Fumetti/Cartoni europei > Miraculous Ladybug
Ricorda la storia  |      
Autore: Picci_picci    30/08/2020    5 recensioni
Marinette era arrivata al suo limite. Tutti le chiedevano se stava bene, ma poteva stare bene dopo quello che era successo? Con Adrien fidanzato con Katami e il peso di Ladybug sempre più pesante sulle sue spalle?
No, non stava affatto bene. Ma se nessuno capiva la sua situazione, come potevano aiutarla? Di certo non poteva raccontare ai quattro venti che lei era Ladybug. Ma forse una persona che poteva comprenderla, almeno in parte, c'era.
E così, durante una notte di confessioni, inizia, quasi per caso, una delle relazioni più malsane di tutta la storia: quella tra Ladybug e Chat Noir. Tra segreti nascosti, baci appassionali e parole non dette, venite a scoprire come il gatto e la coccinella si sono trovati per la prima volta sotto le lenzuola.
-----
Un pre-quel della mia storia "Loop", per scoprire come è iniziata la 'disfunzionale e malsana relazione' di Ladybug e Chat Noir.
Genere: Romantico, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Adrien Agreste/Chat Noir, Marinette Dupain-Cheng/Ladybug, Plagg, Tikki
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
- Questa storia fa parte della serie 'Rivelazioni di vita'
Per recensire esegui il login o registrati.
Dimensione del testo A A A

“Tesoro, stai bene, vero?”, domandò per la quinta volta Alya durante la chiamata.

“Sì, Alya, te l’ho già detto”, ripetè Marinette in maniera petulante, con una voce troppo debole per essere il suo solito tono.

“Solo perché me lo hai già detto, non significa che ti creda. Marinette, dovresti-”

“Alya”, la interruppe lei, “devo andare, i miei mi stanno chiamando”, e buttò giù, senza nemmeno salutarla.

Posò il telefono sulla scrivania e il suo sguardo si calamitò fuori dalla finestra.

“Marinette, Alya vuole solo aiutarti”, disse Tikki andandole vicino.

“Davvero? Può far comparire Adrien Agreste davanti alla porta di casa mia che mi giura amore eterno? Perché è questo l’unico modo con il quale mi può aiutare.”

Era tragica di natura la sua Marinette, Tikki lo aveva imparato bene.

“Forse. Ma non puoi trattarla male.”

“Hai ragione. Domani la chiamerò per scusarmi.”

“Brava”, rispose Tikki strusciandosi contro la sua guancia.

“Non sei sola. Ci sono io. C’è Alya, i tuoi genitori e un certo gatto nero.”

Ma non c’è Adrien. Il pensiero la colpì forte come un pugno allo stomaco, le fece mozzare il respiro e la sua mano corse sul suo cuore per accertarsi che battesse ancora.

Adrien. Una parola e mille problemi. Era partito tutto da lui, da quando si era messo insieme a Katami, il cuore di Marinette aveva fatto crack. Aveva passato gli ultimi due mesi di scuola come il suo inferno personale perché, nonostante lei stesse male, non poteva che essere felice per il suo amico. Amico, mai aveva odiato una parola come adesso. Per la sua sanità mentale, si era allontanata dal bel modello e per lei, Adrien, era diventato l’innominabile. Chiunque dovesse parlare del bel biondino si avvicinava all’argomento in punta di piedi per paura di una possibile reazione di Marinette. E se la ragazza si mostrava tranquilla, quasi disinteressata, dentro di lei si scatenava una tempesta e un piccolo mostriciattolo chiamato ‘gelosia’. Adrien non era suo e non voleva sapere niente sul conto o sarebbe impazzita. Quanto era forte la tentazione di chiamarlo o rispondere ai suoi messaggi che la pregavano di vedersi ‘in nome dei vecchi tempi’? Quanto si prudeva le mani dalla voglia di leggere il primo articolo di gossip su Adrien Agreste? Troppa era la curiosità, ma si era imposta dei limiti per poter guarire il suo cuore spezzato. Uno di questi era considerare Adrien inesistente, una persona che adesso non conosceva e che non c’era più; un’altro era non innamorarsi.

