18.
Epilogo
Mi strinsi nel cappotto nero,
faceva un freddo cane, e fissai con i denti che sbattevano le due
fotografie
incastonate nelle lapidi di marmo.
«L’amore è dolce quanto stronzo», ricordai le parole di Tom, e pensai che dopotutto aveva ragione.
Mio zio aveva tentato
di
uccidermi e aveva fatto tutte quelle cose orribili solo per amore, solo
perché
amava mia madre.
Sistemai i fiori nel loro vaso e
inginocchiata sorrisi al volto sorridente di mio zio.
Per il giorno del suo funerale mi
ero rimessa in sesto e in un completo nero avevo pure suonato una
canzone col
flauto traverso per lui, di fronte alla sua bara.
L’avevano messo di fianco a suo
fratello, mio padre, perché nelle loro vite erano stati
vicini
quanto lontani e
tenerli uniti nella morte mi pareva il minimo che potessi fare.
Erano venuti pure Tom e Frenzy,
non sapevo con che forza, ma forse solo per me, per non lasciarmi sola.
A mia madre, invece, che aveva
insistito tanto per assistere, toccò restare chiusa in cella
perché senza
autorizzazione.
I miei amici agenti, ormai eravamo amici, mi avevano detto che quando
le avevano detto di zio Barry, che si era suicidato, era scoppiata a
piangere e aveva rifiutato di mangiare per tre giorni.
Che fosse davvero innamorata di lui? Questo non l'avrei mai saputo,
perchè mai sarei andata a trovarla, per ovvi motivi.
Alla fine l’avevano presa,
l’avevano trovata in Messico, mentre tentava di fuggire e di
far
perdere le sue
tracce.
Aveva confessato di essere la
compagna di zio Barry, che avevano sempre agito insieme, ma che le idee
erano
sempre sue, lui eseguiva gli ordini e basta, e aveva confessato anche
l’omicidio di mio padre, alle quali accuse, scoprii in
seguito,
era scampata
anni prima grazie ad un giudice corrotto.
Era stato un duro colpo sapere che
mia madre, la stessa che mi aveva abbandonata, come se non bastasse,
aveva
anche ucciso la persona a cui tenevo di più al mondo nella
mia
infanzia: mio
padre.
Probabilmente zio Barry non lo
sapeva, perché se no non sarebbe mai stato dalla sua parte.
Non ero arrabbiata con nessuno di
loro, perché sapevo che tutte le loro vite avevano avuto un
senso se erano
nati.
Che avessero commesso degli
errori, anche grandi, non mi importava, perché
quell’intricato filo di lana che
erano le loro vite non poteva essere tagliato così
all’improvviso a causa mia,
solo per rancore e odio. Mio padre non l’avrebbe mai permesso.
Con un po’ di tempo capii il
perché di tutte le loro azioni e riuscii anche a compatirli,
ma
non riuscii mai
del tutto a perdonarli. E così doveva essere, in fondo.
Nessuno
mi avrebbe mai
biasimata.
In quel cimitero freddo e coperto
di neve regnava un silenzio assoluto, ero l’unica che
girovagava
per le tombe,
ma non mi sentivo sola, perché di fronte a me avevo due
persone
che, pur
essendo così diverse, erano così simili e
così
costantemente al mio fianco.
Ora non avevo più paura,
affrontavo il mondo con la forza e la determinazione che quei giorni mi
avevano
dato e grazie ai miei amici e alle persone che mi amavano e che amavo
stavo
bene ed ero felice, anche se quando mi trovavo di fronte allo specchio
e
guardavo la cicatrice che avevo in mezzo al ventre, appena sotto
l’ombelico, mi
tornavano alla mente amari ricordi e quella tristezza che non avrebbe
mai
abbandonato il mio cuore.
Ma poi pensavo che se non lo
avessi fatto, a quest’ora magari sarebbe stato Tom ad avere
quella cicatrice, o
magari non ci sarebbe stato.
