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Autore: bambolinarossa98    19/09/2020    1 recensioni
[Seconda storia della serie The Chronicle's of Mafia Family.]
🌟
[Katekyo Hitman Reborn!Crossover]
Gli Anelli Vongola, gli Anelli Mare e i Ciucciotti degli Arcobaleno.
Insieme formano il Trinisette: tre gruppi di sette pietre ciascuno che, si dice, abbiano creato il mondo...

*
[...]Il suo volto era illuminato dalle fiamme che guizzavano nel recipiente di pietra a cui era appoggiato, creando ombre danzanti sul suo viso che lei riusciva a scorgere benissimo... eppure, se doveva soffermarsi sui dettagli, questi le sfuggivano. Come un sogno che si cerca di ricordare mentre quello continua a scivolare via dalla tua mente.
*
[...]Un giorno, in un futuro lontano, potresti guardarti indietro e pensare: ma io ero davvero così? E sarà strano, nostalgico, ma anche buffo e ti scapperà un sorriso perché ti renderai conto di quanto tu sia cresciuta. -
***
Un misterioso bambino venuto dall'Italia.
Uno strano ragazzo venuto dal Giappone.
Un segreto che nasce dagli albori della famiglia mafiosa più potente del mondo.
Il destino di Marinette, ereditato col sangue.
*
[Sequel di The Third Family]
Genere: Azione, Mistero, Slice of life | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Altri, Marinette Dupain-Cheng/Ladybug
Note: Cross-over | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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- Questa storia fa parte della serie 'The Chronicle's of Mafia Family'
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Titolo: The Lady of the Ring
Capitolo: 17. Colonnello, l'Arcobaleno della Pioggia
Fandom: Katekyo Hitman Reborn - Miraculous
Numero Parole: 15.900
Note: Sono passati due anni dall’ultima volta che ho pubblicato un capitolo ma questo non significa assolutamente che abbia abbandonato la storia. Sono successe tante cose e ho davvero passato un periodaccio: dopo aver ricevuto il computer nuovo credevo di potermi rimettere in carreggiata come prima ma mi sbagliavo, sono rimasta senza scrivere così a lungo che ho avuto un blocco. Sapevo esattamente cosa volevo descrivere ma non riuscivo a scriverlo, mi mettevo davanti al PC e avevo un vuoto totale e questo mi ha buttata davvero giù. È stato un momento difficile sotto molti di punti di vista e, per un po’, ho davvero creduto che fosse tutto finito: The Lady of the Ring era arrivato al capolinea e con essa tutto ciò che avevo costruito.
Poi è successo. Non so come, non so perché, ma è successo: mi sono svegliata una notte, ho acceso il computer e ho iniziato a scrivere come non avevo mai fatto in vita mia. Mi sono sentita felice, leggera, emozionata e più digitavo più sentivo di poter continuare a farlo. Era solo l’inizio e, finalmente, sono riuscita a ritrovare il mio ritmo.
Quando ho finito questo capitolo ho pianto di sollievo così a lungo che mi sono quasi disidratata.
Ebbene, per farla breve, sono tornata e ho tutta l’intenzione di restare. Vi ringrazio per essere stati pazienti e aver avuto fiducia in me, anche in quei momenti in cui io stessa non ne avevo, e spero che quanto scritto di seguito non deluda le vostre aspettative (soprattutto visto tutto il tempo che avete aspettatto).
Buona lettura.













Squalo se n'era andato appena era riuscito a rimettersi in piedi, pochi giorni dopo. Semplicemente, una mattina, Marinette era scesa in cucina e non lo aveva trovato.
Dino le aveva spiegato, tra uno sbadiglio e un sorso di caffé, che il ragazzo era partito molto tardi quella notte e non aveva voluto svegliarla inutilmente e lei non poté negare di essersi sentita un po' demoralizzata dal fatto che lui ritenesse il doverla salutare qualcosa di futile.
E non solo: lei non sapeva che sarebbe tornato in Italia quel giorno. Nessuno le aveva detto niente, il diretto interessato prima di tutti, e ciò la fece sentire un po' messa da parte.
Aveva provato a condurre le sue giornate come al solito ma la mancanza di Squalo in casa era troppo evidente: a partire dal silenzio che regnava sovrano tra quelle quattro mura, al bussare ritmico sulla porta del bagno ogni mattina benché non vi fosse nessuno oltre di essa, al piatto in più che Sabine ogni tanto metteva ancora a tavola prima di ricordarsi che non erano più in sette ad abitare sotto quel tetto. E Marinette era spenta. Rideva, chiacchierava, sclerava, studiava, inciampava nei posti più improbabili, salvava Parigi dal male... ma non aveva più la stessa vitalità di prima. C'era sempre un'ombra dietro i suoi occhi che faceva intuire quanto in realtà si sentisse sola.
E dopo due settimane anche i suoi amici avevano capito che la situazione era grave. E fu assurdo rendersi conto che la prima a preoccuparsene era stata proprio Chloé. Cioé, non che si fosse esattamente preoccupata, o almeno non lo aveva lasciato intendere, ma se Alya, Nino e Adrien si erano limitati a cercare di tirare su il morale di Marinette senza esporre troppo il problema che l'assillava, la ragazza era andata dritta al punto senza mezzi termini.
In una mattina come tante, che stavano passando in biblioteca a studiare, Chloé si era avvicinata scostando una sedia e abbandonandovisi sopra, accanto ad Adrien, che alzò gli occhi su di lei sopreso e turbato. Ma, per una volta, lei non lo degnò più di un "Ciao, Adrikins" piuttosto arido, privo della solita vena diabetica e civettuola che sempre impregnava le sue parole quando si rivolgeva a lui. Aveva guardato in direzione di Marinette, che la fissava da sopra le pagine di un libro abbandonato a sé stesso, perplessa e interrogativa: non sempre era un buon segno se Chloé decideva di parlarle, o anche solo di starle vicina, sebbene in quell'ultimo periodo la ragazza si era dimostrata inquietantemente amichevole nei suoi confronti. E le parole "Chloé" e "amichevole" non potevano stare nella stessa frase, andava contro ogni legge della natura.
- Per quanto la cosa non sia affar mio, e non me ne può fregar di meno intendiamoci, non posso proprio far a meno di farti notare che non c'è gusto a litigare con qualcuno dal morale così basso - iniziò, con un tono che era un misto tra il seccato e l'indignato - Pertanto, non essendoci nessuno al di fuori di te con cui valga la pena battibeccare, la mia psiche ne risente pesantemente. Ho bisogno di sfogarmi, capisci? - chiese, guardandola in modo serio, forse un po' troppo per ciò ch stava dicendo, con i suoi occhi azzurrissimi - Dunque, o tiri fuori un insulto decente e creativo a cui io possa rispondere per le rime e mettermi il cuore in pace almeno per oggi... o sputi il rospo e ti decidi a dire perché sei così dannatamente depressa perché non ti si può guardare. -
Marinette sbatté gli occhi un paio di volte, incredula a quello che le sue orecchie avevano appena udito, mentre Alya e Adrien la fissavano allibiti. Solo Nino non sembrava troppo sorpreso anzi, era vagamente divertito da quella situazione.
Radi, poi, scoppiò sonoramente a ridere, biascicando a stento qualcosa di incomprensibile prima di ritirarsi dalla mente di Marinette per non travolgerla con le proprie emozioni.
Sotto lo sguardo scioccato di tutti fu Nino a rispondere, che sembrava l'unico perfettamente tranquillo e a proprio agio - Marinette è un po' giù di corda perché Squalo è tornato in Italia - spiegò.
Chloé inarcò un sopracciglio, impassibile - Quello carino biondo o quello bello antipatico? - chiese. Marinette dilatò le pupille, fissandola come se fosse un'aliena, e non solo perché si stava effettivamente preoccupando per lei (la fine del mondo era forse vicina?) ma perché aveva fatto un sottilissimo paragone tra Dino e Squalo mettendo quest'ultimo un gradino sopra l'altro. Perché Dino era carino, mentre Squalo era bello. Un confronto debole eppure profondo che lei non riusciva a comprendere per quanto si sforzasse: in quanto donna concordava che, sì, Squalo e Dino erano davvero due bei ragazzi, su quello non ci pioveva... ma il suo cervello non aveva mai elaborato un confronto tra i due. Erano entrambi suoi cari amici, quasi dei fratelli, poteva confrontarli a livello caratteriale (e lì ci sarebbe stato molto da dire poiché erano praticamente l'uno l'opposto dell'altro) ma fisicamente... non le era mai neanche passato per l'anticamera del cervello. Era assurdo. Era ridicolo.
- Quello antipatico - rispose Nino. Chloé sbatté le palpebre, lentamente, senza mostrare nessuna particolare reazione, infine tornò a posare lo sguardo su di lei.
- Beh? Non se n'é andato per sempre, no? - chiese, con disinvoltura, lasciandola spiazzata - Voglio dire ritornerà, giusto? -
Marinette, che ancora la fissava sconvolta con gli occhi spalancati e la bocca socchiusa, si riscosse di colpo e scosse il capo, leggermente disorientata.
- N-no... - rispose, confusa - Certo che torna. Non so quando ma... - farfuglió.
- E allora dov'è il problema? - domandò lei, alzando gli occhi al cielo, come se stesse spiegando qualcosa di particolarmente facile ad un bambino di tre anni - E non guardarmi in quel modo! - aggiunse, poiché la ragazza la fissava tra l'allucinato e lo sconvolto.
- Beh... ecco... - balbettò turbata - Ti ringrazio per il pensiero Chloé ma... sto bene, quindi... - si bloccò, non sapendo come continuare, e Radi che rideva senza sosta in un angolino del suo cervello non aiutava per niente - Vale ancora la cosa dell'insulto? - chiese infine, disperata. Nino scoppiò a ridere, abbandonandosi sul tavolo e premendo la bocca contro l'incavo del gomito per soffocarne il suono. Alya gli tirò un calcio da sotto il tavolo, beccandolo al ginocchio e facendolo gemere, ma prima che Chloé potesse rispondere il telefono nella borsetta di Marinette squillò, facendola sussultare.
Ancora un po' confusa lo tirò fuori e sgranò gli occhi quando lesse il nome sul display: Squalo.
- È lui - mormorò, stupita - Scusatemi un attimo - aggiunse, alzandosi di scatto e correndo dietro uno scaffale in un angolo della biblioteca, lontano dal tavolo, senza neanche dar loro il tempo di rispondere. Era la prima volta che la chiamava da quando se n'era andato e Marinette non poteva neanche lontanamente immaginarne il motivo; si sentiva anche un po' nervosa se proprio doveva dirlo, tuttavia si affrettò a rispondere.
- Pronto? -
Si era aspettata di udire un "Voi!" spaccatimpani o quanto meno la voce del diretto interessato provenire dal ricevitore... o meglio ci aveva sperato. Invece fu un confuso vociare quello che le arrivò all'orecchio, un brusio simile ad un'accesa conversazione: su per giù potevano essere tre o quattro persone e parlavano tutte in italiano. Lì per lì rimase perplessa, non avvertendo nessun sentore di risposta da parte del proprietario dall'altro lato, ma poi il dubbio che la chiamata fosse partita per sbaglio la colse e fu giusto sul punto di chiudere, un po’ tristemente, quando la voce di un ragazzo la raggiunse vicinissimo all'apparecchio.
- ...il divano - disse, con un tono seccato e rassegnato - Come cazzo lo riprendiamo, adesso? -
- Sei tu il genio, fatti venire un'idea - rispose una voce maschile, palesemente in falsetto e piuttosto effemminata - Se lo viene a sapere non la smetterà più di sbraitare. Hai dimenticato la scenata che ha fatto quando Levi gli ruppe la tazza che aveva preso all'Acquario di Genova? -
- Mi pulsano ancora le orecchie solo a pensarci - borbottò il ragazzo - Mammon, infilati sotto il divano e recupera il telefono - ordinò.
- Cinquanta euro - rispose una vocina, sottile e infantile ma secca e impassibile.
- Mocciosa spocchiosa, cinquanta euro per prendere un fottuto telefono da sotto un fottuto divano? -
- Hai dimenticato di chi è il telefono - rispose una quarta voce, profonda e tonante - E le conseguenze se lo viene a sapere. -
- Hai ragione. Facciamo cento euro - concordò la bambina.
- Andate a fanculo tutti e tre - sbottò il ragazzo.
Marinette ci mise giusto qualche secondo ad elaborare quella conversazione (poteva vantare di aver ottenuto una certa conoscenza della lingua italiana, ma aveva il dubbio che Radi le stesse passando il significato di alcune parole da un angolino della propria mente) e capì i punti fondamentali degli eventi in un lampo: la chiamata era partita per sbaglio, proprio come aveva sospettato; il telefono di Squalo non era nelle mani del proprietario ma sotto un divano, e lui non lo sapeva neanche; a farcelo finire erano stati gli altri membri dei Varia.