“Marinette, è pronta la cena!”

Sbuffò, l'appetito gli era completamente passato. Erano ormai passati anni, lei era addirittura maggiorenne adesso, ma Adrien Agreste le faceva sempre lo stesso effetto e le faceva sempre perdere le sue facoltà mentali.

***

“Amore mio, non hai mangiato nulla. Stai bene?”

Perché tutti continuavano a ripeterglielo? Per quanto ancora avrebbe dovuto continuare a mentire su tutto e su tutti, facendo finta che stesse bene e che tutto andasse bene?

“Sì, certo mamma. Sono solo un po’ stressata per gli esami finali a scuola. Vado in camera mia così finisco l’abito che avevo iniziato a cucire ieri. Lavorerò fino a notte fonda, voi andate a letto”, dette un bacio ai suoi genitori e poi aggiunse, “buonanotte”, e si rinchiuse in mansarda.

Aveva ancora un’ora libera prima di doversi trovare con Chat Noir per la loro solita ronda.

Si mise di buona lena a mettere a posto il disordine della sua camera, sistemando dagli album dei disegni fino agli scampoli di stoffa che invadevano  la sua scrivania. L’arrivo improvviso di un messaggio la fece saltare per aria da tanto che era concentrata a piegare le magliette e a non pensare.

“So cosa stai passando, ma le persone vanno avanti. La vita va avanti e anche tu dovresti farlo, Marinette. Io ci sarò sempre, Alya.”

Per quanto volesse bene ai suoi genitore ed Alya, loro non potevano capire cosa stava passando e non potevano capire quanto fosse difficile andare avanti. Marinette non aveva una valvola di sfogo e tra poco sarebbe esplosa. Lanciò il telefono sulla chaise-longue e si sedette per terra, piangendo.

“Marinette, vogliono solo darti una mano.”

“Ma loro non possono darmela, Tikki”, disse lei tra le lacrime, ma sempre con un sorriso dolce sul volto.

“Però hanno ragione.”

“Sì, hanno perfettamente ragione, ma io non sono così forte. Non sono così forte da dimenticare Adrien e la ferita che mi ha procurato, e non sono così forte da riuscire a portare il peso di Ladybug senza sfogarmi con nessuno.”

Prese un respiro profondo, asciugandosi le lacrime e alzandosi in piedi.

“Nessuno mi conosce, Tikki, nessuno sa chi sono veramente. E se nessuno ti conosce, nessuno ti potrà mai capire. Sono sola.”

La kwami le andò vicino e posò una zampetta sulla sua mano, “ci sono io.”

“Lo so. E ringrazio il cielo che tu sia qui con me.”

***

“Scusami, Chat. Non mi ero resa conto di che ore fossero.”

Ladybug era, stranamente, in ritardo, tanto che Chat Noir pensava che non sarebbe venuta.

“Non preoccuparti, ho già fatto un giro e non ho visto niente di strano.”

Il volto di Ladybug espresse dispiacere e fu la prima emozione che la sua lady mostrò dopo molto tempo. Per Chat Noir fu quasi strano rivedere gli occhi di Ladybug vivi e non seri e composti come lo erano negli ultimi anni.

“Mi spiace che tu sia stato da solo, davvero non mi era accorta-”

“Va tutto bene, insettina, davvero. Che ne dici di goderci un po’ il cielo di Parigi?”

Si sedettero sul terrazzo, quel terrazzo su cui tempo prima Chat Noir si era dichiarato, e che ora era diventato il loro punto di ritrovo insieme alla Tour Eiffel. 

“Ladybug, stai be-”

“Se finisci quella frase, ti taglio la lingua.”

Chat Noir la guardò accigliato: difficilmente la sua lady arrivava ad utilizzare delle minacce, quindi doveva esserle successo qualcosa di serio.

“My lady”, disse lasciando il resto della frase in sospeso.

“Ne vuoi parlare?”

Marinette si girò verso di lui con gli occhi sgranati, “perché?! Tutti vogliono cercare di capirmi, tutti mi chiedono di parlare! Ma io non posso parlarne, non posso.

