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Autore: Soul of Paper    30/08/2020    5 recensioni
[Imma Tataranni - Sostituto procuratore]
Lo aveva baciato e gli aveva ordinato di dimenticarselo. Ma non poteva certo pretendere dagli altri ciò che non riusciva nemmeno a fare lei stessa. Imma Tataranni - Imma x Calogiuri
Genere: Introspettivo, Mistero, Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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Nessun Alibi


Capitolo 43 - Eredità


Disclaimer: questa storia è scritta senza alcuno scopo di lucro. Questi personaggi non mi appartengono ma sono proprietà dei relativi detentori di copyright. Ogni riferimento a fatti, persone, luoghi o eventi realmente esistenti è da ritenersi puramente casuale.



 

Il silenzio in tavola rimase totale e carico di imbarazzo per un minuto buono, mentre lei sfidava con lo sguardo chiunque a dire di nuovo qualcosa. Calogiuri la guardava con una gratitudine mista ad ammirazione che le ricordava i loro primi tempi insieme, Maria pareva stranamente divertita, i maschietti tra il mortificato e l’incazzoso, le loro consorti semi scandalizzate.

 

“Vino?” chiese il prefetto all’improvviso, direzionando la bottiglia verso lei e Calogiuri.

 

“No, signor prefetto, la ringrazio ma credo proprio che abbiamo già bevuto troppo. Meglio non rischiare, che poi ci tocca camminare al sole e non siamo tutti giovani ed in forze come Calogiuri,” sottolineò volutamente, bloccandolo prima che li spedisse tutti in coma etilico e rigirando il dito nella piaga.

 

Se lui ed i suoi amichetti erano insicuri di fronte ad un bel pezzo di figliolo come Calogiuri, tanto da fare i bulletti che manco alle medie, che si rosolassero ancora un poco.

 

Il prefetto rimase in contropiede, probabilmente non sapendo bene che cosa dire, poi posò la bottiglia e saltò su con un, “avete visto la nuova collezione temporanea che arriverà al MUSMA? In prestito dalla Galleria Nazionale.”

 

Il Museo della Scultura Contemporanea, gli avevano dato un acronimo che faceva figo, come il MOMA di New York.

 

E poi il prefetto iniziò a snocciolare una serie di nomi di scultori che per lei era peggio che parlare in ostrogoto: non che disprezzasse l’arte contemporanea, ma non se ne intendeva proprio e preferiva comunque i musei con sculture e quadri più antichi.

 

“Ho visto alcune sue opere alla Galleria Nazionale. L’uso del bianco e del nero che fa è veramente incredibile, ipnotizza quasi. Sapete quali verranno portate qui?”

 

Rimasero nuovamente tutti ammutoliti, ma per motivi diversi: a parlare era stato Calogiuri, con nonchalance, come se stesse discutendo del tempo.

 

“Non- non lo so,” ammise il prefetto, che probabilmente della mostra temporanea aveva visto giusto giusto la locandina, mentre Calogiuri si lanciò in una spiegazione sulle sue opere preferite dello scultore in questione, che dovevano assolutamente vedere se fossero state portate a Matera o se fossero andati a Roma.

 

I galletti al tavolo erano con le bocche cucite, le signore, ovviamente, mo si guardavano Calogiuri come se fosse una torta di ricotta. Maria pareva non essersi mai divertita tanto da che la conosceva.

 

“Invece avete sentito della stagione teatrale dei Teatri Uniti di Basilicata?” intervenne l’architetto, elencando alcuni spettacoli che lui e consorte avevano intenzione di andare a vedere.

 

Il Padre? Di Zeller, vero?” chiese loro Calogiuri, mentre i commensali lo guardavano come fosse un alieno, “purtroppo mi manca, ma ho visto sia La Menzogna che La Verità. Ha un modo di scrivere molto particolare, pungente, cinico.”

 

Imma si godette il mutismo generalizzato, si prese la bottiglia e si versò un poco di vino.

 

Le toccava pure ringraziare la Ferrari, mo, anche se non lo avrebbe mai ammesso manco morta. Ma il pregiudizio del toyboy senza cervello e senza cultura forse, almeno tra i commensali, era finalmente stato debellato.

 

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“Congratulazioni, signor prefetto, vittoria meritata!”

 

Erano all’ultima buca e Vitolo alla fine aveva vinto, anche se di poco. Calogiuri gli aveva fatto venire strizza fino all’ultimo ed Imma si chiese se alla fine lo avesse lasciato vincere o meno.

 

Di sicuro era molto sportivo nel congratularsi, soprattutto dopo i momenti passati a tavola.

 

“Grazie, maresciallo,” rispose il prefetto, stringendo la mano che gli venne porta, anche se con un poco di esitazione.

 

“Giocare con Calogiuri ti fa bene, caro, hai battuto il tuo record in assoluto. Non è vero, Jonathan?” rimarcò la Moliterni, guardandosi il caddy con concupiscenza.

 

“Sì, signora Moliterni, è il migliore risultato di sempre per suo marito. Invece i vostri punteggi…” proseguì, guardando verso lei, Diana e Capozza, elencando dei numeri bassissimi, nonostante gli handicap di punteggio molto alti che avevano magnanimamente deciso di applicare loro dopo le prime buche. Ma avevano dovuto fare un numero spropositato di tiri ogni volta.

 

“Va beh… come si dice… sfortunato al gioco, fortunato in amore,” proclamò Capozza, dando un bacio a Diana, che se lo abbracciò.


“Dubito qua la fortuna c’entri molto, Capozza,” sospirò Imma, ringraziando il cielo di aver già digerito dopo tutto quel moto.

 

Non ci si sarebbe forse mai abituata del tutto a vederli insieme.

 

“Per essere la prima volta non ve la siete cavata tanto male, soprattutto lei, dottoressa. Dalle prime alle ultime buche ha avuto un buon miglioramento. Se volesse tornare per un corso, anche di poche lezioni, sono sicuro che migliorerebbe moltissimo.”

 

“Sì, perché peggiorare è difficile,” scherzò, anche se c’era qualcosa nel modo in cui glielo aveva detto che la metteva in imbarazzo, “e poi noi stiamo a Roma, quindi… sono un po’ troppi chilometri per giocare a golf.”

 

Il fatto che sarebbero stati anche un po’ troppi soldi se lo tenne per sé, ma col cavolo che lei e Calogiuri potevano permettersi certe cifre annuali, pure se lui era portato.

 

“Potreste trovare un club a Roma, così vi allenate e quando tornate qui ci giochiamo la rivincita,” propose Maria, ed Imma si chiese se lo facesse apposta.

 

“Eh, Maria, già c’abbiamo l’equitazione ed il tempo libero è quello che è, almeno per chi lavora sodo,” ironizzò, sperando che desistesse da ulteriori inviti.

 

“Effettivamente mi pareva un abbigliamento da equitazione...” commentò Jonathan ed Imma ebbe l’impressione di sentire Calogiuri sibilare un “ce ne eravamo accorti!” stizzito.

 

“Scommetto che è bravissima: ha il fisico ideale per andare a cavallo,” proseguì il ragazzo con un sorriso ed un tono che, di nuovo, le parvero strani e le fecero venire il dubbio che ci stesse a provare.

 

Ma sicuramente faceva così con le clienti donne, soprattutto over-anta - vedi la Moliterni - per cercare di ingraziarsele ed aumentare il business.

 

Calogiuri però sembrava molto infastidito e la Moliterni pure aveva smesso di avere quel sorriso a trentacinque denti perenne.

 

“Andiamo che poi io e Vitolo abbiamo un impegno per cena?” chiese Maria ed Imma, per la prima volta in quella giornata, quasi se la sarebbe abbracciata.

 

“Allora io e Calogiuri possiamo tornare con Diana e Capozza, Maria, così non dovete perdere tempo a riaccompagnarci,” si affrettò a proporre, prima che cambiasse idea.

 

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“E dai, venite a cena con noi! C’è un ristorantino di pesce a Marina di Pisticci che è la fine del mondo, vero, amore?”

 

Imma guardò Calogiuri, come a chiedergli che ne pensasse: del loro fine settimana dell’anniversario la maggior parte era passato in mezzo ad altra gente.

 

Ma lui le fece un cenno che era un se per te va bene… non verbale ed Imma sapeva che oggettivamente di tempo con Diana nell’ultimo anno non ne aveva praticamente avuto. E magari pure a Calogiuri faceva piacere parlare un po’ con Capozza.

 

“Va bene, ma torniamo presto che domani c’abbiamo la corriera e martedì si lavora.”

 

Diana, entusiasta, disse a Capozza di deviare verso il mare, con un tono manco fossero in un film di spionaggio e lui James Bond, e poi attaccò a parlare a macchinetta, come al suo solito.

 

“...E Cleo non torna quasi più, se ne sta sempre a Londra con il suo attore. Che poi fa sempre ruoli piccoli, nei musical, quelli che cantano e ballano dietro al cast principale. E lei ci vuole pure andare a vivere insieme, che come minimo toccherà pagare tutto a lei, e cioè a me. Ma ti rendi conto?”

 

“E va beh, Diana, comunque è da un po’ che stanno insieme, no? Se vogliono convivere che c’è di male? E poi non faceva pure altri lavori lui?”

 

“Mo fa il barista, in un caffè a tema sul teatro, sì.”

 

“Ed allora qualche soldo lo guadagnerà, no? Ed intanto dividono l’affitto e se non dovesse funzionare… meglio saperlo ora che dopo. Valentì con Samuel ci ha dovuto sbattere la testa ma è maturata tanto.”

 

“Eh, speriamo, con tutto quello che ha sofferto con la separazione e suo padre che mi fa la guerra. Povera figlia!”

 

Imma notò persino dal retrovisore che Capozza si era un poco irrigidito al solo nominare il quasi ex marito di Diana.

 

Uomini!

 

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“Dai, Imma, vieni con me!”

 

Si sentì trascinare per un braccio da Diana sulla sabbia: dopo la lauta cena aveva proposto loro due passi al mare, per smaltire.

 

Aveva gambe e piedi abbastanza distrutti dopo due giorni di scarpinate ma lo Ionico le mancava e poi… effettivamente dopo tutto quello che si erano spazzolati ci voleva.

 

Solo che mo Diana tirava peggio di un cucciolo al guinzaglio, allontanandola da Capozza - e fin lì non è che fosse una perdita! - ma pure da Calogiuri.

 

“Che fai?”

 

“Voglio parlare un poco che è da tanto che non lo facciamo, Imma, discorsi da donne.”

 

“Veramente io mi ricordo dei discorsi pure abbastanza recenti….” le fece notare, seguendola però, la sabbia fresca tra le dita.

 

“E non sono serviti, Imma? Calogiuri mi pare felicissimo e pure tu mica scherzi!”

 

“Va beh, Diana, che c’entra? E poi mo non c’ho problemi nuovi da sottoporti… che faccio, me li invento?”

 

“No, per carità che ce ne stanno già abbastanza! E poi un problema ce l’ho io, mo, da sottoporle, dottoressa!” ironizzò ma poi, giunta nei pressi di una scogliera, rallentò e si fermò per guardarla negli occhi, pure se erano illuminate solo dalla luce delle stelle e della luna.

