In the still of the night
19.
In
the still of the night
I
heald you
Heald
you tight
Restiamo
sulla terrazza fino all’ora di andare a letto e poi sgattaioliamo in silenzio
in camera mia senza incontrare nessuno. Cerchiamo di godere
della compagnia reciproca per tutta la notte, anche se dormiamo soltanto.
Restiamo insieme fino al mattino, fino a che non vengono a svegliarci per i
preparativi dell’intervista.
L’intervista:
oggi non sarà una giornata di riposo.
Peeta
mi saluta con un bacio frettoloso prima di lasciarmi, ancora assonnata e
rintronata, per andare dal suo staff. Io resto col mio, che sembra avere tutte
le intenzioni di sciogliersi in lacrime come il giorno della sfilata. So che
Cinna ha parlato loro, ma non deve essere stato molto convincente se questo è
il solo risultato che è riuscito ad ottenere.
Mentre
la mattina avanza, tra un trattamento ed un singhiozzo, scopro che hanno in
effetti delle regole da seguire. Lo scopro quando Octavia scoppia in lacrime,
incapace di trattenersi ulteriormente, ed è costretta a fuggire dalla mia
camera. Quindi, chi piange deve abbandonare il lavoro che sta facendo su di me:
un po' troppo drastico, per i miei gusti, ma almeno risulta efficace.
Flavius
riesce a resistere un altro paio d’ore prima di defilarsi, lasciando il suo
lavoro a metà. Rimane solo Venia, che risoluta porta a termine anche il lavoro
dei suoi colleghi. Trucco, unghie e capelli: quando ha finito, le mie guance
sono tinte di un tenue rosa, il rosa di chi gode di una buona salute, ho gli
occhi truccati leggermente e le palpebre che brillano, grazie alla polvere
piena di glitter che ha utilizzato, e le labbra fucsia, ma non è il fucsia
acceso che vedo sempre addosso a Effie. È un fucsia freddo, simile alla tinta
che rimane sulle labbra quando mangi troppe bacche. È un fucsia che, a suo
dire, enfatizza il colore dei miei occhi e dei miei capelli.
Venia
mi lascia, anche lei ridotta in lacrime, quando Cinna arriva a controllare il
punto della situazione. È già pomeriggio inoltrato.
-
Devi scusarli, Katniss. Sono davvero tristi per ciò che accadrà domani – dice
Cinna, pacato come al solito.
-
Non fa niente – sussurro, stringendomi nell’accappatoio bianco. Sono triste
anch’io per ciò che accadrà domani. Ma finché tengo gli Hunger Games reclusi in
un remoto angolino del mio cervello va tutto bene, e posso continuare ad
affrontare il resto delle ore che mancano all’inizio della serata. – Quello è
il mio vestito? – chiedo, indicando la grande borsa che ha in mano.
Cinna
annuisce. – Prima, però, finiamo di sistemare i capelli.
Mi
fa di nuovo sedere ed inizia ad intrecciare i capelli, ricreando l’acconciatura
a corona che avevo sfoggiato mesi fa durante il Tour della Vittoria. Tante
trecce, e tutte che ruotano attorno alla testa. Peeta sarà felice, all’idea di
poterle scioglierle tutte quante. Deve solo attendere qualche ora.
Quando
è soddisfatto della sua opera, Cinna apre il borsone e mi rivela il suo
contenuto. Riconosco dalla stoffa bianca ricamata a motivi dorati uno degli
abiti da sposa che indossai durante il mio servizio fotografico, quello con
abbinata la mantella… ed infatti, dopo aver steso per bene l’abito sul
materasso, il mio stilista preferito recupera anche quella dai meandri della
borsa. La stende, eliminando ogni grinza dal tessuto.
-
È l’abito che hanno scelto per me? – domando, avvicinandomi al letto. Sfioro i
motivi delicati di cui è interamente fatta la mantella: è fatta di un tessuto
così leggero e trasparente che ho quasi paura di strapparla.