Perché era vero che non li aveva mai visti, ma almeno i nomi li conosceva: Levi e Mammon erano due ufficiali, la seconda addirittura un Arcobaleno e molto spilorcia in fatto di soldi… ciò significava che il ragazzo doveva essere Belphegor essendo il più giovane della compagnia (dopo Mammon) e l'uomo con la voce in falsetto Lussuria. E si fidava alquanto del suo intuito.
- Ok. Levi alza il divano, io mi ci infilo sotto e lo recupero - dispose Belphegor. Ci furono diversi rumori, tra cui un sospiro trattenuto e il suono di qualcosa di pesante che strisciava sul pavimento, poi la voce del ragazzo uscì leggermente soffocata ma trionfante.
- Ehi, ho trovato il telecomando! - esclamò - E una bottiglia di Bourbon... Boss, non è tua questa? - aggiunse, leggermente perplesso.
Una voce bassa e rauca borbottò qualcosa che Marinette non capì essendo troppo lontana, ma non le ci volle molto per fare due più due: c'era solo una persona che i Varia potevano chiamare Boss e quella persona era Xanxus.
- Preso! -
Il divano ricadde pesantemente al suolo e le voci si fecero più nitide.
- Cazzo, è in chiamata! - sibilò Belphegor, agghiacciato, dopo pochi secondi.
- Chi hai chiamato? - quasi strillò Lussuria, in preda al panico.
- Ma che ne so... quì c'è scritto "Mocciosa" - borbottò il ragazzo.
Marinette fece una smorfia, un po' offesa e un po' intenerita dal nomignolo che Squalo le aveva dato, ma gelò quando sentì le voci dei Varia accavallarsi l'una sull'altra, chi turbato e chi curioso.
- Beh, dí qualcosa! -
- Ma sei scemo? Chiudi! -
- Tanto ormai sarà in linea se ha risposto, no? -
- E se richiamasse? E se Squalo lo venisse a sapere? Quello c'ammazza a tutti e quattro! -
- Esagerato! Ci amputerà qualche arto, semmai... -
- Taci, Mammon. -
- Ehm... pronto? -
Marinette trattenne il fiato, ma non rispose quando la voce di Belphegor le arrivò alle orecchie forte e chiara, seppur incerta.
- Forse ha risposto per sbaglio e non si neanche accorta della chiamata - provò Lussuria, speranzoso.
- No, purtroppo me ne sono accorta - rispose Radi, allegramente. Marinette si tappò la bocca con la mano, lanciandogli un paio di maledizioni in cinese, poi tossì leggermente, a disagio e in imbarazzo.
- Oh, cavolo... - mormorò Bel - Senti, dolcezza, facciamo una cosa: adesso io chiudo il telefono e fingiamo che questa conversazione non sia mai avvenuta. Ok? - chiese, con una nota di isterismo nella voce.
Marinette annuì vigorosamente, dimentica che loro non potessero vederla - Sono completamente d'accordo! -
- Ottimo! - si rilassò lui, con un sospiro di sollievo - Intelligente, la ragazza! - commentò poi già più distante, segno che stava per chiudere... ma appena mezzo secondo dopo un tonfo assordante fece gelare tutti da entrambi i lati e la voce di Squalo risuonò nel ricevitore con la forza di una tromba.
- Vooi! Ho dimenticato il telefono in salotto, qualcuno lo ha visto? - sbottò, nervoso.
Scese un lunghissimo silenzio nel quale Marinette sentì distintamente la paura dei presenti crescere a dismisura anche attraverso il telefono... poi Levi parlò.
- È stato Bel. -
- Figlio di puttana! - imprecò il ragazzo.
Infine Squalo esplose, propinandosi in una serie di insulti e minacce che avrebbero indotto al suicidio qualunque adolescente medio. Marinette dovette allontanare il telefono dall'orecchio per non restare sorda e lo fissò, sconvolta e scandalizzata: nonostante Radi avesse bruscamente interrotto il processo di traduzione ormai Marinette aveva sentito abbastanza e poteva solo intuire il resto.
Tra parantesi sta parlando in siciliano, la informò lui.
- Lo avevo notato - rispose lei, in tono monocorde.
- Squalo! Squalo, per amor del cielo... sei in chiamata! - strillò Lussuria per farsi sentire da sopra al frastuono, interrompendolo. Il ragazzo ringhiò qualcosa che suonò come un - E chi cazzo avete chiamato, coglioni?! -
- Ehm... una ragazza, giovane - rispose Belphegor - È segnata come "Mocciosa". -
Un agghiacciante silenzio seguì quelle parole e Marinette trovò finalmente la forza di premere il tasto rosso, chiudendo definitivamente la chiamata.
Restò impalata a fissare lo schermo nero per un minuto buono ma non accadde nulla, quindi lo rimise nella borsa e ritornò lentamente al tavolo, dove i suoi amici la stavano aspettando confabulando tra di loro. S'interruppero quando la videro arrivare e alzarono lo sguardo su di lei.
- E quindi? - chiese Nino, curioso. Marinette alzò le spalle.
- La chiamata era partita per sbaglio, il telefono lo aveva un... collega - rispose, eterea, sedendosi.
Vide distintamente l'occhiata sfuggente che si rivolsero Nino e Chloé e si chiese cosa cavolo stesse succedendo tra quei due.
- Ehi, Marinette, oggi mio padre è all'Hotel Palace per organizzare un evento. Ti va di venire con me? - domandò d'un tratto lui - Serve anche qualche dolce per il buffét e ho pensato che tuo padre potrebbe fornircerli, che ne dici? -
Marinette, colta un po' alla sprovvista, ci mise qualche secondo a registrare le informazioni ma infine annuì - Certo, con piacere. -
Il ragazzo sorrise - Ottimo! Ti passo a prendere alle quattro! - esclamò, chiudendo il libro ed alzandosi - Ci vediamo più tardi, bro! - salutò Adrien dandogli una pacca sulla spalla e sparì dietro uno scaffale.
- Beh, ho da fare anche io. Ci si vede - salutò spiccia Chloé, scattando in piedi e sfrecciando praticamente nella stessa direzione.
Marinette aggrottò le sopracciglia, sospettosa - Solo a me quei due sembrano strani? - chiese. Le occhiate che le rivolsero i due compagni fu una risposta più che sufficente.








Marinette non aveva ancora ben definito il proprio stato d'animo. In quegli ultimi giorni, sopratutto, c'erano stati momenti in cui non aveva provato nulla a livello emotivo, restando a fissare il vuoto anche per ore, impassibile, con mille pensieri per la testa e tutti senza uno scopo preciso.
Un po' come in quel momento, in cui stava facendo pigramente rotolare un macaron nel proprio piatto fissando la chat della Vongola Famiglia scorrere velocemente sotto i propri occhi, impegnata come sempre in una solida discussione. C'era stata una litigata epocale tra Gokudera e Tayou poiché quest'ultima aveva fatto entrare altre persone nel gruppo. E Marinette ci aveva messo un po' a capire che “quegli stronzi” (come li aveva definiti il ragazzo) erano gli altri membri dei Varia.
Da quello che aveva letto, Belphegor si era preso il numero della ragazza dal telefono di Squalo e li aveva fatti aggiungere tutti. Non che la cosa le importasse particolarmente, in quel momento era talmente distratta che capiva la metà delle cose che leggeva, concentrata più che altro su Squalo che stava insultando Bel in ogni lingua possibile poiché aveva casualmente rivelato in chat come lui l'avesse salvata sul cellulare… anche se non riusciva a ricordare quando avessero effettivamente iniziato a parlare di lei.
Prese l'estremità del macaron tra le punte di indice e medio, e lo fece girare lentamente su sé stesso: suo padre ne aveva preparati a chili in quei giorni, con la scusa di voler testare nuove ricette e colori, ma Marinette aveva il serio dubbio che cercasse di tirarle su il morale che lei ormai aveva decisamente sotto i piedi. Eppure, quei miseri biscotti avevano il potere di farla sentire ancora più depressa: erano i dolci preferiti di Squalo, dopotutto, suo padre ne sfornava una teglia ogni mattina appositamente per lui; così come preparava i croissant con la crema di mandorle solo per Dino, i biscotti al caffé per Bianchi e le brioche integrali per Lal. Nessuno glieli aveva mai chiesti, Tom aveva inquadrato quasi immediatamente i gusti di ognuno e, quando la mattina si alzava per aprire il negozio, la prima cosa di cui si occupava era proprio la loro colazione così che li trovassero già in tavola una volta svegli.
Ed era una cosa che tutti avevano apprezzato molto.
- Hai intenzione di giocarci ancora o di mangiarlo? - domandò Bianchi, mettendo a posto l'ultimo piatto appena lavato nella credenza e chiudendo l'acqua della fontana.
Marinette alzò lo sguardo su di lei, come se si fosse appena svegliata da un lungo riposino pomeridiano, e si alzò - Sì, mi ero solo distratta - annuì, prendendo finalmente il biscotto. Era di un azzurro chiarissimo, ottenuto con il succo di mirtilli, e farcito con una crema al cioccolato bianco e cannella; la ragazza sospirò prima di cacciarselo in bocca. Bianchi si asciugò le mani con un panno e lo rimise appeso al forno, incrociando le braccia al petto e poggiandosi al lavello.
- Sicura vada tutto bene? - chiese - È da quando sei tornata che fissi il cellulare senza farci niente. -
Marinette scrollò le spalle - Sono in uno di quei giorni in cui non ho voglia neanche di respirare - ammise, tirando le braccia in aria e stiracchiandosi - Sarà il tempo, quando fa freddo sono affetta da una profonda crisi di pigrizia. -
In effetti quelle ultime settimane di febbraio erano state particolarmente gelide tanto che per un paio di giorni aveva addirittura nevicato seppur lievemente. Bianchi sorrise, guardando l'orologio, e si staccò dal ripiano della cucina.
- È meglio prepararsi, il tuo amico arriverà fra pochi minuti - constatò. Marinette chiuse whatsapp e recuperò il telefono, scendendo dallo sgabello e dirigendsi verso le scale.
Se doveva essere sincera, dopo l'incidente di quella mattina aveva sperato che Squalo la richiamasse o le mandasse un messaggio o quanto meno la contattasse. E invece niente, c'era stato solo silenzio da parte sua; per un attimo si era chiesta cosa sarebbe successo se non avesse chiuso la chiamata ma poi pensò che, quasi sicuramente, sarebbe stato lui a mettere giù.
Oppure no?
Scosse il capo e decise di non pensarci, mentre frugava distrattamente nell'armadio in cerca di qualcosa da mettere per uscire. Sospirò, recuperando una camicia e un maglioncino, e iniziò a vestirsi. Non riusciva neanche a dire con esattezza perché si sentisse cosí giù. Forse più che la lontanza era stato il comportamento di Squalo a ferirla maggiormente: quel suo sparire all'improvviso e non farsi più sentire, quasi fosse stata giusto una cosa passeggera e da quel momento in poi ognuno per la propria strada. Per un istante aveva anche pensato che, forse, non sarebbe neanche tornato prima che Lal le tirasse un calcio rotante nel fondoschiena, intimandole di darsi una svegliata e smettere di fare la depressa che non la si poteva più vedere.
Ed era inutile anche negarlo: Marinette si era affezionata troppo a lui. Cosí come si era affezionata a Bianchi, Dino e Lal... ma con loro aveva la certezza che, anche se si fossero allontanati, sarebbero rimasti comunque in contatto. Con Squalo, invece, aveva ormai ben chiaro che cosí non fosse.
Nino venne a prenderle dieci minuti dopo e Marinette rimase basita nel vederlo arrivare con la limousine di Chloé con tanto di proprietaria dentro. Stava succedendo qualcosa di strano tra quei due nelle ultime settimane e ormai il cervello di Marinette era partito a farsi i più disparati film mentali a riguardo, uno più folle dell'altro; ma Nino sembrò lo stesso di sempre quando scese dalla macchina con un largo sorriso sulle labbra, salutandola come al solito e facendole accomodare all'interno della macchina.
Il viaggio fu tra i più silenziosi a cui Marinette avesse mai preso parte e, quando arrivarono all'hotel, Nino le scortò fin sul luogo dei lavori, dove gli impiegati stavano allestendo un salone per un ricevimento.
- Sai, sono ospiti molto importanti in visita a Parigi. Vengono dal Giappone e volevamo offrire loro dolci tipici della Francia ma anche qualcosa di giapponese, per farli sentire a loro agio. Il pranzo sarà un misto di portate, quindi è giusto che lo sia anche il dessert - spiegò Nino, guidandole attraverso la sala.
Bianchi osservò degli uomini appendere un grande ventaglio variopinto alla parete, prima di rivolgersi al ragazzo - Ho vissuto in Giappone nel corso dell'ultimo anno - informò - E conosco i dolci classici del Paese, anche se ogni città e regione ha le sue tradizioni - spiegò - Potrei consigliarvi qualcosa da servire. Per quelli francesi andremo sul classico. -
Nino sorrise, annuendo - La trovo un ottima idea! -
- Che cosa farete per il pranzo? - domandò Marinette, giusto per partecipare alla conversazione prima di distrarsi seriamente.
