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Autore: Crepuscolina13    16/09/2020    0 recensioni
Il gioco era semplice. Lei non avrebbe parlato finchè qualcuno non le avesse chiesto perché non stesse parlando. Se glielo chiedevano il gioco finiva e lei aveva perso, se non lo facevano lei aveva vinto.
Il problema era che Vanya vinceva sempre.
Sempre.
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FANFICTION TRADOTTA
Genere: Angst, Malinconico, Triste | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Five, Vanya Hargreeves / Violino Bianco / Numero 7
Note: Traduzione | Avvertimenti: nessuno
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Storia originale: https://www.fanfiction.net/s/13618644/1/The-Quiet-Game

Autrice: Too Young To Feel This Tired

Tradotto: crepuscolina13

 

Il gioco del Silenzio-The Quiet Game part 2

 

Partecipò spesso al gioco del silenzio. Perché fermarsi se era sempre la migliore? Forse voleva solo perdere almeno una volta per vedere cosa sarebbe successo, ma non avvenne mai.

Cinque iniziò a parlarle, non con lei ma a lei. Poteva divagare per ore con le sue teorie riguardo a papà e ai loro fratelli. Aveva bisogno di sfogarsi. Aveva bisogno di parlare. Aveva bisogno di lasciar uscire tutto per cui parlava, parlava e parlava e Vanya restava in silenzio ad ascoltare e a non ascoltare.

Alcune volte si sentiva grata quando veniva a parlarle altre invece era arrabbiata perché quando c’era lui nessun altro veniva a parlarle e perché nemmeno lui riuscì a batterla al gioco.

Ben una volta tentò di entrare nella camera ma Cinque lo fermò con le sue sopracciglia aggrottate e la sua voce severa.

-Non vedi che siamo nel bel mezzo di qualcosa?-

Cinque era impegnato a spiegare le sue idee riguardo ai viaggi nel tempo mentre Vanya contava quante volte avesse usato la parola “tempo” durante il suo monologo. Per ora ne aveva segnate 102 e ancora non aveva finito.

Lei offrì a Ben un sorriso di scuse per il comportamento di Cinque e lui se ne andò. Provò a mostrarsi arrabbiata nei confronti di Cinque ma entrambi sapevano che lei non avrebbe detto niente e lui avrebbe ignorato lo sguardo.

Anche se alcune volte chiedeva -Hai intenzione di dire qualcosa?- o -Qualche suggerimento?-

Ma non aspettava mai una risposta né notò mai il suo silenzio né le chiese mai perché non parlasse.

Vanya iniziò a chiedersi se lo stesse facendo a posta. Se forse fosse spaventato di perdere la propria confidenza e magari la preferisse più in quel modo, come la sorella silenziosa, ascoltatrice di tutte le sue brillanti idee senza che dicesse mai una parola. Qualcuno che non gli dicesse di stare zitto né che lo mandasse via. Qualcuno che semplicemente fosse un perfetto ascoltatore.

Vanya era sempre la vincitrice del suo piccolo gioco.

Anche se Cinque parlava e anche se qualche volta la guardava confuso non riuscendo a capire perché non stesse dicendo niente e chiedeva se la stesse annoiando.

Lui non le chiese mai la domanda chiave e Vanya non parlò mai per prima per non perdere al gioco. Lei semplicemente muoveva la testa invitandolo a continuare. Quel gesto era sufficiente per convincere Cinque a riprendere a parlare.

Qualcuno noterebbe almeno la tua assenza se un giorno tu scomparissi?

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-Ti senti bene?- le chiese un giorno.

Lei non stava giocando al gioco del silenzio al momento e aveva addirittura commentato una delle sue teorie.

-Perché non dovrei esserlo?- chiese confusa domandandosi se fosse dovuto al fatto che avesse parlato.

Magari davvero la preferiva quando era muta. Forse non le piaceva neanche quando parlava. Forse avrebbe dovuto praticare il gioco del silenzio tutto il tempo.

-Tu...- iniziò senza finire, qualcosa nei suoi occhi era diverso. Non era da Cinque. Non era sicuro di se stesso come invece era solito essere.