-
Veramente no, hanno scelto l’abito di perle – mi spiega. – Ma è un abito molto
aderente, e ho pensato che questo sarebbe stato più appropriato per la tua
nuova figura – ecco un altro modo carino per indicare una gravidanza! –
Il presidente Snow ha approvato senza problemi il cambio d’abito.
-
Addirittura? Il presidente?
-
Lui vuole che indossi un abito nuziale per l’intervista. È stata una sua
richiesta inderogabile, a cui ci siamo opposti naturalmente, ma non abbiamo
ottenuto grandi risultati.
-
Ah – fiato.
Osservo
il vestito, pensierosa. Chissà cosa è passato nella testa di quell’uomo per
volere che indossassi quest’abito, o un abito da sposa in generale, per la mia
ultima intervista. Chissà cosa vuole ottenere, nel vedermi in abito bianco.
Chissà cosa penseranno tutti quanti, vedendomi in abito bianco. Pensavo che non
mi sarei mai vista nemmeno io, in abito bianco. Mi sono sposata nuda,
d’altronde… Questo ricordo mi fa sorridere.
-
Beh – dico a Cinna, ricordando anche ciò che ho pensato la sera in cui mostrarono
il mio servizio fotografico alla televisione, - almeno avrò un bel vestito.
-
Indossiamolo, allora – mi invita lui.
Come
la sera della sfilata, mi sfila l’accappatoio con gentilezza ed estrema
delicatezza, e con altrettanta delicatezza mi fa scivolare il vestito sul
corpo. Non conosco il nome di questo tessuto, ma è fresco e leggero sulla mia pelle
nuda. Lascia le braccia e la schiena scoperte, se non fosse per i fili di perle
dorati che si intrecciano in una rete. La gonna è così morbida che si posa come
un velo sul mio corpo, e ne accentua la curva del ventre. Capisco cosa voleva
dire Cinna: questo è un abito fatto apposta per esaltare la figura di una donna
incinta.
Infilo
i sandali, anch’essi dorati. Cinna sistema la mantella sulle mie spalle e me la
lega intorno al collo grazie ad un nastro di raso bianco e brillante. Il
leggerissimo pizzo mi avvolge completamente, come una protezione aggiuntiva.
Preserva ciò che c’è sotto. È bellissimo.
Devo
averlo detto ad alta voce perché Cinna mi risponde con un: - È proprio fatto
apposta per te. Risplendi, grazie a quest’abito.
Il
tocco finale è un cerchietto di fiori bianchi, veri, impreziositi da piccoli
cristalli anch’essi bianchi. Lo sistema sui miei capelli nascondendo il filo di
metallo che tiene insieme fiori e cristalli, e sfila alcune ciocche
dall’acconciatura affinché ricadano morbide ai lati del mio viso. Quando mi fa
voltare verso lo specchio, sono sorpresa da ciò che vedo.
Se
la sera della sfilata ero una dea della guerra, stasera assomiglio ad una fata
dei boschi, una di quelle che da piccola sentivo raccontare nelle favole.
Tutto, dai fiori del cerchietto a quelli ricamati sulla mantella, me la
ricordano. Sembro una creatura che non esiste, eccetto che nei sogni dei
bambini.
-
Alcune leggende parlano di una figura che è la madre di ogni cosa, sulla terra.
La chiamano “Madre Natura” – mi dice Cinna, prendendo nella sua una delle mie
mani; l’altra, in una carezza delicata, sfiora la mia pancia. – Stasera ti ho
trasformato nella mia versione personale di Madre Natura.
Ho
gli occhi gonfi di lacrime quando mi volto per guardarlo. Sorrido.
Cinna
mi tampona gli occhi con un fazzolettino per salvare il trucco. – Sei pronta ad
andare?
Ad
attenderci fuori, accanto agli ascensori, ci sono già riuniti Haymitch, Effie,
Portia e Peeta. Effie sgrana gli occhi e porta le mani alla bocca quando mi
vede arrivare, con Cinna che tiene sollevata la mantella per evitare che si
sporchi subito. Haymitch annuisce, osservandomi. Portia sorride.