- Oh, di tutto e di più. Sono stati fatti venire i cuochi migliori per l'occasione: c'è la possibilità che mio padre concluda un grosso affare e il signor Bourgois vuole aprire una filiale di Hotel-ristoranti anche a Tokyo, quindi sarebbe un ottimo aggancio - rispose il ragazzo.
Chloé scrolle le spalle, apparentemente indifferente - Mio padre ha chiamato il gestore di un ristorante di sushi del Giappone: è il migliore dell'intero continente, verrà di proposito quí a Parigi per partecipare all'evento - concluse, rimirandosi lo smalto color panna - È anche il nostro ristorante di fiducia: mio padre mi ci porta ogni anno per il mio compleanno. Un po' modesto ed in una cittadina piccola, ma fa il pesce crudo più buono che esista. Quindi andiamo sicuri. -
- Wow - commentò Marinette, stupita - Avete fatto le cose in grande. -
- Eccome - annuí Nino - Ci manca solo che vengano invitati Ladybug e Chat Noir - rise, per poi farsi un po' più serio - No, Chloé, non pensarci neanche - sancí, poiché la ragazza aveva già aperto bocca per ribattere.
Lei mise il broncio - Ma perché no? - sbuffò, incrociando le braccia al petto contrariata.
- Va bene fare bella figura ma non esageriamo: cosa mai potrebbero c'entrare due supereroi in un colloquio di lavoro? - chiese il ragazzo.
Chloé borbottò qualcosa, indispettita, ma non replicò. Nino batté le mani.
- Ordunque! - iniziò, guidandole verso il retro della sala - Del menú si occupa la signora Césair. Puoi discutere con lei dei dolci, Bianchi, e se vuoi suggerire qualche piatto fai pure - illustrò, indicando la madre di Alya che discuteva ad un tavolo con alcune persone.
- Ottimo - annuí Bianchi.
- Per quanto riguarda le ragazze... Marinette, per non annoiarci a morte possiamo spostarci di sopra - propose Nino - Chloé ha un televisore enorme: ci possiamo vedere qualche film, chiacchierare un po'... che ne dici? -
Marinette spostò lo sguardo su Bianchi che le fece un cenno, sorridendo. - Certo, va bene - annuí.
- Non me la perdete - raccomandò la donna, già avviandosi verso il gruppo. Nino sorrise, prendendo la ragazza sotto braccio.
- La terrò sotto gli occhi tutto il tempo - promise, solenne, scambiandosi un sorriso con lei. - Da questa parte, signorine - invitò, prendendo Chloé sotto l'altro braccio e scortandole su per le scalinate.
Marinette era già stata in camera della ragazza ma esclusivamente nelle vesti di Ladybug, quindi dovette fingersi sinceramente sorpresa quando raggiunsero l'ultimo piano ed entrarono in quello che somigliava più ad un piccolo appartamento che ad una camera.
- Wow, Chloé... - esclamò - È stupenda! -
La bionda scivolò dalla presa di Nino e si aggiustò la frangia con un gesto della mano - È anche meglio della suite reale. Era scontato che la ricevessi io - esclamò, altezzosa.
- Ovviamente - mormorò Marinette, a mezzavoce, sbottonandosi il giubbotto. Nino sprofondò nel divano, accuratamente spostato per dare una visione perfetta del televisore a ottantasette pollici a chiunque vi fosse seduto.
- Che film vediamo: horror, avventura, azione, fantasy? Niente romantici, per carità - supplicò, prendendo il telecomando.
Marinette sorrise, sedendosi accanto a lui - E se scegliessimo una bella commedia leggera e divertente? - domandò.
- Ottima idea. Chloé? - chiese, sporgendosi oltre la testa dell'amica. La ragazza, intenta ad aggiustare i cuscini tolti dal divano già precedentemente sistemati in una pila ordinata su un tavolino, scrollò le spalle.
- Quello che vi pare - rispose, indifferente.
- E commedia sia! -
Mentre Nino sceglieva il film, Marinette aprí il cellulare scorrendo la chat della famiglia, che nel frattempo aveva accumulato una quantità di messaggi statisticamente impossibili per il lasso di tempo in cui erano stati inviati.
Quasi non si accorse di Chloé che passava dietro di lei e spariva in una porta sistemata accanto ad un enorme libreria contenente CD musicali.
- Uh, questo è bellissimo! - esclamò Nino, scegliendo un film di cui lei non si prese neanche la briga di leggere il nome. Chloé tornò pochi secondi dopo, sedendosi accanto a lei con braccia e gambe accavallate. Marinette chiuse il cellulare e lo posò sul tavolino di fronte a sé, cercando di concentrarsi sulla voce narrante della pellicola.
Passarono cosí i primi venti minuti finché il maggiordomo di Chloé non sbucò dal nulla accanto a loro spingendo un carrello portavivande.
- Posso offrire uno spuntino? - chiese e, senza aspettare una risposta, lasciò scivolare sul tavolino un vassoio dopo l'altro scoperchiandoli in meno di qualche nanosecondo con una maestria ed un eleganza sbalorditiva. Marinette si trovò leggermente a disagio quando vide torreggiare di fronte a sé macedonie di frutta, dolci di ogni sorta, cioccolatini, tartine al caviale, cocktail di gamberi e una grande bottiglia di succo ai frutti di bosco accompagnata da tre calici.
E lei che per spuntino intendeva una brioche, una mela o un panino al prosciutto.
Il maggiordomo s'inchinò con un sorriso e si ritirò. Nino prese al volo un cocktail di gamberi e sprofondò nel divano, mentre Chloé si concesse giusto una macedonia; Marinette non aveva la più pallida idea di dove mettere le mani: dopotutto era un tipo semplice, tutte quelle cose sofisticate non facevano assolutamente per lei, tuttavia aveva decisamente un certo languorino.
Tentennò un attimo sulla macedonia ma infine la curiosità prese il sopravvento e le sue dita si chiusero su una tartina: non aveva mai assaggiato del caviale e non sapeva quando le si sarebbe ripresentata l'occasione. Perché non approffitarne?
Nino le diede una gomitata sul braccio, divertito - Prima volta? - domandò.
- Sono una povera mortale, che puoi farci - alzò le spalle lei, cacciandosi il piccolo quadrato di pane in bocca; la prima cosa che sentí fu il sentore del burro spalmato sulla tartina, poi chiuse i denti sulle uova e i sapori le esplosero in bocca: il caviale era cremoso ma viscido sulla lingua, aveva un'aroma molto fine e acido e lievemente salato ma il sapore lasciava molto a desiderare. Si portò una mano davanti la bocca e lo masticò a fatica, ingoiandolo per non sputarlo.
- Schifo, eh? - chiese Nino, divertito.
- Un po' - ammise lei, versandosi del succo.
- Certe cose bisogna essere abituati a mangiarle - commentò Chloé, alzando gli occhi al cielo - Ma sí, il caviale fa un po' schifo - ammise infine - Meglio il sushi. -
Dopo essersi ripulita la bocca la ragazza afferrò un bigné alla crema, evitando i macaron come la peste.
La tensione andò scemando pian piano e riuscirono persino a chiacchierare e farsi due risate con Chloé, cosa che Marinette non credeva potesse mai essere umanamente possibile; stavano giusto discutendo su una scena del film quando il cellulare della ragazza li interruppe, espandendo nella stanza una musichetta pop a tutto volume. Lei lo prese e, dato giusto un'occhiata al numero, sospirò seccata.
- La mia sarta - annunciò, alzandosi ed uscendo sul balcone per rispondere.
Nino la guardò sparire e si appoggiò allo schienale, completamente a suo agio. - Ci voleva proprio questo pomeriggio di relax - commentò - Io e te non passiamo mai del tempo insieme, dobbiamo farlo più spesso - propose.
Marinette annuí giocando con i pezzi di ananas rimasti sul fondo del calice, sovrappensiero.
- Senti, Nino... ti posso chiedere una cosa? - disse infine, approfittando del fatto che fossero soli.
Il ragazzo, concentrato sul film, sorrise - Certo, cosa vuoi sapere? -
Il cucchiaio si fermò di colpo, restando conficcato nel frutto, e il vociare di Chloé, attuito dal vetro della portafinestra, si spense di colpo.
- Potresti cominciare col dirmi da quando tu e Chloé siete cosí intimi - propose Marinette voltandosi a guardarlo. Nino si drizzò sul divanetto strofinandosi le mani sui jeans, lo sguardo fisso sul maxischermo davanti a sé senza però vederlo veramente.
- Beh, intimi è una parola grossa... - azzardò, facendo un cenno col capo nella sua direzione - È solo che, ultimamente, i nostri genitori hanno lavorato a stretto contatto e quindi ci siamo ritrovati a passare del tempo insieme - spiegò, alzando le spalle.
Marinette inarcò un sopracciglio, aspettando che continuasse: stare nella stessa stanza con Chloé per più di un'ora non significava necessariamente entrare in confidenza con lei quindi era chiaro che ci fosse qualcos'altro sotto, specie nel modo in cui quei due sembravano capirsi con uno sguardo o un semplice cenno del capo, quasi avessero pianficato nel dettaglio quella giornata sin dall’inizio. E Marinette lo aveva capito sin da subito che la proposta del ragazzo di fargli compagnia non era stata per nulla casuale. - E...? - lo incitò, insistente.
Nino distolse lo sguardo dallo schermo e lo abbassò sull'immacolato pavimento della camera, per una volta serio - Abbiamo parlato. -






Fong respirò a fondo lasciando che l'aria fresca e pungente della notte gli entrasse nei polmoni. Il cielo era nero e la luna spiccava al centro di esso, illuminando a giorno la città avvolta nel silenzio; solo il rumore secco della finestra che si aprí spezzò la rigida quiete delle strade.
Il bambino aprì gli occhi e sorrise nello scorgere, in piedi sul davanzale, una figura infilata in un pigiama verde con tanto di berretto da notte ornato di pois. Fong si alzò dal ramo sul quale era seduto e Reborn si voltò verso di lui.
- Che cosa ci fai ancora quí, Fong? Credevo fossi a Parigi - chiese, incontrando il suo sguardo. Lui, in risposta, arrischiò due leggiadri passi sul legno poi saltò sul controtetto, avvicinandosi.
- C'è stato un cambio di programma - rispose - Avrei dovuto cominciare io ma ho incontrato delle complicazioni. Temo di non potermi muovere per un bel po' - sospirò, sconfortato. Reborn si fece serio.
- Questo è un problema... - mormorò - Degli altri che ho contattato solo tu e Lal mi avete risposto, Verde non si è più fatto vivo e Viper ha rifiutato di muoversi adesso. Non possiamo rimandare ancora. -
Fong scosse il capo e un piccolo sorriso si fece largo sul suo viso - Non ce ne sarà bisogno - informò - Sono riuscito a mettermi in contatto con qualcuno: prenderà lui il mio posto, almeno per ora. -
Reborn sbatté le palpebre una sola volta, incuriosito. - Non dirmi che è... -
L'altro annuí - Proprio lui. Gironzolava ancora quí nel paese, ecco perché non siamo riusciti a trovarlo Oltreoceano. È partito giusto ieri - informò.
Il tutore accentuò il proprio sorriso, decisamente soddisfatto, ignorando il mugolio sonnolento che provenne dalla camera sulla quale erano affacciati.
- Lal sarà felice di vederlo. -






Marinette fissò a lungo il ragazzo, apparentemente senza niente da aggiungere, aspettando invece qualche spiegazione.
Nino sembrava un po' nervoso ma non esitò a rispondere alla muta domanda che la ragazza gli lanciava con gli occhi. - Chloé non è quello che sembra, te lo posso assicurare - disse - Lei è... - tentennò per un istante, infine sospirò - Ecco, ha solo bisogno di essere capita. -
Lei alzò un sopracciglio, un po' scettica, ma lui scosse il capo - Non lo so spiegare... - ammise - Dovresti provare a parlarle o a passare un po' di tempo con lei. L'hai vista anche tu, ultimamente, no? Chloé è diversa, sta cercando di essere una persona migliore. Se le dessi un'opportunità... -
Il suono della finestra che si apriva lo interruppe bruscamente, facendoli sobbalzare entrambi: Chloé rientrò, decisamente infastidita, posando il cellulare nella tasca posteriore dei jeans.
- Uhm... problemi? - domandò Nino, titubante. La ragazza si abbandonò sul divano, incrociando le braccia.
- La sarta è un'incapace! - sbottò, contrariata - Ha sbagliato il colore per il vestito che devo indossare alla cena - sibilò - Dovrò farmene fare un altro. -
- Oh - rispose Marinette, abituata agli scatti isterici della ragazza - Un bel problema. -
Nino poteva dire quello che voleva ma lei dubitava fortemente che Chloé potesse essere diversa dalla solita arrogante e viziata Miss. Parigi che l'aveva fatta penare per anni. Non c'era modo che loro due potessero andare d'accordo.
