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Autore: Deruchette    21/09/2020    3 recensioni
[La storia segue lo svolgersi degli eventi dall'epilogo di "Hunger Games" all'epilogo di "Mockingjay"]
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Katniss e Peeta, gli Innamorati Sventurati del Distretto 12, i vincitori della 74esima edizione degli Hunger Games.
La loro storia è sotto gli occhi di tutti ma solo in pochi sanno che, in realtà, si tratta solo di finzione. La mossa strategica che li ha portati via dall'arena è costretta a continuare anche adesso che il sipario inizia a calare sull'ultima edizione dei giochi.
E se ad un certo punto la finzione si trasformasse in realtà?
Cosa succederebbe se gli Innamorati Sventurati fossero realmente innamorati?
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Dal capitolo 6:
"È evidente, chiaro come il sole, che è tutto cambiato. Che il ragazzo che all’inizio di quest'avventura consideravo un semplice amico, un alleato, adesso è diventato qualcos’altro. Per settimane mi sono chiesta se non fosse sbagliato nei suoi confronti recitare la parte della brava fidanzatina conoscendo la reale portata dei suoi sentimenti, sapendo che io non provavo la stessa cosa. Non sarebbe tutto più semplice se ti amassi?, la domanda che ronzava costantemente nella mia testa.
Ora lo so. Non solo è più semplice, più normale. È diventato anche necessario. Necessario come l’aria che respiro."
Genere: Drammatico, Generale, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Katniss Everdeen, Peeta Mellark
Note: What if? | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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In The Still Of The Night - 19

In the still of the night

 

 

 

 

19.

 

In the still of the night
I heald you
Heald you tight

 