Vanya non era sicura di cosa fosse, ma era diverso.

Entrambi aspettarono, guardandosi l’un l’altro in silenzio; per una volta lei non lo stava facendo per via del gioco, finché la Mamma non arrivò ad annunciare la cena.

Cinque guardò la Madre e poi tornò a guardarla finché lei non se ne andò per informare anche gli altri ma prima lui disse: -So che di solito sono io quello che parla, ma se ...se tu..uh..se mai avessi bisogno di parlare di qualcosa puoi farlo-.

Si guardò un po’ intorno quasi imbarazzato e questo le consentì di trovarlo quasi tenero.

-Puoi parlare con me, cioè io ti ascolterei-.

Vanya non sapeva come rispondergli. Quelle non erano le regole. Era previsto che lui le facesse la domanda di sua iniziativa altrimenti avrebbero perso entrambi. Qualcuno doveva essere il vincitore anche se fosse stato lui.

Lei scese dal letto, le parole le bruciavano la gola ma non riuscivano ad uscire.

Non stava giocando al gioco quel giorno ma qualche volta non riusciva a parlare anche se non prendeva parte al gioco. Alcune volte era semplicemente lei che non riusciva a parlare. Era tutta colpa sua. Non poteva controllarlo e ciò la faceva sentire ridicola e debole.

La più debole di tutti.

Gli altri sembravano sempre così posati anche uno così sciocco come Klaus o uno con la mancanza di grazia come Diego o una drammatica come Allison.

Loro probabilmente non hanno mai avuto bisogno di pillole o di uno stupido gioco per impedirgli di farli sentire come se avessero potuto cadere in pezzi da un momento all’altro.

Loro erano forti e potevano affrontare le proprie inquietudini e le proprie emozioni da soli a differenza sua.

Forse era per quello che non riusciva a parlare, non voleva perdere al gioco.

Cosa sarebbe stata senza di esso? E senza le sue pillole? Sarebbe stata se stessa? Non era forse ciò che era adesso la vera se stessa?

E quindi Vanya non disse niente, invece prese velocemente le sue mani che strinse sentendo il proprio viso riscaldarsi prima di premere le proprie labbra contro la sua guancia. Non era sicura se fosse un “grazie” o uno “scusa”, ma fortunatamente non dovette aspettare e scoprire cosa ne pensasse Cinque.

Lo lasciò andare e corse giù per la cena. Non avrebbe abbandonato il suo gioco.

Dopotutto loro non stavano giocando e Cinque non le aveva fatto la fatidica domanda.
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(*)Ma qualcosa era cambiato. La volta successiva in cui fu in atto il suo gioco Cinque venne nella sua stanza e senza proferire parola si mise a fissarla per qualche istante prima di distendersi sul suo letto accanto a lei mentre entrambi iniziarono a fissare il soffitto della stanza di Vanya.

Lui non disse niente, semplicemente continuò a guardare il soffitto con la testa così vicina a lei che poteva percepire il suo calore e udire il suono del suo respiro forte e chiaro. Era quasi rassicurante.

Si domandò se forse anche Cinque stesse giocando ad un suo gioco. Si domandò se forse anche lui volesse che lei gli facesse la domanda così da farlo perdere. Ma non sapeva forse che in quel modo anche lei avrebbe perso? Qualcuno doveva essere il vincitore, anche se doveva trattarsi di nuovo di lei, non voleva rovinare il suo gioco.

Cinque si girò sul fianco fissandola finché non si chinò per depositarle un bacio sulla fronte senza una parola né una spiegazione.

-Se vuoi..parlare di qualcosa io sono qui-.

Nonostante fosse commossa e emozionata per via di quel bacio, tutto sparì quando realizzò che lui non aveva affatto capito le regole del gioco, nemmeno un po’ se lui pensava che lei volesse e avesse scelto di prendere parte al gioco.

Rimase al suo fianco mentre con una mano cercava le pillole nella sua borsa finché presa una la ingoiò senza nemmeno disturbarsi a sedersi.

Anche se a Cinque importava, non riusciva a capire.