Voltò la testa di lato, verso le luci della Tour Eiffel, “nessuno può capirmi.”

“Ho il tuo stesso problema.”

“Non credo proprio.”

Lui scosse la testa continuando a guardare il panorama di fronte a lui, “non ho nessuno con cui confidarmi, se non il mio kwami. Ma Plagg non è molto d’aiuto su quel fronte.”

“Tikki, invece, mi aiuta molto. Senza di lei sarei impazzita molto tempo fa.”

Lui sorrise, contento che la sua lady si stesse aprendo con lui.

“Quello che voglio dire, insettina, è che non posso parlare con nessuno senza filtri, parlando anche dei problemi che derivano dall’essere supereroe.”

“Puoi parlare con me, non so se l’hai notato gattino, ma anche io sono un supereroe.”

Si girò verso di lei e la guardò negli occhi, “hai ragione. E, seguendo la tua logica, anche tu potresti parlare con me.”

Gattaccio che non era altro. L’aveva messa in trappola, con una furbizia tale… Ma se voleva giocare a chi era più intelligente, lei non si sarebbe sottratta.

“Hai ragione, ma non potrei parlarti dei miei problemi privati, non dobbiamo sapere chi siamo nella vita reale.”

Aveva fatto scacco matto, la sua insettina. Doveva pensare velocemente.

“Hai ragione, ma potresti parlare per metafore o in maniera generale. O almeno parlare solo dei problemi da supereroe, ti farebbe bene toglierti almeno metà del peso che porti dentro di te.”

Gli occhi della sua lady erano tornati come negli ultimi due anni: freddi e distaccati. Quel momento di intimità e di complicità era morto, come la sua vecchia Ladybug.

“Come vuoi”, disse Chat Noir, “ma non sei più la stessa. Non sei la lady di cui mi sono innamorato e questo mi strazia. Non riesco più a vederti così, fingendo che vada tutto bene, quando sei rotta dentro.”

Mise mano al bastone, pronto ad allungarlo, “quando vuoi, io sarò qui.”

Ma nella mente di Ladybug si stavano susseguendo in loop quelle due parole: rotta dentro. Era esattamente come si sentiva e il suo gattino aveva azzeccato il suo stato d’animo in pieno. Lo guardò mentre saltava su un altro tetto e pensò che in fondo, di lui, si era sempre fidata. Perché smettere ora?

Prese lo yo-yo in mano e raggiunse velocemente il tetto opposto.

“Hai ragione”, urlò tutto d’un fiato facendo fermare Chat Noir dal prossimo salto.

“Su cosa?”, chiese girando solo la testa nella sua direzione.

“Su tutto”, rispose lei mettendo a posto il suo yo-yo, “sono rotta dentro da così tanti anni da non rendermene più conto. Il peso di essere un supereroe si fa sentire sempre di più, sia su me stessa che sul mio sonno”, disse con un piccolo sorriso a cui Chat Noir rispose prontamente.

“Il motivo principale, però, è una delusione d’amore. Hai presente quando il tuo intero mondo gira per quella persona? Quando ti svegli al mattino e pensi a lei? Quando in ogni tuo gesto e parola c’è lei?”

Lui annuì conoscendo così bene quella sensazione.

“Io l’ho provato. Ho provato un amore così forte che penso non lo riproverò più”, disse stringendosi nelle spalle, “e quando lui si è innamorato di un’altra persona, quando si è fidanzato con un’altra persona, il mio intero mondo è caduto. E nonostante abbia provato, perché ti giuro io ci ho provato, non sono mai riuscita a riprendermi del tutto.”

Si asciugò una lacrima e rise in maniera quasi isterica, “ora penserai che sono pazza.”

Lui scosse la testa e si avvicinò a lei fino a prenderla per le spalle, “no, non ti reputo pazza. Hai confermato quello che già pensavo di te: che sei una persona che mette tutta se stessa in quello che fa e prova. Che sei capace di amare così intensamente da fare del male a te stessa, ma non ti importa e continui ad amare. Questo dimostra quanto in realtà tu sia forte, Lady. Non c’è al mondo una donna più forte di te e io lo so, lo so perché ogni giorno che passo con te me ne rendo sempre più conto.”