- Potrebbe farlo Marinette! - propose d'un tratto Nino. La diretta interessata sussultò, voltandosi di scatto verso di lui ad occhi sgranati.
- Cosa?! - sbottò, incredula: si augurò seriamente che il ragazzo stesse scherzando o era la volta buona che lo picchiava.
- Tu cuci no? - rispose lui, entusiasta - E sei anche brava. Puoi farlo tu il vestito. -
A parte il fatto che Marinette non aveva mai fatto un vestito vero e proprio in vita sua ma si era sempre limitata ad articoli ornativi come borse, cappelli, sciarpe, guanti ecc... men che meno aveva intenzione di fare la sua prima esperienza con Chloé. Conosceva troppo bene la vena capricciosa della ragazza, sapeva quanto fosse esigente e abituata a comandare a bacchetta chiunque: non avrebbe mai potuto lavorare per lei, né ora né in nessun futuro prossimo.
- Ehm... Nino, io non ho mai fatto un vestito - lo informò, secca - Non credo che sia una buona idea fare il mio primo esperimento con una cosa così... importante - spiegò, sperando che recepisse il messaggio.
- Farmi fare un vestito da lei? - sbottò Chloé, inorridita - Mai! -
Un senso di fastidio colpí Marinette come un proiettile e la voglia di strozzarla con la sua felpa firmata si fece prepotentemente largo dentro di lei.
- Ma Bianchi non cuciva anche le-? - provò ad insistere Nino ma Marinette lo fulminò con lo sguardo.
- Nino… taci! - ordinò. Il ragazzo ammutolí all'istante e lei sospirò stancamente mentre il suo telefono iniziava a suonare. Si affrettò a prenderlo e non ebbe neanche bisogno di leggere il nome per sapere chi fosse, poiché la foto di Dino faceva già bella mostra di sé.
- Pronto? -
- Ehi, Marinette. Scusa se ti disturbo ma devo parlarti di una cosa... - iniziò lui tentennando, decisamente incerto, lasciandola perplessa.
- È successo qualcosa? - chiese lei, preoccupata.
- No, no, assolutamente - si affrettò a rispondere il ragazzo - Ma, vedi, il fatto è che... poco fa mi ha chiamato Squalo - informò facendole sgranare gli occhi - Mi ha chiesto di dirti che gli dispiaceva per quello che era successo stamattina, sai quando Belphegor ti ha chiamata... e anche per la scenata che ha fatto. -
La ragazza elaborò le sue parole in pochi secondi e strinse d'impulso il telefono tra le dita, tanto da forte da farsi male: Squalo aveva chiamato Dino... per scusarsi con lei? Era uno scherzo?
Evidentemente la sua espressione non doveva essere delle migliori poiché Nino e Chloé si scambiarono uno sguardo nervoso.
- Capisco - rispose, forse più duramente di quanto avesse voluto.
Sentí il ragazzo esitare - Lui al momento è fuori città per lavoro e il tuo telefono non ha una linea sicura, forse ha chiamato me perché il mio è anti intercettazione e... - provò a spiegare, ma infine si arrese e sospirò - Non avercela con lui Marinette: Squalo è fatto cosí, non è per niente incline ai rapporti sociali. Forse non vuole disturbarti senza un valido motivo - la supplicò speranzoso.
- Sí, Dino, va bene. Ho capito - rispose, tranquilla e un po' freddamente - Grazie per avermelo detto. Ci vediamo dopo. -
Aspettò giusto il suo saluto prima di mettere giù e sentí la presenza di Radi, fino a quel momento in disparte, invadere la sua mente.
Marinette... mormorò.
Sto bene” rispose lei, sebbene fosse consapevole di star dicendo una bugia colossale e che lui lo sapesse: insomma era nella sua testa cavolo!
- Marinette... va tutto bene? - domandò Nino.
Avrebbe voluto rispondere di sí e continuare quella giornata priva di senso come se nulla fosse... ma Radi non era dello stesso avviso: fu come se avesse preso tutti i pensieri e le emozioni accumulate fino a quel momento dal suo cervello e li avesse lanciati fuori con un tiro da tre punti, facendo canestro sulle sue corde vocali. Se Marinette avesse detto che tutte quelle cose le erano uscite di propria spontanea volontà avrebbe mentito spudoratamente.
- No che non va tutto bene - rispose, stringendo il telefono tra le mani - Non solo Squalo se n'è andato senza dirmi niente, non si è fatto sentire per settimane e mi ignora completamente... ma ha persino chiamato Dino per scusarsi con me del teatrino che hanno fatto i suoi colleghi a telefono stamattina. Perché gli faceva schifo chiamarmi, anche solo per dire "Ehi, deficente, non mi sono dimenticato di te"! - buttò fuori tutto d'un fiato, forse con più forza di quanto avesse voluto. Restò per un lungo momento a fissare il tavolo poi si alzò di scatto dal divano. - Scusatemi - mormorò, superando Chloé a grandi passi. Nino aprí la bocca per dire qualcosa, pronto a scattare in piedi, ma lei raggiunse il bagno in fondo alla stanza e vi entrò, chiudendosi di colpo la porta alle spalle.
Si abbandonò sul bordo della vasca idromassaggio e prese il volto tra le mani, respirando a fondo per non piangere: non si era mai sentita cosí male in tutta la sua vita; aveva un senso di delusione cocente che le stringeva il petto, insieme alla dolorosa consapevolezza di non valere niente per una delle persone più importanti della sua vita. Dopo qualche minuto la porta si aprí leggermente e la testa di Chloé sbucò oltre di essa: sembrava profondamente a disagio nel trovarsi lí e nessuno meglio di Marinette poteva capirla.
- Ehm... come stai? - azzardò, nervosa.
- Come credi che stia? - sbottò lei spostando lo sguardo di lato, verso il lavandino color oro (o forse era davvero fatto d'oro?).
Chloé si guardó alle spalle gesticolando leggermente, sembrava litigare silenziosamente con qualcuno (probabilmente Nino), infine sospirò ed entrò in bagno, chiudendo la porta.
- Mi dispiace per quello che è successo con il tuo amico - mormorò - Ecco... io... ehm... - la ragazza si guardò intorno nervosamente, posando lo sguardo ovunque tranne che su di lei - Io posso... capire come ti senti - ammise, esitante - Sai, mia madre è partita quando ero molto piccola: lei è sempre in viaggio per lavoro, la vedo raramente e quando viene qui a Parigi passiamo pochissimo tempo insieme. Per non parlare, poi, delle telefonate: neanche una. Mai. Sbaglia sempre il mio nome e sembra che non le interessi nulla di me... -
Marinette sgranò gli occhi e alzò lo sguardo su di lei, sconvolta: non sapeva nulla della madre di Chloé, tranne che era la più famosa critica di moda del mondo, men che meno era a conoscenza del suo rapporto con la figlia. Sentire quelle cose le straziava il cuore e l'atterriva la semplicità con cui Chloé le raccontava, come se si fosse arresa al fatto che lei, per la madre, non contava nulla.
- ...all'inizio faceva male, esattamente come fa male a te, ma poi ho avuto la consapevolezza che avevo con me delle persone che potevano aiutarmi a non pensarci: come mio padre e Adrien - aggiunse, giocerellando con le unghie - Ciò che voglio dire è che tu non sei sola, hai i tuoi amici e la tua famiglia. Per quanto possa fare male che questo Squalo abbia chiuso i rapporti con te hai pur sempre qualcuno che ti sta vicino in questo momento e che può aiutarti a superarlo - concluse. Alzò gli occhi su di lei per un secondo, imbarazzata, per abbassarli subito dopo - Insomma, so che a lui ci tieni tanto ma bisogna andare avanti nella vita. Tutto quí. -
Marinette non rispose subito, colpita dalle sue parole cosí profonde e veritiere. Sentirle uscire proprio dalla bocca di Chloé era stata una sorpresa poiché non si aspettava che lei potesse essere cosí... cosí... umana. Però aveva ragione, si era preoccupata cosí tanto di Squalo da trascurare tutto il resto: i suoi amici e la sua famiglia le erano stati accanto vedendola cosí giù e lei non aveva visto e ricambiato i loro sforzi per tirarla su di morale. In quel momento si sentí anche peggio.
Sospirò e riuscí ad abbozzare una mezza smorfia - Grazie, Chloé - mormorò.
La ragazza sgranò gli occhi, non aspettandoselo per nulla, e cercò di riprendere la sua solita compostezza - Ah... pff, figuriamoci. Per cosí poco. -
Marinette sorrise e, dopo un attimo di esitazione, alzò lo sguardo su di lei - Non posso farti quel vestito, Chloé, perché non sono cosí brava... però me la cavo con gli accessori. Se ti serve qualcosa sarei lieta di aiutarti. -
Chloé sembrò titubante - Beh... la borsetta che indossavi la sera di San Valentino era carina - ammise - Se potessi farmene una per la cena te ne sarei grata. Ti pagherò il lavoro, ovviamente - precisò.
Marinette aveva già aperto la bocca per ribattere ma Chloé la zittí con un gesto della mano - Non sia mai che mi faccia fare qualcosa gratis - tagliò corto - Ti manderò il campione della stoffa del vestito entro stasera, la voglio dello stesso tessuto e colore. La forma e la decorazione sono a tua discrezione ma niente di sciatto o banale. Tutto chiaro? -
La ragazza sbatté le palpebre un paio di volte, registrando tutte le informazioni ricevute con qualche secondo di ritardo: certo che ci aveva messo poco a riprendere il suo fare autoritario...
Annuí, sorridendo divertita. - Sarà fatto. -
- Bene - Chloé aprí la porta per uscire, ma sobbalzò facendo qualche passo indietro quando si ritrovò davanti la faccia scura di Bianchi. La donna spostò subito l'attenzione alle sue spalle, verso Marinette ancora seduta sulla vasca, e drizzò la schiena.
- Va tutto bene, Marinette? - domandò preoccupata - Dino mi ha chiamata e... -
- Tutto bene - rispose lei alzandosi, più rilassata e in un certo senso un po' più allegra. - Dobbiamo andare? - domandò.
Bianchi esitò infine annuí - Sí, si è fatto tardi. È il caso di rincasare. -
Marinette recuperò il giubbotto, salutò i due ragazzi e uscí dall'hotel, sentendosi stranamente più leggera. Sulla strada del ritorno, però, ricevette un messaggio da un numero sconosciuto che fece nuovamente crollare il suo umore sebbene recasse solo poche parole scritte in italiano “Ci vediamo presto, dolcezza.
Confusa cercò tra le informazioni del contatto e scoprí che era nel gruppo della Famiglia, cosa che la lasciò ancora più perplessa: aveva salvato tutti i numeri presenti sin dall'inizio... tutti tranne quelli dei Varia entrati solo quel pomeriggio.
- Ehm... Bianchi? -
- Mh? -
- Credo che qualcuno dei Varia mi abbia scritto - informò mostrandole il cellulare. La donna si fermò sul marciapiede e lesse il messaggio, prestando particolare attenzione al numero e all'immagine di profilo (raffigurante il profilo di un ragazzo dai capelli biondi in costume da bagno, in piedi sulla riva del mare).
- Questo è Belphegor - informò.
- Il ragazzo con cui ho parlato stamattina? - chiese lei.
Bianchi annuí - Gli piace fare il simpatico, io non mi preoccuperei del messaggio quanto del suo contenuto - rispose.
- Stai dicendo che potrebbe venire sul serio quí? - domandò preoccupata.
- Non è da escludere. Dopotutto tra i Varia vi è anche un Arcobaleno e lo sai che dovrà occuparsi del tuo addestramento. -
Marinette emise una smorfia e guardò di nuovo il messaggio - Inizio sul serio a temere per la mia incolumità - ammise, più a sé stessa che a Bianchi.






I giorni seguenti Marinette li passò a lavorare incessantemente alla borsa. Lei e Bianchi buttarono giù parecchi schizzi basandosi sul modello del vestito che aveva fornito loro Chloé, ma dovettero cestinare un bel po' di idee prima di avere un risultato soddisfacente: considerato a chi era destinata non potevano proprio permettersi di accontentarsi.
Quando iniziò finalmente a cucire mancavano solo due giorni alla fatidica cena e Bianchi era stata ben lieta di aiutarla in tutto il processo di confezionamento, felice sopratutto di vederla più allegra e tranquilla rispetto alle settimane precedenti. Tra ritagli, assemblaggi e ritocchi vari (impegarono più tempo per le decorazioni che per la borsa vera e propria) arrivarono a finirla il giorno stesso del ricevimento. Marinette non andò neanche a scuola quella mattina ma si prese tutto il tempo necessario per impacchettare decentemente la borsa e chiamare Chloé per consegnarla.
- Sono leggermente impegnata con i preparativi, al momento - aveva risposto la ragazza e poté sentire distintamente una nota nervosa nella sua voce - La sarta è in ritardo e devo rimandare l'appuntamento con il parrucchiere - aggiunse seccata - Passa oggi pomeriggio verso le sei. Non fare tardi, alle sette arrivano gli ospiti - e aveva riattaccato senza lasciarle il tempo di dire nulla.