Vanya era solita pensare che non essere importante per nessuno era la cosa più possibile peggiore ma realizzò invece che la peggiore era il fatto che loro non riuscissero a capire. Se nemmeno le persone che tenevano a lei riuscivano a capire chi altro avrebbe potuto farlo?

Il giorno dopo era tranquilla e anche se Cinque le chiese se stesse bene lui non le chiese mai perché non stesse parlando. Semplicemente prese timidamente una sua mano tra le proprie mentre erano seduti sul letto e gli chiese di parlarle facendo finta che ciò le bastasse. Facendo finta che sarebbe bastato sentirlo parlare e sentirlo preoccuparsi per lei. Facendo finta di poter fermare il gioco scegliendo di non doverci giocare il giorno dopo.

Il problema era che lei non era mai stata brava a fingere.

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Poi venne il giorno in cui Cinque la guardò durante il pranzo per poi chiedere per l’ennesima volta al Padre perché non potesse viaggiare nel tempo, e lei sapeva che lui voleva più di qualsiasi altra cosa che lei parlasse ma Vanya stava giocando al gioco del silenzio. Lei stava giocando e quindi non poteva parlare.

Per cui Vanya scosse la testa sapendo però che non sarebbe stato sufficiente per farlo rimare

E poi lui scomparve e ancora una volta Vanya aveva vinto. Lei vinceva sempre al gioco del silenzio.

Qualcuno noterebbe almeno la tua assenza se un giorno tu scomparissi?

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Vanya continuò a suonare il violino e a giocare al gioco. Il tempo passò. Lasciò la casa, finì la scuola, trovò un lavoro, scrisse un libro, seppellì suo padre, scoprì i suoi poteri, distrusse quasi il mondo e via dicendo. Ci fu un breve momento in cui non ebbe bisogno di riniziare il gioco quando pensava che Leonard sarebbe finalmente stata la persona che avrebbe sempre voluto parlarle e che avrebbe sempre saputo quando non farlo ma poi tutto scomparve e lei ritornò nelle braccia del gioco.

Non sarebbe stato grandioso se tutto fosse stato fantastico dopo quella vicenda? Non sarebbe stato fantastico se dopo aver riallacciato i rapporti con la sua famiglia non avesse più dovuto pensare al gioco? Lo sarebbe stato, ma non andò in quel modo.

Continuò a giocare al gioco di volta in volta e neanche i suoi colleghi se ne accorsero. Nessuno lo faceva. Lei vinceva sempre al gioco.

Tornò da lavoro senza aver mai parlato con nessuno e annuì a malapena quando il mattino dopo Cinque le chiese se desiderasse del caffè. Diventava addirittura più facile giocare al gioco quando doveva andare a lavoro.

I suoi fratelli erano distrutti proprio come lei per cui non c’era da stupirsi se alcuni giorni non mostravano nessun interesse per lei. Ognuno doveva affrontare i propri drammi personali. Aveva capito molto tempo fa che non poteva darsi la colpa per quello proprio come lei non poteva aspettarsi che loro risolvessero i suoi problemi. Anche lei non poteva far niente per loro.

-Sei stata silenziosa a cena- le disse Cinque mentre si stava dirigendo verso la propria stanza. Visto che la sua non c’era più si era appropriata di quella degli ospiti che era molto più grande rispetto alla sua vecchia camera che però aveva sempre trovato troppo enorme a quei tempi. Troppo vuota. Troppo solitaria.

Lei e i suoi fratelli avevano fatto un patto per cui finché non avessero capito come risolvere le cose avrebbero tutti vissuti sotto lo stesso tetto. Cose come la sottoscritta e i propri poteri e le sue medicine che aveva iniziato di nuovo ad assumere. Come poteva non farlo se l’alternativa era distruggere il mondo?

Quelle parole le causarono un attimo di smarrimento. Era quello il problema di giocare e vincere per così tanto tempo. Vanya non sapeva come perdere. Se qualcuno le avesse finalmente chiesto perché non stesse parlando lei onestamente non avrebbe saputo come rispondere. Ormai non lo sapeva più. Doveva aver dimenticato la risposta molto tempo fa.