Marinette lo abbracciò di slancio e lui, subito, ricambiò accarezzandole i capelli.

“Grazie, Chaton. Avevi ragione, mi ha fatto bene sfogarmi.”

“Lo so, io ho sempre ragione.”

Risero e rimasero così per un lungo tempo.

“Scusami”, disse lei staccandosi da lui e asciugandosi velocemente gli occhi.

“Sono qui per questo. C’è altro che posso fare per te, my lady?”

“Credo che tu abbia fatto più che abbastanza, mon minou.”

Lei voltò la testa per vedere la sua Parigi, la sua città.

“Sai cos’è la cosa che mi manca di più?”

Lui scosse la testa.

“Sentirmi viva. Provare emozioni, forti emozioni.”

Lui guardò il suo profilo. Gli occhi grandi e celesti, il naso piccolo e leggermente all’insù, le labbra piene e rosee, e la linea dolce del mento.

“Io avrei un’idea”, disse lui improvvisamente, “ma non so se ti piacerà.”

“Mi fido di te”, disse lei con un sorriso.

La prese per i fianchi e velocemente posò le sue labbra sulle sue.

Marinette aveva gli occhi sgranati. Cosa stava facendo? 

Mise le mani sul suo petto e con una piccola spinta lo allontanò.

Anche lui aveva una sguardo confuso, come a non capacitarsi di ciò che aveva fatto.

Ma era così sbagliato? Era così sbagliato baciare Chat Noir, una persona della quale si fidava ciecamente?
Sì, lei non lo amava.
Ma l’aveva fatta stare così bene, in pace con se stessa dopo molti anni.

“I-io...scusami”

Ma lei lo prese per il campanellino sul collo e lo tirò giù, verso di lei, verso le sue labbra, e lo baciò.

Subito lui la riprese per la vita, in maniera prepotente, e la strinse a se. Si stavano baciando in maniera spudorata, tanto che se Marinette avesse visto la scena da fuori, si sarebbe girata dall’altra parte, imbarazzata da quella visione. Teneva il volto di Chat Noir tra le sua mani, in maniera dolce ma decisa allo stesso tempo.

Dio, si sentiva così bene.

Quando lui si staccò dalle sue labbra, lei gemette contrariata e, subito dopo, si imbarazzò per quel gesto. Lui ghignò come suo solito, passandogli un dito sulle labbra, “non ti preoccupare, my lady, non ho intenzione di smettere”, lei in risposta incrociò le braccia e voltò il viso che era diventato un tutt’uno con la sua maschera, “ma vogliamo continuare a dare spettacolo ai cittadini di Parigi?”

Lei si guardò intorno e scosse la testa.

“Bene”, disse prendendole la mano, “andiamo.”

“Dove?”

“In un posto più appartato”, rispose lui in maniera naturale, sistemandole una ciocca di capelli dietro l’orecchio. 

“Non possiamo sapere niente sulle vite private dell’altro, nemmeno l’abitazione.”

Lui sbuffò e la prese per le mani, “per quanto io ami questo tuo lato responsabile e razionale, sappi che stai rovinando il momento.”

“Sì, ma..”

“Non preoccuparti. Ti porto nella mia seconda casa, praticamente nessuno sa che abito là.”

Le lasciò un veloce bacio a stampo sulle labbra, “ti ho convito?”

“Va bene”, disse lei con un sorriso.

“Bene, allora seguimi.”

Misero mano alle loro rispettive armi da combattimento e iniziarono a saltare di palazzo in palazzo. Marinette cercò di concentrarsi sul suo partner e su ciò che aveva appena fatto e di non memorizzare il percorso che stavano facendo.

Chat Noir si fermò su un balcone e lei atterrò dopo di lui. 

“Aspettami un attimo” e il gatto nero sparì.

Marinette girò su se stessa e adorò la vista da quel balcone, era stupenda. Vedeva la Tour Eiffel davanti a lei e di lato il Louvre, ma venne distolta dall’arrivo del suo Chaton.

“È il maggior motivo per cui ho scelto questa casa”, disse indicando con il mento il balcone e la vista.