D’altronde, il destino era il
destino e certe cose se dovevano succedere succedevano e basta.
Non mi rammaricavo per la piega
che aveva avuto la mia vita, assolutamente, perché anche se
avevo sofferto
tanto e avevo vissuto momenti veramente difficili sapevo che ci sarebbe
sempre
stato qualcuno accanto a me, pronto ad aiutarmi se ne avessi avuto
bisogno.
Ero certa che chi soffriva prima o poi sarebbe stato felice, come se
quella fosse una legge della natura... della vita. E io ero fra quelle
persone.
Se non fosse successo tutto quello,
avrei avuto la mia vita? Sarebbe stata così, alla fine?
Probabilmente non avrei
vissuto molte cose che avrei voluto vivere invece.
Probabilmente non mi sarei
innamorata di Tom e non avrei avuto quell’energia in
più
che mi mandava avanti
ogni giorno, quella che solo l’amore poteva dare.
Probabilmente non mi sarei più fidata delle persone e non
avrei
creduto nel domani.
Probabilmente avrei vissuto nel mio piccolo mondo, restando
indifferente a tutto il resto, vivendo senza sentimento ogni singolo
attimo della mia vita, come se fossi uno fra i tanti pezzi tutti uguali
che costituivano quell'intricata rete di vite.
Ciao papà, ciao zio, sorrisi alzandomi e pulendomi le maniche del cappotto nero dalla neve.
Tornai a casa e
appena aprii la
porta sentii un grande schiamazzo e poi uno strano silenzio, le luci
tutte
spente.
«Ragazzi, non è il mio
compleanno, uscite fuori», ridacchiai.
«Uffa però, rovini sempre tutto!»,
gridò Frenzy togliendosi la tenda di dosso.
Pian piano anche Bill e Tom comparsero
di nuovo, il primo da dietro la poltrona e il secondo da dietro la
porta d’ingresso
da cui ero entrata.
Mi sentii abbracciare da dietro e
percepii un respiro caldo e lento sul collo, poi un bacio leggero.
«Non ti avevo visto!», gridai
girandomi fra le sue braccia.
«Io sono un mago nel rendermi
invisibile…», sogghignò.
«Ah davvero? E come mai ogni
volta che mettiamo piede fuori dalla porta siamo assaliti da branchi di
ragazzine urlanti?», chiesi.
«Adesso voglio vedere cosa le
dici», disse Bill mettendosi le mani sui fianchi, divertito.
«Beh, è ovvio che non posso
essere invisibile se ci sono belle ragazze nei
paraggi…»,
rispose malizioso.
«Che risposta alla Tom», borbottò
Frenzy.
«Cioè?»
«Idiota e depravata. Non so
proprio come fai a sopportarlo, Nell.»
«Eh… magia», ridacchiai.
Lo guardai sorridendo e gli misi
le braccia intorno al collo per incontrare le sue labbra che in un
attimo mi
avvolsero in un caldo bacio, che mi scrollò di dosso tutto
il
freddo dell’inverno newyorkese.
Erano passati due mesi da tutto
quel trambusto e Tom e Bill erano tornati a New York per il week-end,
per
starci un po’ accanto.
Frenzy e Bill stavano insieme
ormai da un mese: avevano scoperto di piacersi precisamente un mese fa
e non c’era
stato verso di fermarle, quelle due teste dure.
Ma era stato bello, perché tutti
e due, imbarazzatissimi, avevano fatto la proposta all’altro
di
fronte a me e
Tom, che non speravamo altro che accadesse.
Avevamo fatto tutti i salti di
gioia, Frenzy compresa perché se non era stato Tom il suo
ragazzo perfetto, lo
era sicuramente Bill, avendo caratteristiche che sicuramente
l’altro non aveva.