 

“E che è successo, mo?” chiese, assai preoccupata, non solo per Diana ma perché, di solito, quando la sua ex cancelliera aveva dei problemi erano delle tragedie e gli sfoghi delle lamentele infinite.

 

“Capozza…”

 

“E ti accorgi solo mo che è un problema, Diana?”

 

“Molto spiritosa, dottoressa! E comunque il problema non è Capozza in sé, ma che… è un periodo che continua a venire in argomento figli, o meglio, bambini. Cioè, non è che me l’ha detto proprio esplicitamente che vorrebbe un figlio, ma ogni volta che vediamo famiglie con bambini si scioglie tutto e fa un sacco di commenti su come sono belli e ti riempiono la vita e poi… ha trovato un mio album con foto di Cleo da bimba e continuava a commentare su quanto fosse bella lei e pure io, che avevo una luce diversa - e in quelle foto parevo uno zombie, Imma, che lo sai che la mia Cleo con il sonno teneva un po’ di problemi!”

 

Che era come dire che Jack Lo Squartatore con le prostitute teneva un po’ di problemi: Cleo non aveva dormito decentemente fino tipo ai quattro anni, se lo ricordava bene, e pure dopo aveva fatto fatica per parecchio tempo.

 

“Ho capito, ho capito, Diana,” la interruppe, mentre continuava a raccontare episodi di Capozza che, in confronto, Pietro quando voleva convincerla a fare il secondo figlio era stato la persona più discreta e meno insistente del mondo, “qua il problema non è che ne pensa Capozza, ma che ne pensi tu.”

 

“E che ne penso, Imma? Non tengo più vent’anni e manco trenta, e ormai ho superato abbondantemente pure i quaranta. Tu sai che avere Cleo mi è costato lacrime e sangue, no? Tre anni ho dovuto provare prima di restare incinta ed ero molto giovane. Che speranze posso avere, mo?”

 

Imma sospirò, perché all’epoca lei e Diana si erano perse di vista: Diana si era sposata non molto dopo aver finito il classico, mentre aspettava di fare il concorso pubblico. Imma aveva fatto l’università nel frattempo, poi si era sposata pure lei e si era trasferita per lavoro. Certo, questo spiegava il perché Diana avesse avuto solo Cleo e fosse così ossessiva con lei.

 

“Diana, al di là se sia biologicamente possibile o meno, devi valutare se te la senti fisicamente. Il corpo è il tuo, non di Capozza.”

 

“Lo so, Imma, lo so… è che… da un lato mi piacerebbe ovviamente immaginare un figlio nostro, col suo spirito libero e-”

 

“E stiamo freschi!” sussurrò Imma, pregando che, in caso, il pargolo o pargola prendesse tutto o quasi da Diana.

 

“E dai, Imma! Dall’altro però… è un grande impegno e… non c’ho più il fisico e la resistenza di una volta. E poi… ovviamente ho paura di cosa potrebbe succedere. Sia di non riuscire a rimanere incinta, sia se… se dovessi farcela ma poi la gravidanza dovesse andare male, cosa assai probabile.”

 

“E allora parla a Capozza con sincerità e spiegagli che il tuo treno ormai è passato da quel punto di vista. E poi, volendo, ci sono altri modi per essere genitori, no? Pure se capisco la grave perdita di non trasmettere il patrimonio genetico di Capozza alla posterità.”

 

“Imma!” esclamò, dandole un colpo sul braccio, “e comunque… pure se Capozza fosse d’accordo con l’adozione, bisogna essere sposati o conviventi da anni per poter tentare. Ed io ora che otterrò sto maledetto divorzio… sarò ancora più vecchia e pure Capozza. Chi vuoi che ci diano in adozione alla nostra età?”

 

“Un bambino di qualche anno, Diana. Che magari non vuole adottare nessuno proprio per quello.”

 

“E lo sai poi quanti problemi avrà ad affezionarsi, no, Imma?”

 

“O magari ti sarebbe grato per averlo tolto da una situazione tremenda, pure se so che prendersi cura di qualcuno che ha subito un abbandono non è facile, per niente.”

 

“Non so se… se è quello che Capozza vorrebbe e poi-”

 

“E poi conta quello che vuoi tu, Diana, te l’ho già detto! Certe cose si devono sentire in due o è un disastro.”

 

“Lo so, Imma, è che… temo che si trovi una più giovane, che possa renderlo padre e-”

 

“E se lo fa è uno stronzo e non ti ama, Diana. Insomma… potrei forse capire Calogiuri, che non c’ha manco trent’anni ed oggettivamente si sta limitando per me e… in futuro potrebbe sentire più forte l’istinto di paternità. Ma Capozza gli anta li ha passati da un po’ e fino a pochi mesi fa giocava a fare il ragazzetto in discoteca. Se mo sente l’istinto paterno fuori tempo massimo non può farne una colpa a te, soprattutto visto che quando ha iniziato a frequentarti sapeva benissimo quanti anni tenevi, Diana.”

 

Diana sospirò e annuì, anche se poi pronunciò malinconica, “certo che sarebbe bello però… ormai Cleo è grande e mi manca fare la mamma, anche se non credo reggerei più quei ritmi.”

 

“A parte che potrebbe e dovrebbe darti una mano pure Capozza, ma poi… potresti vivere anche l’essere madre in modo un poco più rilassato che con Cleo, che volevi essere onnipresente. Però deve essere una scelta tua, Diana. Hai visto cos’è successo con Giuseppe, no? Un figlio non garantisce che una relazione prosegua, anzi, e non sarebbe giusto farlo solo per paura di restare sola.”

 

“Hai ragione, Imma… è che… tu hai sempre vissuto il legame con Valentina appunto in modo più… rilassato, come dici tu. Io sono diversa da te.”

 

“Ma fra me e te ci sta pure una via di mezzo, Diana,” le fece notare, anche se un poco si sentiva ferita quando qualcuno, pure senza cattiveria, sosteneva che lei fosse stata troppo poco presente nella vita di Valentina.

 

Anche se tutti i torti non li avevano, soprattutto dall’adolescenza in poi, ma Pietro era stato così bravo e presente, mentre lei non sembrava riuscire a capirla e farsi capire. E poi perché i padri potevano fare carriera, lavorare gli orari che dovevano lavorare ed essere considerati dei buoni padri lo stesso, mentre le madri no?

 

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“Chissà di cosa staranno parlando….”

 

“Cose di donne, Calogiuri. O magari proprio di noi due, che ne sai?”

 

Erano rimasti indietro per non disturbare ma un poco era curioso, lo doveva ammettere. Forse stare tanto tempo con Imma lo aveva reso più impiccione.

 

“Perché? La signora Diana avrebbe motivo di lamentarsi di te, Capozza?” chiese, semiserio, e Capozza non rispose ma fece un sospiro che lo preoccupò assai.

 

“Capozza, che hai combinato? Ti rendi conto che un’altra come la signora Diana non la trovi più e-”

 

“E che non lo so? E comunque… non ho combinato nulla adesso. Da quando sto con Diana ho sempre rigato dritto: niente discoteche, niente locali, niente donne, che non voglio rischiare di perderla, mo che l’ho trovata dopo tanti anni, ma-”

 

“Il ma mi preoccupa, Capozza. Che è successo? Se sei… un fidanzato modello come dici di essere?”

 

“Eh… succede che a volte il passato torna per fare i conti, Calogiuri. E… e forse è meglio che Diana sia andata a parlare con la dottoressa, così magari mi dai un consiglio. Però mi devi promettere che non lo dici ad anima viva, chiaro? Nemmeno alla dottoressa!” esclamò, voltandosi verso di lui, serio come forse non l’aveva mai visto - trattandosi di Capozza.

 

“Imma ed io ci siamo promessi di non nasconderci niente, Capozza, e comunque se lo faccio mi becca subito, hai presente com’è, no? Ma, se non hai fatto niente di grave nel presente, non lo andrebbe mai a dire alla signora Diana, non è tipo da immischiarsi nei rapporti degli altri, se non per le indagini.”

 

“Eh… ma… secondo me questo correrebbe a dirglielo invece. E se Diana non lo scopre da me sono ancora più spacciato.”

 

“Senti, Capozza, se non me lo volevi raccontare non mi avresti nemmeno accennato nulla, no? Dimmi di che si tratta, che non ho proprio voglia di mettermi a fare interrogatori fuori servizio,” gli intimò e Capozza lo guardò in un modo stranissimo, “che c’è?”

 

“C’è che… somigli sempre di più alla dottoressa, Calogiuri, pure nelle battute.”

 

“Chi si somiglia si piglia, Capozza. Allora?”

 

“E allora… si è rifatta viva qualche settimana fa Cristina. Te la ricordi?”

 

“Ma chi? Quella sposata con cui stavi di nascosto-”

 

“L’estate e l’autunno prima di stare con Diana, sì.”

 

“Son passati tre anni, Capozza, praticamente. Che è successo? Non ti aveva mollato lei per riprovarci col marito?”

 

“Sì… da un giorno all’altro o quasi. Solo che… che mo ho capito perché voleva riprovarci col marito, Calogiuri.”

 

“E cioè?”

 

“Perché… era incinta. Non mi ha detto niente ma… credo si fosse convinta che fosse del marito, in fondo noi abbiamo sempre usato il preservativo... e… e invece-”

 

“EH?!” esclamò e vide Diana ed Imma girarsi, pure a distanza. Urlò, per salvare il salvabile, “mi è finita una conchiglia tra le dita, sto bene!”

 

Loro scrollarono le spalle e continuarono a camminare.

 

“Calogiuri….”

 

“Che Calogiuri e Calogiuri!” sibilò, cercando di tenere la voce bassa, “cioè… tu e Cristina… avreste un figlio?”

 

“Una figlia. Assuntina, detta Tina, come la nonna paterna. O meglio, quella che si pensava fosse la nonna paterna. Sai, tradizioni del sud.”

 

“Scusa, ma… ma sei sicuro che…?”

 

“La bambina ha il gruppo sanguigno non compatibile con quello del… marito di Cristina.”


“E soltanto mo ci sono arrivati a capirlo?”

 

“Un paio di mesi fa… la bimba ha dovuto fare un intervento alle tonsille, perché respirava male la notte. Hanno chiesto ai genitori il gruppo sanguigno per capire se, in caso di necessità, potevano donarle sangue e… lui non se lo ricordava. Quando hanno fatto il test a tutti… il suo è risultato essere 0 positivo, che sarebbe stata pure una buona notizia per la trasfusione. Solo che la bimba è AB è positivo e a quanto pare è impossibile, visto che la mamma è A positivo. E quindi… quel poveraccio ha visto la faccia del medico ed ha fatto due più due. Hanno fatto il test del DNA e hanno avuto conferma. Il marito l’ha lasciata, ovviamente, ed è sparito, mollando però pure la figlia. Cristina quindi mi ha cercato, dice che non vuole obbligarmi a niente, ma… ma che vorrebbe che sua figlia avesse un padre e che pensava che era giusto che lo sapessi.”

 

In effetti Cristina l’aveva fatta grossa ma che il marito arrivasse ad ignorare una bimba che si era cresciuto come una figlia per due anni… Calogiuri quello non lo poteva capire, non del tutto. Pure se il tradimento doveva essere stato terribile ed aver fatto ancora più male, proprio perché la bugia riguardava pure la figlia.

