! Sapete, non ho figli maschi e ho tutte nipoti!»

Crowley sospirò scuotendo appena la testa.

«Suo marito è in casa?»

«Ah! A quel disgraziato gli ho dato il benservito vent'anni fa! Entrate, cari, Samara è sull'altalena sul retro… c’è del pane fatto in casa e dell’ottima marmellata di fragole, abbiamo avuto una bella estate quest’anno!»

I due poliziotti seguirono la signora nella casa, che profumava di mele e cannella: era intenta a preparare delle composte in due alte pentole sul fuoco. Crowley scavalcò una cassetta piena di bucce di mele mentre la nonnina apriva la porta sul retro chiamando la nipote.

La cucina era piena di scaffali di barattoli etichettati che andavano dalla marmellata di fragole a quella di nespole, fino a conserve di peperoni, pomodori secchi e altre verdure. De Stasio prese un barattolo di frutti e verdure miste guardandolo sorpreso.

«Ma non mi dire, mostarda?»

La signora rientrò da sola e qualcosa dentro Crowley si accese: l’allarme. Qualcosa non andava, lo sentiva.

«Era lì un attimo fa, l’ho guardata un momento prima di sentire la vostra auto… Samara, tesoro, sei di sopra?»

«Resti qui, signora. Controlliamo noi.»

«Vado di sopra.»

Crowley attraversò una larga sala da pranzo con un ampio tavolo e diverse vetrinette che mostravano tazze, servizi di piatti e bicchieri e infilò la scala scricchiolante che saliva al piano superiore. Il suo istinto mandava scintille come un ferro battuto a martello.

«Samara? Sei qui?»

Non ottenne risposta e si avvicinò alle porte. Bussò piano ad ognuna prima di aprirla, ma non trovò anima viva, se non un gatto acciambellato su uno dei letti.

«Samara, sei in bagno? Rispondi, per favore, la tua insegnante di danza mi ha chiesto di vedere se stai bene…»

Bussò due volte alla porta con la scritta toilette, l’aprì piano piano, ma era vuota anche quella. Entrò per guardare dalla finestra aperta e vide il cortile sul retro, con un grande orto e l’altalena che dondolava molto anche senza vento. Vide De Stasio arrivare dall’altro lato della casa osservando tutt’intorno prima di attaccarsi al cellulare e trasmettere alla centrale una scomparsa di minore. Samara non era in casa né in cortile.

 

 

Crowley, dopo essersi infilato degli stivali adatti camminare nei campi e nella boscaglia, tornò nella cucina della signora Randall, che combatteva la paura per il destino della nipote cucinando e offrendo cibo a chiunque passasse dentro casa sua, ed erano davvero molte persone. La figlia e il genero, invece, sedevano al tavolo con la figlia più piccola, taciturni e pallidi in volto.

«Ah, Crowley, gli stivali ti sono comodi?»

«Sono perfetti, signora Randall, grazie di avermeli prestati. Vogliamo iniziare a battere le zone agricole e il bosco non appena avremo radunato abbastanza persone per coprire tutta l’area.»

«Quindi… nessuna notizia dagli altri?»

Crowley guardò il signor Mitchell e scosse la testa: gli agenti che avevano mandato a cercare la piccola dai vicini, al fiume e all'emporio vicino non avevano trovato traccia di lei né di qualcuno che l’avesse vista poco prima. La moglie emise uno strano singhiozzo privo di lacrime.

«La troveremo. Non può essersi allontanato tanto senza un veicolo, e se ci fosse stata un’auto nei paraggi l'avremmo vista.»

De Stasio entrò e sebbene avesse potuto suscitare ilarità con le sue scarpe italiane avvolte in molteplici strati di plastica e nastro adesivo, nessuno era dell’umore adatto per ridere.

«Crowley, stiamo dividendo le squadre. L’allerta televisiva che ha dato Alford ha radunato parecchia gente, possiamo battere in ogni direzione.»

«Perfetto, allora sbrighiamoci!»

«Avete bisogno di uno spuntino durante la ricerca, miei cari?»