Ma la mia magia
infondo non era così magica:
Tom era praticamente la mia
anima gemella. Con un solo sguardo riuscivamo a capirci e inoltre mi
sentivo
profondamente legata a lui perché mi ero beccata una
pallottola
al posto suo e
lui mi aveva aiutato molto e subito, senza pretendere chissà
cosa in cambio.
«Ehi piccioncini,
smettetela!», gridò Frenzy,
sempre ridendo.
«Perchè
non la smetti tu di gridare, una buona
volta?!», gridò Tom di rimando.
Erano proprio dei bambini:
litigavano per ogni cosa quei due,
per fortuna che Tom non stava con noi ventiquattr'ore su ventiquattro,
perchè se no sarebbe stato un inferno.
Io e Bill ci guardammo e alzammo le spalle sospirando, non c'era verso
di farli cambiare. Anche se in un certo senso mi divertivo a sentire
tutte le loro discussioni praticamente inutili: si inventavano sempre
così tante cavolate che avrei potuto scriverci un libro.
Tom si gettò sul
divano quando Frenzy se ne andò
in cucina con Bill e io mi misi seduta al suo fianco, appoggiata al suo
petto con la schiena.
«Dove sei andata?
Sai che mi preoccupo se non mi
avvisi», mi disse.
«Oh, sono andata a
trovare due persone», sorrisi.
Capì subito a chi mi riferivo e ricambiò il
sorriso,
senza aggiungere altro.
«Tom?»
«Uhm?»
«Ti amo», dissi con gli occhi che
luccicavano.
Lui fece un sorriso magnifico e
mi baciò sulle labbra, dopo un tenerissimo
«Anch’io.»
Nessuna vita sarebbe stata
identica ad un’altra, e se avessimo potuto mostrare tutte le
vite
e
confrontarle ne avremmo avuto la conferma.
L’importante era solo soffermarsi
a pensare sull’importanza di ognuna di esse e considerarle,
senza
restare
indifferenti.
Perché, se qualcuno non
considerasse la tua di vita, magari perché hai sbagliato e
hai
fatto male ad
altri, come ti sentiresti dopo duro lavoro per cambiare e cercare di
migliorare?
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Eccoci qui alla fine!!
Questo è l'ultimo capitolo (purtroppo) e mi sembrava giusto
spiegare il mio titolo: Leben Zeigen.
Innanzitutto è il titolo di una canzone dei Devilish (i
Tokio
Hotel bambini XD) [che poi praticamente sarebbe Grauer Alltag
XD] e vuol dire
qualcosa come Mostrare la vita o il vivere. Perchè Leben in
tedesco vuol dire "vita", oppure il verbo vivere, e Zeigen "mostrare".
Con questa storia io ho cercato di mostrare le diverse vite di ogni
personaggio: la vita della madre di Nellie e dello zio Barry (gli
aggressori), di Tom e in generale dei Tokio Hotel, parlando degli
ultimi problemi e momenti difficili che hanno dovuto passare, e infine
di Nellie e Frenzy. Spero vivamente di esserci riuscita e che questa ff
vi sia piaciuta ^^
Ringrazio Utopy,
layla
the punkprincess e _KyRa_ per
le recensioni all'ultimo capitolo.
Ringrazio chi ha messo questa ff fra i preferiti:
- chia94th
- rara193
- Scarabocchio_
- selina89
- Stella Incantevole
- tinky tinky
- tokiohotellina95
- Utopy
- xoxo_valy
- _KyRa_
Ringrazio chi ha messo questa ff fra le seguite:
- bambam
- streghettathebest
- UCB
Ringrazio la mia Socia che mi è stata vicina (Scarabocchio_), Ale (ossia Utopy, che mi ha permesso di utilizzare il suo soprannome, Frenzy, per il suo personaggio, e che è disperata per la fine di questa storia ^^), Chiara (layla the punkprincess, che mi ha sopportata abbastanza direi XD) e the least but not the last, i Tokio Hotel, fonte di ispirazione perenne per la sottoscritta. Grazie di cuore!! <3 Alla prossima, baci _Pulse_