Peeta,
invece, è senza parole. Anche lui è vestito di bianco, ma il suo è uno smoking,
il classico abito degli sposi di Capitol City, ed è sicuramente più comodo di
qualsiasi altro abito da sposa esistente. I gemelli e gli orli della giaccia
hanno dei dettagli dorati, e la camicia ha gli stessi ricami del mio abito.
Abbinati,
di nuovo. Il tocco distintivo che Cinna e Portia hanno donato a noi come
coppia.
-
Wow – è tutto ciò che dice Peeta, avvicinandosi. Mi prende le mani e le
stringe forte, mentre bacia dolcemente la mia guancia. – Sei bellissima.
-
Anche tu – mormoro. Arrossisco, aggiungendo altro rosa sulle guance già
colorite dal trucco.
-
Bene, sposini. Andiamo a prendere parte allo show – Haymitch rovina l’atmosfera
che si è creata attorno a noi.
Alzo
gli occhi al cielo e Peeta ride, guidandomi fin dentro l’ascensore.
‘Cause
I love
Love
you so
Promise
I’ll never
Let
you go
In
the still of the night
Haymitch
ci redarguisce sull’aria che tira tra i vincitori durante il breve tragitto in
ascensore.
-
Sono arrabbiati, perciò faranno di tutto per provocare una reazione scomoda.
Anche loro vogliono che gli Hunger Games vengano annullati. Se avete già
qualche carta da giocare, vi suggerisco di farlo. Non mi importa se sarà
sconveniente oppure no: agite per scatenare rabbia e furia. E se non sapete
cosa dire, pensateci in fretta. Vi assicuro che gli altri hanno già qualcosa in
mente.
-
D’accordo – diciamo insieme io e Peeta, ed in quel momento l’ascensore si ferma
e le porte si aprono davanti a noi.
Raggiungiamo
gli altri tributi, già riuniti dietro le quinte del palco, in attesa che
comincino le interviste. Si procede nel seguente modo: dall’1 al 12, prima la
donna e poi l’uomo. Io e Peeta, come l’anno scorso, saremo gli ultimi e andremo
a chiudere lo show. Non ho dubbi su Peeta: se gioca una carta degna di quella
che ha usato un anno fa, penderanno interamente dalle sue labbra. Io credo che
andrò a braccio: non sono mai stata un granché con le parole. Mi verrà qualcosa
in mente.
I
tributi ci osservano in modo strano, e penso che sia perché io e Peeta ci
stiamo tenendo per mano, ma non è poi così strano: in fondo, ci hanno visto farlo
già tante volte. Poi, capisco che è per i vestiti che abbiamo addosso.
Sembriamo in procinto di unirci in matrimonio: è ovvio che siano attratti ed
incuriositi dalla cosa.
-
Avete intenzione di sposarvi su quel palco o cosa? – esclama infatti Enobaria, squadrandoci.
-
Qualcosa del genere – ribatte Peeta.
-
Perché Cinna ha proposto un abito del genere per te? – chiede invece Finnick.
-
È stato il presidente Snow ad imporlo – dico, allontanando subito Cinna dalla
questione “abito da sposa”.
-
Snow? – Johanna si è unita alla chiacchiera. Corre a stirare una piega
invisibile sul mio vestito. – Allora devi fargliela pagare! Promettimi che lo
farai.
Annuisco,
e so che anche lei farà lo stesso dal modo in cui sorride… o meglio, sogghigna.
Haymitch aveva ragione, di nuovo. Odio doverlo ammettere così spesso.
-
Ehi – sussurra Peeta al mio orecchio; la voce di Caesar Flickerman, nel
frattempo, sta cominciando a scaldare il pubblico presente nello studio. – Cosa
dirai?
-
Non lo so ancora – sussurro di rimando. – Tu?