 

“E tu saresti del gruppo B, scommetto?”

 

“Sì… B negativo, rarissimo. Lo so perché… ho donato il sangue per un periodo. E… e comunque ho detto a Cristina che volevo fare il test del DNA prima di… di stravolgere la mia vita ma… ma ho visto delle foto della bambina, Calogiuri, e somiglia tantissimo a mia sorella da piccola.”

 

Calogiuri si passò una mano sugli occhi, non sapendo che dire o fare.

 

“Ho i risultati del test tra… tra pochi giorni. Per intanto ho provato a preparare un poco Diana: quando vediamo dei bambini cerco di… tastare il terreno. E poi a lei manca tanto la figlia… e allora ho pensato-”

 

“E che hai pensato, Capozza? I figli mica sono sostituibili. Neanche se aveste una figlia vostra, figuriamoci se è di un’altra donna. Devi parlarle chiaramente, Capozza, prima che lo scopra da sola, che Matera è piccola e la gente mormora. Sai come l’ha soprannominata Imma, la signora Diana? I servizi segreti di Matera.”

 

Capozza si fermò, scompigliandosi i pochi capelli rimastigli, “sono spacciato, vero?”

 

“Se le parli con sincerità magari no, Capozza. Ma, finché non lo fai, non puoi sapere come la prenderà, nemmeno se tasti il terreno da qua a natale.”

 

“Natale… ti rendi conto che potrei avere una figlia a cui fare il regalo a natale? Chissà a due anni a cosa giocherà!”

 

“Ha più o meno l’età di mia nipote, Capozza. Se serve ti posso dare consigli. Ma se non vuoi finire a fare il padre single, cerca di darti una mossa appena saprai con certezza i risultati.”

 

“La fai facile tu, Calogiuri, sei giovane e… alla tua età è più facile essere coraggiosi.”

 

“Sarà… ma la signora Diana è stata coraggiosa a voler divorziare. Imma non ne parliamo, che è coraggiosissima. E sono molto più vicine all’età tua che alla mia Capozza.”

 

“Ma sono donne, Calogiuri. E le donne su certe cose sono sempre state più coraggiose di noi uomini.”

 

“Solo perché ci fa comodo usare questa scusa per non esserlo, Capozza, come tante altre che usiamo per scaricare la responsabilità su di loro, con l’alibi che è sempre stato così.”

 

“Ma che mi sei diventato una femminista, Calogiuri? A te stare troppo con la dottoressa t’ha fatto male!”

 

“Sono solo realista, Capozza, e non pieno di pregiudizi cretini su cosa può e non può o deve o non deve fare un uomo. E poi… è meglio il rischio di perdere la signora Diana o la certezza, se non le dici niente subito?”

 

Capozza annuì, anche se dall’espressione e da come abbassava le spalle pareva un uomo distrutto. Certo, non era in una situazione facile. Per niente.

 

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“Stanca?”

 

Imma si era appena seduta sul letto, ancora in accappatoio, i capelli raccolti in un turbante.

 

“Più che altro c’ho i piedi distrutti, Calogiù. Mi servirebbe un bel massaggio…” proclamò, girandosi verso di lui, che già era in maglietta e pantaloncini, e lanciandogli un’occhiata eloquente, “ma solo ai piedi, perché dopo le ultime due notti e la sfacchinata di oggi… temo di aver bisogno di dormire.”

 

“Va bene, dottoressa. Sia per il massaggio che per… la localizzazione del massaggio. Però poi potresti ricambiare, che pure io ho i piedi che non li sento più o quasi.”

 

“Se non mi addormento col massaggio più che volentieri, Calogiuri. Anzi, vuoi che lo faccio io per prima a te?”

 

“Prima le signore…” rispose, guardandosi intorno, “ma ce l’hai l’olio?”

 

“E che non mi conosci? Nel mio nécessaire,” spiegò, indicandogli l’oggetto oblungo di plastica leopardata che stava su una mensola.

 

Lo aprì, trovò la boccetta e raggiunse di nuovo Imma, che nel frattempo si era distesa sul letto, con l’espressione soddisfatta di quando otteneva qualcosa che le piaceva molto.

 

Si sedette ai suoi piedi, aprì l’olio, lo versò, cercando di non sporcare, ed iniziò col massaggio. Ormai con Imma ed i suoi dolori da tacchi alti era diventato un esperto a farli.

 

“Mmmm… mmm…”

 

I mugolii di Imma lo raggiunsero, dopo qualche attimo di silenzio, trascorso con gli occhi chiusi, facendogli il solito effetto, per fortuna e purtroppo.

 

“Imma… se fai così non mi aiuti, lo sai.”

 

“Mica è colpa mia se sei così bravo a farli i massaggi,” rispose, aprendo pigramente un occhio, “e comunque allora distraimi con qualcosa… parliamo un po’.”

 

“E di che cosa?”

 

“Tipo… di cosa confabulavate tu e Capozza stasera?” gli domandò, con un sorrisetto, e gli prese un colpo, “Calogiù, ti si sono contratte le mani. Di che parlavate, esattamente, per avere una reazione così? E non mentire che ti becco, che le mani sono tipo la macchina della verità.”

 

“Sei… sei impossibile, lo sai?” le chiese, scuotendo il capo: lo aveva incastrato per bene, “e comunque allora io ti dovrei chiedere di cosa stavi parlando con la signora Diana.”

 

“Ed io non avrei problemi a dirtelo, Calogiuri, così magari lanci qualche segnale a quell’idiota del tuo amichetto, che è delicato come un caterpillar, proprio.”

 

“E cioè?” domandò, non potendo evitare di prendersi un altro colpo, ma se la signora Diana l’avesse saputo, l’avrebbe già ucciso a Capozza, no?

 

“Cioè che… sta facendo di tutto per far capire alla povera Diana che vorrebbe figliare e diffondere i suoi orrendi geni. Ma mi sa che si è perso le lezioni di anatomia e riproduzione a scuola, Calogiù, perché ovviamente Diana c’ha un’età in cui non è che sia facile per lei rimanere incinta. Ha tante paure e si sente molto pressata. Magari potresti fargli qualche bel discorso al tuo amichetto? Se no, se prosegue così, lo chiamo io personalmente per fargli un cazziatone che non se lo scorda finché campa.”

 

Calogiuri rimase ammutolito: gli doleva dare ragione ad Imma ma Capozza era davvero un idiota. Altro che tastare il terreno, aveva fatto solo che peggio!

 

“E allora, che grandi segreti c'aveva Mister Delicatezza da raccontare?”

 

“E che ne sai che i segreti erano di Capozza e non i miei?”

 

“Perché hai urlato un EH!? che t’hanno sentito fino in Sicilia, Calogiuri, come minimo. E poi… e poi spero vivamente che tu non sia così disperato da farti consigliare da Capozza.”

 

Rise, perché non poteva evitarlo: quanto la adorava quando faceva così!

 

“Imma… ascolta… effettivamente è una cosa di Capozza che… che mi avrebbe chiesto di tenere il segreto. Io gli ho detto che non potevo prometterglielo, che noi due ci raccontiamo tutto ma-”

 

“E bravo, Calogiuri! Ottima risposta!” lo interruppe, rimettendosi a sedere ed allungandosi per posargli un bacio sulle labbra e dargli un pizzicotto ad una guancia.

 

“Però… se ti dico questa cosa, mi prometti che non la dirai alla signora Diana? Anche se penso che pure tu concorderai che non sia il caso.”

 

“O dio mio! Che ha combinato mo, Capozza? Non dirmi che c’è un’altra abbastanza pazza da voler stare con lui?”

 

“No, no… è… è più complicato….”

 

“Oh Gesù! Complicato quanto?”

 

“Talmente tanto che faccio prima a raccontartelo, dottoressa.”

 

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“E quindi attende i risultati dei test e… e poi se… se sarà come pensa, lo dirà alla signora Diana.”

 

Si lasciò cadere indietro sul cuscino dalla botta. Altro che massaggio rilassante! Non osava immaginare come si sarebbe sentita Diana!

 

“Non… non dirai niente alla signora Diana, vero?”

 

“A parte che puoi pure chiamarla Diana, che non lavorate più insieme e non è un tuo superiore. Ma certo che non le dirò niente, Calogiuri, ma che sei matto?! Deve essere Capozza a dirglielo e magari pure a cambiare marca di preservativi!”

 

Calogiuri rimase per un attimo immobile, poi scosse il capo, chiaramente incredulo della sua reazione.

 

“Però se il tuo amico non ne parla a Diana entro… diciamo entro un mese, vado io da lei e glielo dico, chiaro? Che non può non sapere una cosa del genere.”

 

“Imma, se Capozza non si decide, quasi quasi ti accompagno,” rispose, ed era ironico ma fino ad un certo punto, “però… però magari alla fine non è sua figlia, no?”

 

“Ma se ha detto che il gruppo sanguigno c’è e pure la somiglianza con la sorella. Che, per il bene di quella povera creatura, spero somigli il meno possibile a Capozza.”

 

“Sei tremenda!” rise Calogiuri, sembrando però sollevato.


“E dai, Calogiuri, lo sai che sdrammatizzo in certe situazioni! Almeno Diana non dovrà preoccuparsi di una nuova gravidanza ma… sarà una botta tremenda per lei.”

 

“Se… se ci fossimo noi due al loro posto, tu che faresti?” le chiese ed Imma si rizzò immediatamente seduta, puntandogli un dito al petto.

 

"Non è che c’hai da dirmi qualcosa, Calogiuri?”

 

“Non dirlo nemmeno per scherzo! Io con poche donne sono stato nella mia vita e ho la certezza assoluta di non avere lasciato figli in giro, per fortuna.”

 

“Visto chi sono le altre donne di cui sono a conoscenza, Calogiuri, direi proprio. Fortuna tua e di quelle povere eventuali creature!” rispose, pensando a Maria Luisa, a Lolita e pure a quella grandissima stronza di Matarazzo.

 

Non che le altre non fossero definibili con gli stessi aggettivi. Lei tutto sommato, in confronto, era tranquilla e gentile.

 

“Ribadisco: sei tremenda!” rise, e poi proseguì, “secondo te c’è speranza che la signo- insomma, che Diana lo perdoni?”

 

“Calogiuri, non lo so… alla fine è successo prima che stessero insieme, no? E Diana… pure lei nel frattempo stava ancora con Giuseppe. Quindi… se fossi in lei credo che lo capirei a Capozza, se vorrà fare la cosa giusta, anche perché molto probabilmente è la sua ultima possibilità di avere una figlia. E poi Diana è contrarissima ai padri e madri che se ne fregano dei figli. Però… credo che io al suo posto temerei molto il rapporto che si potrebbe instaurare tra questa Cristina e Capozza. Un figlio unisce per sempre, Calogiuri, come tu ben sai, visti tutti i casini di Pietro ai quali ti sei trovato in mezzo.”

 

“Lo so… ma… alla fine per essere bravi genitori non bisogna stare insieme necessariamente, no? Anzi, è solo peggio se non ci si ama più.”

