Storie originali > Fantasy
Segui la storia  |       
Autore: Giulia1098    21/09/2020    1 recensioni
Dodici giardini per dodici ragazzi, dodici mesi, ingranaggi di un sistema perfetto, ma limitante. Questa è la storia di Maggio, di come decise di voler assaggiare di più del mondo e delle sue storie e così scoprì grandi misteri nascosti, così scoprì l'amore
Genere: Fantasy, Introspettivo, Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Crack Pairing
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
   >>
Per recensire esegui il login o registrati.
Dimensione del testo A A A
Mani bianche accarezzavano un’acqua trasparente, che si increspava al di sotto di quelle lunghe dita affusolate; dei petali di ciliegio navigavano intrepidi nella piccola polla e sassolini bianchi splendevano come denti di un sorriso smagliante tra alghe verdi, oscillanti, che seguivano ubbidienti il movimento sinuoso di quelle morbide dita delicate.
 Maggio cantava una canzone antica, con una voce che sapeva di passato: aveva visto tanto del mondo ed aveva conosciuto altrettante musiche e racconti, rimanendo ogni volta affascinata da quegli uomini che si radunavano in cerchio davanti ad un fuoco per raccontarsi di leggendari cavalieri, streghe e sirene, avventure mai udite prima, ma sempre con voci suadenti ed affascinanti.
Cantava di amori e sguardi, di parole e sospiri e intanto sognava un amore tutto suo e sospirava sognandolo, mentre il vento profumato accarezzava i suoi lunghi capelli castani. Alzò gli occhi al cielo e le labbra di rosa sorrisero davanti ad un azzurro sconfinato che illuminava il giardino fatto di sole e di fronde; grandi occhi azzurri si riempirono di orgoglio e dolcezza osservando una piccola margheritina che cercava di allungare il collo per godere anche lei dei raggi del sole. Maggio si alzò e il vestito di petali di rosa ondeggiò lievemente accarezzando quel corpo delicato e morbido, bianco come fosse stato latte.
Con le mani alzò la corolla del piccolo fiore e la sostenne con le dita, delicatamente -Su, su- lo incoraggiò materna. La margherita sembrò aver ascoltato e tentò di drizzarsi sul suo stelo con tutte le sue forze, aprendo le foglie più che poteva, tentando di dispiegare i petali accartocciati. Ma il sole era un poco troppo distante da lei e per quanto ci provasse, rimaneva purtroppo nell’ombra del cespuglio sovrastante.
Maggio ridacchiò sotto i baffi e le soffiò un alito caldo e dolce sulla corolla; quella sembrò dotarsi di una forza inaudita per una semplice margheritina di campo: lo stelo si allungò, le foglie si distesero e il caldo della luce del sole poté finalmente bagnarle il bianco dei petali. -Oh, piccolo fiore, non sei forse bellissimo? - domandò Maggio, guardandola con amore. Era ormai da quasi un anno che aspettava di poter scendere nella terra, lì dove lo spazio per dare la vita e farla maturare e fiorire era così vasto. Amava il suo giardino, certamente, sarebbe stata un’ingrata a non apprezzarlo, lì poteva godere di tutto il sole che voleva, della pioggia se fosse stata triste o della brezza se avesse avuto caldo, ma alla fine di quel giardino c’era sempre un cancello, un cancello che lei poteva aprire troppe poche volte l’anno e che la faceva sentire in fondo come se fosse in una bella prigione, una prigione di luce, di bellezza e vita, ma pur sempre una prigione.
Ogni volta che scendeva nel mondo invece, rimaneva estasiata da tutta la diversità che vi incontrava, dai popoli che osservava, dalle città che sbirciava di nascosto, ovviamente il suo compito non era guardare, ma portare i fiori ed i frutti, eppure una spasmodica curiosità si impossessava di lei per tutti quei trentun giorni di libertà che le erano concessi.