-
Qualcosa ho in mente. In base a ciò che dirai, mi comporterò di conseguenza –
mi riferisce, intensificando la stretta delle nostre mani.
Le
interviste cominciano e non abbiamo più occasione di parlare tra di noi; ci
limitiamo ad osservare le persone che si alternano sul palco e lanciano
continue allusioni di tristezza nei tre minuti che sono loro concessi. Cashmere
piange, Gloss parla dell’affetto che lui e sua sorella hanno ricevuto dal
pubblico di Capitol in questi anni, Johanna urla insulti. Finnick recita una
poesia d’amore.
Tra
fischi, urla e varie richieste di annullamento dell’Edizione della Memoria,
arriviamo all’intervista di Chaff. La prossima sono io. Peeta richiama la mia
attenzione quando mancano ormai pochi secondi alla mia entrata in scena.
-
Falli secchi – dice soltanto.
-
Anche tu – gli regalo un bel sorriso e, al cenno di un inserviente, inizio a
salire le scale che mi porteranno sul palco.
Haymitch
voleva qualcosa che fosse in grado di scatenare rabbia e furia: quel qualcosa,
scopro, sono io. Basta la mia sola presenza per scatenare una vera e propria
ondata di insulti. Insulti al presidente, insulti verso gli Hunger Games e,
persino, insulti verso Caesar Flickerman. Insulti verso chi non ha nessuna
intenzione di cambiare le regole del gioco. Raggiungo Caesar mentre lui cerca,
invano, di calmare i presenti. “Il bambino!” sento urlare da molte voci,
e “Non potete lasciarglielo fare!” da molte altre. La bimba comincia ad
agitarsi, come se le voci sconosciute che mi circondano la stessero
disturbando.
In
qualche modo, Caesar riesce a placare il suo pubblico.
-
Katniss Everdeen, ma guardati! Sei una meraviglia! – dice, attirando
l’attenzione sul mio abito da sposa. – E non sei da sola!
Altre
urla seguono le sue parole. Stringo le mani tra di loro, cercando di non
sorridere. Non c’è davvero alcun bisogno che io dica qualcosa di sconveniente,
e Caesar si è appena dato la zappa sui piedi, parlando dell’unica cosa che sembra
stare a cuore a tutti i presenti.
Ecco,
questa è la mia carta da giocare.
-
Non sono più da sola da così tanto tempo – esclamo, attirando su di me
l’attenzione di Caesar. Attiro anche quella degli spettatori, nessuno mi
ignora. Nessuno vuole perdersi ciò che sto per dire. – Questo piccolino mi fa
compagnia ogni giorno – aggiungo, posando le mani sulla pancia. La circondo,
avvolgendola in una sorta di abbraccio.
Qualcuno
sospira, e qualcuno fischia. Capisco che sto andando bene.
-
Siamo rimasti tutti così sorpresi quando abbiamo saputo che aspetti un bambino…
ma perché non dircelo prima? – chiede Caesar con tono scocciato. – Perché
tenerlo nascosto?
-
Veramente… - menti. Inventati qualche balla. – Io e Peeta… volevamo che
fosse una sorpresa.
-
Una sorpresa?
Annuisco.
– Volevamo rivelarlo il giorno delle nostre nozze. Volevamo rendervi tutti
partecipi della nostra gioia, e di quella che sarebbe arrivata insieme alla
nascita del bambino.
Stavolta,
i fischi sono più alti. Gli strilli sono assordanti. Caesar riesce a tenerli a
bada per un pelo.
-
Il tempo a tua disposizione sta per scadere, cara Katniss. Vuoi aggiungere
qualcosa, per dare il tuo contributo in questa serata così emozionante?
Ho
un’illuminazione improvvisa, e sorrido a Caesar. - Sì, Caesar. Vorrei… farti
sentire una cosa, in realtà.