Così si prese tutto il giorno per riposarsi, fare un bagno caldo e mettersi qualcosa di decente. Non avrebbe partecipato alla cena, era vero, ma non poteva neanche presentarsi con chissà cosa addosso; quindi aveva optato per una camicia bianca, jeans azzurri e degli stivali blu scuro alti fino al ginocchio (non erano nel suo stile ma glieli aveva regalati Bianchi e almeno qualche volta voleva indossarli, giusto per farla contenta). Uscirono di casa alle cinque e mezzo e si fecero la strada a piedi fino all'hotel, completamente in fermento: c'era un via vai di persone allucinante nella saletta privata, adeguatamente ammobiliata per l'evento, e il signor Bourgois dava personalmente le direttive in piedi al centro della stanza.
Facendo slalom tra i vari membri del personale raggiunsero l'ascensore e salirono fino all'ultimo piano; appena le porte si aprirono sul corridoio delle urla atroci arrivarono alla loro attenzione e fu impossibile non riconoscerne la fonte.
Lei e Bianchi si guardarono negli occhi per un istante, già presagendo il peggio, e si avviarono verso la porta della suite imperiale. Marinette bussò due volte, dopo un attimo di esitazione, e attese; dopo un lungo minuto la porta si spalancò, facendole sobbalzare entrambe, e Chloé apparve dinnanzi a loro con uno svolazzante vestito pervinca, scurissima in volto e con i capelli più disordinati che le avessero mai visto addosso.
Le squadrò per un attimo e sembrò rilassarsi un pochino, anche se l'espressione omicida non si era attenuata neanche un po'. - Ah, siete voi - sospirò.
Marinette avrebbe potuto dire tantissime cose in quel momento, da un semplice “Ciao” a un “Ti trovo bene!”, ma l'istinto di sopravvivenza le diceva che la cosa migliore da fare era consegnarle la borsa e fuggire a gambe levate da lì.
Tuttavia Bianchi non fu dello stesso avviso perché disse, con una nota di sorpresa ben evidente nella voce, ciò che non avrebbe mai dovuto dire - Che cosa ti è successo? -
Chloé voltò lo sguardo verso di lei, restò in silenzio per un lungo istante, poi esplose in un grido di rabbia mista a disperazione che le fece sussultare.
- Il parrucchiere ha fatto un casino con la permanente - esclamò - Guardate i miei capelli! Non posso uscire così - si lamentò, portandosi le mani al viso e cominciando a piangere.
E Marinette sgranò gli occhi, allibita: stava davvero piangendo!
Lei e Bianchi si guardarono, turbate, infine la donna si avvicinò alla ragazza e le mise un braccio intorno alle spalle. - Stai tranquilla, non è così grave - cercò di tranquillizzarla - Forse si possono ancora recuperare. Vediamo cosa possiamo fare, ok? -
La ragazza annuì, asciugandosi le lacrime dagli angoli degli occhi e tirando su con il naso. - Adesso vai a sederti vicino allo specchio e calmati, io arrivo subito - le disse, spingendola delicatamente dentro. Quando si fu allontanata Bianchi si voltò verso Marinette, che la guardava sinceramente stupita.
- Per un attimo ho temuto che ti urlasse contro - ammise. Bianchi sorrise, divertita.
- È una situazione delicata, lascia che ci pensi io - le disse - Tu non preoccuparti. Vai a fare un giro, rilassati un po'... ma non uscire dall'hotel e resta nei pressi delle telecamere di sicurezza. Io non ci metterò molto. -
Marinette annuì e le porse il pacchetto con la borsa. Bianchi entrò nella stanza e chiuse la porta mentre lei ripercorse il corridoio all'indietro, ma non prese l'ascensore e iniziò invece a scendere velocemente le scale: sentiva di dover scaricare la tensione accumulata nelle ultime settimane e quella era la prima volta, da quando Squalo se n'era andato, che si ritrovava completamente sola. Dopo pochi minuti aveva già raggiunto l'ultima rampa del secondo piano quando, girata la balaustra, andò a sbattere contro qualcuno che stava salendo. Inciampò sul tappeto e caddero entrambi giù dalle scale, facendosi gli ultimi venti gradini rotolando.
Finì di schiena sul pianerottolo del primo piano, sbattendo la testa sul pavimento, con un gemito di dolore; vide le stelle e le salirono le lacrime agli occhi.
Marinette!, la voce di Radi le risuonò nella mente, agitata, facendola rinsavire un poco Stai bene, bambina mia?
Lei ebbe giusto il tempo di pensare, stranita, “Bambina...?” prima che un lamento al suo fianco la distraesse. Si alzò facendo leva sugli avambracci, sentendo il gomito sinistro dolere, e si voltò: proprio accanto a lei, carponi sul tappeto rosso, un uomo si stava rialzando lentamente tenendosi la fronte coperta da una fascia bianca.
Non era più tanto giovane, poteva avere sì e no una quarantina di anni, con corti capelli neri e occhi ambrati; indossava una specie di kimono corto, azzurro, con sopra un grembiule bianco. Evidentemente faceva parte del casting, anche se faticava a capire quale ruolo potesse avere.
- M-mi scusi... - biascicò, mettendosi seduta - Sono davvero dispiaciutissima... sta bene? - chiese, preoccupata. L'uomo scosse il capo, ancora stordito, e alzò gli occhi su di lei lasciandola sorpresa: non sapeva come o perché ma quell'uomo aveva un'aria familiare. Era sicurissima che somigliasse a qualcuno, qualcuno che lei conosceva, ma non riusciva a capire chi.
- Boku wa genkidasu... - mormorò lui, mettendosi lentamente seduto. Marinette rimase un attimo spiazzata a sentire quella frase ma poi la sua mente fece due rapidi calcoli: Chloé aveva detto di aver fatto venire direttamente dal Giappone il suo sushi chef di fiducia e, a giudicare da come fosse vestito e dalla sua conoscenza basica dei manga giapponesi, ebbe il dubbio che si trattasse proprio di lui. Aveva quasi ucciso il fornitore di sushi preferito di Chloé e questa non era esattamente una cosa buona.
Cercò di ricomporsi e di non sprofondare nel panico, mentre tirava fuori tutte le sue esigue conoscenze della lingua giapponese. Se non errava doveva aver detto qualcosa di molto simile a “Sto bene” o giù di lì.
- Mi scusi, è stata tutta colpa mia... andavo troppo come un treno! - esclamò. L'uomo la guardò stranito e Radi ridacchiò.
Marinette, hai detto che andavi come un treno, le fece notare divertito. La ragazza arrossì violentemente.
- No, cioè, volevo dire veloce... andavo troppo veloce - si corresse, imbarazzatissima - Mi scusi, sto ancora imparando - aggiunse.
Lascia, ti aiuto io, rise Radi.
- Ah, non preoccuparti - rispose l'uomo, strofinandosi la schiena dolorante - Sono cose che succedono. -
- Venga, l'aiuto - si offrì lei, prendendolo per un braccio ed aiutandolo ad alzarsi. Ma appena si mise in piedi sentì una fitta alla caviglia destra che le fece stringere gli occhi per un istante: doveva essersi fatta male durante la caduta. Effettivamente sentiva anche la testa pulsare e il gomito faceva la sua esigua parte in quel tripudio di dolore, ma cercò di non darlo a vedere.
- Santo cielo! -
Una voce dal fondo delle scale li fece sobbalzare entrambi: la signora Césair e Nino li raggiunsero velocemente, preoccupati.
- Vi abbiamo visti volare giù dalle scale... stai bene, Marinette? - le chiese il ragazzo, poggiandole una mano sulla spalla.
- Sì, giusto un po' di mal di testa - annuì lei.
La donna sospirò, sollevata, e si rivolse all'uomo - Signor Yamamoto, è tutto ok? - domandò, facendolo annuire.
Marinette sgranò gli occhi, turbata: aveva detto Yamamoto? Quel nome le era stranamente familiare...
- Sei venuta qui da sola? - le chiese Nino, distraendola dai suoi pensieri.
- Uh... no - rispose, riscuotendosi - Mi ha accompagnata Bianchi, è di sopra con Chloé: la sta aiutando a sistemarsi i capelli - spiegò.
- Beh, è meglio se non gironzoli da sola dato che il più delle volte rischi la vita - constatò lui, quasi divertito, ma quell'affermazione fece scattare un campanello d'allarme nella testa di Marinette: anche se era impossibile che lui sapesse qualcosa riguardo il suo coinvolgimento con la mafia si agitò comunque.
- Ma dai, adesso non esagerare - rise, forse un po' troppo nervosamente.
- Perché non vieni di sotto con me? Ti faccio compagnia finché non torna Bianchi - propose il ragazzo - Tanto non ho nulla da fare finché non arrivano gli ospiti. Ed eviterò che tu ti faccia male di nuovo. -
Marinette sorrise ed annuì - Va bene, ti ringrazio - poi si rivolse all'uomo - Ehm... mi dispiace ancora per quanto è successo. È sicuro che vada tutto bene? - domandò. La signora Césair sgranò gli occhi.
- Non sapevo parlassi giapponese, Marinette - disse, stupita.
- Sto ancora imparando - rispose lei, imbarazzata.
- Sì, va tutto bene. Non preoccuparti, nulla che un buon thé non possa sistemare - rassicurò lui.
La madre di Alya lo guardò per un secondo, perplessa, poi si sporse verso di lei - Che ha detto? -
- Ha voglia di thé - rispose Marinette, semplicemente.
Nino sorrise e prese la ragazza per un braccio - Andiamo. -
Lei fece per seguirlo ma appena mosse un passo una scarica di dolore le attraversò tutta la gamba destra, facendola gemere. Si fermò di colpo tenendosi alla spalla del ragazzo che si voltò verso di lei, preoccupato - Ehi, va tutto bene? -
Lei strinse gli occhi per un istante - Mi fa male la caviglia - ammise. Lui la prese sottobraccio e la fece appoggiare a sé.
- Ok, meglio procurarci un po' di ghiaccio - constatò, accompagnandola fino alla saletta privata. La fece sedere su uno degli sgabelli del bar e sparì in cucina. Marinette si tolse lo stivale e alzò l'orlo dei jeans, notando con una smorfia il colorito violaceo intorno alla propria caviglia: era un pessimo momento per procurarsi lesioni su qualsivoglia parte del corpo. Sospirò e si sistemò meglio sullo sgabello, appoggiandosi al bancone.
Questo dovrebbe insegnarti a non correre più per le scale, asserì Radi con tono di rimprovero.
- Oh, dacci un taglio - sbottò lei, stancamente.
- Ma non ho detto nulla - esclamò Nino alle sue spalle, perplesso. Lei sobbalzò e si voltò a guardarlo, arrossendo un po'.
- Ah... ecco... non ce l'avevo con te - farfugliò, imbarazzata: ci mancava solo che pensassero che parlasse da sola. Il ragazzo si avvicinò con in mano un panno di stoffa pieno di cubetti di ghiaccio e si inginocchiò davanti a lei, poggiandolo sulla parte arrossata. Marinette strinse le labbra, un po' per il dolore e un po' per il freddo, ma non disse nulla.
- E con chi ce l'avevi allora? - chiese, sinceramente curioso.
- Con il mio cervello - rispose lei con nonchalance - Mi stava giusto dicendo di non correre per le scale, in futuro. -
Nino rise - Ottimo suggerimento. -
Anche Marinette sorrise, rilassandosi un po'. - Quindi partecipi anche tu alla cena? - domandò.
- Purtroppo - sospirò lui - Non che mi piaccia molto l'idea di stare seduto in mezzo a tutti quei tipi in giacca e cravatta ad ascoltare discorsi noiosissimi... ripetuti due volte per giunta! - ammise, alludendo al fatto che ogni cosa detta avrebbe necessitato di una traduzione.
- Penso a quei due poveri interpreti, devono annoiarsi molto... -
- La povera interprete, vorrai dire - la corresse lui - Chloé si è offerta volontaria: tradurrà tutta la conversazione per ambo le parti. -
Marinette sgranò gli occhi, stupita - Sul serio? -
Nino annuì - Immagino sia un'occasione per mettersi in mostra e sfoggiare il suo giapponese perfetto. -
Francamente, lei non ce la vedeva Chloé a fare qualcosa per qualcuno di propria iniziativa, a meno che la cosa non le portasse qualche vantaggio personale. Forse il tornaconto in tutto quello era fare bella figura di fronte a persone importanti, oppure assicurarsi che il padre aprisse quegli alberghi in Giappone così da avere qualcosa in più di cui vantarsi... solo lei poteva saperlo. Continuarono a parlare del più e del meno per una ventina di minuti, fecero giusto una pausa quando Nino andò a prendere del ghiaccio nuovo da mettere sulla sua caviglia ancora dolorante, mentre il catering andava avanti e indietro intorno a loro per dare gli ultimi ritocchi alla sala e alle pietanze in cucina. Nino le stava giusto raccontando di quando aveva visto Chloé con una maschera di fango in faccia che Bianchi li raggiunse, sospirando stancamente.