Restiamo sulla terrazza fino all’ora di andare a letto e poi sgattaioliamo in silenzio in camera mia senza incontrare nessuno. Cerchiamo di godere della compagnia reciproca per tutta la notte, anche se dormiamo soltanto. Restiamo insieme fino al mattino, fino a che non vengono a svegliarci per i preparativi dell’intervista.
L’intervista: oggi non sarà una giornata di riposo.
Peeta mi saluta con un bacio frettoloso prima di lasciarmi, ancora assonnata e rintronata, per andare dal suo staff. Io resto col mio, che sembra avere tutte le intenzioni di sciogliersi in lacrime come il giorno della sfilata. So che Cinna ha parlato loro, ma non deve essere stato molto convincente se questo è il solo risultato che è riuscito ad ottenere.
Mentre la mattina avanza, tra un trattamento ed un singhiozzo, scopro che hanno in effetti delle regole da seguire. Lo scopro quando Octavia scoppia in lacrime, incapace di trattenersi ulteriormente, ed è costretta a fuggire dalla mia camera. Quindi, chi piange deve abbandonare il lavoro che sta facendo su di me: un po' troppo drastico, per i miei gusti, ma almeno risulta efficace.
Flavius riesce a resistere un altro paio d’ore prima di defilarsi, lasciando il suo lavoro a metà. Rimane solo Venia, che risoluta porta a termine anche il lavoro dei suoi colleghi. Trucco, unghie e capelli: quando ha finito, le mie guance sono tinte di un tenue rosa, il rosa di chi gode di una buona salute, ho gli occhi truccati leggermente e le palpebre che brillano, grazie alla polvere piena di glitter che ha utilizzato, e le labbra fucsia, ma non è il fucsia acceso che vedo sempre addosso a Effie. È un fucsia freddo, simile alla tinta che rimane sulle labbra quando mangi troppe bacche. È un fucsia che, a suo dire, enfatizza il colore dei miei occhi e dei miei capelli.
Venia mi lascia, anche lei ridotta in lacrime, quando Cinna arriva a controllare il punto della situazione. È già pomeriggio inoltrato.
- Devi scusarli, Katniss. Sono davvero tristi per ciò che accadrà domani – dice Cinna, pacato come al solito.
- Non fa niente – sussurro, stringendomi nell’accappatoio bianco. Sono triste anch’io per ciò che accadrà domani. Ma finché tengo gli Hunger Games reclusi in un remoto angolino del mio cervello va tutto bene, e posso continuare ad affrontare il resto delle ore che mancano all’inizio della serata. – Quello è il mio vestito? – chiedo, indicando la grande borsa che ha in mano.
Cinna annuisce. – Prima, però, finiamo di sistemare i capelli.
Mi fa di nuovo sedere ed inizia ad intrecciare i capelli, ricreando l’acconciatura a corona che avevo sfoggiato mesi fa durante il Tour della Vittoria. Tante trecce, e tutte che ruotano attorno alla testa. Peeta sarà felice, all’idea di poterle scioglierle tutte quante. Deve solo attendere qualche ora.
Quando è soddisfatto della sua opera, Cinna apre il borsone e mi rivela il suo contenuto. Riconosco dalla stoffa bianca ricamata a motivi dorati uno degli abiti da sposa che indossai durante il mio servizio fotografico, quello con abbinata la mantella… ed infatti, dopo aver steso per bene l’abito sul materasso, il mio stilista preferito recupera anche quella dai meandri della borsa. La stende, eliminando ogni grinza dal tessuto.
- È l’abito che hanno scelto per me? – domando, avvicinandomi al letto. Sfioro i motivi delicati di cui è interamente fatta la mantella: è fatta di un tessuto così leggero e trasparente che ho quasi paura di strapparla.
- Veramente no, hanno scelto l’abito di perle – mi spiega. – Ma è un abito molto aderente, e ho pensato che questo sarebbe stato più appropriato per la tua nuova figura – ecco un altro modo carino per indicare una gravidanza! – Il presidente Snow ha approvato senza problemi il cambio d’abito.
- Addirittura? Il presidente?
- Lui vuole che indossi un abito nuziale per l’intervista. È stata una sua richiesta inderogabile, a cui ci siamo opposti naturalmente, ma non abbiamo ottenuto grandi risultati.
- Ah – fiato.
Osservo il vestito, pensierosa. Chissà cosa è passato nella testa di quell’uomo per volere che indossassi quest’abito, o un abito da sposa in generale, per la mia ultima intervista. Chissà cosa vuole ottenere, nel vedermi in abito bianco. Chissà cosa penseranno tutti quanti, vedendomi in abito bianco. Pensavo che non mi sarei mai vista nemmeno io, in abito bianco. Mi sono sposata nuda, d’altronde… Questo ricordo mi fa sorridere.
- Beh – dico a Cinna, ricordando anche ciò che ho pensato la sera in cui mostrarono il mio servizio fotografico alla televisione, - almeno avrò un bel vestito.
- Indossiamolo, allora – mi invita lui.
Come la sera della sfilata, mi sfila l’accappatoio con gentilezza ed estrema delicatezza, e con altrettanta delicatezza mi fa scivolare il vestito sul corpo. Non conosco il nome di questo tessuto, ma è fresco e leggero sulla mia pelle nuda. Lascia le braccia e la schiena scoperte, se non fosse per i fili di perle dorati che si intrecciano in una rete. La gonna è così morbida che si posa come un velo sul mio corpo, e ne accentua la curva del ventre. Capisco cosa voleva dire Cinna: questo è un abito fatto apposta per esaltare la figura di una donna incinta.
Infilo i sandali, anch’essi dorati. Cinna sistema la mantella sulle mie spalle e me la lega intorno al collo grazie ad un nastro di raso bianco e brillante. Il leggerissimo pizzo mi avvolge completamente, come una protezione aggiuntiva. Preserva ciò che c’è sotto. È bellissimo.
Devo averlo detto ad alta voce perché Cinna mi risponde con un: - È proprio fatto apposta per te. Risplendi, grazie a quest’abito.
Il tocco finale è un cerchietto di fiori bianchi, veri, impreziositi da piccoli cristalli anch’essi bianchi. Lo sistema sui miei capelli nascondendo il filo di metallo che tiene insieme fiori e cristalli, e sfila alcune ciocche dall’acconciatura affinché ricadano morbide ai lati del mio viso. Quando mi fa voltare verso lo specchio, sono sorpresa da ciò che vedo.
Se la sera della sfilata ero una dea della guerra, stasera assomiglio ad una fata dei boschi, una di quelle che da piccola sentivo raccontare nelle favole. Tutto, dai fiori del cerchietto a quelli ricamati sulla mantella, me la ricordano. Sembro una creatura che non esiste, eccetto che nei sogni dei bambini.
- Alcune leggende parlano di una figura che è la madre di ogni cosa, sulla terra. La chiamano “Madre Natura” – mi dice Cinna, prendendo nella sua una delle mie mani; l’altra, in una carezza delicata, sfiora la mia pancia. – Stasera ti ho trasformato nella mia versione personale di Madre Natura.
Ho gli occhi gonfi di lacrime quando mi volto per guardarlo. Sorrido.
Cinna mi tampona gli occhi con un fazzolettino per salvare il trucco. – Sei pronta ad andare?
Ad attenderci fuori, accanto agli ascensori, ci sono già riuniti Haymitch, Effie, Portia e Peeta. Effie sgrana gli occhi e porta le mani alla bocca quando mi vede arrivare, con Cinna che tiene sollevata la mantella per evitare che si sporchi subito. Haymitch annuisce, osservandomi. Portia sorride.
Peeta, invece, è senza parole. Anche lui è vestito di bianco, ma il suo è uno smoking, il classico abito degli sposi di Capitol City, ed è sicuramente più comodo di qualsiasi altro abito da sposa esistente. I gemelli e gli orli della giaccia hanno dei dettagli dorati, e la camicia ha gli stessi ricami del mio abito.
Abbinati, di nuovo. Il tocco distintivo che Cinna e Portia hanno donato a noi come coppia.
- Wow – è tutto ciò che dice Peeta, avvicinandosi. Mi prende le mani e le stringe forte, mentre bacia dolcemente la mia guancia. – Sei bellissima.
- Anche tu – mormoro. Arrossisco, aggiungendo altro rosa sulle guance già colorite dal trucco.
- Bene, sposini. Andiamo a prendere parte allo show – Haymitch rovina l’atmosfera che si è creata attorno a noi.
Alzo gli occhi al cielo e Peeta ride, guidandomi fin dentro l’ascensore.