“Un grande motivo se lo vuoi sapere. Hai una vista bellissima.”

“Concordo”, poi indicò la porta finestra, “vuoi entrare?”

Lei annuì, in qualche modo imbarazzata.

“Benvenuta a casa mia”, disse con un gesto delle braccia.

La prima cosa che pensò entrando, era che Chat Noir dovesse essere ricco, ma proprio ricco sfondato. Davanti a lei si aprì un immenso salotto con la tv a schermo piatto di ultima generazione, due divani di pelle bianca e nel mezzo un tavolino basso di design. Il parquet scuro copriva tutto il pavimento, ma finiva dopo un’enorme vetrata.

“Vedo che sei curiosa, quindi prego, gira dove vuoi.”

Riusciva davvero a leggerla così bene, Chat Noir? Lentamente si avvicinò alla vetrata, trovò un maniglione in acciaio, spinse di lato e si affacciò ad una cucina di ultima generazione dai colori nero e rosso e un ripiano in marmo scuro, in netto contrasto con le mattonelle e le pareti bianche. Si avvicinò e passò una mano sull’isola al centro della stanza, “sai cucinare?”, domandò curiosa.

“Diciamo. Qualcosina.”

Lei sorrise, “hai fame?”

“Io ho sempre fame, che domande my lady.”

Lei rise di cuore e aprì il frigo, trovando davanti a lei file e file di scatole di camembert.

“Non ti facevo uno fissato con il formaggio.”

“Cosa?”, chiese lui avvicinandosi, ma dopo aver visto il contenuto del frigo, sbuffò, “è colpa di Plagg. Lui adora il camembert, praticamente si nutre solo di questo.”

“Tikki invece ama i dolci.”

Lui la guardò con gli occhi sgranati, “sappi che ti sto invidiando in maniera incredibile. Perché a te, tutta la fortuna?”

“Forse perché io rappresento la fortuna e tu la sfortuna.”

“Un punto a te e alla tua intelligenza.”

Lei frugò per un po’ nel frigo, evitando le scatole di camembert.

“Hai voglia di una omelette?”

Lui sorrise e annuì, iniziando a tirare fuori la padella, il coltello e qualsiasi altra cosa che servisse. 

Anche in cucina funzionavano bene come duo, concluse Marinette; non aveva nemmeno bisogno di chiedere ciò che le serviva, lui glielo stava già passando. Così, in poco tempo, avevano due fumanti omelette da mangiare.

Lui la condusse nella sala da pranzo là vicina e la fece accomodare.

“Questa è la tua seconda casa? Io non me ne andrei mai se avessi una vista del genere”, disse lei indicando con un cenno le enormi vetrate davanti a lei che davano sul panorama parigino.

“Diciamo che è complicato da spiegare e, visto che non possiamo dire niente di compromettente, mi astengo dal risponderti.” 

“Oh, che gattino responsabile.”

“Lo sono sempre.”

“Come no.”

“Piuttosto, dove hai imparato a cucinare così bene?”, chiese infilandosi in bocca l’ultimo pezzo di omelette.

“Avevi veramente fame”, rispose lei alzando gli occhi al cielo, “ho imparato da mio padre.”

Lui annuì, “e penso che qui si fermi la spiegazione”.

“Esatto.”

Dopo che anche Ladybug ebbe finito la sua omelette, Chat Noir le fece finire il giro della casa; dal salotto si diramava un corridoio che portava ad un bagno, e che bagno! Marinette avrebbe potuto abitarci lì dentro, una stanza vuota perché non sapeva come utilizzarla e la sua camera da letto.

“Un attimo”, disse lui prima di farla entrare in camera sua.

“Se non vuoi farmi entrare, va bene.”

“No no, devo togliere delle foto che..”

“Ho capito, vai.”

E mentre aspettava che il suo collega (poteva ancora definirlo così?) aprisse quella porta, lei stava morendo di curiosità.

