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Autore: Juliet8198    09/09/2020    1 recensioni
Vivevano in un sogno meraviglioso. In quel mondo fittizio, i due ragazzi potevano fare quello che volevano ed essere quello che volevano. Potevano toccare le stelle e vivere in fondo al mare. L'unico limite era la loro immaginazione.
Ma i sogni nascondono ciò che temiamo di più. Essi liberano le ombre che cerchiamo di reprimere nella parte più nascosta della nostra psiche.
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-Tutto questo...non è reale.-
-Lo so, ma tu lo sei. Noi lo siamo. Questo mi basta. Questa può essere la nostra realtà.-
Genere: Avventura, Romantico, Sovrannaturale | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Nuovo personaggio, Park Jimin
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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La copia di Jimin rimase congelata sul posto, più ferma e priva di vita di una statua. Gli occhi spalancati erano fissi sull'ovale del viso della ragazza con una supplica e un disperato interrogativo scritti nelle pupille. Miyon, per contro, manteneva lo sguardo al pavimento e le braccia incrociate al petto, come a voler sottolineare la distanza fra di loro. 

 

-Cosa... perché?- 

 

Quando finalmente la copia riuscì a parlare, la lingua inciampò nelle due brevi parole e la voce assunse un tono acuto, simile alle implorazioni di un bambino. 

 

La ragazza non sembrò farvi caso. Sbuffò semplicemente, passandosi una ciocca di seta scura dietro all'orecchio in un gesto perfettamente misurato. 

 

-Jimin, sei un ragazzo molto... dolce. Ma non sei il mio tipo.- replicò infine lei, sollevando per la prima volta gli occhi su di lui. 

 

Quello fu il primo schiaffo della giornata. Il suo sguardo. Quando Jimin poté finalmente incrociarlo, vide qualcosa che fece più male delle parole. Indifferenza. La più totale, insipida, asettica indifferenza. Per lei tutto ciò non aveva importanza. Lui non aveva importanza. Non aveva valore. 

 

Non che Jimin fosse innamorato di lei. All'età di quindici anni non sapeva neanche cos'era l'amore. Aveva sicuramente una cotta. Forse era per quello che la chiamavano così, una cotta. Perché bruciava tremendamente. 

 

-E in più... Jae è tornato single.- 

 

Ed ecco il secondo schiaffo. Questo lo colpì più forte del precedente. In effetti, ciò che bruciava di più era il suo ego. Non tanto l'idea che lei voleva lasciarlo. No, non era quello il punto. 

 

Perché non lui? 

 

Perché lui era sbagliato? 

 

Cosa c'era di sbagliato in lui? 

 

Non era abbastanza bello? 

 

Non era abbastanza simpatico o intelligente? 

 

Cosa avevano altri che lui non possedeva? 

 

-Cosa... cosa intendi dire?- aveva mormorato la copia in un filo di voce. 

 

Non era stupido. Sapeva che Jaebum era l'ex di Miyon. Era il tipo più popolare della scuola, con i suoi stupidissimi centottanta centimetri di altezza e il suo corpo da atleta. Ma non era giusto. 

 

Perché lui non poteva andare bene così com'era? 

 

Era davvero così terribile il suo aspetto? 

 

Era basso, questo era vero, ma era forse per questo che non poteva essere considerato? 

 

-Mi dispiace Jimin. Ci si vede in giro.- 

 

Detto ciò, Miyon si staccò dagli armadietti e si allontanò da lui senza voltarsi indietro. La copia non poté fare altro che rimanere lì, ferma in mezzo ad un corridoio vuoto con gli occhi spalancati e la bocca socchiusa come un pesce impalato. 

 

Jimin guardava la scena con una sensazione di gelo nel petto. Il dolore si era gradualmente trasformato in una sorta di anestetico che gli aveva addormentato i sensi. Era come se avesse chiuso fuori tutto. Tutto ciò che gli si avvicinava assomigliava ad un oggetto contundente pronto a trafiggerlo. 