 Nella sua mente prendeva nota di tutto quello che vedeva, dei racconti che origliava, delle canzoni che di nascosto imparava a memoria, di tutte quelle strane lingue che poteva ascoltare, non osservata da nessuno, aveva udito una volta una vecchia cantare un canto talmente triste, ma con una lingua talmente bella, che si era dimenticata se stesse piangendo per la gioia o per la tristezza. Ovviamente non aveva sempre assistito a bei ricordi, c’erano stati avvenimenti che le avevano fatto odiare l’umanità, in cui aveva sperato di non dover scendere mai più tra quei barbari incivili, che uccidono, rubano e mentono, ma alla fine non riusciva a non farsi trasportare dalla loro stessa vitalità cieca, perché in fondo erano come bambini spersi, bisognava solo educarli alla bellezza per far sì che loro stessi aspirassero a questa, rinnegando violenza e malvagità. Per questo Maggio si sforzava di portare ogni anno i fiori più belli ed i frutti più buoni, così che l’uomo li ammirasse e venisse ispirato da così tanta vita. Prese in mano un taccuino appoggiato sull’erba e ne sfogliò le pagine ingiallite dal tempo.
L’aveva rubato in qualche mercato, non sapeva nemmeno lei più dove, ed aveva preso l’abitudine di annotarvi tutto ciò che fosse degno di essere ricordato: una canzone, una favola su di un lupo ed una strana bambina rossa, o così le era sembrato di aver capito, una legge giusta, uno schizzo di un volto di donna. Mentre sfogliava le pagine assorta dai suoi ricordi di libertà, non si accorse che in fondo al giardino si era aperta la porta del cancello ed un ragazzo, vestito elegantemente, era avanzato maestoso verso di lei, accompagnato da gocce di pioggia, che si divertivano a scendere e risalire quei capelli castano scuro, proprio come i suoi. -Aprile!- accortasi del fratello, la ragazza gli corse incontro a braccia aperte; il vento accompagnò la sua corsa non facendole toccare terra, mentre le magnolie bianche con cui aveva intrecciato i capelli ricadevano sull'erba verde e diventavano alberi fioriti. -Aprile, Aprile! - Maggio circondò il fratello con le braccia facendolo cadere per terra; quello ridendo la strinse a sé -Non hai rinunciato alle rose vedo- disse indicando il cancello su cui si inerpicavano rose rosse spinose -E come potrei; Quelle sbarre di ferro sono così fredde e brutte che ho pur dovuto porvi un qualche rimedio- rispose Maggio, ridendo. Aprile le accarezzò le guance arrossate -Neanche un giorno- lei sorrise e arrossì -Bella come nostra Madre, ma meno elegante oserei dire dal modo in cui mi sei corsa addosso! - si rialzò guardandola di sottecchi, uno sguardo un po’ di rimprovero un po’ di complicità. -E’ finalmente passato un anno- disse la sorella, mentre lui si sistemava la giacca azzurra
-Sì Maggio, già un anno. La terra ti reclama. Credo che gli uomini ne abbiano abbastanza delle mie piogge, attendono solo te- la ragazza cominciò a volteggiare per il giardino senza fermarsi un solo attimo. Finalmente sarebbe potuta uscire, finalmente avrebbe respirato di nuovo l’aria della terra, ascoltato nuovi racconti e sbirciato nuove vite. -Avete sentito ciliegi, devo portarvi giù sulla terra con me. Oh, voglio tanti frutti quest'anno, tanti colori- la testa le girava, ma Aprile la prese proprio un momento prima che cadesse a terra -Ma ora devi recarti da nostra madre per la porta, lo sai-
-Giusto, giusto la porta...Aprile sono così felice di vederti! - strinse ancora il fratello -E' proprio ingiusto vedersi solo ai cambi, non trovi anche tu? –
-Lo so, ma ora io sono qui- i suoi occhi azzurri la guardarono con affetto, un affetto che rimaneva immutato da ormai molto tempo, ma che velava anche una malinconia ed un senso di ingiustizia nascosti. I figli delle stagioni avevano difatti l'obbligo di restare nei loro giardini per tutto l'anno fino al loro mese, allora scendevano sulla terra e come pittori la coloravano e dipingevano di sé stessi. Tre figli per quattro stagioni, dodici mesi e dodici vite. Maggio non conosceva i figli di Inverno, né quelli di Estate o Autunno e poteva vedere Marzo solo il giorno del solstizio di primavera dove tutti e tre si riunivano nel palazzo della madre. Così era per tutti e così era da sempre, mai nessuna domanda, mai nessuna obiezione. -Aprile tu hai visto Marzo un mese fa, come sta? - lui le prese la mano e passeggiò un po' con lei per il suo giardino -Oh, come al solito. Sempre di malumore e si diverte a far piovere con il sole- lei rise -Non vedo l'ora che sia il nostro equinozio- -L'amore per il tuo mese è già finito? - la canzonò lui -Oh no, ho tante idee. Che ne dici di nuvole come lana? Così i bambini potranno giocare e poi voglio caldo e gioia. Molto azzurro e un tocco di rosa, bianco ed arancione. Forse inventerò qualcosa di nuovo- Aprile le scompigliò i capelli, lasciandole una matassa arruffata -Tanto poi arriverà Giugno e i tuoi fiori andranno via-