«Tenga da parte pane, burro e marmellata, signora Randall.» le disse De Stasio, con il suo miglior tono rassicurante. «Quando torneremo con Samara ci sarà da festeggiare.»

Crowley lo seguì fuori e si accorse che effettivamente avevano radunato diverse decine di volontari, che erano tutti vicini alla squadra cinofili che stava distribuendo loro delle casacche in colori fluo che li identificava come tali. Passò vicino al gruppo per riunirsi al coordinatore della squadra con i cani da ricerca e a un sergente del dipartimento di West End, ma si bloccò di colpo.

«Avanti, Liam, sbrigati, non abbiamo tutto il giorno!»

«Ci sto provando, ma che diavolo… i tuoi capelli vivono di vita propria!»

«Non devo sposarmi, intrecciali come ti riesce, basta che ti muovi!»

«… Ferid?»

L'uomo che stava invano cercando di dividere la sua lunga chioma in ciocche si girò per guardarlo, ma Crowley non aveva idea di chi fosse. Ferid lo guardò vagamente sorpreso prima di sorridergli.

«Oh, ma guarda un po'. Che fai qui, detective?»

«Cosa fai tu qui, no?»

«Non lo vedi?» fece lui, accennando alla pettorina che indossava. «Mi sono arruolato volontario per le ricerche, e anche Liam. Ah, sì, il mio amico William Bosley, mi ha accompagnato lui fin qui. Liam, il detective Eusford, sai, quello che ha fatto scoppiare Krul.»

Scoppiare Krul in che senso?

«Ah, sì, capisco! Salve!» lo salutò Liam, e gli strinse la mano con vigore. «Speriamo di essere utili!»

«Grazie del vostro tempo… avete mai preso parte a una ricerca del genere?»

«No, mai…»

«D'accordo, vi metterò in una squadra con uno degli agenti, vi guiderà lui sulla procedura. Stiamo per cominciare.»

«Sentito, stiamo per cominciare! Sistemami questi capelli, non voglio rallentare qualcuno perché mi si impigliano in giro!»

«Ah, s-sì, vediamo…»

«Permetti?»

Crowley si fece avanti e Liam sembrò ben felice di cedere il difficile compito a un altro. Il poliziotto passò le mani nella sua coda setosa e divise tre ciocche con movimenti comprovati: aveva una lunga esperienza e farlo su qualcun altro, vedendo bene le ciocche, lo rendeva molto più semplice.

«Sarà un po' frettolosa, ma dopotutto non sei al tuo meglio con i colori fluo.»

«Hai proprio ragione, mi stanno tremendamente.»

Intrecciò velocemente i suoi lunghi capelli e il risultato era persino esteticamente apprezzabile per essere creato da mani non professioniste. La legò in fondo con un piccolo elastico. Liam indicò i suoi capelli ricci e sospirò.

«L’ho donato io, per la causa.»

«Lo incideremo su una targa da qualche parte, Liam, non temere.»

«Rid, non fare l’acido con me, guarda che ho mollato il turno anch’io per portarti qui!»

«Sei pronto ad affrontare la boscaglia, Ferid.» annunciò Crowley, che istintivamente lanciò un’occhiata alle sue scarpe. «Anche se non sono le scarpe giuste, almeno non sono gli stivali da squillo.»

«Oh, certo che ti sono rimasti impressi ben bene, eh? Ottimo~»

I coordinatori, con i giacchetti arancioni, stavano radunando le loro squadre. Crowley individuò uno di loro, un agente che conosceva, e lo indicò ai due.

«Andate con lui, ascoltate bene le istruzioni. Ci rivedremo quando avremo trovato la piccola.»

Senza aggiungere altro raggiunsero l’agente Kinoshita che prese a dare con voce alta e chiara le istruzioni sui segnali col fischietto, sulle distanze da tenere e sul modo di procedere.

Crowley trovò De Stasio poco lontano e lo raggiunse, prendendo da uno dei coordinatori un fischietto e una torcia.

«Quante squadre servono per il bosco?»

«Almeno tre.»

