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Autore: moira78    29/08/2020    4 recensioni
Ormai alle soglie del nuovo millennio, Candy racconta a sua figlia e sua nipote la storia della sua vita. Ho cercato di riempire il vuoto lasciato dal finale sibillino dei romanzi dell'autrice originale, tentando di cogliere lo spirito dei personaggi e scrivendo in modo più dettagliato ciò che è accaduto dalla scoperta dell'identità del Principe della Collina in poi.
Genere: Commedia, Drammatico, Introspettivo | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Candice White Andrew (Candy), Terrence Granchester, William Albert Andrew
Note: Missing Moments | Avvertimenti: nessuno
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Alla Clinica Felice era un periodo di grande lavoro: l'influenza spagnola dilagava già da un paio d'anni e spesso ci capitava di dover isolare i casi per poi mandarli d'urgenza negli ospedali più grandi. Fu in quello scenario tumultuoso che il signor Albert mi venne a trovare una mattina, chiedendomi se volevo prendermi una pausa.

Mi voltai un attimo a guardare la stanza: da circa due settimane non avevamo avuto più nessun arrivo con febbre o sintomi preoccupanti, gli unici occupanti erano persone con fratture o malanni diversi. 

"Vai, Candy, ti farà bene staccare un attimo, Per ora abbiamo tutto sotto controllo", mi sorrise il dottor Martin.

Ebbi una sorta di dejà-vu di quando, tempo addietro, eravamo stati a Lakewood e avevo affrontato nuovamente i miei ricordi, belli e brutti. Il prozio William mi aveva restituito la spilla e quel diario che non avevo più riaperto, poi era ripartito e ci eravamo scambiati altre lettere.

Tutto come al solito, da quando avevo scoperto la sua identità.

Ma quel giorno il signor Albert mi portò alla casa della Magnolia, con mia grande sorpresa: "Stanno nuovamente cercando un affittuario e io stavo quasi pensando di fare qui la mia 'base' per quando vengo a trovarti. Pensavo addirittura di acquistare l'appartamento, se è possibile".

Rimasi a fissarlo, nella luce del tardo autunno che andava già affievolendosi nel tramonto. La stanza principale sembrava più grande, con solo un tavolo e qualche sedia a occuparla. C'era qualcosa di estremamente malinconico nella sua voce.

"Sarebbe bello, ma sa benissimo che anche alla Casa di Pony, ora che ha provveduto a ingrandirla, ci sono moltissime stanze in più, perciò...".

"Candy, ricordi quando vivevamo qui mentre ero senza memoria? Non erano giorni bellissimi?". Le sue parole mi destabilizzarono per un istante.

Poi, improvvisamente, come se gli fosse sfuggito qualcosa di estremamente scomodo, si alzò in piedi e cominciò a camminare per la stanza: "Di recente ho letto sui giornali della morte di Susanna Marlowe. Poveretta, sembrava aver finalmente trovato la sua strada, nonostante tutto", cambiò discorso.  

Abbassai lo sguardo, commossa: "Sì, è stato davvero brutto sapere che una donna così forte alla fine sia stata sconfitta da una malattia. Come infermiera ho pensato che forse il suo fisico fosse già debilitato a causa della perdita della gamba, ma non so...".

Il signor Albert mi sorrise, con quel suo sorriso caldo e luminoso che adoravo: "Nonostante tutto, sei sempre la stessa, mia piccola Candy".

Capivo cosa volesse dire: anche se avevo superato la separazione da Terry e ormai ne parlavamo normalmente da tempo, vedeva nella mia empatia verso Susanna un atto di altruismo estremo. La verità era che ero davvero, in qualche modo, affezionata a lei. 

"È stata una donna molto sfortunata, che non ha potuto avere molto dalla vita. Ha lottato per la sua felicità ma era anche pronta a rinunciarvi per il bene degli altri", ragionai ad alta voce ricordando il suo tentativo di suicidio sulla terrazza dell'ospedale, tanto tempo prima.

"Sai, ho scritto a Terence di recente. Volevo sapere come stesse".

Qualcosa dentro di me si mosse, ma lo ignorai. Era la prima volta che toccavo nuovamente quelle corde e successivamente capii perché: il tono dello zio William continuava a essere troppo serio, anche se tentava di rimanere leggero.

Per qualche motivo gli nascosi della nostra corrispondenza: stava cominciando a farsi strada in me un sospetto molto lontano e vago, ma seguii il mio istinto e chiesi solamente: "E le ha risposto?".

Lui sorrise: "Oh, sì, mi ha fatto piacere sentire che, nonostante tutto, sta continuando per la sua strada, anche se era molto addolorato. Forse ha scritto anche a te...".

Mi sentii come quando ero piccola e Miss Pony e Suor Lane mi beccavano con le mani nella dispensa a prendere la marmellata appena fatta: "Sì, lui... a dire il vero mi ha confessato che non è cambiato nulla". Quella risposta poteva apparire sibillina ai più, ma lui capì perfettamente e, d'altronde, io avevo sempre confessato tutto al mio caro prozio William. La testimonianza più eclatante era quel diario che ancora tenevo sottochiave.

Il signor Albert mi scrutò per qualche, interminabile secondo con quegli occhi del colore del cielo terso che mi ricordavano tanto il mio dolce Anthony: in quel momento mi persi in quegli occhi e su quel volto così aperto e sincero. 

Poi lui parlò, e lo fece con un tono così disinvolto che per un attimo non compresi appieno cosa mi stesse dicendo: "Sai, stavo pensando di prendermi anche io una pausa dagli impegni per tornare in Africa. E mi servirebbe proprio una brava infermiera per curare i miei malati!". Scoppiò in una breve risata cristallina e improvvisamente era tutto chiaro.

Vieni con me. Vivi con me qui, al nostro ritorno. Sii la mia compagna per tutta la vita.

A parte quella breve parentesi in cui aveva dichiarato di non voler rimanere da solo, null'altro era stato detto o insinuato dalle sue labbra. Ma il puzzle dei suoi discorsi e il riferimento a Susanna e a Terry mi fu improvvisamente chiaro, confermando i miei sospetti.

Giuro, avrei voluto dire qualcosa di più sensato, parlargli, abbracciarlo, trasmettergli tutto l'affetto che provavo per lui. Ma l'unica cosa che mi uscì fu un: "Oh, caro Albert, io...".

Forse fu il fatto che gli avessi dato del tu per la prima volta dopo tanto tempo, forse fu per via del mio tono, o per l'esitazione che avevo avuto. Fatto sta che lui mi regalò un altro dei suoi meravigliosi sorrisi e allungò una mano per accarezzarmi una guancia con una tenerezza che mi fece venire le lacrime agli occhi: "Mia piccola Candy, nel frattempo sii felice".
Mi baciò sulla fronte e se ne andò, senza lasciarmi modo di replicare.

Caddi in ginocchio sul pavimento nudo, in quella casa semi vuota e silenziosa e cominciai a piangere. Non volevo che finisse così, che se ne andasse così.

Amavo immensamente il mio Albert, ma non come voleva lui. Non tanto da diventare sua moglie e seguirlo in Africa o vivere con lui nella casa della Magnolia. Non in quel modo in cui lui, probabilmente da tempo, aveva cominciato ad amarmi.

Non mi aveva chiesto nulla ma io avevo capito. Avevo capito tutto. 

Passò molto tempo prima che potessi rivederlo di nuovo.
   
 
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