 

‘Cause I love
Love you so
Promise I’ll never
Let you go
In the still of the night

 

Haymitch ci redarguisce sull’aria che tira tra i vincitori durante il breve tragitto in ascensore.
- Sono arrabbiati, perciò faranno di tutto per provocare una reazione scomoda. Anche loro vogliono che gli Hunger Games vengano annullati. Se avete già qualche carta da giocare, vi suggerisco di farlo. Non mi importa se sarà sconveniente oppure no: agite per scatenare rabbia e furia. E se non sapete cosa dire, pensateci in fretta. Vi assicuro che gli altri hanno già qualcosa in mente.
- D’accordo – diciamo insieme io e Peeta, ed in quel momento l’ascensore si ferma e le porte si aprono davanti a noi.
Raggiungiamo gli altri tributi, già riuniti dietro le quinte del palco, in attesa che comincino le interviste. Si procede nel seguente modo: dall’1 al 12, prima la donna e poi l’uomo. Io e Peeta, come l’anno scorso, saremo gli ultimi e andremo a chiudere lo show. Non ho dubbi su Peeta: se gioca una carta degna di quella che ha usato un anno fa, penderanno interamente dalle sue labbra. Io credo che andrò a braccio: non sono mai stata un granché con le parole. Mi verrà qualcosa in mente.
I tributi ci osservano in modo strano, e penso che sia perché io e Peeta ci stiamo tenendo per mano, ma non è poi così strano: in fondo, ci hanno visto farlo già tante volte. Poi, capisco che è per i vestiti che abbiamo addosso. Sembriamo in procinto di unirci in matrimonio: è ovvio che siano attratti ed incuriositi dalla cosa.
- Avete intenzione di sposarvi su quel palco o cosa? – esclama infatti Enobaria, squadrandoci.
- Qualcosa del genere – ribatte Peeta.
- Perché Cinna ha proposto un abito del genere per te? – chiede invece Finnick.
- È stato il presidente Snow ad imporlo – dico, allontanando subito Cinna dalla questione “abito da sposa”.
- Snow? – Johanna si è unita alla chiacchiera. Corre a stirare una piega invisibile sul mio vestito. – Allora devi fargliela pagare! Promettimi che lo farai.
Annuisco, e so che anche lei farà lo stesso dal modo in cui sorride… o meglio, sogghigna. Haymitch aveva ragione, di nuovo. Odio doverlo ammettere così spesso.
- Ehi – sussurra Peeta al mio orecchio; la voce di Caesar Flickerman, nel frattempo, sta cominciando a scaldare il pubblico presente nello studio. – Cosa dirai?
- Non lo so ancora – sussurro di rimando. – Tu?
- Qualcosa ho in mente. In base a ciò che dirai, mi comporterò di conseguenza – mi riferisce, intensificando la stretta delle nostre mani.
Le interviste cominciano e non abbiamo più occasione di parlare tra di noi; ci limitiamo ad osservare le persone che si alternano sul palco e lanciano continue allusioni di tristezza nei tre minuti che sono loro concessi. Cashmere piange, Gloss parla dell’affetto che lui e sua sorella hanno ricevuto dal pubblico di Capitol in questi anni, Johanna urla insulti. Finnick recita una poesia d’amore.
Tra fischi, urla e varie richieste di annullamento dell’Edizione della Memoria, arriviamo all’intervista di Chaff. La prossima sono io. Peeta richiama la mia attenzione quando mancano ormai pochi secondi alla mia entrata in scena.
- Falli secchi – dice soltanto.
- Anche tu – gli regalo un bel sorriso e, al cenno di un inserviente, inizio a salire le scale che mi porteranno sul palco.
Haymitch voleva qualcosa che fosse in grado di scatenare rabbia e furia: quel qualcosa, scopro, sono io. Basta la mia sola presenza per scatenare una vera e propria ondata di insulti. Insulti al presidente, insulti verso gli Hunger Games e, persino, insulti verso Caesar Flickerman. Insulti verso chi non ha nessuna intenzione di cambiare le regole del gioco. Raggiungo Caesar mentre lui cerca, invano, di calmare i presenti. “Il bambino!” sento urlare da molte voci, e “Non potete lasciarglielo fare!” da molte altre. La bimba comincia ad agitarsi, come se le voci sconosciute che mi circondano la stessero disturbando.
In qualche modo, Caesar riesce a placare il suo pubblico.
- Katniss Everdeen, ma guardati! Sei una meraviglia! – dice, attirando l’attenzione sul mio abito da sposa. – E non sei da sola!
Altre urla seguono le sue parole. Stringo le mani tra di loro, cercando di non sorridere. Non c’è davvero alcun bisogno che io dica qualcosa di sconveniente, e Caesar si è appena dato la zappa sui piedi, parlando dell’unica cosa che sembra stare a cuore a tutti i presenti.