-Ma tutti ricorderanno com'erano belli e mi aspetteranno per rivederli-. Passeggiavano insieme, mano nella mano felici di essersi rivisti; in effetti Aprile era il suo fratello preferito. Marzo era troppo grande e vicino ai figli di Inverno per essere più di tanto simile a lei; Aprile invece era il suo amico fidato, quello che non vedeva l'ora di vederla per raccontarle tutto quello che aveva fatto. -...E poi un giorno ho fatto piovere così tanto da allagare tutto un prato. Credimi sembrava un lago come quello davanti a casa di nostra madre, dovevi vedere quelle povere massaie si affrettavano a ritirare il bucato appena steso, erano tutte un garbuglio di sottane, gonne e copricapi! - avevano fatto il giro di tutto il giardino ed erano arrivati al cancello di rose rosse, possibile che quel posto fosse così piccolo?
-Ti prego resta ancora un po’- lo supplicò Maggio -Solo un'ora, dovremo aspettare un altro anno per rivederci, per favore resta qui con me, nessuno lo verrà a sapere, solo un’ora ancora- -Sai che non si può, e poi è già meno di un anno- le baciò la fronte e le pizzicò la guancia con le dita -Ora devo andare, sono rimasto anche fin troppo- il cancello infatti si era già spalancato da qualche minuto, come se aspettasse irritato di far uscire l’intruso dalla sua cella. -Tra meno di un anno- - Tra meno di un anno- gli fece eco una Maggio un poco più triste di come l’aveva trovata. Il fratello passò sotto l'arco di rose e si dissolse in pioggia che volò in una direzione sconosciuta in quella bruma bianca, lasciandole solo il profumo dell'acqua fresca. La ragazza rimase qualche secondo a guardare quel paesaggio di nuvole davanti a lei. Sembravano pennellate di acquerello color perla e lillà, soffici e leggere scorrevano come acqua di un fiume, placide e tranquille. Si riscosse all’improvviso e tornò immediatamente di buon umore pensando alla madre, che avrebbe visto di lì a poco.
Corse alla polla d'acqua e cominciò a specchiarsi e pettinarsi i capelli, intrecciandoli con dei piccolissimi fiori blu, ora che ci pensava somigliavano a pietruzze incastonate in stupendi bracciali che aveva visto al polso di favolose dame qualche anno prima ed ecco che subito l’entusiasmo per il mondo e la curiosità vinsero la sua malinconia.
 Il vento la vestì di petali di pesco, mentre le viole le regalarono gocce del loro profumo. Era proprio come prepararsi per una festa importante, una festa che aspettava da un anno e fu pronta per partire. Varcato il cancello cominciò a non sentire più i piedi, poi toccò alle gambe, al ventre e alle braccia, finché tutto il suo corpo non divenne fiori e profumo e volteggiando si immerse nel mare di nebbia, inconsapevole di sé.
 
 Il palazzo di Primavera sorgeva su di un prato verde, la cui erba era giovane e fresca, dissetata dalla rugiada guardava con invidia gli alberi dai frutti rossi accompagnatori dello stretto viale di terra, che portava all'entrata dell'imponente dimora.
Quando toccò terra, Maggio riprese forma di donna e rimase per un attimo a contemplare la vastità di quel giardino, molto più ampio del suo. In lontananza, proprio dietro il grande palazzo di marmo bianco, si scorgeva una superficie argentea luccicare sotto il sole e risplendere come fosse diamante, mentre di lato un cerbiatto dalle corna acerbe brucava tranquillo. Cespugli di fragole e lamponi crescevano sotto alte querce e betulle dai candidi tronchi accompagnate da bellissimi salici facevano da cornice al grande lago. Maggio avanzò per il viale mentre i fringuelli cantavano in cielo; i piedi, intorno ai quali si intrecciava dell’edera, sfioravano appena i sassi tondi sul terreno. Era impaziente di vedere la madre, di ascoltare quella voce che le avrebbe parlato, di vedere quegli occhi viola sorriderle affettuosi.