Non
pensavo che lo avrei mai fatto, non in televisione almeno. Non per questa
gente. Lo sento quasi come un affronto, come qualcosa di sporco che va ad insudiciare
il pulito. È qualcosa che ho fatto solo con Peeta, e per Peeta. Ma è ciò che
serve per chiudere questa serata. È ciò che serve per assestare un bel pugno in
faccia a chi mi vuole morta. A chi vuole morti tutti i tributi riuniti alle mie
spalle.
Afferro
la mano di Caesar e la poso accanto alla mia, sulla pancia, e comincio a
cantare. Canto di nuovo per Capitol City, sapendo, in cuor mio, che sarà
l’ultima volta che sentiranno la mia voce cantare qualcosa.
La
canzone della valle risuona nello studio che è diventato improvvisamente muto,
paralizzato davanti a ciò che sto facendo. Canto, e la bambina scalcia. Proprio
come ieri.
-
Oh! OH! – urla Caesar, colpito. – Si è mosso! L’ho sentito! L’ho…
E
accade esattamente ciò che speravo.
Il
gong annuncia il termine del tempo a mia disposizione, ma viene coperto dal
frastuono provocato da tutte le voci che si ribellano. Non accettano ciò che
hanno visto. Non accettano ciò che hanno sentito – ciò che Caesar ha sentito.
Un bambino vivo, che scalcia nella pancia di sua madre.
È
la goccia che fa traboccare il vaso.
Caesar
tenta di nuovo di placare l’ira del pubblico e, in un sussurro, mi invita a
raggiungere il resto dei tributi. Raccolgo le gonne del vestito e salgo il più
rapidamente possibile i gradini, accompagnata dai fischi della gente.
Nell’ultimo tratto, Chaff si alza per porgermi l’unica mano che ha, e mi guida
fino al mio posto. Johanna, a qualche sedia di distanza da me, mi lancia uno
sguardo di intesa. Lo ricambio, prima di sedermi a mia volta.
È
il turno di Peeta adesso, che entra in scena guidato dai borbottii arrabbiati
degli spettatori. Riesco a stento a sentire i saluti che gli rivolge Caesar, ma
quelli di Peeta mi arrivano alle orecchie forti e chiari. Come è accaduto poco
fa, il pubblico si zittisce per ascoltare ciò che ha da dire.
-
Peeta, cosa dire? Sono senza parole. Siamo tutti senza parole – comincia
Caesar, mentendo; il pubblico sì, che ne ha di parole da dire.
-
È stato uno shock – ammette Peeta. – Lo abbiamo scoperto il giorno prima
dell’annuncio dell’Edizione della Memoria. Non pensavamo che… sarebbe accaduto
tutto questo.
-
Non potevate, Peeta. Non potevate immaginare – continua Caesar. – Il
matrimonio, l’annuncio… tu e Katniss avete dovuto rinunciare a davvero tante
cose.
-
Ma il nostro matrimonio c’è stato, Caesar – esclama Peeta. Respiri trattenuti,
quelli della gente davanti a noi.
-
Vi siete sposati? E come?
Peeta
perde un po' di tempo per descrivere la tostatura, la tradizione del Distretto
12, e alcuni dettagli della serata in cui l’abbiamo messa in atto. Pendo dalle sue
labbra mentre lo ascolto. Così, ha rivelato anche questo nostro, piccolo
segreto. Lo abbiamo tenuto nascosto per mesi interi, e adesso tutti quanti ne
sono stati informati. Ma va bene, se serve a gettare altra carne al fuoco.
-
Avremmo voluto fare le cose per bene, ma il bambino è arrivato così presto… e
senza più le nozze, volevamo lo stesso qualcosa che potesse dimostrare la
nostra unione. Non vale quanto un pezzo di carta o una cerimonia in grande
stile, ma ci sentiamo molto più sposati così che in qualsiasi altro modo –
dice, e la sua voce comincia a perdere la sicurezza che aveva all’inizio. È
emozionato, molto emozionato. Sta puntando sulla compassione, proprio come
Haymitch ci aveva consigliato di fare. Ed è davvero efficace come strategia: nello
studio, stanno sospirando tutti.