Ecco, questa è la mia carta da giocare.
- Non sono più da sola da così tanto tempo – esclamo, attirando su di me l’attenzione di Caesar. Attiro anche quella degli spettatori, nessuno mi ignora. Nessuno vuole perdersi ciò che sto per dire. – Questo piccolino mi fa compagnia ogni giorno – aggiungo, posando le mani sulla pancia. La circondo, avvolgendola in una sorta di abbraccio.
Qualcuno sospira, e qualcuno fischia. Capisco che sto andando bene.
- Siamo rimasti tutti così sorpresi quando abbiamo saputo che aspetti un bambino… ma perché non dircelo prima? – chiede Caesar con tono scocciato. – Perché tenerlo nascosto?
- Veramente… - menti. Inventati qualche balla. – Io e Peeta… volevamo che fosse una sorpresa.
- Una sorpresa?
Annuisco. – Volevamo rivelarlo il giorno delle nostre nozze. Volevamo rendervi tutti partecipi della nostra gioia, e di quella che sarebbe arrivata insieme alla nascita del bambino.
Stavolta, i fischi sono più alti. Gli strilli sono assordanti. Caesar riesce a tenerli a bada per un pelo.
- Il tempo a tua disposizione sta per scadere, cara Katniss. Vuoi aggiungere qualcosa, per dare il tuo contributo in questa serata così emozionante?
Ho un’illuminazione improvvisa, e sorrido a Caesar. - Sì, Caesar. Vorrei… farti sentire una cosa, in realtà.
Non pensavo che lo avrei mai fatto, non in televisione almeno. Non per questa gente. Lo sento quasi come un affronto, come qualcosa di sporco che va ad insudiciare il pulito. È qualcosa che ho fatto solo con Peeta, e per Peeta. Ma è ciò che serve per chiudere questa serata. È ciò che serve per assestare un bel pugno in faccia a chi mi vuole morta. A chi vuole morti tutti i tributi riuniti alle mie spalle.
Afferro la mano di Caesar e la poso accanto alla mia, sulla pancia, e comincio a cantare. Canto di nuovo per Capitol City, sapendo, in cuor mio, che sarà l’ultima volta che sentiranno la mia voce cantare qualcosa.
La canzone della valle risuona nello studio che è diventato improvvisamente muto, paralizzato davanti a ciò che sto facendo. Canto, e la bambina scalcia. Proprio come ieri.
- Oh! OH! – urla Caesar, colpito. – Si è mosso! L’ho sentito! L’ho…
E accade esattamente ciò che speravo.
Il gong annuncia il termine del tempo a mia disposizione, ma viene coperto dal frastuono provocato da tutte le voci che si ribellano. Non accettano ciò che hanno visto. Non accettano ciò che hanno sentito – ciò che Caesar ha sentito. Un bambino vivo, che scalcia nella pancia di sua madre.
È la goccia che fa traboccare il vaso.
Caesar tenta di nuovo di placare l’ira del pubblico e, in un sussurro, mi invita a raggiungere il resto dei tributi. Raccolgo le gonne del vestito e salgo il più rapidamente possibile i gradini, accompagnata dai fischi della gente. Nell’ultimo tratto, Chaff si alza per porgermi l’unica mano che ha, e mi guida fino al mio posto. Johanna, a qualche sedia di distanza da me, mi lancia uno sguardo di intesa. Lo ricambio, prima di sedermi a mia volta.
È il turno di Peeta adesso, che entra in scena guidato dai borbottii arrabbiati degli spettatori. Riesco a stento a sentire i saluti che gli rivolge Caesar, ma quelli di Peeta mi arrivano alle orecchie forti e chiari. Come è accaduto poco fa, il pubblico si zittisce per ascoltare ciò che ha da dire.
- Peeta, cosa dire? Sono senza parole. Siamo tutti senza parole – comincia Caesar, mentendo; il pubblico sì, che ne ha di parole da dire.
- È stato uno shock – ammette Peeta. – Lo abbiamo scoperto il giorno prima dell’annuncio dell’Edizione della Memoria. Non pensavamo che… sarebbe accaduto tutto questo.
- Non potevate, Peeta. Non potevate immaginare – continua Caesar. – Il matrimonio, l’annuncio… tu e Katniss avete dovuto rinunciare a davvero tante cose.
- Ma il nostro matrimonio c’è stato, Caesar – esclama Peeta. Respiri trattenuti, quelli della gente davanti a noi.
- Vi siete sposati? E come?
Peeta perde un po' di tempo per descrivere la tostatura, la tradizione del Distretto 12, e alcuni dettagli della serata in cui l’abbiamo messa in atto. Pendo dalle sue labbra mentre lo ascolto. Così, ha rivelato anche questo nostro, piccolo segreto. Lo abbiamo tenuto nascosto per mesi interi, e adesso tutti quanti ne sono stati informati. Ma va bene, se serve a gettare altra carne al fuoco.
- Avremmo voluto fare le cose per bene, ma il bambino è arrivato così presto… e senza più le nozze, volevamo lo stesso qualcosa che potesse dimostrare la nostra unione. Non vale quanto un pezzo di carta o una cerimonia in grande stile, ma ci sentiamo molto più sposati così che in qualsiasi altro modo – dice, e la sua voce comincia a perdere la sicurezza che aveva all’inizio. È emozionato, molto emozionato. Sta puntando sulla compassione, proprio come Haymitch ci aveva consigliato di fare. Ed è davvero efficace come strategia: nello studio, stanno sospirando tutti.
- Sono sicuro che è così, Peeta – mormora Caesar, commosso anche lui. – È per questo che ti sei offerto volontario alla mietitura, vero? Non volevi lasciare sola tua moglie…
- Lo avrei fatto comunque – le lacrime adesso rigano le sue guance. – Non potevo lasciare Katniss ad affrontare tutto questo da sola, non nelle sue condizioni. Sono un marito e un padre, ed il mio compito è quello di proteggere le persone più importanti della mia vita. E lo farò fino alla fine – dice, risoluto. Si mette a nudo, e confessa a tutti ciò che io so già da tempo. Ciò che ho, inutilmente, cercato di ignorare.
Piango insieme a lui: non riesco più a vedere nulla, e non ho neanche un fazzolettino con cui tamponare le lacrime. Seeder si alza e mi porge il suo. La ringrazio. Devo essermi persa un pezzo del discorso, perché sento altre esclamazioni di sorpresa e la voce di Caesar che chiede chiarimenti.
- Ho capito bene? Hai appena detto che…
- Sì. Io e Katniss aspettiamo una bambina.
Eccolo. Il colpo di grazia. Peeta l’ha fatto di nuovo. Ha giocato la mossa decisiva per concludere la partita, quella a cui tutti i tributi hanno partecipato egregiamente per mettere in difficoltà i piani alti. I loro tentativi sono stati efficaci, ed io ho alzato l’asticella giocando sulla presenza silenziosa che custodisco, ma che non passa di certo inosservata. E Peeta ha calcato ancora su di essa, rivelandone la particolarità più importante.
Perché è più semplice ignorare un bambino in fase di sviluppo quando non si conoscono ancora bene le sue generalità, sembra quasi una cosa astratta. Ma quando sai che si muove, che è abbastanza formato da conoscerne addirittura il sesso, e che ha qualcuno che farà di tutto per proteggerlo, diventa impossibile. Non puoi più farlo. Non puoi più ignorarlo.