 

“Lo so, Calogiuri. Ed infatti Valentina, sarà pure la fine dell’adolescenza, ma… abbiamo un rapporto migliore mo di quanto l'abbiamo avuto mai. Forse… forse perché sono felice come non lo sono mai stata e quindi… riesco ad essere una madre migliore. O meno peggio, secondo i punti di vista.”

 

“Sei una madre bravissima, altroché!” esclamò, e si trovò stretta in un abbraccio.


“Pure tu… saresti un papà bravissimo, Calogiuri. Come ieri con quei disgraziati di Serra Venerdì. Anche se-”

 

“Imma, te l’ho già detto,” la interruppe, forse perché aveva udito il suo nodo in gola, “se avrò un figlio o figlia con te va benissimo, se no… ci sono tanti disgraziati al mondo da aiutare. E poi non ho fretta. Sto benissimo con te e basta.”

 

“Pure io, Calogiù, pure io. Ma… se ti prendesse l’istinto paterno… promettimi che me lo dirai chiaramente e non con… metodi alla Capozza, almeno!”

 

“Su quello non c’è pericolo, dottoressa!” rise ancora, dandole un bacio sulla guancia e lasciandola andare, “e mo finiamo questo massaggio o no? Che poi tocca a me!”

 

Si riaccasciò sul cuscino, più che felice di lasciargli il campo libero. Solo che il sonno era passato del tutto. E quindi si ripromise che, se il massaggiatore si fosse comportato bene, non si sarebbe limitata soltanto ai piedi.

 

In fondo in quella casa avevano sempre fatto tutto tranne che dormire.

 

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“Calogiù, dobbiamo sbrigarci, che è tardi!”

 

Afferrò il trolley della gattamorta, lo aprì ed iniziò a buttarci dentro tutto quello che aveva lasciato in giro nei giorni precedenti.

 

“Non è colpa mia se qualcuna mi ha fatto fare le ore piccole e poi siamo rimasti addormentati!” le fece notare, con uno sguardo che le faceva venire voglia di ricominciare tutto da capo.

 

“Proprio la pistola ti ho puntato, Calogiù!” replicò, dandogli un buffetto su una mano, prima di ordinare, “dai, che dobbiamo lasciare l’appartamento prima di mezzogiorno.”

 

“Agli ordini!” sbuffò, ma poi lo vide afferrare il suo borsone ed iniziare a levare gli abiti usati da entrambi per il golf, che erano ancora rimasti lì dentro, “il completo da equitazione lo prendi tu? Che se no-”

 

Si interruppe improvvisamente, estraendone un foglietto di carta, ripiegato in due. Imma rimase un attimo sorpresa, perché non si ricordava di essersi portata dietro nulla per scrivere e l’agendina Calogiuri se la teneva sempre in tasca o al massimo, fuori servizio, sul comodino, come in quel momento.

 

Il modo torvo in cui gli si aggrottarono le sopracciglia non lasciava presagire niente di buono ed Imma temette qualche minaccia. Ma come avevano fatto a farla finire nel borsone senza che né lei né Calogiuri se ne accorgessero?

 

“Che succede?” gli chiese e Calogiuri, per tutta risposta, buttò il bigliettino sul letto, tra il borsone ed il trolley, manco fosse immondizia.

 

Una potenziale prova non l’avrebbe mai maltrattata in quel modo. Allungò le dita per afferrare la carta, ormai incuriosita, e quello che ci trovò la lascio completamente incredula.

 

Mi piaci da impazzire e vorrei conoscerti meglio. Jonathan

 

E c’era un numero di cellulare, scritto preciso preciso in fondo al foglietto al centro. Sentì caldo alle guance: a certe cose non era abituata a vent’anni, figuriamoci a quaranta!

 

Allora forse non se l’era immaginata quell’eccessiva vicinanza in alcuni momenti, mentre la aiutava a tirare.

 

“Dovevo immaginarmelo, visto che ha passato più tempo a guardarti il culo che il green.”

 

“Calogiuri!” esclamò, scioccata, ancora di più per il termine usato che per la notizia in sé: di quello non si era proprio minimamente accorta.

 

“Scusami, ma quando ci vuole ci vuole, e quello è proprio un maiale!”

 

“Ma… ma allora… è per quello che hai fatto quel commento, tipo ce ne siamo accorti, quando mi ha chiesto se fossi col completo da equitazione?”

 

“E certo! Per carità, posso pure capirlo, che… che con i pantaloni attillati e senza giacca si nota di più… e oggettivamente hai un… lato B perfetto, ma c’è modo e modo.”

 

“Un lato B perfetto, eh?” gli chiese, avvicinandosi e cingendogli la vita, prima di dargli un pizzicotto proprio lì, “pure tu non stai messo male, anzi!”

 

“Imma! Non dobbiamo fare la valigia?”

 

“C’hai ragione. Ma a casa recuperiamo!”

 

“Va bene, ma… ma veramente non ti sei accorta che quello ci stava provando?”

 

“Mi era sembrato un po’ troppo vicino in alcuni momenti, ma poi vedendolo con gli altri ho pensato di essere paranoica. Alla fine gli istruttori fanno spesso i gentili con le clienti per le mance.”

 

“Sì, quello altro che le mance voleva!”

 

“E invece manco quelle si becca, lo lascio volentieri alla Moliterni,” proclamò, prendendo il bigliettino e buttandolo nel cestino vicino al letto, “e poi ho sempre preferito i mori. Soprattutto uno.”

 

Gli piantò un bacio sulle labbra dischiuse in un sorriso e riprese a ritirare le ultime cose rimaste. Pantaloni da equitazione incriminati inclusi.

 

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“Un caffè doppio ed offro io alla dottoressa.”

 

“Calogiuri! Sei tornato! Altro che caffè doppio ti serve: c’hai l’aria stravolta!”

 

Irene lo guardava con un mezzo sorrisetto ed un sopracciglio arcuato, prima di bersi un altro sorso della sua amata brodaglia verde.

 

“Eh… sono state giornate fisicamente molto intense-” esordì, prima che Irene scoppiasse in un attacco di tosse, facendolo avvedere del doppio senso. Le diede un paio di pacche sulle spalle, mentre chiariva con un, “intendo che abbiamo camminato tanto e poi il viaggio in bus è sempre infinito.”

 

“Calogiuri, te possino, come dicono qui a Roma!” proclamò, tra gli ultimi colpi di tosse, “un giorno mi farai prendere un colpo! E comunque immagino ci sia stato pure un altro genere di intensità fisica, vedendo come sei contento, ma non voglio dettagli, grazie!”

 

“E va beh…” si schernì, toccandosi il collo, prima di prendere la tazzina del caffè, ignorando l’occhiata divertita della barista, e berlo tutto d’un sorso.

E poi si sentì afferrare per il gomito ed Irene, che ormai aveva finito pure lei, lo trascinò fuori dal bar, “e allora, sei pronto pure per la nostra di trasferta, Calogiuri? Quella vera?”

 

“Sì, sì. Però ti volevo ringraziare, insomma, per avere aiutato Imma a-”

 

“L’ho fatto per te, Calogiuri, perché non ne potevo più di vederti sempre triste. Ma spero che Imma ti tratti meglio da ora in poi, gliel’ho già detto pure a lei.”

 

“Forse… forse stavolta avevo esagerato pure io. Mi sono fatto prendere dai dubbi e dalle paure… ma non ne avevo motivo, veramente. Imma me lo ha dimostrato in tutti i modi.”

 

“Di nuovo non voglio sapere quali, Calogiuri,” sospirò, prima di aggiungere, in tono basso, “non abbiamo neanche due settimane per preparare questa trasferta, Calogiuri, e ovviamente, stavolta che facciamo sul serio, dobbiamo arrivarci preparati. Se vieni nel mio ufficio ti spiego cosa ho raccolto, che ho bisogno che mi aiuti nelle ricerche preliminari su quell’avvocato e poi… su un paio di altre cose. In queste due settimane preparati che faremo tardi quasi tutte le sere. Non possiamo permetterci errori a Milano.”

 

“Va bene…” rispose, sentendosi già stremato e ringraziando il cielo di avere un fine settimana libero prima di quello a Milano.

 

Se Irene non glielo riempiva, naturalmente.

 

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“Buongiorno, dottoressa, la trovo bene!”

 

“Grazie, Conti. Ha novità per me?”

 

Conti fece una faccia dispiaciuta, tanto che Imma si preoccupò, “che succede, Conti?”

 

“Niente, dottoressa. Nel senso che i pedinamenti alla receptionist dello studio legale dove lavorava Galiano sono risultati in un nulla di fatto. Non volevo disturbarla in vacanza per dirglielo ma… la receptionist non ha visto o sentito nessuno di sospetto.”

 

Imma sospirò: e certo, mica poteva essere tutto così semplice. Il caso Spaziani era un casino enorme fin da quando era cominciato. Forse non restava che una soluzione, arrivati a quel punto.

 

“Conti, sa dove la signorina va a pranzo abitualmente?”

 

“Sì, dottoressa, in un bar vicino allo studio legale. Perché?”

 

“Perché ci dobbiamo andare pure noi a pranzo. Dobbiamo parlarle ma senza attirare troppo l’attenzione e non voglio rischiare di convocarla in procura, che magari ha il tempo di mettersi d’accordo con chiunque sia l’autore delle strane chiamate.”

 

“Va bene, dottoressa, ricevuto.”

 

“Novità sui viaggi in Svizzera di Spaziani Jr.?”

 

“No, dottoressa. Nessun aereo per la Svizzera ma… va spesso per lavoro a Milano. Da lì non ci vuole molto a prendere un’auto e ad arrivarci. E i controlli sono quello che sono.”

 

“Ma non abbiamo prove. Va bene, Conti. A questo punto dobbiamo solo sperare che la receptionist parli. Non ci restano molte altre soluzioni.”

 

“D’accordo, dottoressa. Mi avvisa lei quando vuole partire?”

 

“Sì, a dopo,” si congedò, vedendolo uscire e rimpiangendo parecchio i bei tempi del lavoro con Calogiuri.

 

Anche se pure Conti, superata la fase iniziale in cui le aveva dato sui nervi con il suo volersi mettere in mostra, si stava rivelando un investigatore capace. Mariani era pure meglio, ma se ne stava probabilmente su qualche spiaggia tropicale al momento, beata lei!

 

Ma ora doveva concentrarsi sul lavoro: non voleva lasciare irrisolto proprio quel caso. Doveva levarsi il dubbio dell’innocenza di Galiano una volta per tutte e non voleva rischiare brutte sorprese in futuro.

 

Sperava solo che la receptionist non fosse del tutto in combutta con Spaziani, se no… provare la sua colpevolezza sarebbe stato impossibile e le indagini si sarebbero probabilmente arenate ancor prima di arrivare al rinvio a giudizio.

 

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“Benvenuti, signori! Se volete un tavolino c’è qualche minuto di attesa e-”

 

“Guardi, la ringrazio, ma c’è un’amica che ci attende,” rispose, dirigendosi, decisa, verso il tavolo dove stava la giovane centralinista.

 

“Laura!” la salutò, quando fu a due passi, e la ragazza alzò lo sguardo verso di lei e la fissò, confusa, con l’aria di quando qualcuno ti saluta e non hai idea chi sia.

 

E poi spalancò gli occhi, avendo probabilmente capito.