Alla fine, il luogo in cui viveva una persona diceva molte cose di lei, ma la casa di Chat Noir era quasi impersonale, poche cose erano riconducibili a lui come persona, e non ad un noto designer di interni, come il poster di Ultimate Strike in salotto o un grembiule da cucina con un gatto disegnato che le aveva fatto indossare a forza prima. Come era realmente la vita del suo Chaton? Per la prima volta da quando l'aveva conosciuto se lo stava chiedendo.

“My lady?”, la sua voce improvvisa la fece destare dai suoi pensieri, “vuoi entrare o rimani a fissare lo stipite della porta come una psicopatica?”

Lei sbuffò, “entro, entro.”

Le pareti erano dipinte di bianco, ma non un bianco freddo accecante, un bianco gentile e caldo che in effetti ricordavano molto il proprietario dell'appartamento, il parquet era scuro esattamente come quello di tutta la casa. Aveva una fantastica porta vetrata che dava su un altro balcone e, ai lati di esso, due enormi finestre.

“Non ti senti mai osservato o con la paura che altre persone ti vedano?”

“No. E poi, avrebbero un bel vedere quelle persone, fidati.”

Lei alzò gli occhi al cielo, ovviamente non poteva che rispondere così.

Una scrivania e una madia completavano l’arredamento insieme all’enorme letto poggiato sulla parete di destra.

“Ovviamente, non potevi non avere uno specchio gigante.”

Lui scosse la testa, “dovresti guardare oltre le apparenze.”

Toccò lo specchio di lato fino rivelare una cabina armadio; lo specchio era solo una porta.

Affascinata, Marinette si affacciò su quella meraviglia.

“Lo sai che ogni ragazza te lo invidierebbe?”

“Anche tu?”

“Ti sembro un ragazzo?”, chiese lei retorica.

“Decisamente no”, rispose prendendola per i fianchi.

Era pronta a staccarsi dal suo micetto, quando le parole di Chat Noir le rimbombarono nella testa: dovresti guardare oltre le apparenze. Lo guardò negli occhi e sorrise, appoggiando le mani sulle sue spalle.

“Spegni la luce.”

“Cosa?”, chiese lui stranito.

Lo portò fuori dalla cabina armadio fino al centro della sua stanza. Cercò l’interruttore con gli occhi e una volta individuato, lo premette.

“Spiegami perché siamo rimasti al buio. O meglio perché tu sei rimasta al buio, io ci vedo benissimo.”

“Hai detto che dovevo andare oltre le apparenze”, rispose lei chiudendo le finestre con i pesanti tendaggi.

“Continuo a non capire.”

“Ti fidi di me?”, chiese lei mentre a tentoni cercava le mani di lui.

Chat prese le sue fermamente, “sempre.”

“Allora ritrasformati.”

Stava di nuovo per chiedere ‘perché?’, ma scosse la testa e si ritrasformò. Subito dopo sentì Ladybug che faceva la stessa cosa.

“Signorinella, perché è qui?”

“Plagg, ti prego, di là c’è del formaggio che ti aspetta.”

Il kwami sbuffò, “ho capito, ma..”

“Niente ma, Plagg, andiamo”, disse Tikki risoluta.

“Tikki, da quello che ho capito ti piacciono i dolci, ci dovrebbero essere in cucina dei macarons della pasticceria dei Dupain-Chen.”

Marinette si immobilizzò al suo cognome, ma si rilassò subito dopo.

“Grazie mille, Ad-, cioè, Chat Noir, grazie mille. Andiamo Plagg.”

“No. Non vedi che è una cosa sbagliata? Noi dovremmo fare rinsavire questi idioti.”

“Plagg, vai.”

“No, moccioso, non capisci.”

“Di là c’è del camembert che ti aspetta. Non vorrai farlo attendere?”

“Bene, me ne vado, ma sappi che lo faccio perché lo voglio io e non perché me l'hai detto tu.”

Dopo poco, il silenzio tornò in quella stanza.

“Scusa per Plagg”, disse quasi intimidito Adrien.

“Chaton, non ti facevo timido.”

“Che dire, anche io ho i miei momenti.”

Poi sorrise e dolcemente la prese per la vita, “ancora non capisco il tuo piano.”

“Sinceramente non lo sto più capendo nemmeno io”, rispose prendendolo per le spalle.