-
Sono sicuro che è così, Peeta – mormora Caesar, commosso anche lui. – È per
questo che ti sei offerto volontario alla mietitura, vero? Non volevi lasciare sola
tua moglie…
-
Lo avrei fatto comunque – le lacrime adesso rigano le sue guance. – Non potevo
lasciare Katniss ad affrontare tutto questo da sola, non nelle sue condizioni.
Sono un marito e un padre, ed il mio compito è quello di proteggere le persone
più importanti della mia vita. E lo farò fino alla fine – dice, risoluto. Si
mette a nudo, e confessa a tutti ciò che io so già da tempo. Ciò che ho,
inutilmente, cercato di ignorare.
Piango
insieme a lui: non riesco più a vedere nulla, e non ho neanche un fazzolettino
con cui tamponare le lacrime. Seeder si alza e mi porge il suo. La ringrazio.
Devo essermi persa un pezzo del discorso, perché sento altre esclamazioni di
sorpresa e la voce di Caesar che chiede chiarimenti.
-
Ho capito bene? Hai appena detto che…
-
Sì. Io e Katniss aspettiamo una bambina.
Eccolo.
Il colpo di grazia. Peeta l’ha fatto di nuovo. Ha giocato la mossa
decisiva per concludere la partita, quella a cui tutti i tributi hanno
partecipato egregiamente per mettere in difficoltà i piani alti. I loro
tentativi sono stati efficaci, ed io ho alzato l’asticella giocando sulla
presenza silenziosa che custodisco, ma che non passa di certo inosservata. E
Peeta ha calcato ancora su di essa, rivelandone la particolarità più
importante.
Perché
è più semplice ignorare un bambino in fase di sviluppo quando non si conoscono
ancora bene le sue generalità, sembra quasi una cosa astratta. Ma quando sai
che si muove, che è abbastanza formato da conoscerne addirittura il sesso, e
che ha qualcuno che farà di tutto per proteggerlo, diventa impossibile. Non
puoi più farlo. Non puoi più ignorarlo.
Adesso
Capitol City conosce tutti i nostri segreti.
Caesar
congeda Peeta e torna a cercare di calmare il pubblico, ma quest’ultimo non ha
nessuna intenzione di farlo. Gli spettatori sono inferociti e hanno raggiunto
anche loro la soglia di non ritorno. Non si zittiranno più, non si placheranno
più. Protesteranno finché i giochi non saranno annullati. Ma non lo faranno,
ovviamente. Non lo faranno mai. Domani mattina ci vedranno entrare comunque
nell’arena.
Peeta
è accanto a me mentre comincia a risuonare l’inno: la trasmissione sta volgendo
al termine. Mi aggrappo a lui e nascondo il viso contro la sua spalla,
tremando, e lui fa la stessa cosa. Mi stringe forte, respirando velocemente;
prende poi il mio viso tra le mani e mi bacia sulla bocca, tra le lacrime mie e
le sue. Sento altre urla, urla che riescono addirittura a sovrastare l’inno,
sparato a tutto volume. Guardo Peeta negli occhi quando ci stacchiamo. Lui
intreccia la sua mano alla mia e ne bacia il dorso.
Gli
altri vincitori sono in piedi e guardano dritti in avanti, verso il pubblico in
delirio. Osservo Chaff, al mio fianco, e tutto il resto della mia fila. Allungo
la mano e stringo il moncherino dell’uomo. Un gesto istintivo, di pace.
Sorpresa, vedo che lo fanno anche tutti gli altri: si prendono per mano, creano
una enorme catena umana. Ventiquattro persone, non tributi, non vincitori,
dimostrano di essere superiori di chi sta loro davanti. Dimostrano di non aver
paura delle conseguenze, di non aver paura di mostrarsi uniti. È il gesto di
sfida più grande che potessimo ottenere stasera: i dodici Distretti di Panem
uniti in un’unica catena, complici, per la prima volta dopo settantacinque anni
di tirannia e dolore. Alziamo le braccia verso l’alto, uniti.