 

“Dobbiamo farti qualche domanda sull’indagine che tu sai. Rimani seduta che stai già ad un buon tavolo,” le sussurrò, sedendosi accanto a lei. Conti, dopo essersi accertato che la ragazza non se la desse a gambe levate, prese l’ultima sedia disponibile.

 

“Non mi avevi detto che avevi amici oggi, Laura. La tua solita insalata arriverà tra poco. Che cosa vi porto?”

 

“Come Laura, grazie,” rispose Imma, tagliando corto, perché non erano certo lì per mangiare.

 

“Non aspettavi nessun altro, spero,” disse alla ragazza, una volta che il cameriere si fu allontanato.

 

“No, no, ma… ma di solito non dovreste convocare in procura? Mi pare sia quella la procedura.”

 

La ragazza, evidentemente, a furia di stare in mezzo agli avvocati qualcosa lo aveva imparato.

 

“Infatti. E se vuoi ti ci portiamo subito in procura ma… pensavo che magari avresti preferito parlarne qui… visto che, con quello che hai combinato, sarebbe imbarazzante dover spiegare allo studio legale il motivo della tua assenza.”

 

“Che vuol dire?”

 

“E vuol dire che è anche per merito tuo, per così dire, se Andrea Galiano è finito nei casini. E hai rischiato di compromettere la sicurezza dell’intero studio legale.”

 

“Che vuol dire?” ripeté la ragazza, sbiancando e mordendosi il labbro.

 

“Che il venerdì prima che ci arrivasse la soffiata anonima e che trovassimo l’insulina nell’ufficio di Galiano, qualcuno si era dimenticato di inserire l’allarme andando via. E qualcun altro ne ha approfittato per entrare indisturbato, con tanto di chiavi, proprio quella sera. L’ultima ad andarsene senza attivare l’allarme sei stata tu. Ed abbiamo modo di sospettare che le chiavi al misterioso personaggio le abbia sempre fornite tu, Laura. La coincidenza è troppo sospetta ed io non credo alle coincidenze.”

 

La receptionist ormai era un cencio, tanto che, quando arrivò il cameriere, con un’insalata variopinta quanto striminzita, che Imma si pentì amaramente di aver preso uguale, le chiese, “Laura, ma che c’è, non ti senti bene? Vuoi che ti porto un po’ di zucchero, altro che l’insalata, che mangi sempre troppo poco?”

 

“No, no, sto bene, Lucio. Solo un calo di zuccheri, forse, ma con l’insalata vedrai che mi riprendo.”

 

“Ti porto pure ‘na foccaccella però, al posto del pane. E non provare a dire di no. Pure per voi?”

 

“Sì, grazie,” rispose Imma, perché quell’insalata probabilmente non avrebbe saziato nemmeno la nipotina di Calogiuri, figuriamoci lei.

 

“Non è come pensa lei, dottoressa,” mormorò la giovane, sembrando sull’orlo del pianto, “io… io quel giorno non l’ho potuto inserire l’allarme, ma per un errore stupido.”

 

“In che senso?” le chiese, mentre arrivarono le focaccelle e pure le loro tristissime insalate.

 

“Che… che mi ero scordata le chiavi con attaccato l’aggeggio per accenderlo. E l’allarme manualmente non lo so attivare. Lo so che dovrei saperlo fare ma… non ho mai imparato bene, tanto non mi è mai servito. E allora sono uscita per andare a recuperare le chiavi dove le avevo lasciate.”


“E dove le avevi lasciate?”

 

“A… a casa di un tipo da cui ero stata la sera prima e… insomma… ci avevo passato la notte e poi… probabilmente le chiavi mi saranno cadute dalla borsa, non lo so, sa… con la passione.”

 

“E chi sarebbe questo tipo?”

 

“Un certo Fabrizio, l’avevo conosciuto in un locale qualche settimana prima, un bel tipo. Siamo usciti qualche volta ma… ma dopo quella sera, che sono tornata da lui e mi ha ridato le chiavi, è praticamente sparito. Aveva già ottenuto quello che voleva, immagino.”

 

Eh sì che aveva ottenuto quello che voleva. Ma, se aveva ragione, per una volta nella storia del genere maschile, non era portarsi a letto Laura - che era pure una bella figliola! - o almeno, non solo.

 

“Per caso questo...Fabrizio ti aveva chiamata la sera prima?”

 

“Beh, certo, per chiedermi di uscire.”

 

“E per riprenderti le chiavi non lo hai chiamato?”

 

“Ma no, ci siamo mandati qualche messaggio su una app ma… ma poi penso che abbia cancellato il profilo o mi abbia bloccata perché non sono riuscita più a scrivergli.”

 

“Aveva un numero svizzero, giusto?”

 

“Sì, dottoressa, ma come lo sa? Mi ha detto che lavorava molto con la Svizzera, che ci viveva buona parte dell’anno. Infatti quando è sparito pensavo fosse tornato in Svizzera e invece….”

 

“Ma questo Fabrizio com’era? Me lo puoi descrivere?”

 

“Alto, moro, molto elegante.”

 

“Hai una sua foto per caso?”

 

“No, no. Non ci siamo mai fatti selfie e… e la sua foto profilo era di un cane, che diceva essere il suo. Avrei dovuto capire che erano tutte scuse. Come minimo sarà stato sposato!”

 

“E l’indirizzo a cui lo sei andata a trovare?”

 

“Ho scoperto poi che era… un appartamento di quelli in affitto temporaneo. Sa, tramite internet. Quando l’ho capito ho lasciato perdere. Mi aveva detto che era casa sua a Roma. Effettivamente era un po’... vuota, senza foto o altro, ma pensavo che fosse perché la sua casa principale era in Svizzera.”

 

Imma sospirò e fece cenno a Conti che estrasse il tablet e fece scorrere per un po’ sullo schermo, prima di porgerlo alla ragazza dicendole, “ho un po’ di foto da farle vedere. Mi dica se riconosce qualcuno.”

 

La receptionist fece come le era stato chiesto e, mentre Imma tratteneva il fiato, si bloccò proprio di fronte ad una foto di Amedeo Spaziani.

 

“Ma è… questo è Fabrizio!”

 

“Ne sei sicura?”

 

“Al cento per cento! Mica vado a letto con tanta gente, io, che crede?”

 

“Non volevo dire questo,” sospirò Imma, prima di aggiungere, scuotendo il capo, in fondo un poco intenerita, “anche se te li scegli proprio male, Laura. Lo sai che cosa rischieresti sia sul lavoro che… non solo?”

 

“Dottoressa, io… lo so, ho sbagliato, ma non volevo ammettere di aver lasciato lo studio senza allarme.”

 

“E perché non sei tornata ad inserirlo una volta riavute le chiavi?”

 

“Perché… Fabrizio non mi ha ridato solo le chiavi… se ci siamo capiti. E mi sono addormentata a casa sua. E poi il giorno dopo tornare in studio avrebbe solo destato più sospetti. Ho sperato che lo accendessero in automatico quelli della società d’allarme.”

 

“Ed in effetti così è stato. E… quella notte quindi Fabrizio sarebbe rimasto con te tutto il tempo?”

 

“Non lo so, dottoressa. Mi sono addormentata molto profondamente, subito dopo che… che abbiamo finito, insomma. Dovevo essere stanchissima. E mi sono svegliata solo la mattina, ancora un po’ intontita.”

 

Si guardò con Conti. Altro che stanchezza, come minimo c’era di mezzo un sonnifero.


“Avevi bevuto qualcosa prima di dormire?”

 

“Sì, Fabrizio mi aveva portato un bicchiere di prosecco e poi… e poi dopo poco mi sono addormentata.”

 

Alcol e sonnifero, un mix infallibile per stendere qualcuno.

 

“E quindi Fabrizio era rimasto tutto il giorno con le chiavi, giusto?”

 

“Beh, sì, ma… le ho riprese subito, dottoressa. Lei non penserà mica che-?”

 

“Penso, penso, cara la mia Laura. Mo tu finisci la tua insalata con focaccia e poi vieni dritta con me in procura che mi devi firmare la deposizione che hai appena dato.”

 

“Ma e col lavoro?”

 

“Non c’hai appena avuto un calo di pressione?” le chiese, perché anche se sulla sicurezza la ragazza lasciava molto a desiderare, non voleva certo che perdesse veramente il posto.

 

“Va… va bene…” mormorò, prendendo il suo cellulare e digitando un messaggio che Imma, per sicurezza, lesse, con tanto di destinatario. Non che avvisasse il caro Fabrizio.

 

E poi si costrinse a mangiarsi quelle foglie di erbetta, temendo che sarebbe stato l’unico pasto da lì a chissà quante ore.

 

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“Un caffè doppio.”

 

“Due ed offro io alla dottoressa.”

 

“Calogiuri!” esclamò, facendo quasi un salto perché, stranamente, non lo aveva sentito arrivare. Di solito percepiva la sua presenza, la sensazione piacevole che si creava nell’aria.

 

“Caffè doppio alle quattro del pomeriggio. Giornata difficile?” le chiese ed Imma prese la sua tazzina e si diresse verso uno dei tavolini - a quell’ora ce n’erano tanti liberi - si accomodò e aspettò che lui la raggiungesse.

 

“Difficile ma produttiva. Sto aspettando che arrivi Amedeo Spaziani: se tutto va come spero oggi chiudiamo il caso, Calogiuri. E per fortuna Galiano sembra essere definitivamente scagionato. Un pensiero in meno.”

 

“Ma perché hai quell’espressione, allora? Non sembri soddisfatta come al tuo solito.”

 

“Non lo so, Calogiuri… forse sarà che… pensare che un figlio uccida il padre solo per soldi o per vendetta e poi cerchi di rovinare la vita ad uno che nemmeno conosce, con questo accanimento. Siamo proprio fatti male noi umani, Calogiuri.”

 

“Tu sei fatta benissimo,” le sussurrò, pianissimo, avvicinandosi leggermente a lei, in modo che non lo udisse nessuno. Imma si sentì come se le avessero piazzato un phon davanti al viso, oltre alla leggera fitta al cuore.

 

“E tu sei tutto matto, per mia fortuna,” rispose, trattenendosi a stento dall’allungare una mano per accarezzargli una guancia, che non era proprio il luogo adatto. Poi però le venne in mente una cosa importante, “Calogiuri… mi sa che stasera farò tardissimo. Lo so che… tecnicamente il nostro anniversario è oggi, ma….”

 

“Ma lo abbiamo già festeggiato ampiamente, no? Non ti preoccupare. E poi pure io dovrò lavorare fino a tardi e non solo stasera. Irene mi ha dato un sacco di ricerche da fare in preparazione di Milano.”

 

Imma sospirò: sapeva che alla fine era lavoro e la cara collega non aveva torto nel voler arrivare preparata alla trasferta. Ma chissà perché aveva l’idea che, non si fosse trattato di Calogiuri, tutto questo zelo lo avrebbe avuto in forma decisamente più ridotta.


“Non ti preoccupare nemmeno tu, Calogiuri,” rispose però con un sorriso: alla fine la dedizione al lavoro di Calogiuri era una delle cose che l’avevano fatta innamorare di lui.