Adesso Capitol City conosce tutti i nostri segreti.
Caesar congeda Peeta e torna a cercare di calmare il pubblico, ma quest’ultimo non ha nessuna intenzione di farlo. Gli spettatori sono inferociti e hanno raggiunto anche loro la soglia di non ritorno. Non si zittiranno più, non si placheranno più. Protesteranno finché i giochi non saranno annullati. Ma non lo faranno, ovviamente. Non lo faranno mai. Domani mattina ci vedranno entrare comunque nell’arena.
Peeta è accanto a me mentre comincia a risuonare l’inno: la trasmissione sta volgendo al termine. Mi aggrappo a lui e nascondo il viso contro la sua spalla, tremando, e lui fa la stessa cosa. Mi stringe forte, respirando velocemente; prende poi il mio viso tra le mani e mi bacia sulla bocca, tra le lacrime mie e le sue. Sento altre urla, urla che riescono addirittura a sovrastare l’inno, sparato a tutto volume. Guardo Peeta negli occhi quando ci stacchiamo. Lui intreccia la sua mano alla mia e ne bacia il dorso.
Gli altri vincitori sono in piedi e guardano dritti in avanti, verso il pubblico in delirio. Osservo Chaff, al mio fianco, e tutto il resto della mia fila. Allungo la mano e stringo il moncherino dell’uomo. Un gesto istintivo, di pace. Sorpresa, vedo che lo fanno anche tutti gli altri: si prendono per mano, creano una enorme catena umana. Ventiquattro persone, non tributi, non vincitori, dimostrano di essere superiori di chi sta loro davanti. Dimostrano di non aver paura delle conseguenze, di non aver paura di mostrarsi uniti. È il gesto di sfida più grande che potessimo ottenere stasera: i dodici Distretti di Panem uniti in un’unica catena, complici, per la prima volta dopo settantacinque anni di tirannia e dolore. Alziamo le braccia verso l’alto, uniti.
Uniti contro il sistema che ci vuole uccidere.