 

Non era per Miyon. A distanza di così tanti anni non gli importava neanche più di quella faccenda. Rimpiangeva di avere sprecato quei quattro mesi al suo fianco, quello era certo. Ma non era quello il problema. 

 

La sua copia, dopo minuti di immobilità, sembrò uscire dal suo stato di glaciazione. Come se qualcuno l'avesse finalmente liberata, rompendo lo strato di roccia che ne impediva i movimenti, si slanciò in avanti con impeto, dirigendosi verso il bagno. 

 

Jimin fu a sua volta condotto a seguirlo dalla spinta invisibile che aveva già provato in precedenza e in un batter d'occhio si trovò ad osservare lo stretto abitacolo della latrina, con le sue pareti vandalizzate da pennarelli di vari colori e il pavimento disgustosamente umido. Poteva quasi sentire ancora l'odore stagnante dell'aria, che sembrava amplificare la sensazione di nausea che gli si era accumulata in gola. 

 

La copia si abbandonò sulla tavola chiusa del water e si portò le mani davanti agli occhi. E pianse. Pianse come un moccioso. 

 

-Patetico.- 

 

Una manciata di brividi gli percorse la spina dorsale, facendogli sbattere i denti nervosamente. Voltandosi leggermente, Jimin poté vedere l'ultima persona che avrebbe desiderato incontrare di nuovo nel suo cammino. Appoggiata alla parete laterale, la lunga e slanciata figura avvolta in strati di broccato teneva lo sguardo puntato verso il basso, sul corpo singhiozzante del ragazzino in lacrime. 

 

Non ne poteva più. Guardare quegli occhi così superbi e fieri, uniti a quel tono di voce condiscendente e trasudante altero disprezzo, gli facevano venire voglia di prendere a pugni se stesso. Sarebbe stata una cosa assai strana e piuttosto malsana, probabilmente. Ma a Jimin non importava. 

 

-Pensavi davvero di avere una chance con la ragazza più popolare della scuola? Tu?- 

 

Il corpo magro ed elegante di quella versione di Jimin così sbagliatamente sprezzante si piegò in avanti verso il ragazzino seduto sul water. 

 

-Non sei altro che uno stupido sfigato.- 

 

Le parole velenose uscirono dalla bocca di quell'essere con la dolcezza del miele. Era come se stesse raccontando una storia della buonanotte ad un bambino sul punto di addormentarsi. 

 

-Uno sfigato con cui nessuno vuole avere niente a che fare.- 

 

Il tono si fece più aspro, facendo inacidire il miele nella sua voce. Jimin voleva davvero prenderlo a pugni. Gli prudevano le mani dalla voglia pressante che sentiva. 

 

"Stai zitto." 

 

-Povero sfigato... solo, senza qualcuno che ti ami... e così brutto.- 

 

La copia quindicenne sembrò sobbalzare a quelle parole, inciampando nei suoi stessi singhiozzi ma tenendo il viso nascosto nelle mani. 

 

-Anzi, penso che il termine giusto sia... scherzo della natura.- 

 

-Basta!- 

 

 

La voce di Jimin rimbombò leggermente nell'abitacolo, prima di essere assorbita dal nulla. Era diventato tutto nero, come se qualcuno avesse improvvisamente spento l'interruttore della luce. La claustrofobica latrina era sparita, come anche il ragazzino in lacrime raggomitolato su se stesso. Erano rimasti solo lui e la sprezzante figura in broccato. Anche  il fantasma di Jein era ancora costantemente incollato alla sua schiena con la sua disgustosa presenza. 

 

Sul viso magro e perfettamente proporzionato della figura si fece velocemente strada un sorriso altalenante tra il compiaciuto e il divertito. 

 

-Pensi davvero di poter scappare? Da tutto?- chiese con quel tono di voce zuccheroso che aveva assunto in precedenza. 

 

-Da me?- 

 

Il suo corpo asciutto si avvicinò a Jimin con suadente lentezza in una camminata che esprimeva tutta la sua alterigia. I suoi passi non parevano toccare neppure il pavimento. Sembrava volare, dalla delicatezza con cui si muoveva. 