 

E poi il maxiprocesso era e restava una loro creatura ed era solo che felice che lo seguisse lui e così bene.

 

Pure se c’era di mezzo la gattamorta.

 

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“Vorrei capire i motivi di questa convocazione d’urgenza. I suoi agenti mi hanno praticamente trascinato via da un meeting d’affari molto importante.”

 

“Hanno solamente fatto il loro lavoro, signor Spaziani, e temo che il suo meeting dovrà essere spostato a data da destinarsi:”

 

“Che vuol dire?”

 

Almeno una cosa in comune Spaziani e la receptionist ce l’avevano.

 

“Voglio dire che abbiamo una testimonianza, signor Spaziani, confermata da numerose prove raccolte, che ci dice che è stato lei a piazzare la boccetta di insulina nell’ufficio dell’avvocato Galiano. Insulina che, presumibilmente, si è procurato tramite qualche medico compiacente, sul quale stiamo indagando e-”

 

“Ma che sta dicendo? Io non ho fatto niente!”

 

“Ah no? Quindi lei non ricorda di aver abbordato in un locale Dionigi Laura, receptionist presso lo studio di avvocati per cui lavora il Galiano? Che la Dionigi è stata con lei la sera prima che qualcuno entrasse con le chiavi nello studio, approfittando del fatto che la Dionigi, avendo perso le chiavi mentre stava con lei - anzi, con Fabrizio, come si è fatto conoscere - non era riuscita ad inserire l’allarme? Che la sera dei fatti, quando la Dionigi è andata da lei per riprendersi le chiavi, dopo aver bevuto un bicchiere di prosecco da lei offerto, la ragazza è caduta in un sonno profondo fino alla mattina successiva, risvegliandosi intontita? E lei in quelle ore è entrato nello studio, ha piazzato l’insulina, è tornato nell’appartamento che spacciava come suo, ma che in realtà aveva preso solo per quelle due notti, e poi è sparito. Probabilmente avrebbe voluto fare una copia delle chiavi e basta e poi sparire. Ma si deve essere reso conto che quel tipo di chiavi non sono facilmente duplicabili se non dal produttore e che bisogna identificarsi ed avere l’autorizzazione per farlo. La pianificazione accurata degli eventi, dall’adescamento della receptionist, al numero di cellulare da lei usato, comprato in Svizzera anonimamente, alla sparizione delle chiavi dalla borsetta della Dionigi, è un’ulteriore aggravante dei reati da lei commessi. E perché avrebbe dovuto darsi tutto questo disturbo per incolpare il Galiano, se non per distogliere i sospetti da se stesso? Abbiamo già appurato che l’insulina è in grado di procurarsela, signor Spaziani, in un modo o nell’altro. Se decide di collaborare ed ammette le sue colpe ne terremo conto in fase processuale, altrimenti... tra l’omicidio premeditato con l’aggravante dei vincoli di parentela, il furto, aggravato dall’aver stordito la vittima somministrandole sonniferi senza il suo consenso, l’effrazione presso lo studio legale... se vuole proseguo ma capirà da lei che il prossimo meeting che farà rischia di essere nell’oltretomba o nella prossima vita, se crede alla reincarnazione."

 

Amedeo Spaziani era diventato terreo, che altro che il pallore della Dionigi ed il suo calo di zuccheri. Sembrava invecchiato di dieci anni in pochi minuti.

 

Sapeva di esserci andata giù con l’artiglieria pesante, senza dargli modo di controbattere. Del resto manco sapeva di essere indagato e lei gli aveva spiattellato praticamente tutto quello che aveva combinato negli ultimi mesi. Sperava solo di riuscire a farlo confessare prima che si riprendesse dalla botta, perché di prove non testimoniali ed oggettive non ne avevano molte. Ed i processi indiziari, specie contro qualcuno di buona famiglia, per quanto in difficoltà economiche, non erano per niente facili da portare in giudizio, figuriamoci ad una sentenza di colpavolezza.

 

“No- non è come pensa,” esordì e, non fosse stata la frase più comune tra criminali, traditori e fedifraghi della peggior specie, ci sarebbe stato qualcosa di ironico nella reazione di nuovo praticamente identica dello pseudo Fabrizio e di Laura.

 

“Ah no? E allora come sarebbe?”

 

“Ho… ho messo io l’insulina nell’ufficio di Galiano, è vero, ma non ho ucciso mio padre, non avrei mai potuto. A mio padre volevo bene e la sua morte mi ha distrutto. E proprio per questo, non volevo che Galiano e la… la moglie di mio padre la facessero franca. Lei gli ha fornito l’insulina e lui ha eseguito, dottoressa, è chiarissimo.”

 

“Sa che cos’è la proiezione signor Spaziani? In psicologia si chiama così la tendenza di vedere negli altri, trasferendoli su di loro, sentimenti, stati d’animo, problematiche che non vogliamo ammettere di avere. Ma questa è una proiezione di un altro livello, signor Spaziani. Qua l’unico che ha avuto per le mani l’insulina è lei, oltre ad aver architettato un piano degno di un libro giallo. Ed io dovrei credere che ha fatto tutto questo solo per un desiderio di giustizia? Anzi, diciamo pure di vendetta?”

 

“Perché mai avrei dovuto uccidere mio padre? Era l’unica famiglia che mi era rimasta. E, morendo quando è morto, metà dell’eredità sarebbe finita a quella là.”

 

“Non se quella là fosse stata ritenuta colpevole del suo omicidio, anche in veste di mandante. Ed in ogni caso ho visto i conti della sua società, i prestiti che ha richiesto. L’azienda di famiglia è in crisi, Spaziani, e rischiava di chiudere da qui a qualche anno al massimo. Le servivano disperatamente fondi ed il patrimonio personale di suo padre era molto consistente, pure diviso a metà. Inoltre la sua morte le avrebbe dato la possibilità eventualmente di vendere la società, cosa che suo padre in vita non avrebbe probabilmente mai approvato, dico bene?”

 

Spaziani ammutolì completamente, mentre la fronte cominciava ad essere imperlata di sudore. Sembrava uno che stava vedendo la morte in faccia.

 

“Dottoressa, io… è vero l’azienda di mio padre, cioè... la mia azienda non sta andando benissimo. Ma non avrei mai ucciso mio padre per questo, mai!”

 

“Ma non lo ha detto a nessuno di navigare in cattive acque, Spaziani. Nemmeno alla sua fidanzata e-”

 

“E non potevo dirglielo! Viene da una famiglia molto abbiente ed è abituata ad un certo standard di vita. Temevo mi lasciasse o mi ritenesse comunque un incapace. Speravo di recuperare con l’azienda in qualche mese e-”

 

“E come pensava di riuscire ad avere questo recupero miracoloso? Forse con un’eredità cospicua?” lo interruppe, sbattendo i palmi sul tavolo ed inclinandosi verso di lui, che sobbalzò.

 

“No, no, dottoressa, glielo ripeto io… sì, è vero, ho sbagliato a cercare di incastrare Galiano ma… tutto per me portava a lui e a quella disgraziata di Barbara! Ma non avrei mai ucciso mio padre, mai, avrei preferito finire sotto un ponte piuttosto!”

 

Era un osso duro lo Spaziani. Forse cercava di scagionarsi dall’accusa più grave e consistente come pena, ammettendo almeno quelle minori.


Sarebbe stato un interrogatorio infinito.

 

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“Sono a casa!”

 

Le faceva ancora un poco effetto dirlo, anche perché molto spesso rientravano insieme lei e Calogiuri o comunque se lo trovava nelle vicinanze dell’ingresso

 

Invece stavolta era tutto buio, c’era una luce che filtrava dalla camera da letto, comprensibilmente visto che erano ormai le ventitrè.

 

Interrogare Spaziani era stato estenuante ma non ne aveva cavato niente di più: se ammetteva il resto, sull’omicidio del padre non schiodava di un millimetro dalla sua posizione.

 

Alla fine aveva dovuto arrendersi e predisporre per lui il fermo, sperando che il GIP confermasse la misura cautelare, visto l’enorme pericolo di inquinamento delle prove.

 

Ma ci avrebbe pensato nei giorni seguenti, voleva solo mettere sotto i denti qualcosa di tranquillo ed andare a dormire.

 

Da Calogiuri nessuna risposta, forse si era addormentato già e del resto aveva il sonno di pietra, anche se non era il massimo della sicurezza per uno che faceva il suo mestiere.

 

Si levò i tacchi, per fare meno rumore possibile, e si avvicinò piano piano alla porta quando, all’improvviso, si sentì afferrare per la vita da dietro e cacciò un urlo.

 

“Imma….”

 

“Calogiù, ma sei impazzito?!” gli chiese, voltandosi, e trovandolo a sorriderle nella penombra, “un colpo mi hai fatto prendere!”

 

“E dai, dottoressa, se vuoi andare a rinfrescarti ti aspetto in cucina, che la cena è pronta.”

 

“A quest’ora?”

 

“Cena fredda. Sempre se non hai già mangiato, ma di solito quando interroghi non ti fermi.”

 

Ed Imma si sciolse, nonostante il mezzo infarto: erano queste premure che per lei facevano la differenza, il fatto che la conoscesse così bene, ancora più di tutto il resto.


“Allora mi faccio una doccia e arrivo,” disse, sentendo il bisogno di lavare via tutto ciò che aveva accumulato durante la giornata.

 

Entrò in camera da letto e trovò già disteso sul coprimaterasso il suo completo da notte e la sua vestaglia preferiti, oltre che le ciabatte leopardate accanto al letto.

 

Altro che scioglimento!

 

E quando, rilassata dal getto caldo dell’acqua e dal tessuto morbido della vestaglia, arrivò in cucina, la scena che le parò davanti segnò la resa definitiva alla commozione.

 

In centro al tavolo c’era una piccola candelina e Calogiuri la aspettava sì vestito da casa, ma con una rosa rossa in mano.

 

“Manca mezz’ora ormai ma… è ancora il nostro anniversario, no?”

 

Se lo abbracciò fortissimo e poi notò, mentre gli prendeva dalle mani la rosa, che la tavola era apparecchiata per due.


“Ma ancora non hai mangiato?”

 

“Poco, ma la cena vera volevo farla con te. Anche se è solo una pasta fredda, niente di eccezionale,” si schernì, in quel modo che la inteneriva sempre tanto.

 

“Sei tu che sei eccezionale, Calogiuri, altro che la pasta!” esclamò, piantandogli un bacio, prima di andare verso uno degli armadietti e cercare un vaso per la rosa: che già fin troppe ne avevano uccise nel corso degli anni.

 

“Ma a che cos’è il sugo?” chiese, incuriosita dal colorito rosa, dal quale vedeva spuntare dei gamberetti e delle zucchine.

 

“Gamberetti, zucchine e stracchino, ho trovato una ricetta su internet da fare con quello che avevamo in frigo.”

 

Se ne prese una forchettata, incuriosita, ed era veramente buona.

 

“Allora?”

 

“Allora come sempre un ottimo lavoro, Calogiuri!” ironizzò, mentre lui stappava con un botto una bottiglia che aveva levato dal frigo.

 

“Non è champagne ma prosecco, però… un brindisi ci voleva,” proclamò, passandole uno dei due bicchieri da tavola che aveva riempito quasi fino all’orlo.