Marinette non seppe dire chi si avvicinò per primo, ma le sue labbra furono su quelle di Chat Noir in un attimo. E continuarono a baciarsi in un modo che Marinette non pensava nemmeno fosse possibile. I baci del suo Chaton erano inebrianti e le accendevano qualcosa dentro di lei che la facevano sentire viva, come se fosse sull’orlo di un precipizio e stesse per cadere.

Gemette sulla bocca di Chat quando lui la posò sul letto con non molta delicatezza.

“Ti ho fatto-”, ma Adrien non potè nemmeno finire la frase che la sua lady lo aveva già preso per il bavero della camicia per continuare a baciarlo.

Marinette sentiva i baci del suo chaton passare dal collo alla clavicola e poi sempre più giù. Non ci pensò su, si tolse la maglietta e fece lo stesso con la camicia del suo partner.

“My lady, sei sicura di questo? Non voglio fare qualcosa che tu non voglia.”

Voleva? Poteva farlo? Forse Chat Noir era l’unico, oltre ad Adrien, con il quale poteva lasciarsi andare. Si fidava di lui completamente, per lei c’era sempre ed era sicura che non l’avrebbe mai abbandonata.

“Sì. Ma voglio essere sincera con te: per me sei importantissimo Chaton, davvero, ma se in questo momento mi chiedessi se ti amo, io risponderei di no.”

Adrien lasciò improvvisamente il volto della sua lady.

Voleva veramente che accadesse? Lei non lo amava, quando lui le avrebbe donato anche la luna. Ma soffriva per amore ancora per quel ragazzo, come avrebbe potuto innamorarsi di lui? Era sicuro solo di una cosa: la voleva, la voleva così tanto da farsi del male. Pensò che forse era un egoista, ma forse avrebbe aiutato tutti e due, forse sarebbe riuscito a far capire alla sua lady che non aveva bisogno di quel ragazzo per essere felice.

E con quel pensiero in testa, tornò ad appropriarsi delle labbra della sua lady.

“Posso farti mia?”

“Sempre.”

 

 ***

 

Quando la mattina, Adrien si svegliò, trovò solo il buio davanti ai suoi occhi. Pensò che gli fosse successo qualcosa di grave ed iniziò a muovere tutte le sue articolazioni per capire se stesse bene. Solo il braccio destro non riusciva a muovere, stringeva qualcosa...o qualcuno.

Sentì un flebile respiro al suo fianco e sapeva che poteva appartenere ad una sola persona. Allora la scorsa notte non era stata un sogno, era successo veramente.

Sorrise, felice di ciò che era accaduto.

“My lady”, disse scuotendola dolcemente per le spalle.

“My lady, sveglia.”

“No, mamma ti prego. Un altro po’.”

Sorrise, quanto poteva essere tenera? “My lady.”

Sentì che si svegliò quando si immobilizzò tra le sue braccia, “Chaton?”

“Sono io.”

“Grazie al cielo sei tu, mon minou”, disse stringendolo tra le braccia.

“Chi pensavi che fossi? Qualcun altro ti chiama ‘my lady’?” domandò lui ancora divertito.

“Che ne so forse era un maniaco..”, ma le parole le morirono improvvisamente.

“Insettina? Insettina sei ancora lì?”

Sentì uno spostamento d’aria e la voce di Tikki arrivò alle sue orecchie, “è solamente in imbarazzo, un attimo.”

Sentì la kwami parlare fitta fitta alla sua portatrice, poi volò improvviso un “Dio, che imbarazzo!”

Le lenzuola si spostarono, “abbiamo fatto sesso.”

“Così sembra”, rispose lui, “ti sei pentita?”

“In realtà no”, rispose lei dopo un momento.

Rimasero in silenzio, dentro la loro bolla di pensieri.

“Ehy, io ho fame!”

“Ne ero in pensiero, Plagg”, rispose il suo portatore.

Si alzò dal letto, ma la voce della sua lady lo fermò, “non mi sono pentita di ciò che è successo, mi è piaciuto”, disse con le guance arrossate.

“Adesso, sei tu la timida?”