 

-Tu hai bisogno di me.- 

 

Il ragazzo si ritrovò quel viso perfetto a centimetri dal suo. Gli aveva soffiato quella frase a fior di labbra, quasi gliela volesse instillare dolcemente come una medicina benefica. 

 

-Tutto ciò che ho detto è vero. È inutile negarlo.- 

 

Jimin si ritrovò un braccio avvolto in scintillante oro e voluttuoso nero attorno al collo, mollemente appoggiato alla sua spalla. In quel momento, il giovane ebbe l'impressione di avere le spire di un serpente attorcigliate al corpo, pronte a stringere da un momento all'altro sulle sue vie respiratorie. E proprio come davanti ad un predatore, si sentiva paralizzato. Le sue membra erano immobili, pietrificate dal terrore. 

 

-Sei uno sfigato. Uno scherzo della natura. E nessuno ti ama.- 

 

Il serpente continuò a stringere, avviluppandosi sempre di più al suo corpo finché Jimin non si ritrovò gli arti della figura con il sorriso altero completamente incollati addosso. 

 

-E hai bisogno di me.- mormorò infine, portando una mano davanti alla propria bocca. 

 

Quelle dita affusolate e più lunghe delle sue stringevano lo stelo di un giglio. I suoi petali bianchi e intatti sembravano sprizzare di vita e di linfa, con la superficie vellutata leggermente imperlata da qualche goccia di rugiada.

 

Jimin aveva iniziato a tremare. Tutto il corpo sembrava in preda alle convulsioni. Aveva paura. Aveva anche un bruciante odio che gli infiammava il petto, scontrandosi in una corrente turbolenta con il gelo del dolore che quelle parole avevano recato. Ribrezzo. Rabbia. Rassegnata accettazione. 

 

Nessuno lo amava. 

 

Jein non c'era. 

 

Forse non era mai esistita. 

 

E anche se fosse esistita non avrebbe mai amato uno come lui. 

 

Un essere indegno. 

 

Insulso. 

 

Nessuno lo avrebbe mai amato. 

 

Con un dolce sorriso sulle labbra, la figura in broccato sembrò percepire i suoi pensieri. Si portò il fiore alle labbra, assaporandone la dolcezza e il fresco profumo. E, infine, spinse il corpo inerme di Jimin in un baratro di oscurità. 