 

“Vuoi farmi ubriacare, Calogiuri? Che il prosecco può essere molto rischioso, come ho scoperto oggi.”

 

“In che senso?”

 

“Una lunga storia, poi te lo racconto, ma per stasera niente lavoro!”

 

“Ne sono onorato, dottoressa,” la sfottè, facendole l’occhiolino e proponendo, “facciamo un brindisi?”

 

“Va bene. Alla fiducia, al rispetto e all’amore, Calogiuri, che non ci manchino mai! Pure se sembra il titolo di uno di quei telefilm orrendi con Gabriel Garko che piacevano tanto a Diana.”

 

“Imma…” rise, scuotendo il capo: ma lei era fatta così, non ce la faceva a non sdrammatizzare.

 

Certo, se pensava che solo un anno prima gli aveva finalmente confessato quanto l’amasse, le sembrava fosse passata una vita intera da allora.

 

E, mentre si godeva un bacio al sapore di prosecco, sperò sinceramente che, seppure magari in modo diverso, ogni anno con lui fosse sempre una meravigliosa sorpresa come lo era stato quell’ultimo.

 

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“Quasi pronto?”

 

“Sì, anche se ho dovuto un po’ cambiare la scelta dei vestiti, dalle polo estive a quelle pesanti, che in queste due settimane è arrivato il fresco.”

 

“Meglio che stai più coperto, Calogiuri, che non si sa mai!”

 

Il sorriso e l’occhiolino di Imma lo rassicurarono che non era realmente gelosa. Fino a qualche mese prima gli avrebbe fatto una testa così per quella trasferta ed invece negli ultimi giorni era stata inaspettatamente tranquilla, anche se erano entrambi talmente impegnati che non si erano visti moltissimo.

 

“Che c’è? Ti aspettavi una scena degna di Otello, Calogiù?” gli chiese, con un altro sorriso, avvicinandosi di più a lui e dandogli un rapido bacio.

 

“Forse… almeno qualche raccomandazione, ecco….” ammise, toccandosi il collo, ed Imma rise.

 

“Le cose che ti ho detto quando stavi per partire due settimane fa, pure se ho esagerato parecchio per non farti mangiare la foglia, le pensavo veramente. La Ferrari è completamente diversa da me e se preferissi lei a me sono affari tuoi, Calogiù. Perché se tradisci non perdono, per citarti, e confido che tu voglia ancora stare con me e non con una fidanzata che è peggio della Sfinge, che poi la gattamorta sempre un felino è.”

 

“Imma!” esclamò, anche se gli venne da ridere: era tremenda quando ci si metteva.

 

“Quindi niente raccomandazioni, se non di fare bene il tuo lavoro, come so che lo sai fare, che la sorte del maxiprocesso in questi giorni è nelle tue mani, va bene? Ah, e a proposito di raccomandazioni, c’è un ristorante tipico milanese buonissimo dove mi aveva portata Mancini - e non fare quella faccia!” lo intercettò, dandogli un pizzicotto su una guancia, “dubito la cara Irene ci voglia mettere piede, che sarà troppo calorico per lei, ma ti mando il nome per messaggio, se non vuoi passare un fine settimana a mangiare piatti dai nomi inutilmente in francese o inglese.”

 

“Va bene… anche se dubito avremo molto tempo per fare… i turisti, anzi.”

 

“Dovrete pur mangiare, no?”

 

“Lo spero. E poi guarda che Irene quando ci si mette mangia parecchio, anche se ama cose… più leggere di te.”

 

“Per compensare la sua pesantezza, Calogiuri,” ribatté, non perdendo un colpo.


“Lo sai che un sacco di gente lo direbbe di te, vero?”

 

“Sì, ma almeno io non faccio finta di essere una Fata Turchina e vado orgogliosa della mia pesantezza, alimentare e non.”

 

“Eppure in certe cose sei così leggera, come una piuma,” rispose, approfittando della vicinanza di lei per prenderla di sorpresa e sollevarsela su una spalla.

 

“Calogiuri che fai?!” rise, mentre se la trascinava in bagno.

 

“Ultimo risparmio energetico prima del viaggio?”

 

“In effetti ultimamente abbiamo consumato un po’ troppa acqua, maresciallo, con tutte le docce in solitario!”


Fece un salto che per poco non la faceva cascare: qualcosa gli aveva appena pinzato il posteriore.

 

“Imma!”

 

“Sei tu che hai iniziato col lato B, Calogiu-” provò a protestare, almeno fino a che la spinse nel box doccia e la zittì con un bacio ed un getto d’acqua gelato.

 

Di calore ne avrebbero già prodotto fin troppo.

 

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“Calogiuri! Ti sei incantato? Guarda che hanno annunciato il binario! Meglio che andiamo.”

 

“No, no, è che….”

 

Non si era sbagliato, le due ragazze che si stavano abbracciando vicino all’ingresso al binario erano proprio Valentina e Penelope.

 

“Ma… ma quella è la figlia di Imma?”

 

Irene aveva occhio, come sempre.

 

“Sì, con una sua amica che penso sia appena arrivata da Milano,” spiegò ed Irene fece un’espressione strana.


“Che c’è?”

 

“No, niente, Calogiuri, non ti preoccupare. Andiamo?”

 

Stava per assentire quando, proprio in quel momento, Valentina e Penelope si staccarono dall’abbraccio e Valentina lo notò subito, almeno a giudicare dall’espressione.

 

“Calogiuri,” lo salutò, avvicinandosi a lui insieme a Penelope, che trascinava un piccolo trolley.

 

“Maresciallo. E lei è?” chiese Penelope, guardando Irene con aria circospetta, ma pure Irene aveva sempre quell’espressione indefinibile.

 

“Irene Ferrari, magistrato, Calogiuri ed io stiamo andando in trasferta a Milano.”

 

Valentina sollevò un sopracciglio: forse sapeva o intuiva della gelosia materna nei confronti di Irene ma non disse niente.

 

“Noi ora dobbiamo andare che il treno non aspetta. Buon divertimento, ragazze!” si congedò Irene, con un mezzo sorriso ed un tono strano quanto l’espressione.

 

“Buon lavoro!” rispose Valentina, prima di avvicinarsi a lui e sussurrargli un, “e solo quello, Calogiuri, se no mia madre ti fa cantare nelle voci bianche. E, se non ci dovesse riuscire, ci penso io a darle una mano.”

 

Gli venne da ridere: Valentina su certe cose era fin troppo simile ad Imma.

 

E poi le salutò e seguì Irene che si era già avviata verso il binario.

 

Trovarono la carrozza corretta, salirono e presero posto. Erano nella classe migliore, c’era un sacco di spazio tra un sedile e l’altro e non c’era abituato.

 

Arrivò subito un cameriere, tutto formale, ad offrire loro un calice di vino e portare stuzzichini di aperitivo.

 

Quando se ne fu andato, Irene alzò il calice verso di lui, si sporse per raggiungerlo, nonostante la distanza, e gli disse, “brindiamo a che questa missione sia un successo?”

 

Sorrise, fece toccare i loro calici e poi bevve, almeno fino a che Irene aggiunse, “e, se vuoi, brindiamo anche alla speranza che tu possa non diventare il nuovo Farinelli alla fine del viaggio.”

 

“Chi?” chiese, confuso, ed Irene si fece una risata.

 

“Il più famoso cantante castrato della storia, Calogiuri.”

 

Sentì le guance pulsare da quanto dovevano essere diventate rosse, ma Irene continuò a ridere, aggiungendo poi, facendogli l’occhiolino, “conosco un buon negozio sportivo a Milano. Possiamo farci un salto a comprarti delle protezioni, per sicurezza.”

 

Si infilò in bocca un salatino perché non sapeva come rispondere, mentre Irene aveva tutta l’aria di starsi divertendo un mondo.

 

E forse era proprio questo strano mescolarsi di riservatezza, mistero e di altri momenti in cui era invece così diretta e senza peli sulla lingua a piacergli di lei.

 

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“Secondo te Calogiuri ha capito che… noi due….”

 

“Ma figurati! Ingenuo com’è il maresciallo di tua madre! Non ti preoccupare, Vale!” la rassicurò con un sorriso e sentì una mano sulla spalla mentre si incamminavano verso casa, dopo il viaggio in metro, “piuttosto mi è venuto il dubbio che la collega di tua madre possa aver capito qualcosa. Ci guardava in modo… strano… non so... ho avuto un vibe diverso da lei.”

 

“Sei proprio diventata milanese, con questi termini in inglese,” ironizzò, anche se era un po’ preoccupata: della collega di mamma non sapeva molto, se non che sua madre era terribilmente gelosa del rapporto tra lei e Calogiuri. Probabilmente si sarebbe fatta i fatti suoi, certo c’era sempre la possibilità che ne parlasse con Calogiuri o con sua madre. In caso sarebbe stato un disastro ma… era improbabile oggettivamente, anche perché non le sarebbe venuto in tasca niente.

 

“Comunque secondo me non ti devi preoccupare, Vale. Piuttosto si dovrebbe preoccupare tua madre, che quella lì è proprio figa.”

 

“Ah sì?” rispose, piccata, sentendo una fitta di gelosia e non potendo fare a meno di fulminare Penelope con lo sguardo.

 

“E dai, Vale, non dirmi che sei gelosa! E poi è solo una constatazione oggettiva, ma non è il mio tipo. A parte che è troppo grande ma poi… mi ci vedi con una così, che pare pronta ad un invito della regina Elisabetta?”

 

“E quale sarebbe il tuo tipo?”

 

“Beh… tipo te,” le rispose, abbracciandola del tutto, di lato.

 

Valentina ebbe l’istinto fortissimo di baciarla, dopo due settimane di separazione. Si bloccò appena in tempo, pensando ai giornalisti ed al fatto che non poteva rischiare che i suoi lo scoprissero in quel modo.

 

Ma era durissimo doversi trattenere sempre: capiva cosa doveva aver passato sua madre quando si era innamorata di Calogiuri ed avevano dovuto nascondersi da tutti.


Certo, almeno lei e Penelope erano entrambe libere e non facevano male a nessuno. Ma purtroppo una buona fetta della popolazione non l’avrebbe affatto pensata così.

 

E sperava vivamente che i suoi genitori, almeno, facessero eccezione.

 

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Stava mettendosi in bocca l’ultima forchettata di pasta tonno, olio, aglio e peperoncino, quando un dito che pigiava smodatamente sul campanello le fece andare di traverso gli spaghetti.

 

Guardò l’orologio ed erano quasi le ventidue: con il fatto che Calogiuri era via con la gattamorta ne aveva approfittato per smaltire del lavoro arretrato, invece che tornare subito a casa da sola.

 

Chi poteva essere a quell’ora di venerdì sera? L’unica ipotesi era qualcuno della procura, ma perché non telefonare prima?

 

“Chi è?” chiese, non facendo nulla per celare il tono scocciato.


“Imma! Sò io, aprimi per favore che diluvia!”

 

Lanciò un’occhiata verso la finestra, avendo conferma che in effetti aveva iniziato a piovere e pure di gran lena, mentre una parte di lei si chiese se fosse in un sogno bizzarro.

 

Eppure quella era proprio la voce di-

 

“Diana, Imma, sò Diana, aprimi per piacere!”