- È stata dura ma ce l'abbiamo fatta - annunciò per poi aggrottare le sopracciglia, osservando Nino seduto per terra che reggeva ancora il ghiaccio sulla gamba della ragazza - Che cosa è successo? - domandò.
- Oh, niente di che, sono solo caduta dalle scale - scrollò le spalle lei - Per fortuna è arrivato questo bel principe dalla bianca camicia ad aiutarmi - scherzò, dando un buffetto sulla testa di Nino che rise. Bianchi la guardò, preoccupata.
- Avresti dovuto avvertirmi subito, Marinette, potevi farti male sul serio - la rimproverò.
- Non preoccuparti, non è niente di grave - le disse per tranquillizzarla. Ma la donna non sembrava dello stesso avviso.
- Chiamo Dino e ci faccio venire a prendere - tagliò corto, tirando fuori il cellulare dalla tasca della giacca.
Marinette credeva che stesse un tantino esagerando ma preferì non protestare, anche perché non era completamente sicura di riuscire a farsela a piedi fino a casa. La sentì borbottare qualcosa mentre scriveva un messaggio e immaginò che il ragazzo non fosse disponibile in quel momento; al contempo Nino si alzò da terra, spolverandosi i jeans.
- È il caso che vada - annunciò - Ormai è quasi ora. -
Bianchi alzò lo sguardo su di lui e sorrise - Certo. Grazie per aver badato a lei. -
- Oh, è stato un piacere - rispose il ragazzo, dando un pizzicotto sulla guancia di Marinette - Ci vediamo lunedì - salutò, avviandosi verso il salone.
- A lunedì - ripeté la ragazza, guardandolo sparire oltre la porta. Bianchi ripose il telefono nella giacca e si sedette sullo sgabello accanto a lei.
- Dino è occupato, arriverà fra un po' - informò - Come ti senti? -
Marinette alzò le spalle - Sto bene - disse, rimettendosi lo stivale - Insomma, caviglia a parte. -
E lo pensava sul serio. Certo, in quelle ultime settimane aveva avuto molti momenti no, ma si stava riprendendo abbastanza bene. E lo doveva sopratutto ai suoi amici che, nonostante l'umore sotto i piedi l'avesse resa abbastanza detestabile, avevano fatto di tutto per tirarle su il morale.
- Non sono stata il massimo della compagnia, ultimamente, e mi dispiace - ammise con un sospiro stanco.
- Tranquilla, capitano a tutti i periodi difficili - rispose la donna, poggiandosi con le mani al bancone - Ciò che conta è riuscire a riprendersi - concluse.
Marinette aveva dei dubbi sul fattore “ripresa”: anche se si sentiva meglio rispetto agli ultimi giorni, quel senso di solitudine e malessere che la opprimeva da quando Squalo se n'era andato non riusciva proprio ad abbandonarla. E sapeva che non l'avrebbe fatto tanto presto.
- Immagino che sia così - annuì infine, cercando di non lasciar trapelare nessuna emozione deprimente; doveva almeno provare a tornare alla normalità, emotivamente parlando.
Il tenue chiacchiericcio che proveniva dalla sala accanto fece presagire che la cena fosse iniziata e, sebbene le porte che vi conducevano fossero chiuse, Marinette si sentì un tantino a disagio. - Fra quanto tempo hai detto che arriverà Dino? -
- Ha detto “qualche minuto”, ma non so quanto possiamo prenderlo alla lettera - rispose lei, eterea. - Oh, a proposito... Chloé mi ha chiesto di darti questo - aggiunse, tirando fuori dalla tasca un foglietto accuratamente ripiegato.
- Cos'è? - domandò, curiosa, prendendolo. Quando lo aprì sgranò gli occhi e per poco non cadde dalla sedia, tanto fu lo stupore: era un assegno di cinquecento euro intestato a Bianchi. Rimase a fissarlo, totalmente allibita, per qualche secondo buono prima di alzare gli occhi su di lei. - Ma che... cosa... perché? - fu tutto ciò che riuscì a balbettare, confusa.
- Beh, per la borsa - rispose Bianchi, con tranquillità.
- La borsa? Ma... quella cosina non vale tutti questi soldi! - protestò - Insomma... è una borsa! -
Non riusciva a trovare un nesso a tutto quello. Certo, Chloé le aveva detto che le avrebbe pagato la commissione, ma lei non si aspettava di certo una cifra così alta. Non per una borsa.
Bianchi sospirò - Si vede che non te ne intendi di marketing - commentò - Non si tratta solo della borsa in sé ma devi considerare anche tutto il lavoro che c'è dietro, senza contare che il tessuto usato era molto costoso - spiegò - Il pagamento deve coprire le spese effettuate, le ore di lavoro e garantire un margine di guadagno. -
Marinette sbatté le palpebre un paio di volte, registrando tutte quelle informazioni con un secondo di ritardo. Infine si proferì in un semplice - Oh - anche se continuava a pensare che quella cifra fosse decisamente troppo.
- Domani mattina andrò in banca a ritirarteli - continuò la donna.
- Oh - ripeté lei, non sapendo cos'altro aggiungere - Grazie. -
Era praticamente il suo primo lavoro retribuito anche se non aveva mai creato nulla per guadagnare: era solo una passione, la sua, e quell'assegno la faceva sentire terribilmente a disagio. Chiuse il foglietto e lo infilò nella borsa con attenzione, quasi fosse una bomba pronta ad esplodere, ed estrasse il cellulare iniziando a scorrere i vari messaggi su whatsapp con poco interesse, giusto per avere qualcosa da fare nell'attesa che arrivasse Dino. Intanto nella sala accanto il chiacchiericcio si fece più intenso e concitato, una porta sbatté e un cameriere uscì frettolosamente dalla stanza, superandole a passo di marcia. Marinette guardò perplessa la porta, dove la conversazione si era attenuata, e sperò che non stesse succedendo nulla di strano.
Ma dato che la sfortuna va sempre chiamata non si stupì più di tanto quando, dopo un paio di minuti, l’uscio venne spalancata definitivamente e tutti i commensali si precipitarono fuori. La ragazza alzò gli occhi al cielo, con un verso disperato.
- Non di nuovo, vi prego - esalò, esausta, già sapendo cosa sarebbe spuntato fuori dalla sala di lì a pochi istanti. Bianchi saltò giù dallo sgabello e la prese per il braccio.
- Dobbiamo andarcene da quì - tagliò corto, trascinandola con sé, ma appena Marinette mise piede per terra la fitta alla caviglia le fece perdere l'equilibrio. Si aggrappò alla donna con un sussulto e finì in ginocchio.
- Alla faccia che stavi bene! - la rimbeccò Bianchi, con tono accusatorio, reggendola per le spalle.
- Forse ho fatto male i miei calcoli - ammise, con il respiro mozzato. Lei la prese per la vita e l'aiuto a mettersi in piedi.
- Non puoi combattere in queste condizioni - la rimproverò.
- Non ho scelta - ribatté Marinette, aggrappandosi al bancone - Me la caverò, tu cerca un posto dove nasconderti. -
- Non ti lascio da sola. -
- Devi farlo - la interruppe la ragazza, con veemenza - Non ti lascerò certo rischiare la tua incolumità per me! - esclamò: l'aveva già fatta preoccupare abbastanza, non avrebbe lasciato che rimanesse anche ferita. Un suono sordo provenne dalla sala alle loro spalle e Marinette si divincolò dalla sua presa.
- Vai nelle cucine, lì sarai al sicuro. Ci vediamo fuori quando avrò sistemato la cosa - tagliò corto, voltandosi e zoppicando leggermente per raggiungere il piccolo sgabuzzino posto vicino le scale. Bianchi sembrò sul punto di dire qualcosa, poi si morse il labbro e si diresse nella direzione opposta: non voleva rischiare di esserle d'intralcio e non poteva permettere che si preoccupasse anche per lei mentre combatteva l'akumizzato.
Marinette s'infilò nello spiraglio della porta e fece uscire Tikki dalla propria borsa.
- Marinette, non credo che dovresti prendere la cosa così alla leggera: non puoi affrontare nessuno se a malapena riesci a camminare - esclamò, appena si trovò faccia a faccia con lei.
- Ce la faccio benissimo, invece. Devo solo fare attenzione a non spostare troppo il peso su questa caviglia, un giochetto da ragazzi! - cercò di tranquillizzarla. Lo sguardo che Tikki le rivolse, però, fece ben intendere che non le credeva per nulla.
- Sei troppo imprudente - la rimproverò.
- Questioni di priorità - ribatté la ragazza, spiccia: non era affatto il momento per mettersi a discutere con lei, non con un super cattivo a pochi passi da loro - Ora, trasformami! -
Non potendo fare nulla per impedirlo, il Kwami venne risucchiato senza tanti complimenti nell'orecchino e Marinette uscì di lì pochi istanti dopo con la tuta rossa e il passo cauto.
Non doveva perdere tempo né dilungarsi troppo in uno scontro frontale, la sua caviglia non avrebbe retto un tale sforzo, quindi doveva agire d'astuzia e in modo veloce.
Certo, era più facile a dirsi che a farsi, ma doveva comunque tentare. Si affacciò nella saletta dove, fino a pochi minuti prima, stavano cenando i commensali, trovandola vuota e nel caos più totale: tavoli ribaltati, tende strappate, sedie rovesciate, vassoi e pietanze riversi sul pavimento e, stranamente, alcune monete da cinque yen erano abbandonate sul tappeto.
Si guardò furtivamente intorno ed entrò nella stanza, cercando di individuare un segno che la conducesse dal responsabile di tutto quel macello, sobbalzando quando sentì qualcuno bisbigliare il suo nome da un angolo remoto della stanza. Voltandosi intravide Nino nascosto dietro uno dei carrelli portavivande e si affrettò a raggiungerlo.
- Almeno tu stai bene - constatò, sollevata - Che cosa è successo? - chiese.
- Il delirio - rispose il ragazzo, che sembrava decisamente sconvolto - Stava andando tutto bene, ma poi uno dei dirigenti deve aver detto qualcosa di particolarmente offensivo perché Chloé si è innervosita e hanno iniziato a discutere. Parlavano in giapponese, quindi non ho capito quello che si sono detti, ma l'uomo si è alzato ed è andato sul balcone, furioso.
Dopo pochi minuti è entrato una specie di enorme tizio avvolto in un mantello che ha iniziato a lanciare carte di credito in giro per la stanza - spiegò tutto d'un fiato. Marinette aggrottò le sopracciglia, perplessa.
- Carte di credito? - domandò, credendo di non aver capito bene. Nino annuì.
- Ci colpiva le persone con quegli affari che venivano trasformate in... monete - concluse, aprendo il palmo della mano per mostrare una monetina da cinque yen. Questo spiegava tutti gli spiccioli presenti in sala.
La ragazza fece una smorfia orripilata, portandosi il dorso della mano davanti la bocca - E questa sarebbe...? - chiese, non sicura di voler sapere la risposta.
Nino sospirò - Chloé - rispose - Era seduta di fronte a me, è stata la prima ad essere colpita. Mi è praticamente volata nel piatto. -
Marinette immaginò la scena e rabbrividì, scuotendo vigorosamente il capo. - Hai idea di dove sia andato? - chiese, decisa più che mai a trovarlo il più presto possibile.
- Non credo abbia lasciato l'hotel, sembrava avercela con il signor Bourgois in particolare. Se non è riuscito a monetizzarlo lo starà ancora cercando quì dentro - spiegò lui, e questo le avrebbe reso le cose molto più facili: almeno non avrebbe dovuto girare tutta Parigi per trovarlo.
Marinette annuì e si alzò in piedi - Capisco, andrò a cercarli allora. Tu resta nascosto quì e... cerca di raccattare quella povera gente, già che ci sei - aggiunse, adocchiando il pavimento costellato di monetine, ma aveva appena fatto un passo che una scarica di dolore le attraversò tutta la gamba costringendola ad appoggiarsi al tavolo.
- Oh, ehi... che ti prende? - chiese Nino, vedendo la smorfia di dolore dipinta sul suo volto.
- Ehm... nulla - si affrettò a rispondere lei, raddrizzandosi - Niente di preoccupante, tranquillo. Resta quì e non muoverti - tagliò corto, dirigendosi velocemente (seppur con passo incerto) verso l'uscita. Si passò una mano sulla fronte, sudata per lo sforzo e il dolore, stringendo gli occhi per un istante: sperò che non si fosse accorto di nulla o per lei sarebbero stati guai seri. Ok, era vero, tutta la famiglia Vongola sapeva che lei era Ladybug, ma almeno aveva la certezza che non l'avrebbero tradita (Dino le aveva fatto una testa enorme sulla fiducia e l'importanza che essa aveva all'interno di una famiglia come la loro e questo, doveva ammetterlo, l'aveva tranquillizzata tantissimo)... ma con Nino era diverso; non era che non si fidasse di lui però, di fatto, non aveva alcuna sicurezza che avrebbe mantenuto il segreto e non se lo sarebbe lasciato scappare con nessuno. Purtroppo quel ragazzo era imprevedibile e, alle volte, mosso dalla tipica imprudenza adolescenziale.