 

~~~~~~~

 

Gli occhi di Jein erano sul punto di chiudersi. Doveva essere passata almeno un'ora da quando si era messa davanti allo schermo del computer, ferma a fissare il cursore lampeggiare come un semaforo giallo. Era rimasta così tanto tempo con gli occhi su quella piccola linea intermittente da essere vicina a cadere sotto ipnosi. Magari l'avrebbe aiutata a trarre fuori un'idea, finalmente. 

 

Niente. 

 

Non le usciva nulla. 

 

Aveva sperato di riuscire almeno a buttare giù uno scheletro di struttura per la sua storia, ma sembrava che il suo cervello fosse in standby. 

 

Calma piatta. 

 

Nessun segnale di vita. 

 

Peggio della linea retta in un elettrocardiogramma. 

 

Uno sbuffo le sfuggì dalle labbra, facendo svolazzare uno ciocca di capelli per aria. 

 

-Allora, le opzioni sono due. O scrivi qualcosa, o ti alzi dal di lì e ti mangi i manggaetteok che ho comprato.- 

 

La voce di Kippeum fu in grado di farle staccare gli occhi dal trattino lampeggiante. Quando finalmente rivolse lo sguardo all'ambiente circostante, la sua vista ci mise un po' ad aggiustarsi alla differenza di luminosità, tanto che per qualche istante un balletto di puntini colorati dominò il suo campo visivo. La testa le girava leggermente e forse per questo non riuscì a focalizzarsi immediatamente sulla figura della sua migliore amica, ferma accanto alla sua sedia. 

 

-Ok, scelgo io. Alza le chiappe e vieni a mangiare.- 

 

Non le ci vollero ulteriori incoraggiamenti. In un attimo, il sedere dolorante della ragazza si era staccato dalla sedia mentre le sue gambe un po' traballanti la conducevano di loro iniziativa verso la cucina. Senza aggiungere una parola, Kiki fece scivolare il piattino di ceramica sul bancone rialzato, spingendolo fino a che non si trovò sotto al naso della giovane di fronte a lei. 

 

Jein afferrò velocemente una pallina di riso, tastandone la consistenza gommosa sotto le dita prima di infilarsela in bocca. 

 

-Non capisco. Avevi detto di avere un sacco di idee per il libro. Che cos'è che ti blocca?- 

 

Kippeum le rivolse uno sguardo distratto mentre si sedeva sull'alto sgabello con una gamba piegata sul ventre ed una stesa a penzoloni. Diceva sempre che sedersi in maniera normale non le piaceva. 

 

-È proprio questo il problema. Ho un sacco di idee ma non so come amalgamarle insieme in un'unica storia che abbia un senso.- spiegò Jein, agitando per aria le mani cariche di palline di riso. 

 

Kippeum la guardò per un istante con uno sguardo indeciso e le sopracciglia aggrottate. 

 

-Cavolo, se ne sapessi qualcosa di storytelling potrei almeno darti una mano...- mormorò, abbassando infine lo sguardo. 

 

Jein continuò a masticare silenziosamente la pasta morbida, tentando di pompare energia nel cervello ad ogni movimento della mascella. 

 

La sua testa in quel periodo  assomigliava ad un quadro di Kandinsky. Linee geometriche dalle forme contrastanti vorticavano sullo sfondo scuro della sua mente, sfoggiando i loro bellissimi colori individuali. I blu, i rossi, i gialli lottavano fra di loro senza riuscire ad amalgamarsi, mentre i cerchi, le rette e gli angoli combattevano per riuscire ad incastrarsi. 

 

Nel silenzio della stanza si sentiva solo il masticare di denti e la timida voce del telegiornale che parlava dalla televisione. 

 

-Forse potrei...- 

 

-... Park Jimin dovrà sottoporsi ad un altro intervento per rimuovere il nuovo aneurisma emerso. I membri e la famiglia non hanno ancora condiviso i dettagli della prognosi ma è certo che l'intervento avrà una percentuale di rischio piuttosto elevata.- 

 

Gli occhi di Jein si erano ritrovati incollati al televisore senza che lei se ne fosse accorta. La sua bocca si era chiusa con uno scatto, tacendo la sua voce e focalizzando tutta la sua attenzione sulle parole che uscivano dalla giornalista. 

 

-Jimin... è in ospedale?- 

 

Kippeum la fissò per qualche istante. Jein non la stava guardando negli occhi; aveva ancora lo sguardo fisso sullo schermo, ma l'amica poteva vedere quell'espressione smarrita che sembrava lontana chilometri. Quella che la ragazza aveva assunto spesso da quando si era risvegliata. 

 

-Non lo sapevi? È stato ricoverato qualche giorno dopo di te e ha già subito un intervento al cervello. Sembra che da allora sia ancora in coma.- 

 

Man mano che le parole uscivano dalla propria  bocca, Kippeum studiò lo sguardo nel viso dell'amica per captarne ogni flessione e cambiamento. Qualcosa vi era passato attraverso alla velocità della luce, così solerte che non era riuscita a cogliere cosa fosse. Sapeva, però, che doveva avere a che fare con il motivo per cui Jein sembrava rimasta incastrata in un altro mondo. 

 

La ragazza sbatté le palpebre un paio di volte, prima di abbassare gli occhi sulle candide palline di riso sul tavolo. L'amica poteva quasi sentire il suono del suo cervello che lavorava a velocità supersonica, triturando informazioni e impastandole in qualcosa che era assai curiosa di scoprire. 

 

Poi, vide la giovane alzarsi dallo sgabello senza una parola e dirigersi verso lo studio con la rigidità di un robot. 

 

-Ehi, tutto a posto?- chiese con tono forzatamente leggero. 

 

-Mi è venuta un'idea.-

   
 
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