 

Si riscosse dal torpore e, se il meteo non avesse appena deciso di scaricare tutta l’acqua mancata nell’estate precedente, avrebbe fatto ulteriori domande, ma si limitò a premere il pulsante di apertura porte, mentre un presentimento si fece strada, fino a diventare una certezza lampante.

 

Capozza ed il DNA.

 

Quando si trovò davanti Diana, bagnata dalla testa ai piedi, che le si buttò in braccio disperata, quasi peggio di quando le aveva confessato il tradimento di Giuseppe con la collega di Trieste, maledisse Capozza, i suoi spermatozoi troppo attivi, la marca di preservativi da lui usata ed il giorno in cui lei aveva deciso di dare l’indirizzo di casa a Diana in caso di emergenza.

 

Diana stava pure provando a spiegare, ma piangeva talmente tanto che l’unica cosa che riusciva a capire era qualcosa che finiva in -ardo e che, non trattandosi di lei, evidentemente non era leopardo ma bastardo.

 

“Diana… Diana…” provò a calmarla, anche perché si stava infradiciando pure lei e rischiavano che tutti i vicini venissero a conoscenza della neo paternità di Capozza, “Diana, vieni dentro mo. Vai in bagno, ti fai una doccia calda, prima che ti pigli un accidente, ti cambi e poi parliamo, va bene?”

 

Forse per il tono di comando e la deformazione professionale da tanti anni alle sua dipendenze, Diana singhiozzò ancora una volta e poi annuì, consentendole di tirarla dentro casa insieme alla valigia e chiudere finalmente la porta d’ingresso.

 

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“Dottoressa, bentornata! Da un po’ che non avevamo il piacere di averla come ospite.”

 

Il receptionist, vestito in uniforme, elegantissimo, accolse Irene come se fosse una di famiglia. Erano in un hotel a cinque stelle, sicuramente uno dei più cari di Milano, e Calogiuri si sentiva intimidito già solo dall’ingresso, con gli uomini che gli avevano preso la valigia. Non era mai stato in un posto del genere, neanche alla lontana.

 

“Grazie, Enrico. Eh sì, ultimamente ho sempre meno necessità di venire a Milano, anche se resto meneghina nel cuore e nell’anima.”

 

“Milano è sempre Milano, dottoressa. Sono lieto di vederla in compagnia, stavolta,” rispose con un sorriso, rivolgendosi a lui, “signor Calogiuri, sarà l’uomo più invidiato dell’hotel.”

 

Provò a rispondere, ancora più in imbarazzo, ma il receptionist proseguì con un entusiastico, “dottoressa, dato che l’hotel è pieno ed abbiamo terminato le doppie, vi abbiamo fatto l’upgrade ad una delle suite.”

 

“Come una suite?!” chiese Irene, aggiungendo, all’occhiata sorpresa del receptionist, “cioè, Enrico, la ringrazio molto per la premura ma… avevo prenotato due stanze, mentre immagino la suite sia una sola. Calogiuri è un mio collega, siamo in viaggio di lavoro.”

 

“Si tratta di una suite con due stanze da letto, salotto e bagno in comune. Con chi ha fatto la prenotazione? Purtroppo avevano segnato solo una stanza doppia executive. Mi dispiace moltissimo per l’inconveniente.”

 

“Va beh, dottoressa, posso cercare un posto in un hotel qua vicino, no? E-”

 

“E non lo troverà. Forse qualcosa di libero c’è solo dall’altro lato di Milano, in periferia. Qua in zona ed in centro siamo tutti pieni. C’è la fiera della tecnologia e ci sono visitatori ed espositori da tutto il mondo, soprattutto Est Asia e Stati Uniti.”


“L’ho fatta al telefono la prenotazione, Enrico… non ricordo con chi... e comunque… ci saremo capiti male. Ormai quello che è fatto è fatto. Calogiuri, che ne pensi? In ogni caso ognuno ha la sua stanza, no? E di te voglio proprio sperare di potermi fidare.”

 

“S- sì, sì,” balbettò, maledicendo il rossore che sentiva uscirgli sulle guance.

 

Ma alla fine aveva già dormito sul divano di casa di Irene una notte. Sarebbe stata la stessa cosa, in fondo, solo più comodo, avendo un letto a disposizione.

 

Certo, forse Imma non sarebbe stata della stessa idea.

 

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“Diana! Tutto bene? Se non mi rispondi subito, io entro!”

 

Aveva pazientato ma, dopo più di mezz’ora da che era sparita in bagno - senza alcun rumore di phon che avrebbe potuto giustificare la tempistica prolungata - cominciava a preoccuparsi seriamente.

 

Nessuna risposta e quindi girò la maniglia ed aprì di poco la porta. Si trovò di fronte la stanza ancora calda ed umida di condensa, Diana avvolta nel suo accappatoio di riserva e con un asciugamano a turbante in testa, che piangeva silenziosamente seduta sul water.

 

“Diana…” sospirò, avvicinandosi, “per piangere da sola in bagno potevi farlo pure a Matera, senza farti più di quattrocento chilometri e-”

 

“Imma!”

 

Se la ritrovò aggrappata alla vita, che piangeva con la testa nascosta nella sua pancia. Per un attimo le ricordò Valentina e le fece tenerezza.

 

“Diana… mo ti cambi e poi parliamo con calma, va bene?” le chiese, sollevandola quasi a forza e portandola verso la camera da letto, dove le aveva piazzato il bagaglio.

 

Diana sembrava spaesata, confusa, tanto che alla fine le dovette aprire la valigia, selezionare un completo intimo, un pantalone ed un maglioncino che ci aveva appallottolato dentro alla rinfusa - Diana normalmente non lo avrebbe mai fatto - e metterglieli praticamente in mano perché si risvegliasse e iniziasse a slacciare l’accappatoio per rivestirsi.

 

“Ti aspetto in salotto. Se non ti vedo entro cinque minuti ti vengo a riprendere a forza.”

 

Diana annuì, il viso distrutto, ed Imma uscì dalla stanza per lasciarle un po’ di privacy.

 

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Due rintocchi sul legno lo fecero sobbalzare, mentre si infilava una maglietta dopo la doccia. La stanza era piacevolmente calda, a differenza della temperatura esterna, molto più frizzante che a Roma.

 

“Sì?”

 

“Ci è arrivata la cena, Calogiuri. Mi sono permessa di ordinare pure per te, che è tardi e immagino avrai fame.”

 

“La cena?” domandò, sorpreso, finendo di rivestirsi ed andando ad aprire la porta: effettivamente in treno avevano giusto spizzicato un po’.

 

Come la porta si spalancò del tutto e la vide, il sangue gli finì tutto in viso: Irene indossava una canotta ed un paio di pantaloncini di seta, bordati di pizzo, che le arrivavano a metà coscia, oltre alle ciabatte dell’hotel.

 

E basta.

 

“Sai… pensavo di essere sola in stanza e… so che qui fa sempre caldo, tranne d’estate che c’è l’aria condizionata. Se… se ti mette a disagio mi metto qualcosa da giorno, ma non ho portato molti cambi,” spiegò, sembrando pure lei un poco imbarazzata.

 

“N- non ti preoccupare, e non volevo metterti io a disagio… è che… non me lo aspettavo.”

 

“Nemmeno io, Calogiuri,” rispose con un sorriso, lanciando un’occhiata alla sua maglietta bianca, effettivamente abbastanza attillata. Per fortuna si era portato un paio di pantaloni della tuta e non solo i boxer come faceva a casa, “dai, vieni che è pronto, anche se non si fredda.”

 

“In che senso? Perché fa caldo in stanza?” scherzò, per cercare di allentare la tensione, seguendola nella zona living, come l’aveva definita il ragazzo in livrea che aveva mostrato loro la suite.

 

Non potè fare a meno di notare che Irene aveva delle gambe chilometriche, soprattutto quando si sedette sul divano e le accavallò: di solito vestiva in modo elegantissimo sia d’estate che d’inverno, quindi al massimo lasciava scoperto il ginocchio. Che fosse bella era innegabile.

 

Se Imma li avesse visti in quel momento probabilmente lo avrebbe ucciso. Ma nasconderle la cosa della suite sarebbe stato ancora più pericoloso.

 

“Ti piace, Calogiuri?” gli chiese all’improvviso, ridestandolo dai suoi pensieri, e altro che avvampare.

 

“Co- come?”


“La poké con salmone ed avocado ti piace, Calogiuri?” ripeté, con un sorrisetto divertito, “Il sushi mi pareva lo apprezzassi….” 

 

“Ah… non… non lo so, non ho mai provato,” balbettò, indirizzando lo sguardo al piatto fondo che aveva davanti, che pareva effettivamente un sushi fatto a mo di insalata.

 

“Sotto c’è il riso. L’ho preso bianco classico per te. Un goccio di vino? Rosato frizzante, è di una cantina di un’amica che rifornisce l’hotel,” spiegò, versandogli un calice senza attendere risposta e porgendoglielo, sempre con quel mezzo sorriso.

 

Lo afferrò quasi in automatico e poi Irene sollevò il suo per un brindisi silenzioso, prima di chiedergli, mentre stava sorseggiando il vino, che effettivamente era buonissimo, “che c’è? Stai già pensando a quanti strati di protezioni dovrai comprare per essere al sicuro al nostro rientro a Roma?”

 

Il vino gli andò di traverso ed iniziò a tossire, cercando di prendere un respiro. Sentì delle pacche sulle spalle, mentre Irene, ironizzava, imperterrita, “guarda che sei tu che dovresti fare da guardia del corpo a me in questa missione, Calogiuri, non il contrario.”

 

E, quando alla fine tornò a respirare ed Irene si riprese la mano e si allontanò leggermente da lui, sedendosi con le gambe ripiegate, alla giapponese, sul suo lato di divano ed iniziando a mangiare, si impose anche lui di fare lo stesso.

 

Non sapeva se fosse di più il terrore di sporcare il costosissimo divano in pelle, tra le bacchette e le mani che ancora un poco gli tremavano o quello di come spiegare ad Imma la situazione nella quale si trovava.

 

Altro che protezioni!



 

Note dell’autrice: Ed eccoci alla fine di questo capitolo. Come avete visto si preannunciano casini, tra Imma impegnata con una Diana disperata giunta in cerca di conforto e Calogiuri che si ritrova a dover dividere l’alloggio con Irene… con le possibili conseguenze del caso. Si proseguirà inoltre coi gialli e… forse scopriremo finalmente qualcosa di più sul passato della Ferrari.

Spero che questo capitolo vi sia piaciuto, nonostante quest’ambientazione un po’ particolare in tre città diverse. Vi ringrazio di cuore per avermi seguita fin qui e, come sempre, sapere cosa ne pensate mi aiuta tantissimo anche a tarare meglio i capitoli, quindi vi ringrazio tantissimo fin da ora se vorrete lasciarmi una recensione.

Grazie mille a chi ha aggiunto la storia nei preferiti e nei seguiti.

Il prossimo capitolo arriverà domenica 13 settembre e spero di riuscire poi a riprendere con la pubblicazione settimanale. In caso non sia possibile vi farò sapere come sempre a fine di ogni capitolo.

Grazie ancora!

 
   
 
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