“Anche io ho i miei momenti”, rispose con le stesse parole di lui, “più volte di quanto tu pensi.”

“Cosa vuoi dirmi, insettina?”

“Non so cosa siamo.”

“In che senso?”

“Non so cosa siamo, io e te, non so se siamo una coppia o se siamo chissà cos’altro.”

“My lady”, disse prendendole le mani che gesticolavano, “noi siamo sempre gli stessi, Chat Noir e Ladybug:”

“È Ladybug e Chat Noir.”

Lui sbuffò, “ti sei ripresa subito, eh? Il punto è che siamo sempre noi, forse più uniti di prima.”

“Quindi non siamo fidanzati o..”

“No”, rispose lui, “no, se tu non lo vuoi”, quanto gli era costato dirlo senza far trapelare il suo dolore.

“Bene.”

Lei si alzò in punta di piedi e gli lasciò un bacio sull’angolo della bocca.

“Io vado. Tikki, trasformami.”

E prima di uscire sul balcone della camera, gli disse un’ultima cosa, “non provare a fare allusioni o battutine mentre siamo a lavoro, chiaro?”

“Dai, nemmeno quelle leggere?”

“Ma che siano leggere, nessuno deve sapere di noi.”

“Oh, siamo un noi?”

“Siamo sempre stati un noi.”

Poi scostò le tende e la luce gli ferì gli occhi; dopo un secondo era rimasto da solo.

Fece un respiro profondo e accese la luce.

“Per tutti i kwami, che schifo.”

“Cosa, Plagg?”

“La tua nudità.”

In quel momento Adrien si accorse di non essere vestito, ma poco gli importava.

“E allora? Non hai mai visto un umano nudo?”

“Copriti o avrò gli incubi per tutto il resto della mia vita.”

Adrien decise che era meglio zittirlo e indossò i boxer.

“Che c’è, moccioso? Hai lo sguardo assente.”

“Ti è mai capitato di essere felice e triste allo stesso tempo?”

Il kwami scosse la testa e gli si avvicinò, “attento, Adrien.”

Poi volò via, il momento di intimità era concluso.

“La mia colazione, moccioso.”

Sorrise e il suo sguardo andò sul letto che quella notte aveva visto quell’amore nascere. Le lenzuola sfatte, un cuscino gettato per terra, il profumo della sua lady...

Quella donna, sarebbe stata la sua rovina.

 

***

 

Quando rientrò a casa, Marinette si sentiva bene e colpevole allo stesso tempo.

“Hai fatto la scelta giusta?”

Marinette continuò a vedere l’immagine di se stessa allo specchio. Portava i segni di quella notte, i capelli scarmigliati, i succhiotti sul collo e nell'incavo dei seni...erano un chiaro ricordo di ciò che era successo tra lei e il suo chaton.

“Non lo so, Tikki. So solo che dopo molto tempo mi sono sentita bene, che tra le sue braccia avevo trovato il mio posto nel mondo.”

“Lo ami?”

“Lo sai che amo solo una persona”, rispose lei pettinando i capelli dietro l’orecchio.

“Però Chat Noir non ti è indifferente.”

“Lo è mai stato?”, chiese lei di rimando.

Andò via dal bagno per prendere dei vestiti e, andando contro tutte le leggi dell’universo, sorrise al ricordo del suo chaton.
Sarebbe stato la sua rovina.


Angolo autice
Rieccomi qui con one-shot che doveva essere piccola piccola, una pillola di come era iniziata la situazione di Ladybug e Chat Noir, ma si è trasformata in una storia da 4500 e passa parole. Possiamo affermare che non ho il dono della sintesi. Bene, in questa storia possiamo capire come sia iniziata la situazione che poi vediamo in 'Loop' e che tutto questo sia nato quasi per caso.
Spero che la storia vi sia piaciuta,
un abbraccio,
Cassie.

   
 
Leggi le 5 recensioni
Ricorda la storia  |       |  Torna su
Cosa pensi della storia?
Per recensire esegui il login oppure registrati.
Torna indietro / Vai alla categoria: Fumetti/Cartoni europei > Miraculous Ladybug / Vai alla pagina dell'autore: Picci_picci