«Sembra più piccolo, visto da qui…»

«Sì, purtroppo invece è piuttosto vasto. Si estende per un po' anche nella contea di Dern, ma abbiamo già avuto il supporto del loro dipartimento, stanno mandando la loro unità cinofila per ispezionare l’area di loro giurisdizione.»

«Bene, allora mettiamoci al lavoro anche noi. Non sprechiamo tempo.»

Non ne abbiamo molto… e sta per piovere. Ti prego, dobbiamo trovarla… dobbiamo salvarla.

Crowley lanciò un’occhiata alle nubi che si ammassavano all’orizzonte. Una volta che si fosse alzato il vento sarebbe arrivata presto una delle tipiche tempeste di fine estate.

 

 

Camminare nel bosco, per quanto non fosse molto fitto, stava diventando difficile con il buio. Ferid avrebbe voluto avere una giacca a vento o qualcosa del genere: si stava congelando con quel vento freddo e la pioggia ormai era abbastanza insistente da diversi minuti e lo stava inzuppando. La sua torcia illuminò intorno a lui una distesa di fogliame e rametti non differente da quelle in cui si era imbattuto fino ad allora, e avanzò per continuare la ricerca, chiedendosi come poteva quella macchia di bosco essere in realtà così grande. La stava percorrendo da ore.

Un segnale con il fischietto riecheggiò da lontano e venne ripetuto da qualcuno più vicino.

Il segnale di sospensione... smettiamo di cercare?

Le sue gambe esultarono, la sua schiena scossa di brividi freddi ne gioì, ma non riusciva ad accettare di fermarsi prima di aver controllato tutta la zona. Invece di tornare sui suoi passi proseguì pian piano, scandagliando il fogliame con la torcia alla ricerca di qualcosa. Aveva percorso poco più di dieci, forse dodici metri quando qualcuno gli toccò la spalla facendolo sussultare.

«Ferid, sono io!» fece William mentre si illuminava il volto con la torcia. «Non hai sentito il segnale? Rientriamo…»

«Perché?»

«Il coordinatore dice che piove troppo e la tempesta peggiorerà. Sta diventando rischioso.»

«Rischioso, vuoi prendermi in giro? Samara potrebbe essere uccisa mentre noi stiamo al calduccio in casa!»

«O potrebbe essere già morta… la verità è che non lo sappiamo…»

«Infatti. Torna pure con gli altri, io continuo.»

Detto ciò Ferid si voltò e riprese da dove aveva lasciato. Si rendeva conto che era stupido cercarla da solo, che avrebbe potuto essere pericoloso per lui se si fosse inoltrato nel bosco, si fosse fatto male o smarrito se nessuno fosse stato a portata d'orecchio. Lo sapeva, ma non poteva tornare a casa, farsi un bagno caldo e andare a dormire pensando che era stato lui, rivolgendo la parola a Samara, a condannarla. La pioggia rendeva difficile distinguere le cose anche con la torcia, ma almeno non c'era pericolo che William si accorgesse della lacrima che gli era appena scorsa sul viso.

«Rid… sul serio, che cosa pensi di ottenere? O si cerca tutti o nessuno… e poi… Rid, se la trovi adesso tutti penseranno che sapevi dove cercarla perché ce l'hai portata tu!»

«Ma chissenefrega, Liam, che diavolo! Tornatene a letto se non vuoi proseguire, ma non seccarmi!»

Ferid proseguì ancora, barcollò a causa di una radice nascosta e cadde sul fogliame bagnato. Liam gli si avvicinò per aiutarlo ad alzarsi; il terreno era diventato fangoso e scivoloso.

«Lo vedi? Vieni via prima di farti male, stupido!»

«Smettila, Liam! Mollami!»

«No, non ti lascio da solo in un bosco durante una tempesta di fine estate! Lo sai come sono violente, e se tira giù uno di questi alberi e ci resti sotto?! Guarda lì, ne ha già sradicato uno così grande!»

Illuminò con la torcia la sagoma, poco distinguibile nella pioggia, di un grosso fusto rovesciato. Ferid smise di lottare contro la stretta di Liam sul braccio.