Dama Primavera era una madre inconsueta, non ne aveva mai viste di così sulla terra: lì di solito le madri raccontavano le favole della buonanotte ai bambini prima che si addormentassero, giocavano con loro, o li guardavano di nascosto crescere e diventare grandi, mentre Dama Primavera non era mai stata così.
Non ovviamente nel senso che non fosse buona o amorevole, certo lo era, ma lo era una volta sola all’anno, e comunque i modi eleganti, raffinati e composti, non facevano mai trasparire quell’onda di amore che Maggio aveva invidiato nei figli della terra. Il passo si fece più veloce e un tintinnio cristallino cominciò ad echeggiare mentre il vento faceva sbattere tra loro i frutti vermigli degli alberi, quasi fossero stati gioielli Le mani giocherellavano continuamente con i petali del vestito e i denti mordicchiavano ripetutamente il labbro inferiore, mentre una dolce euforia la prendeva. Finalmente fu davanti alla porta. Bussò. Una voce ariosa di donna cominciò a sussurrare attraverso le venature del marmo: La figlia della primavera è arrivata. Avanti, avanti! E le porte di cristallo vennero aperte mostrandole una stupenda sala bianca. Intorno alle alte colonne tornite si inerpicavano fiori azzurri e viola e i corrimano delle numerose scale erano rami di grandi alberi forti che sostenevano la dimora della regina della natura. Ad ogni passo della ragazza la voce sibillina le sussurrava dalle pareti Di qui principessina, di qui e lei la seguiva sempre più impaziente e vogliosa di vedere la madre in tutta la sua grandezza. Gli alti soffitti erano affrescati con dipinti di prati di campagna, i quali si perdevano in un cielo celeste dissolto nel marmo delle colonne, sempre adornate di bellissimi fiori. Ogni stanza dentro cui entrava era una gioia per gli occhi: vasi di vetro da cui sbocciavano rose, piccoli ruscelli che attraversavano il pavimento, uccellini variopinti che cantavano armoniosi. Era il tripudio della vita e della serenità. Aprite principessina, aprite! La incitò la voce e Maggio spinse con delicatezza una porta di legno massiccio con intarsiature finemente lavorate. Una luce accecante e bianca le investì il volto e poi eccola, al di là della porta: Dama Primavera. In una camera di cristallo, una donna bellissima stava assisa su di un trono di giunchi flessuosi, aveva lunghi capelli castani, ondulati che le arrivavano fino alle caviglie, occhi viola, saggi ed amorevoli, una bocca sorridente e rossa, come i lamponi del suo giardino. Si alzò e tese le braccia. Il vestito di acqua e foglie vorticava intorno al suo corpo, avvolgendosi sugli avambracci e disperdendosi ai suoi piedi, mentre una corona di primule illuminava quel bel viso bianco, in cui risaltavano le gote rosate. -Benvenuta, bambina mia- il tono educato e forse un poco pacato, non trattene Maggio dal correre in contro alla madre inebriandosi di quel fresco profumo di pesca -Mi siete mancata tanto!-
-Anche tu, bambina cara- ascoltare la sua voce era come stare a sentire mille campanelle che tintinnavano argentee, come il canto degli usignoli e lo scrosciare dell'acqua. La dama Primavera le accarezzò i lunghi capelli castani -Non racconti quindi nulla alla tua cara madre? Cosa pensi di portare quest’anno con te? - la ragazza le sorrise -Vorrei colore e caldo, ma non quello soffocante, quello non mi appartiene, un caldo tiepido, morbido- mentre le mani della madre continuavano ad accarezzarle la chioma, la figlia si accomodò ai piedi del trono, la testa appoggiata sulle gambe della Dama. Che fosse questo il solo affetto che la madre fosse in grado di offrirle, modi garbati e qualche carezza? Maggio si rimproverò da sola nella sua stessa testa: gioisci per ciò che hai e che non avrai per un altro anno intero, sciocca! -Vorrei anche inventare fiori nuovi e frutti nuovi, sai?- la madre sorrise -E che tipo di fiori e frutti?-