Così Vanya alzò le spalle per poi afferrare il barattolino delle pillole tenendolo stretto nel proprio palmo e se ne andò nella sua stanza chiudendo la porta dietro di se. Qualche volta le era permesso barare. Dopotutto era il suo gioco.

Ma il fatto era che anche Cinque era un baro per cui apparve nella sua stanza senza nemmeno essere invitato andandole subito incontro mentre lei stava riponendo il proprio violino nella sua custodia appoggiata sopra il letto.

Sembrava diverso, insicuro. Aveva uno strano sguardo ma Cinque era sempre strano. Non era molto portato a parlare di sentimenti e Vanya capì così che era proprio di quello di cui lui voleva parlare. Sembrava come un pesce fuori dall’acqua mentre camminava avanti e indietro per la stanza. Lei desiderava ardentemente che se ne andasse e allo stesso tempo sperava che rimanesse. Il conflitto la stava quasi spezzando a metà dall’interno. Non era mai stata brava in quel tipo di situazioni. Si era sempre sentita troppo impacciata, strana, diversa anche tra le persone senza poteri. Adesso sapeva perché. Non apparteneva all’Umbrella Academy ma nemmeno apparteneva alla classe delle persone normali senza poteri. Le pillole la aiutavano a intorpidire tutto. Tutto il suo dolore, i suoi errori, le sue paure e perfino i suoi poteri. Erano l’unica cosa a parte vincere al gioco su cui lei aveva sempre potuto contare.

-Sei rimasta in silenzio anche una settimana fa e anche quando eravamo piccoli- iniziò a guardare dappertutto tranne verso di lei. Desiderò andarsene ma non voleva rischiare di incontrare qualcuno per i corridoi.

Una volta erano più uniti, pensava che sarebbe stato lui quello a farle la domanda e a farle perdere il gioco ma Cinque non l’aveva mai capito. A lui importava di lei ma non l’aveva mai capito e non le aveva mai fatto quella domanda. E adesso a lui non importava più di lei e non erano più uniti. Vanya desiderò che se ne andasse, che la lasciasse da sola e lei magari avrebbe potuto…...non lo sapeva più neanche lei.

-Alcune volte tu non parli- lo disse come un dato di fatto ma senza la sua solita confidenza e impertinenza, non sembrava affatto il Cinque che lei conosceva. Si ricordò che l’ultima volta che aveva avuto questo atteggiamento era stata quella volta in cui era andato molto vicino a vincere il gioco ma lei non glielo aveva permesso. Ma dopotutto lui non glielo aveva mia chiesto, pensava che fosse stata una sua scelta quella di mettere in atto il gioco. Lui non sapeva che non era affatto stata una sua scelta. Lei aveva solamente avuto il bisogno di giocarci.

Cinque sembrava insicuro su quello che voleva dire così come lo era Vanya.

-Vanya, perché non parli?- chiese piano a malapena più forte di un sussurro ma valeva lo stesso. A lei bastava quello. Quelle erano le regole. Quelle erano le regole del suo gioco del silenzio. Del gioco a cui non riusciva a rinunciare. Del gioco a cui aveva sempre vinto fino a quel momento almeno…

Anche se sapeva di aver appena perso e che lui aveva vinto, anche se sapeva che adesso era finita lei non riuscì ad aiutarlo e scosse la testa mentre le lacrime scivolavano sulle sue guance così riprese il contenitore delle pillole pronta a prenderne una come aveva sempre fatto quando veniva scossa da troppe emozioni. Adesso era ancora più necessario visto che una sua semplice crisi poteva portare alla fine del mondo in cui Cinque era stato costretto a vivere per decenni.

Provò ad aprire il barattolo ma il coperchio non si muoveva e la sua frustrazione iniziò a crescere sempre di più mentre provava ancora e ancora a svitare il tappo finché non apparve una mano di Cinque ad avvolgere la sua. Da quando le mani del ragazzo erano diventate così grandi da riuscire ad avvolgere le sue? Da quando era diventato così grande e così forte tanto da riuscire a fermarla? Da quando gli importava davvero di lei? Da quando aveva iniziato a comprenderla?

Vanya alzò lo sguardo verso di lui.

-Niente pillole oggi, va bene?- chiese per poi aspettare finché lei non fece un cenno di assenso.