«Liam… cos'è quello?»

«Un albero caduto alto due volte casa tua, genio!»

«No, intendo… vicino alle radici, lì… lo vedi?»

Ferid si divincolò dalla presa si avvicinò di corsa alle radici del noce abbattuto. Liam lo seguì imprecando e slittando un paio di volte.

«Che diavolo… è un cespuglio, no? Un rovo, sembra.»

Ferid infilò la mano nel cespuglio trattenendo un gemito quando una grossa spina lo graffiò sull'avambraccio, affondò finché le dita non riuscirono ad afferrare quello che aveva davvero attirato la sua attenzione e l'estrasse portandosela agli occhi: era un brandello di stoffa leggera, gialla a fiori. Liam trattenne rumorosamente il fiato.

«Il vestito a fiori…! Cavolo, dici che abbiamo trovato qualche indizio?»

«Suona il fischietto, Liam, subito.»

Non se lo fece ripetere e l'amico portò alle labbra il fischietto, lanciando il segnale che si doveva usare se avessero trovato qualcosa: tre fischi in rapida sequenza, l'ultimo più lungo. Lo fece più volte di seguito senza ottenere un'eco da qualcuno.

Devono essersi allontanati per rientrare. Nella pioggia non ci sentono.

«Mi avvicino, tu non muoverti, Ferid!»

Si allontanò da lui di corsa per ripetere il segnale circa trenta metri più in là e Ferid si sporse oltre i rovi, scoprendo che il terreno scendeva ripido fino al rigagnolo che nella stagione autunnale doveva ingrossarsi fino a diventare un torrente di una certa portata. Sollevò in alto la torcia, strizzando gli occhi nella pioggia battente. Forse con quella scarsa illuminazione non avrebbe notato nulla, in una tale tempesta, se non si fosse mosso: un piccolo piede scalzo sbucava da dietro un ciuffo di piante verdi sul lato dell'alveo.

Ferid si voltò verso Liam, ma la sua torcia era troppo lontana per credere che potesse sentire la sua voce nel vento forte di quella notte. In pochi istanti tantissime domande passarono per la sua testa: se sarebbe riuscito a ritrovare il posto se fosse tornato al punto d'incontro a chiamare aiuto, se Samara avrebbe potuto aspettare i soccorsi, se un qualche tipo di mezzo avrebbe potuto raggiungerli sui sentieri accidentati. Alla fine sfilò il nastro verde dai capelli e lo usò per legare il moschettone della torcia al giacchetto fluorescente, scavalcando a fatica i rovi.

«Ahia, cazzo... nh, rovi di merda!»

L'eroe era un ruolo che calzava molto poco a Ferid, che nella sua vita avrebbe di sicuro scelto di fingere di non accorgersi di un comportamento criminoso o scorretto piuttosto che intervenire in difesa di qualcuno… o almeno, fino a quella sera, era quello che avrebbe detto di se stesso se qualcuno glielo avesse chiesto e non riusciva a credere di essersi davvero avventurato giù per il viscido pendio, da solo.

Raggiunse scivolando la macchia di vegetazione e il cuore gli salì in gola quando vide Samara riversa lì dietro, zuppa di pioggia e di sangue che le usciva dal collo, infangata e graffiata ma indiscutibilmente viva, con gli occhi celesti fissi su di lui e pieni di spavento. Con un coraggio che non si riconosceva e la sensazione di assistere a quella scena piuttosto che farne attivamente parte, prese in braccio la ragazzina.

«Sei Samara, vero? Non aver paura, sono uno di quelli che è venuto a cercarti quando sei sparita dalla casa di tua nonna… tu resisti, d'accordo? Io ti tiro fuori da questo bosco…»

Anche se non so come, pensò Ferid quando guardò da dove era venuto: troppo ripido e troppo scivoloso per pensare di poter risalire l'argine con una bambina in braccio. Si incamminò lungo il letto del fiume con l'idea di avvicinarsi idealmente a Liam e mandargli un segnale, ma poi guardò il tronco di noce sradicato, che dall'argine era caduto dentro il fiume.