Sobbalzò quando il suo yo-yo squillò all'improvviso e, una volta apertolo, si ritrovò davanti l'ampio sorriso di Chat Noir: - Buongiorno, principessa! - esclamò, ma Marinette non aveva nessuna voglia di mettersi ad ascoltare i suoi vaneggiamenti.
- Taglia corto, dove sei? - chiese, secca, lasciandolo interdetto per un attimo.
- Ehm... sono nella hall dell'hotel con il sindaco, l'akumizzato gli dà la caccia - spiegò, leggermente turbato - Tu invece...? -
- Sono al piano di sopra, scendo subito - rispose, interrompendolo, chiudendo velocemente la chiamata e appoggiandosi al corrimano della scala: iniziava a girarle la testa ma non poteva permettersi di riposare, doveva trovare il modo di combattere senza che la caviglia le impedisse i movimenti.
Si portò una mano al collo e sfilò l'anello dalla catenella, infilandoselo al dito: - Ho bisogno che tu combatta al posto mio - esclamò, decisa.
Non posso farlo, rispose Radi, Io non posso sentire il dolore ma tu sì...
- È per questo che te lo sto chiedendo - lo interruppe lei - Anche se mi farà male tu potrai continuare a combattere comunque... io non ci riuscirei. -
Mi rifiuto di fare una cosa del genere, ribatté l'uomo con veemenza, Non puoi chiedermi di usare il tuo corpo per combattere sapendo che ciò ti farebbe del male.
- Radi, ti prego! - esclamò la ragazza, disperata - Quelle persone hanno bisogno di me e non posso fare nulla in queste condizioni, sei l'unica speranza che ho! -
Ci fu un lungo istante di silenzio, poi Radi sospirò: Forse c'è una cosa che posso fare, rispose infine e Marinette sentì un'ondata di sollievo invaderla dalla testa ai piedi. Però devi darmi il tuo consenso, aggiunse lasciandola perplessa.
- A cosa ti riferisci? - chiese.
Intendo prendere totalmente il controllo del tuo corpo, affermò con decisione, facendole sgranare gli occhi. E' come quando ti richiamo nella mia mente, solo che stavolta non sarò lì con te: tu non vedrai e non sentirai nulla di ciò che accade fuori, quindi non avvertirai neanche il dolore fisico. Io, di rimando... beh, sarò praticamente te, spiegò lasciandola allibita.
- Puoi davvero fare una cosa del genere? - domandò, incredula: non le aveva mai accennato nulla di simile prima di allora e la cosa la affascinava molto, certo, ma la turbava anche un poco. Sapeva che poteva controllare il suo corpo muovendo gli arti e parlando, ma che potesse addirittura prendere il suo posto in tutto e per tutto non le era mai passato per l'anticamera del cervello.
Non si accorgeranno di nulla, puoi stare tranquilla... l'unica cosa che non posso garantirti è come starai dopo, ammise titubante, Anche se ora non sentirai dolore la tua caviglia subirà uno sforzo notevole e potresti avere delle ripercussioni quando tornerai in te.
Ma Marinette non ci pensò su due volte: - Va bene, ci sto - rispose: se sarebbe servito a risolvere la questione le stava bene, sperava solo che non succedesse nulla di grave a nessuno, sopratutto a Radi.
L'uomo sparì dalla sua percezione, le palpebre le divennero pesanti e la mente le si annebbiò di colpo, facendola cadere in ginocchio sulle scale.
Rilassati, le mormorò Radi attirandola a sé, Sarà come addormentarsi, non te ne accorgerai neanche.
La ragazza si sentì avvolta da qualcosa di caldo e venne risucchiata dentro sé stessa, trovandosi a galleggiare in uno spazio vuoto e completamente nero; vedeva la grande scala che dava sul corridoio davanti a sé come se i suoi occhi fossero una specie di finestra gigante sul mondo esterno: vide le proprie mani avvolte dai guanti rossi aggrapparsi al corrimano e la visuale alzarsi, segno che il suo corpo si era rimesso in piedi, poi cominciò a scendere i gradini.
Era così che Radi vedeva cosa accadeva fuori? Come se fosse in una specie di cinema con la vita di Marinette a fargli da film del momento? Sbatté gli occhi, sentendoli bruciare, immaginando il trisavoro seduto su un divanetto (con tanto di popcorn e occhiali 3D) a godersi le epiche figuracce della nipote in tempo reale e quasi sorrise mentre, piano piano, la visuale le si appannava. Si abbandonò, così, nel nulla, abbassando le palpebre e cadendo immediatamente in uno stato di profonda incoscienza.




Quella era la prima volta che Radi si ritrovava a possedere un corpo. Un corpo vero e tangibile che poteva sentire, provare e toccare tutto ciò che aveva intorno; avvertiva l'aria entrare nei polmoni, la saliva scendere giù per la gola e il cuore che batteva nel petto come se fossero amplificati di dieci volte. Un acre odore di legno misto a polvere gli entrò prepotentemente nelle narici e un leggero venticello (proveniente da una delle finestre del corridoio) gli scostò la frangia; persino le fitte di dolore che venivano dalla caviglia e si espandevano fino alla spina dorsale lo inebriavano, accendendo tutti i suoi sensi.
Per la prima volta dopo anni Radi si sentì vivo.
Si portò una mano al petto, poco sopra l'incavo del seno, e chiuse gli occhi beandosi del suono che faceva il battito del cuore di Marinette contro la sua pelle; iniziò a ridere, quasi istericamente, felice ed emozionato come non ricordava di essere mai stato da quando era ancora in vita. Certo, quel corpo non era il suo e usarlo non era la stessa cosa, ma sentiva che era già troppo il fatto che Marinette gli avesse concesso quell'opportunità quindi non era proprio il caso di lamentarsi o fare lo schizzinoso.
Prese un respiro profondo e scosse il capo, mettendo fine a quel momento di nostalgia e lieti ricordi: era lì per un motivo e non doveva lasciarsi distrarre da nulla, esattamente come quando lavorava come sicario o andava in missione per conto del Primo... in effetti, era un tuffo nel passato in tutto e per tutto. Avanzò verso la seconda rampa di scale e, preso da un moto di adrenalina, aumentò gradualmente il passo fino a ritrovarsi a correre dritto nella hall. La corporatura di Marinette era molto esile e leggera, permettendogli uno scatto rapido e un'andatura incredibilmente veloce che mai aveva raggiunto neanche con il proprio corpo che, tuttavia, era molto agile e allenato da anni di servizio; sentiva il vento sul viso e il respiro uscire a tratti dalle labbra. Scariche elettriche di emozione gli risalirono per tutto il corpo e ignorò la caviglia che, provata e dolorante, urlava il proprio disappunto: faceva molto male, era vero, ma lui aveva una soglia di sopportazione del dolore nettamente più alta rispetto a quella della ragazza, forgiata dalle varie ferite ricevute in battaglia, quindi non era affatto problematico da sopportare.
Rise e si lasciò andare ad un urlo liberatorio, saltando sul corrimano e scivolando giù per la restante rampa di scale: si sentiva pieno di energie e di adrenalina, avrebbe potuto fare qualunque cosa e non vedeva l'ora di riprovare l'ebrezza del combattimento sulla propria pelle. Atterrò nella sala con agilità e si guardò intorno, adocchiando fin da subito le due uscite più vicine e ben quattro punti nascosti in cui ripararsi in caso di necessità: conoscere il campo di battaglia era fondamentale per poter combattere adeguatamente e prepararsi ad ogni evenienza; avrebbe dovuto insegnare questi fondamenti a Marinette appena ne avrebbe avuto l'occasione.
- Ah, bene, sei arrivata! -
Chat Noir sbucò da dietro un pilastro, raggiungendolo velocemente, ma Radi lo degnò a malapena di uno sguardo concentrandosi sullo studio del soffitto a volta: c'erano tre impianti di aerazione sulle pareti ma non erano abbastanza grandi perché una persona potesse passarci dentro, quindi erano da escludere sia come via di fuga che come mezzo d'entrata per il nemico.
- Sono contento che tu sia quì, sopratutto dal momento che il signor Bourgois non la finiva più di lamentarsi - il ragazzo alzò gli occhi al cielo, avvicinandosi fin troppo a lui per i suoi gusti: non aveva nulla in particolare contro Chat Noir ma non gli piaceva il modo irritante e molesto con cui si poneva nei confronti di Marinette. Aveva quel fare malizioso negli occhi quando la guardava che lo infastidiva moltissimo ma non aveva mai osato dire nulla perché sapeva che la ragazza era affezionata a lui, nonostante tutto, e non voleva darle un dispiacere... ma era proprio perché le voleva bene che aveva quel senso di protezione costante verso di lei. Era anche un po' geloso, se doveva dirla tutta: sapeva benissimo che Marinette avesse quattordici anni e che fosse abbastanza grande per vivere la propria vita, ma era pur sempre la sua nipotina adorata e vedere un ragazzo rivolgersi a lei in modo così irrispettoso lo mandava in bestia.
Era vero che era stato un po' dubbioso nei suoi confronti all'inizio e non aveva avuto intenzione di mostrarsi per un bel po' però, allo stesso tempo, l'aveva incuriosito molto il fatto che fosse riuscita ad evocare la fiamma fin dal primo momento in cui aveva indossato l'anello: Radi era stato investito dalla sua presenza all'improvviso e con forza inaudita, risvegliandolo dal suo sonno costante con una determinazione talmente pura e inconsapevole da lasciarlo turbato; perché Marinette non si era ancora resa conto di quello che era in grado di fare, non sapeva tutto il potenziale celato dentro di lei, e questo era l'aspetto che più attirava il suo interesse: era curioso di vedere come si sarebbero evolute le cose, sia per lei che per la decima generazione della famiglia Vongola.
E infine, per ultimo ma non per importanza, Marinette lo aveva sentito anche se non direttamente: la ragazza aveva avvertito il legame di sangue che li univa, tenuto vivo dall'anello stesso, anche quando non lo indossava. Era stata quella consapevolezza a spingerlo a farsi avanti prima di quanto avesse previsto: l'idea che ci fosse un qualcosa di così forte tra loro lo aveva interessato a tal punto che le si era mostrato direttamente, stroncando anticipatamente il “rituale” che aveva riservato ai suoi (pochi) predecessori e che con lei aveva solo iniziato, ovvero quello di passarle parte dei propri ricordi perché iniziasse a conoscerlo prima di incontrarlo faccia a faccia. Il suo stupore ma la sua gioia erano stati grandi quando lei lo aveva accolto senza timore ma con una naturalezza e una familiarità normalissima, quasi come se si conoscessero da una vita, sebbene non sapesse ancora chi fosse.
Sì, Marinette era decisamente una persona particolare e questo, unito al suo carattere dolce e spontaneo, aveva fatto nascere fin da subito la scintilla in lui: amava teneramente quella buffa ragazzina che gli somigliava in una maniera quasi inquietante; era un membro della sua famiglia, sangue del suo sangue, ed era disposto a dedicarle tutte le attenzioni e l'aiuto di cui aveva bisogno per rendere la sua esistenza meno complicata possibile, e ciò valeva sia nella vita di tutti i giorni che sul campo di battaglia. Sbatté le palpebre una sola volta, voltandosi finalmente verso il suo interlocutore che stava ancora ciarlando, stavolta, però, di un qualche appuntamento sotto la gelateria una volta usciti da lì.
Alzò un dito di scatto, piantandoglielo sulle labbra e zittendolo di colpo: - Tu parli troppo - esalò, secco, gelandolo con lo sguardo. Ok, era vero, aveva promesso a Marinette che non avrebbe fatto nulla di strano che li avrebbe fatti scoprire... ma non sarebbe stato capace di sopportare le idiozie di quel ragazzetto come faceva lei che, in quanto a pazienza, lo surclassava alla grande. Senza contare, ovviamente, che trovava fastidioso all'inverosimile l'insistenza di Chat Noir nel volersi approcciare a lei nonostante lo avesse già rifiutato più volte. Sperava (per il suo bene, ovviamente) che avesse capito l'antifona e iniziasse a starsene un po' in silenzio, almeno finché era lui a detenere il comando.
- Ehm... va tutto bene? Ti vedo un po' strana, oggi - notò il ragazzo, un po' timorosamente, quando lui ebbe abbassato la mano.
- Non è giornata e le tue chiacchiere mi innervosiscono - tagliò corto Radi, cercando di simulare il tono di voce più normale di Marinette - Concludiamo questa faccenda in fretta, per favore - aggiunse, superandolo per raggiungere il bancone della reception dietro il quale era nascosto il sindaco della città: un vero cuor di leone quell'uomo. - Esca da lì, ho bisogno di lei per attirare l'akumizzato - ordinò. André sgranò gli occhi e Chat Noir lo guardò allibito.