-Parlami- disse ancora con voce stranamente delicata ed era quasi troppo per lei da sopportare, infine annuì di nuovo – o...okay-.

Aveva davvero perso al gioco questa volta.

Così Vanya parlò. Raccontò a Cinque del gioco spiegandogli le regole. Parlarne ad alta voce la faceva sembrare una cosa stupida ma lui non la giudicò mai con lo sguardo né prese in giro l’idea. Aspettò che lei avesse finito prima di parlare. Non era come quando erano piccoli. Questa volta la lasciò parlare, la lasciò argomentare le proprie idee. Non aver preso la pillola contribuì a farle avere una mente lucida anche se i mobili intorno a loro tremavano di tanto in tanto.

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Avrebbe voluto poter dire che da quel giorno aveva smesso di giocare ma invece lo faceva ancora di tanto in tanto. Non era facile lasciar andare via l’idea di quanto tempo sarebbe stato necessario ad una persona prima che gli importasse così tanto di lei da notare il suo silenzio. Col tempo i suoi fratelli iniziarono a trattare il suo silenzio come un dato di fatto, forse lo avevano sempre fatto pensando però che fosse una sua scelta invece che un qualcosa su cui lei non aveva il controllo.

Non le chiesero mai perché non parlasse, si limitavano a dire quanto lei rimanesse sempre in silenzio, in quei casi se voleva perdere guardava Cinque e lui poggiava la sua mano sopra il proprio gomito per poi cercare con voce sommessa di convincerla a parlare.

Le pillole e il gioco erano stati una gran parte di lei per troppo tempo per lasciar semplicemente perdere quindi continuava a giocare e con Cinque a giocare insieme a lei era diventato anche più divertente. Probabilmente era strana ma Vanya amava perdere con lui. Altre volte Cinque sfruttava il gioco per semplice diletto quando le faceva intenzionalmente delle domande a cui lui sapeva che non poteva rispondere.

-Personalmente neanche io parlerei con quegli idioti per tutto il giorno se potessi, tu sei più astuta di me- diceva con un sorrisetto mentre lei alzava gli occhi al cielo prima di baciare di nuovo la sua guancia.

In particolare amava perdere con Cinque quando la convinceva a sedersi accanto a lui per poter parlare di tutto quello che voleva, senza fermarsi mai, anche di argomenti apparentemente ridicoli o superficiali. Lui semplicemente le restava accanto lasciandola parlare. Forse presto non avrebbe più avuto bisogno del gioco del silenzio o forse ne avrebbe sempre avuto bisogno, ma per ora era confortante sapere che almeno una persona lo aveva notato, che almeno una persona se ne fosse preoccupato.

E cosa più importante che l’avesse compresa. Forse sarebbe stato sufficiente.

 

 

 

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Note della traduttrice: Premetto che questa è la seconda fan fiction che io abbia mai tradotto, non ho lauree in inglese o robe simili quindi parecchi passaggi non sono stati tradotti alla lettere anche perché magari in italiano non avevano neanche senso ma più come la mia mente li interpretava.

Ovviamente vi consiglio di andare a dare un’occhiata anche all’originale( https://www.fanfiction.net/s/13618644/1/The-Quiet-Game ) appena l’ho letta me ne sono innamorata e non esagero a dire che ho pianto per tutto il tempo e alla fine sono scoppiata a piangere, mi ha veramente toccato nel profondo e per questo ho deciso di tradurla.

Spero che anche a voi sia piaciuta così tanto, sappiate che qualunque recensione scriverete mi premurerò di mandarla anche alla vera autrice a cui ovviamente ho chiesto prima il permesso, quindi è informata di questa traduzione.

Altre Note:

(*) Ho avuto un po’ di difficoltà a comprendere la parte in cui Vanya e Cinque sono distesi sul letto quindi ho omesso alcuni dettagli che non sapevo come tradurre.

Altre note: l’autrice usa innumerevoli volte “play the game”- “giocare al gioco” ma siccome non mi piace molto come suona in italiano alcune volte ho sostituito play con altri tipi di verbi anche per non creare così troppe ripetizioni.


  
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