Perfetto. Ora speriamo solo che il mio corpo sia forte abbastanza da fare quello che ho pensato.

Sospirò pensando che di certo qualcuno come il detective Eusford sarebbe stato tagliato per questo genere di impresa, ma lì c'era lui e nessun altro. Si avvicinò all'albero e tentò di arrampicarsi sui rami per conquistare il lato superiore del tronco e usarlo come un ponte, ma le scarpe infangate facevano poca presa. Ci mise un tempo che gli parve infinito a salire, anche se fu all'incirca un minuto e mezzo. Con la bambina a fargli da contrappeso frontale riuscì abbastanza agevolmente ad arrampicarsi sul fusto fino alle radici, ma fu un sollievo enorme riconquistare il terreno solido.

«Ce l'abbiamo fatta, Samara, ora ti porterò da un dottore… tu però fai la tua parte e resisti, d'accordo?»

Samara non disse nulla, con il respiro roco ma tuttavia confortante nell'essere la prova che la piccola era ancora aggrappata alla vita. Ferid alzò gli occhi sull'orizzonte e vide la luce della torcia di Liam, che stava andando verso il campo base per trovare aiuto.

Spiccò la corsa più velocemente che poté considerati le orrende condizioni meteo, le scarpe che indossava e il fatto che portava in braccio una bambina di undici anni. Non poteva tenere dritta la torcia, vedeva a malapena dove metteva i piedi e le forze lo stavano abbandonando; non era mai stato un tipo sportivo e la sua resistenza alla fatica era il minimo richiesto per un uomo della sua età e condizione.

Quanto vorrei aver rispettato quel proposito di inizio anno e aver davvero iniziato a fare jogging…

La luce sembrava non avvicinarsi mai e capì che Liam doveva stare, come lui, correndo al campo base. Ogni respiro di aria gelata era come una pugnalata e non riusciva a capire se fosse la pioggia negli occhi o la sua vista che si stava offuscando man mano che gli mancava il fiato.

Inciampò in qualcosa e cadde in ginocchio sentendo delle fitte lancinanti alle gambe; non sapeva se si era ferito cadendo o fosse solo lo sforzo troppo grande, ma non riusciva più ad alzarsi.

Non ce la faccio… Liam, non ce la faccio… detective, dove sei? Da solo io non posso salvarla…

La mano di Samara strinse la camicia di Ferid con una forza inaspettata e quella sensazione schiarì i suoi pensieri con la forza di un tornado. Non aveva il fiato per risponderle, per rassicurarla, ma trovò da qualche parte la forza di strisciare tra le foglie cadute, di ignorare il dolore lancinante quando qualcosa – forse un ramo appuntito – gli affondò nel palmo della mano destra; strisciò fino a raggiungere un tronco giovane e aggrappandovisi riuscì a rimettersi in piedi.

«FERID!»

Ferid alzò di scatto la testa con un sollievo impossibile da descrivere e sorrise seppure le torce che gli venivano incontro lo abbagliassero. Mosse solo un paio di passi incerti prima di cedere; per fortuna De Stasio lo aveva raggiunto e lo tenne in piedi il tempo sufficiente perché Liam arrivasse e lo sorreggesse passandosi il braccio dell'amico intorno alle spalle. Samara rimase tra le braccia di un investigatore italiano stupefatto.

«Ben fatto, Ferid! Ottimo lavoro! Accompagnalo alla base, vi precedo con lei!»

De Stasio corse via come il vento stesso e Ferid si permise di chiudere un momento gli occhi e prendere il fiato. Cominciava a riunirsi con se stesso, a rendersi conto di che cosa aveva davvero fatto, e per la prima volta che riuscisse a ricordare nella sua vita, si sentiva emozionato, meravigliato… orgoglioso.

«Coraggio, Rid… è finita, ora andiamo a riposarci… e ad asciugarci! Credo di avere a mollo anche il cervello!»