 

I remember
That night in may
The stars are bright above
I’ll hope and I’ll pray
To keep your precious love
Well before the light
Hold me again
With all of your might
In the still of the night

 

Siamo costretti a raggiungere gli ascensori al buio, a tentoni; Peeta mi guida, stringendomi la mano. La catena umana si è sciolta subito dopo che le luci si sono spente, ma la diretta televisiva ha registrato tutto quanto. Non ci hanno censurato in tempo: tutta Panem ci ha visto tenerci per mano.
Al sicuro dentro l’ascensore, mi azzardo a rilasciare un sospiro di sollievo. Le lacrime si sono asciugate sul mio viso, e adesso la pelle delle guance tira come se ci fosse qualcosa ad irritarla. Io e Peeta ci guardiamo, ma non diciamo una parola mentre saliamo. C’è tanto, tanto da dire, ma non lo facciamo. Mettiamo di nuovo tutto a tacere.
Quando raggiungiamo il nostro appartamento, aspettiamo che le porte dell’ascensore si aprano di nuovo per l’arrivo degli altri. Ma trascorre almeno un’ora prima che questo accada, rivelando la sola comparsa di Haymitch: Effie, Cinna e Portia non sono riusciti a salire.
- Gli è stato vietato – ci spiega lui. – Hanno cancellato tutto il resto delle trasmissioni per stasera. Siete stati formidabili, non solo voi. Tutti i vincitori hanno ottenuto quel che volevano, stasera: il caos.
- Ma non è servito a nulla, vero? – chiedo io.
Haymitch scuote la testa. – Non annulleranno i giochi, se è questo che intendi.
Annuisco: è proprio questo che intendevo.
- Siete davvero sposati, allora? Però, che bravi. A chi è venuta l’idea di procedere? – domanda, tanto per cambiare discorso.
- A me.
Il suo viso si riempie di sorpresa. – Ogni tanto riesci a sorprendermi, dolcezza.
- Ho imparato dal migliore – sussurro. Mi avvicino ad Haymitch e lo abbraccio di slancio, posando il viso contro la sua spalla. Lui ricambia e non dice nulla, mi lascia fare senza protestare. Io sono di nuovo una fontana umana, sciolta in lacrime di commozione per l’uomo che ho tra le braccia. Un uomo burbero, a tratti insopportabile, che ho imparato a conoscere e ad apprezzare, nonostante tutto. Il mio mentore. Non potevo averne uno migliore.
- Grazie di tutto, Haymitch – gli dico, trattenendo a stento un singhiozzo.
- Dolcezza – mormora, lasciandomi un leggero bacio sulla fronte prima di lasciarmi andare. Si sposta per salutare Peeta e per consegnargli una scatola nera, da parte di Effie: deve essere il segno di riconoscimento da portare nell’arena.
- Abbi cura di te, Haymitch - gli dice Peeta.
- Qualche consiglio finale? – chiedo.
- Restate vivi – dice lui, con il viso trasformato in una maschera di dolore. – E ricorda chi è il vero nemico. Andate a riposare, adesso – aggiunge, allontanandosi. Ci lascia davanti all’ascensore.
Questo sarebbe il momento giusto per dire qualcosa, ma chi ne ha il coraggio? Meglio non aprire bocca, meglio lasciare che sia il silenzio a fare ancora il lavoro sporco al posto nostro. È meglio godere della silenziosa presenza l’uno dell’altro, senza dover aggiungere alcunché a gravare con tutto il suo peso. Afferro le mani di Peeta e lo tiro verso di me. Lo guido, camminando all’indietro, fino a che non siamo al sicuro nella mia camera.
Non voglio che mi lasci da sola nemmeno per un istante, stanotte.
Peeta sembra volere la stessa cosa, perché appena la porta si chiude, lui mi attira a sé. Mi accarezza le mani per poi risalire, lentamente, sulle braccia, sulle spalle. Passa le dita sul mio collo e sul mio mento, sfiora le mie labbra con le dita. Gliele bacio, piano, prima di sollevarmi sulle punte delle scarpe per incollare la mia bocca alla sua. Un bacio leggero, a cui ne seguono molti altri. In mezzo a questi baci, le sue dita tornano a scendere sul collo, e sciolgono il fiocco che tiene ferma la mantella. Questa cade a terra in un fruscio quasi impercettibile.
- Era tutto ciò che mi mancava: vederti vestita da sposa – mormora, incollando i suoi occhi nei miei.
- Appena in tempo – soffio sulle sue labbra.
Dopo la mantella, è il turno della sua giacca di cadere a terra, a cui seguono poi la sua camicia ed il mio vestito. Non mi resta più nulla da togliere, a parte le mutandine e le scarpe, quindi sono in netto svantaggio. Lo bacio con più trasporto mentre armeggio con l’allacciatura dei suoi pantaloni, e Peeta mi lascia fare. Le sue mani vagano sulla mia schiena e sul mio seno quando riesco a spogliarlo del tutto. Peeta mi fa indietreggiare fino a che non raggiungo il materasso, toccandolo con il retro delle ginocchia; mi siedo, scivolo all’indietro, tocco le lenzuola fresche con la schiena.
Peeta è su di me e mi bacia, lentamente. Ho come l’impressione che le sue mani siano dappertutto, sul mio corpo, eppure le vedo, poggiate ai lati della mia testa per non gravarmi addosso col peso del suo corpo. È tutto così forte, amplificato, da mandarmi in confusione.
Peeta scende con le labbra, lasciando una scia di baci sul collo, sul seno, lungo tutto il suo cammino. Bacia la pancia rigonfia, i fianchi morbidi, si sofferma maggiormente su quello ferito dal coltello di Gloss, che ora ha solo una cicatrice rosa come ricordo del suo passaggio. Si sofferma a baciare l’orlo delle mie mutandine. Le fa scivolare via lentamente, e lo fa guardandomi negli occhi.
Mi sta facendo penare, e lo sa bene. Mi stuzzica, in una tortura che è insieme dolce ed insopportabile.
Lo attiro nuovamente verso di me quando quegli inutili pezzi di stoffa, i miei e i suoi, sono ormai fuori dalla nostra portata. Lo bacio, gli avvolgo le gambe intorno alla schiena e i nostri bacini entrano in contatto. Dopo un secondo, sento che comincia a farsi strada in me.
Sono mesi che non abbiamo un contatto così intimo: non stiamo più insieme in questo modo da quando abbiamo saputo della bambina. È meraviglioso, sentirlo di nuovo; è meraviglioso sentirsi di nuovo.