- Hai intenzione di usarlo come esca? - domandò, decisamente stupito.
Radi non fece una piega - Mi sembra ovvio - rispose, tranquillamente - Farlo uscire allo scoperto è l'unico modo per sconfiggerlo. -
- Ma non sarà pericoloso? - domandò l'uomo, spaventato, sporgendosi leggermente da dietro il bancone.
- Non finché ci sarò io - decretò Radi, risoluto - Ora piantatela di parlare e datevi una mossa - aveva sempre detestato quando i suoi ordini venivano messi in discussione e questo era valso, in passato, moltissime litigate con G e Alaude. Ma non poteva farci nulla, la vena autoritaria faceva parte del suo carattere e, a volte, poteva rivelarsi quasi un difetto. Si tolse lo yo-yo dalla vita e respirò a fondo: era passato tanto tempo dall’ultima volta che aveva impugnato seriamente un’arma e il brivido che lo invase dalla testa ai piedi fu a dir poco sublime. Avrebbe finito quella faccenda in un battito di ciglia e si sarebbe anche divertito nel mentre, era inevitabile che ciò accadesse.
Così come fu inevitabile il tonfo sordo che provenne dal piano di sopra: lui era lì, li stava cercando e non aveva intenzione di farlo attendere.
- E’ qui… - mormorò André, tremante, e Radi sorrise tendendo lo yo-yo con un gesto deciso.
- Fantastico. -






Il sole stava ormai tramontando e, nella lieve brezza serale che si innalzò per le strade, Tikki rabbrividì leggermente stringendo a sé il biscotto al cioccolato. Radi abbassò lo sguardo su di lei e le passò un dito sulla testolina, accarezzandola piano, poggiando una mano intorno al suo piccolo corpicino per riscaldarla un po’. Inspirò a fondo l’aria gelida, chiudendo gli occhi, e abbandonò la schiena contro il palo della luce alle proprie spalle: il marciapiede su cui era seduto era freddo e gli stava congelando il sedere, ma la cosa non lo infastidì particolarmente.
- Uhm… quando tornerà Marinette? - chiese il Kwami, quasi timidamente, dopo alcuni lunghi minuti di silenzio e Radi aprì lentamente gli occhi.
- Voglio far riposare un po’ la caviglia - rispose, senza distogliere lo sguardo dal cielo che si andava scurendo - L’ho sforzata troppo e, ora come ora, le farebbe parecchio male - sospirò stancamente - Inoltre, c’è un’altra faccenda che vorrei risolvere prima di tornare nell’anello… - aggiunse, facendosi serio, voltando di poco gli occhi alle proprie spalle dove la stradina di fronte l’hotel era completamente vuota.
O quasi.
Era da quando avevano messo piede in albergo, quel pomeriggio, che aveva avvertito una presenza particolare star loro addosso; non aveva voluto dire niente a Marinette per non allarmarla, anche perché non sembrava affatto pericolosa, ma non poteva più ignorarla dal momento che li aveva seguiti per tutto il tempo. Le porte di vetro della hall si aprirono di scatto e Bianchi corse fuori, adocchiandolo fin da subito seduto qualche metro più in là.
Sospirò di sollievo e si avvicinò ai due, tranquillizzandosi, e si piegò su di lui: - Va tutto bene, Marinette? - chiese.
Il ragazzo non si voltò neanche a guardarla ma un dolce sorrise gli nacque spontaneo sulle labbra: - Oh, lei sta benissimo - rispose, calmo, facendole sgranare gli occhi - L’ho messa un po’ a riposare. -
Bianchi si alzò di scatto, fissandolo allarmata, e ci mise qualche secondo a capire: - Radi...? - domandò, esitante. Il ragazzo alzò lo sguardo e il suo sorriso si ampliò.
- Bingo! - rispose, divertito - Marinette mi ha chiesto di prendere il suo posto perché non riusciva a combattere con la caviglia dolorante. La risveglierò quando saremo a casa - spiegò.
La donna sembrò turbata da quelle parole, non sapendo assolutamente come reagire nel trovarsi di fronte il primo Braccio Sinistro della storia dei Vongola nel corpo della sua protetta, ma cercò di racimolare tutto il proprio contegno. - Capisco - rispose infine. Radi si alzò in piedi, poggiandosi al palo, e si spolverò il retro dei jeans.
- Piuttosto… non so se te ne sei accorta ma c’è qualcuno che vi sta seguendo fin da quando siete uscite di casa - informò. Bianchi s’irrigidì e si voltò di scatto, sondando l’area circostante in cerca di una presenza estranea: com’era possibile che non se ne fosse accorta prima? Erano in pochi a potersi nascondere così bene alla sua percezione ed erano tutti esperti di alto livello, il fatto che Radi riuscisse a percepirlo denotava indubbiamente quanto fosse superiore a molti membri attuali della mala sia in forza che in esperienza e questo la mise piuttosto in soggezione.
- Ah, quindi te ne sei accorto, korà! - esclamò una vocina piuttosto imponente, facendola sobbalzare - Devo ammettere che non era questo che mi aspettavo di vedere, oggi… volevo controllare con i miei occhi le reali capacità della ragazza ma mi sono ritrovato ad osservare te in azione. Mi avete colto di sorpresa, korà. -
Radi si voltò giusto in tempo per veder scendere giù dal cielo un gabbiano bianco che reggeva, saldamente tra le zampe, un minuscolo bambino dai folti capelli biondi. Bianchi sospirò quasi con sollievo quando capì che non era di un nemico che si trattava e si rilassò notevolmente, vedendo il nuovo arrivato fermarsi a mezz’aria di fronte a loro.
- Una sfortunata coincidenza - ammise il ragazzo, alzando le spalle - A giudicare dal tuo Ciucciotto presumo che tu sia l’Arcobaleno della Pioggia - aggiunse, adocchiando il panciuto gioiello di un azzurro brillante sul petto del bambino.
- Esattamente. Il mio nome è Colonnello e sono quì perché Reborn mi ha chiesto di addestrare il nuovo Braccio Sinistro di Tsunayoshi, korà - annuì lui.
Radi sorrise: - Beh, temo che dovrai aspettare ancora un po’ per conoscerla - lo informò - Almeno finché non mi sarò buttato su un divano. -
Non aveva neanche finito la frase che i fari della macchina di Dino svoltarono l’angolo e si fermarono proprio di fronte al gruppetto; il ragazzo aprì lo sportello e scese dal veicolo - Scusate il ritardo, la polizia ha chiuso tutte le strade che portavano qui per via dell’akuma - sospirò, passandosi una mano tra i capelli - È andato tutto bene, spero - disse, bloccandosi quando scorse Colonnello tra le due ragazze. - Colonnello! - esclamò, sorpreso di vederlo lì.
- Dino - salutò il bambino, mettendo finalmente i piedi per terra.
Lui lo guardò, piuttosto confuso: - Come mai sei qui? Reborn mi aveva detto che sarebbe stato Fong a cominciare… - informò. Colonnello alzò le spalle.
- Ha avuto un contrattempo e ha chiesto a me di sostituirlo, korà - spiegò, dando un buffetto sulla testa del gabbiano prima che quello volasse via - In ogni caso non potrò fermarmi a lungo quindi dovremo velocizzare un po’ la tabella di marcia. Parlerò io con Lal e decideremo cosa fare con lei… quando sarà tornata, korà - aggiunse, voltandosi verso Radi.
Dino aggrottò le sopracciglia: - Tornata? - domandò, evidentemente turbato, guardando Marinette. Bianchi si sporse verso di lui.
- Radi ha preso possesso del suo corpo - lo informò, eterea, facendogli sgranare gli occhi.
- Potrete parlarne con lei una volta a casa - tagliò corto il ragazzo, adagiando Tikki nella borsetta, serio in volto - Ho davvero bisogno di stendermi: temo che la caviglia di Marinette non reggerà ancora per molto. -






Marinette sospirò a fondo quando sentì delle braccia avvolgerle il busto, alzandola dalla posizione supina nella quale aveva dormito fino a quel momento. Radi le accarezzò dolcemente la testa, sorridendo, e le lasciò un bacio sulla fronte: - Grazie - mormorò contro la sua frangetta prima di lasciarla finalmente andare. Quando aprì gli occhi, la ragazza si trovò ad osservare il soffitto del suo salotto e i volti di Dino, Bianchi e Lal a contornare la propria visuale. Sbatté le palpebre un paio di volte e si guardò intorno, confusa.
- Cosa… cosa è successo? - domandò, facendo leva sui gomiti per mettersi seduta: ricordava di aver lasciato che Radi prendesse possesso del proprio corpo e di averlo visto scendere nella hall dell’albergo per combattere… sgranò gli occhi e venne folgorata dal ricordo di quel pomeriggio: - ...l’akumizzato! - esclamò, andando nel panico - Radi è riuscito a batterlo? Non c’è stato nessun problema, vero? - domandò, concitata, ma appena mise i piedi per terra una scarica di dolore le attraversò la caviglia, facendola gemere.
- Marinette, calmati, va tutto bene - la tranquillizzò Bianchi, spingendola contro la spalliera del divano - È tutto risolto, ora devi solo riposarti. -
- Adesso potete spiegarmi cosa è successo? - domandò Lal, piuttosto contrariata. La ragazza fece una smorfia, alzando l’orlo dei jeans e constatando con orrore che la caviglia fosse più gonfia di quel che ricordasse: - Ho investito il sushi chef di Chloé e sono caduta dalle scale - rispose, con voce sofferente - Non riuscivo a combattere in queste condizioni così ho chiesto a Radi di aiutarmi e lui ha preso il mio posto… anche se credo che la situazione sia peggiorata: non era così nera prima. -
Lal sospirò, psicologicamente esausta, e Bianchi si alzò dal divano: - Vado a prendere del ghiaccio - informò, dirigendosi verso la cucina. Fu allora che Marinette si accorse della piccola figura seduta nella poltrona accanto a sé: era un bambino della stessa stazza di Lal, con disordinati capelli biondi e grandi occhi azzurri; indossava una tuta mimetica verde acido e aveva sulla fronte una fascia perfettamente coordinata, con una grande spilla recante il numero 1 come ornamento. Ad attirare maggiormente la propria attenzione, tuttavia, fu il grande ciucciotto azzurro poggiato sul suo petto che le fece bene intendere chi fosse realmente... e la cosa non le piacque neanche un po’.
- Ehm… cosa mi sono persa? - domandò, titubante, indicandolo. Dino, seduto sul tavolino di fronte a lei, si voltò verso di lui.
- Lui è Colonnello, l’Arcobaleno della Pioggia. Ti ha tenuta d’occhio tutto il pomeriggio - spiegò, lasciandola piuttosto turbata.
- È un piacere conoscerti finalmente, korà - esclamò Colonnello.
Marinette lo fissò per un momento, elaborando quelle informazioni e ricordando improvvisamente quello che le disse Lal quando si erano conosciute: lei avrebbe dovuto essere l’Arcobaleno della Pioggia ma qualcuno, all’ultimo momento, aveva preso il suo posto… e se Colonnello ricopriva quel ruolo significava che era lui colui che si era messo in mezzo prendendosi la maledizione al posto della bambina. Sbatté le palpebre, d’un tratto incuriosita da tutta quella faccenda, e annuì.
- Beh, piacere mio - rispose, non sapendo cos’altro dire. Lal incrociò le braccia al petto, piuttosto seccata.
- Colonnello è stato mandato quì da Fong per iniziare il tuo addestramento - la informò, spiccia, e la ragazza aggrottò le sopracciglia.
- Fong? -
- L’Arcobaleno della Tempesta - spiegò Colonnello - Sarebbe dovuto venire lui ma ha avuto un contrattempo, quindi ho preso il suo posto, korà. -
- Ah - mormorò la ragazza, chiedendosi perché ripetesse quella strana parola alla fine di ogni frase… ma, dopotutto, lei era abituata agli strani “Voi” che Squalo urlava di tanto in tanto e senza alcun motivo apparente, quindi decise di ignorare quel dettaglio. - Bene - aggiunse, cercando di suonare affabile, mentre Bianchi tornava accanto a lei con uno panno pieno di cubetti di ghiaccio - Però temo che al momento mi sia impossibile qualunque forma di allenamento - notò, con una smorfia, poggiandosi la sacca sulla caviglia.
- Mi sembra piuttosto ovvio - alzò gli occhi al cielo Lal - Ti riposerai per un paio di giorni, poi cominceremo l’addestramento. Colonnello non potrà restare quì per sempre e non possiamo assolutamente perdere tempo - dichiarò, risoluta. Era decisamente un ordine, il suo, e Marinette non poteva obiettare; persino il bambino sembrò un po’ intimorito da lei e non poté assolutamente dargli torto.
Sospirò, poggiandosi allo schienale del divano con una stanchezza addosso senza eguali: sarebbe stato un addestramento molto molto pesante, su questo non ci pioveva.









   
 
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