Camminarono insieme fino a che non uscirono dal bosco, vedendo le luci blu dell'ambulanza che portava via Samara con le sirene spiegate. Fuori dalla zona alberata la violenza del vento era impressionante e persino la pesante treccia di capelli di Ferid veniva agitata come una bandiera. Il tratto di campi fino al portico della casa dei Randall Ferid lo percorse a occhi praticamente chiusi contro la pioggia, e li riaprì solo quando smise di sentirla martellargli la faccia. Liam scrollò la testa come un cane bagnato.

«Liam… Liam, ma che fai?»

«Ma sì, tanto sei già fradicio anche in posti che non sapevi di avere!»

«Ferid!»

Gli occhi di Ferid si posarono su Crowley Eusford, che era appena uscito dalla porta sul retro, e uno sguardo come quello che gli stava riservando Ferid non lo vedeva da dodici anni. Non si sottrasse al suo abbraccio e nemmeno ci sarebbe riuscito se l'avesse voluto; si sentiva stremato e quindi vi si abbandonò.

«Non posso credere che tu sia riuscito a trovarla… sei stato bravissimo, Ferid!»

Pensò ad almeno sei possibili commenti da fare, dal più sarcastico al più modesto, ma alla fine decise di non rispondere: era ancora così stanco, dolorante e al tempo stesso commosso che non credeva di riuscire davvero a parlare. Da quanto tempo non sentiva provenire da qualcuno tanto calore, tanto calore umano, tanto orgoglio nei suoi confronti? Quando era stata l'ultima volta che qualcuno gli aveva dimostrato che aveva un valore, che non era un’ombra nelle vite di chi incrociava il suo cammino?

Strinse la schiena del detective senza emettere un fiato, eccezion fatta per il suo respiro ancora un po' corto, tenendo la mano destra rivolta verso l'alto. Sanguinava tanto da gocciolare sul pavimento del portico… o era sangue misto ad acqua piovana?

«Per ora lasciamo le cose come stanno… aspettiamo di vedere cosa succede a Samara… noi andiamo a fare un giretto in pronto soccorso. Accertiamoci che tu stia bene e che queste ferite non siano nulla di importante.»

Liam si avvicinò di un passo ai due, con l’aria di sentirsi a disagio all’idea di interromperli.

«Scusami, Eusford… noi volontari possiamo rientrare a casa?»

«Certo… grazie per la collaborazione, Bosley… mi occupo io di Ferid, adesso.»

«Fammi sapere qualcosa domani, Rid, chiamami al bar!»

«D'accordo.» rispose lui con un filo di voce. «Ti ringrazio tanto, Liam.»

Liam scrollò le spalle come a schermirsi dalle responsabilità e sparì dentro la cucina chiamando la signora Randall, ma le voci all'interno vennero attutite dalla porta e coperte del tutto dalla pioggia e dai tuoni. Crowley, che aveva solo allentato la presa sulla schiena di Ferid sentendo che si reggeva in piedi solo grazie a lui, lo guardò di nuovo in volto e sorrise ancora.

«Stai bene?» gli chiese, e gli passò la mano sulla faccia sporca di fango. «Sei messo uno schifo, sai?»

«Grazie tante, detective… ah, sono distrutto… portami in braccio fino in ospedale…»

«Fino in ospedale non credo proprio, ma ti posso portare in braccio fino alla macchina.»

Contro ogni previsione di Ferid, Crowley si chinò e lo prese in braccio come se pesasse quanto Samara.

Con i capelli così inzuppati peserò almeno dieci chili in più del normale, come diavolo ci riesce?

«Mio Dio, Ferid, guarda le tue gambe…»

Il dolore che sentiva non era solo muscolare e non era frutto della sua testa: i pantaloni erano strappati in diversi punti, da alcune aperture si vedevano distintamente graffi profondi che non macchiavano di sangue il tessuto solo perché era quasi del tutto insozzato di fango. Crowley scostò con le dita un lembo dei pantaloni per guardare uno dei tagli, alla vista quello più vistoso, che continuava a sanguinare.

«Devo portarti subito in ospedale a pulire per bene queste ferite… ma trattieni il respiro o affogherai fino alla macchina. Piove che sembra il Giudizio Universale.»

   
 
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