Amarsi, nel modo in cui ci amiamo, è meraviglioso.
Peeta resta immobile, rigido, con la fronte contro la mia e le braccia posizionate accanto alla mia testa. Si sta trattenendo, ma non voglio che lo faccia. Non può fare nulla di male, oltre che amarmi. Voglio che lo sappia.
- Non mi farai del male – gli dico, labbra contro labbra. – Non potrai mai farmi del male – dico ancora, muovendo il bacino incontro al suo.
Questo gli fa chiudere gli occhi, gli fa perdere anche l’ultima briciola di autocontrollo che ha in corpo. Inizia a muovere il bacino, andando incontro ai miei movimenti, e torna ad amarmi ancora una volta.
Stavolta è diverso, è un tipo di amore che non abbiamo mai provato prima. Neanche la nostra prima volta insieme è stata così. È un amore lento ed intenso, intense come le spinte del suo bacino, intense come le fitte di piacere che invadono il mio ventre. È un piacere che sembra durare all’infinito. Vorrei che questa notte possa durare all’infinito.
Affondo i denti nella carne della sua spalla, sopraffatta dalle troppe sensazioni. Sono così amplificate… è tutto troppo forte da sopportare. Il mio corpo non riesce a contenere tutto questo. Arriccio le dita dei piedi quando una spinta più forte delle precedenti arriva. Un urletto esce dalle mie labbra e quelle di Peeta sono già lì, pronte a coprire gli altri, quelli che potrebbero arrivare.
- Che succede? – domanda, fermandosi all’improvviso. Asciuga il mio viso. Non mi ero accorta di star piangendo. Piango per tutto ciò che sto provando? Piango per il piacere che mi sta donando?
- Non fermarti – metto a tacere ogni sua eventuale intenzione di mettere fine al nostro amore. Non deve assolutamente provare a farlo. – Ti prego, non ti fermare…
E non lo fa. Sempre con quella solita, esasperante lentezza con cui ha iniziato, Peeta torna ad amarmi, sollevandosi appena sulle mani per infondere più decisione alle sue spinte. Morde il mio mento e la pelle delicata che vi è sotto, provocandomi una nuova scossa lungo la schiena. La inarco, rabbrividendo.
- Ti amo – ansimo, quando tutto diventa troppo. Avvolgo le sue spalle e lo tiro di nuovo a me, e stavolta sono io che lo costringo a fermarsi. Ci guardiamo negli occhi, e vedo che i suoi sono lucidi: lucidi di eccitazione, lucidi dell’amore che prova per me… lucidi per ciò che gli ho appena confessato.
Peeta sa già che lo amo, ma questa è la prima volta che lo sente dire da me, dalle mie labbra, ad alta voce. Non gliel’ho mai detto ad alta voce. Perché ho aspettato così tanto per dirglielo? Perché ho voluto attendere proprio la notte prima della nostra possibile morte per confessarglielo?
- Ti amo – ripeto ancora, piangendo. Piango perché ho atteso tutto questo tempo come una stupida, prima di dirglielo. – Ti amo – ripeto, e stavolta non ho più intenzione di trattenermi: glielo dirò sempre, finché la vita mi permetterà di farlo. – Ti amo – ripeto, asciugando le gocce salate che stanno cadendo dai suoi occhi.
Anche Peeta mi ama, ma non me lo dice.
Peeta mi ama, ma non me lo dice a parole: me lo dimostra con un bacio.
Peeta mi ama, e me lo dimostra riprendendo ad amarmi.