-L'altro giorno pensavo ad un frutto come i lamponi, ma blu come il cielo di notte- -E come lo desideri chiamare?- Maggio ci pensò un attimo, immaginando quella piccola pietruzza protetta da un corpo spinoso che la rendesse ancora più bella perché difficile da cogliere -Mora, lo chiamerò così-
-Che nome strano. Un po' bizzarro- la ragazza giocherellava con i petali di tulipani gialli che galleggiavano per i rigagnoli di acqua che percorrevano il pavimento della sala
-Lo sarà-
-E per i fiori?-
-Pensavo qualcosa di piccolo e rosato o bianco oppure entrambi, delicato, sicuramente leggero. I petali a cuore e gli stami saranno polverosi come quelli del giglio, ma giallo vivo. Una rosa delicata- -Rosa canina- Maggio guardò sorridente la madre -E' un nome stupendo-
-Dovresti fornirla di spine –
-Non so ancora, deciderò-. Rimase tutto il pomeriggio a parlare e a ricordare ricordi andati, mentre passeggiavano per l'immenso giardino, ma la Dama tendeva solo a sorridere a chiamarla con qualche vezzeggiativo ed a proporle alle volte qualche consiglio del mestiere. Quando arrivarono alle aiuole di campanule Maggio non resistette e pregò la madre di cantare una canzone con lei, mentre i fiori si scuotevano e suonavano come se fossero stati fatti di vetro. Forse uno dei pochi momenti di complicità che avrebbe avuto con lei per il successivo anno a venire. Cantarono una dolce ninna nanna che parlava di stelle e di albe, di laghi e mari e di primule timide che non volevano fiorire timorose del sole. Le loro voci erano leggere e delicate, così belle insieme che i fringuelli avevano smesso di cinguettare e, posatisi sui rami dei pioppi, stavano ad ascoltarle incantati. Quando il sole delineò la sua linea rossa all'orizzonte la dama Primavera fece segno alla figlia di rientrare. Era l’ora per recarsi nel mondo. Mentre camminavano per il palazzo la voce ariosa le superava attraverso i muri Preparate la porta, presto la porta! su per le scale e tra le colonne, oltre le sale e in mezzo ai soffitti. Maggio seguì la madre che la condusse in una stanza, ormai ben nota, al cui centro stava una polla d'acqua limpida su cui galleggiava una ninfea bianca, grande come non mai. -Siamo arrivati, ora è il momento per te di andare, cara bambina-
-Ancora un poco, ve ne prego-
-Sai bene che non è concesso- la madre la guardò con uno sguardo gentile, come sempre del resto, ma un guizzo le mostrò anche il rimprovero celato e la ragazza alzò le spalle -Già, me l'ha detto anche Aprile- con la mano Dama Primavera incitò la figlia ad entrare in acqua e a malincuore Maggio lo fece. Cominciò a scendere la grande scalinata che portava fino al fondo della polla, sentiva una dolce frescura penetrarle nelle ossa, una sensazione rilassante, piacevole. Quando l'acqua le arrivò al collo si voltò in direzione della madre con uno sguardo supplichevole che la pregava di restare con lei ancora un po', ma quella sorrise scuotendo lievemente la testa: –Tra meno di un anno- le stesse parole di Aprile -Tra poco, mamma- e si immerse completamente. Le radici della ninfea le avvolsero le mani e la trascinarono verso il fondo in direzione di un grande specchio ornato con lapislazzuli. Quando il suo corpo toccò la superficie fredda quella si spezzò in miriadi di frammenti lasciandola passare attraverso la sua cornice e dissolvendo il suo corpo in petali e profumo di viola. Il suo ultimo pensiero prima di svanire anche nella mente, fu per la madre e si chiese se un giorno l’avrebbe mai chiamata per nome.
   
 
Leggi le 1 recensioni
Segui la storia  |        |  Torna su
Cosa pensi della storia?
Per recensire esegui il login oppure registrati.
Capitoli:
   >>
Torna indietro / Vai alla categoria: Storie originali > Fantasy / Vai alla pagina dell'autore: Giulia1098