 

So before the light
Hold me again
With all of your might
In the still of the night
In the still of the night

 

Non dormiamo, non ne abbiamo la forza. Siamo stretti sul letto, nudi, senza muoverci. Senza neanche tentare di coprirci, senza neanche tentare di muovere un muscolo, senza neanche tentare di parlare. Senza neanche tentare di ignorare i secondi, i minuti e le ore che passano, scandendo il tempo che ci separa dall’ora fatidica, quella in cui dovremo lasciarci. La prossima volta che ci vedremo sarà all’interno dell’arena.
La mia testa è poggiata sulla sua spalla e la mia mano è sul suo cuore, come se volessi accertarmi che sia ancora vivo. Ho paura di sentire il suo petto vuoto, di non sentire più il battito, di non sentire più la vita scorrere in lui. Il respiro di Peeta si infrange contro i miei capelli. Ha le labbra premute contro la mia fronte, in un bacio eterno: non si sono mosse da lì, da quando abbiamo smesso di fare l’amore.
Nel silenzio della notte1, i nostri cuori ed i nostri respiri sono le uniche cose che percepiamo, che contano davvero in questo strano limbo fatto di ore contate. Oltre a loro, iniziano a farsi strada l’angoscia e la paura. Il timore avanza con lo scadere del tempo a nostra disposizione. La notte avanza, si fa meno buia, le stelle scompaiono. Il cielo si rischiara, si colora di un rosa pallido sfumato di viola. Dalla finestra, attraverso le tende, appare la prima, debole luce del mattino.
Bussano alla porta.
Non possiamo ignorarlo: è il segnale. È il momento. Sono qui per separarci.
Peeta bacia la mia fronte e, senza guardarmi, scivola via dalla mia presa, scivola via dal letto. Raccoglie da terra i pantaloni. Lo guardo mentre li indossa stando seduta sul letto, incapace di imitarlo. Incapace di muovere le gambe, incapace di mettere i piedi per terra.
Stringo le braccia attorno al petto, sentendomi improvvisamente vulnerabile. Mi sento troppo piccola, troppo nuda, troppo scoperta. Troppo conscia di ciò che ci attende al di fuori di quella porta.
Non voglio morire.
- Non voglio morire – lo dico ad alta voce, tra le lacrime che hanno ripreso a scorrere. Il mio petto è scosso da singhiozzi rumorosi e dolorosi. – Non voglio morire…
- Non morirai – dice Peeta, afferrando la mia testa. – Non morirà nessuno oggi, Katniss. Amore mio, nessuno di noi morirà oggi…
Smette di parlare, e cerca di consolarmi con le sue labbra. A che serve conoscere tutte le parole del mondo se esistono i baci? A che servono le parole, se possiamo usare i baci?
Questo è il bacio dei disperati: è carico della disperazione più totale. Abbiamo entrambi smesso di respirare per dedicarci con tutti noi stessi a questo contatto, a questo bacio disperato. È l’ultimo contatto che avremo per ore, prima di ritrovarci nell’arena.
Un’arena pronta ad ucciderci.

 

 

 

 

__________________________

1 “Nel silenzio della notte” è la traduzione letterale della frase che da il titolo alla storia, e che è anche il titolo della canzone che avete trovato a tratti lungo il capitolo. Sono innamorata di questa canzone dai tempi di Dirty Dancing (), quindi immaginate la mia gioia quando l’autunno scorso l’ho ritrovata nella colonna sonora di The Irishman di Scorsese (). La stavo ascoltando quando cercavo un titolo adatto e alla fine ha vinto proprio lui. Questo capitolo si sposa benissimo col testo, non trovate?

 

Dovete assolutamente scusarmi se stavolta vi lascio delle note più lunghe del normale, ma ho davvero tante cose da dire. Dovrete sopportarmi ancora per un po' XD
Una Katniss visibilmente incinta, in abito da sposa, accanto a Caesar Flickerman: è stata la prima immagine che mi è passata per la mente, mesi fa. Una Katniss visibilmente incinta che partecipa all’Edizione della Memoria è una situazione che mi sarebbe sempre piaciuto esplorare nel mondo delle fan fiction, ma non sono mai riuscita a trovare qualcosa che le si avvicini davvero. E dato che ero annoiata – nel bel mezzo del lockdown e dopo aver discusso la tesi di laurea online – ho deciso di buttarmi e di provarci io, a scrivere questa particolare versione. Sono partita da quell’immagine andando a ritroso, e da questo momento in avanti scopriremo come proseguirà.
Credo che sia il capitolo a cui tengo di più in assoluto, proprio perché è grazie a ciò che contiene se esiste questa ff. Vi ringrazio per avermi supportato e per essere arrivati fin qui

Siete pronti per tornare nell’arena? Io no!
D.

   
 
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