Uniti
contro il sistema che ci vuole uccidere.
I
remember
That
night in may
The
stars are bright above
I’ll
hope and I’ll pray
To
keep your precious love
Well
before the light
Hold
me again
With
all of your might
In
the still of the night
Siamo
costretti a raggiungere gli ascensori al buio, a tentoni; Peeta mi guida,
stringendomi la mano. La catena umana si è sciolta subito dopo che le luci si
sono spente, ma la diretta televisiva ha registrato tutto quanto. Non ci hanno
censurato in tempo: tutta Panem ci ha visto tenerci per mano.
Al
sicuro dentro l’ascensore, mi azzardo a rilasciare un sospiro di sollievo. Le
lacrime si sono asciugate sul mio viso, e adesso la pelle delle guance tira
come se ci fosse qualcosa ad irritarla. Io e Peeta ci guardiamo, ma non diciamo
una parola mentre saliamo. C’è tanto, tanto da dire, ma non lo facciamo.
Mettiamo di nuovo tutto a tacere.
Quando
raggiungiamo il nostro appartamento, aspettiamo che le porte dell’ascensore si
aprano di nuovo per l’arrivo degli altri. Ma trascorre almeno un’ora prima che
questo accada, rivelando la sola comparsa di Haymitch: Effie, Cinna e Portia
non sono riusciti a salire.
-
Gli è stato vietato – ci spiega lui. – Hanno cancellato tutto il resto delle
trasmissioni per stasera. Siete stati formidabili, non solo voi. Tutti i
vincitori hanno ottenuto quel che volevano, stasera: il caos.
-
Ma non è servito a nulla, vero? – chiedo io.
Haymitch
scuote la testa. – Non annulleranno i giochi, se è questo che intendi.
Annuisco:
è proprio questo che intendevo.
-
Siete davvero sposati, allora? Però, che bravi. A chi è venuta l’idea di
procedere? – domanda, tanto per cambiare discorso.
-
A me.
Il
suo viso si riempie di sorpresa. – Ogni tanto riesci a sorprendermi, dolcezza.
-
Ho imparato dal migliore – sussurro. Mi avvicino ad Haymitch e lo abbraccio di
slancio, posando il viso contro la sua spalla. Lui ricambia e non dice nulla, mi
lascia fare senza protestare. Io sono di nuovo una fontana umana, sciolta in
lacrime di commozione per l’uomo che ho tra le braccia. Un uomo burbero, a
tratti insopportabile, che ho imparato a conoscere e ad apprezzare, nonostante
tutto. Il mio mentore. Non potevo averne uno migliore.
-
Grazie di tutto, Haymitch – gli dico, trattenendo a stento un singhiozzo.
-
Dolcezza – mormora, lasciandomi un leggero bacio sulla fronte prima di
lasciarmi andare. Si sposta per salutare Peeta e per consegnargli una scatola
nera, da parte di Effie: deve essere il segno di riconoscimento da portare
nell’arena.
-
Abbi cura di te, Haymitch - gli dice Peeta.
-
Qualche consiglio finale? – chiedo.
-
Restate vivi – dice lui, con il viso trasformato in una maschera di
dolore. – E ricorda chi è il vero nemico. Andate a riposare, adesso – aggiunge,
allontanandosi. Ci lascia davanti all’ascensore.
Questo
sarebbe il momento giusto per dire qualcosa, ma chi ne ha il coraggio? Meglio
non aprire bocca, meglio lasciare che sia il silenzio a fare ancora il lavoro
sporco al posto nostro. È meglio godere della silenziosa presenza l’uno dell’altro,
senza dover aggiungere alcunché a gravare con tutto il suo peso. Afferro le
mani di Peeta e lo tiro verso di me. Lo guido, camminando all’indietro, fino a
che non siamo al sicuro nella mia camera.
Non
voglio che mi lasci da sola nemmeno per un istante, stanotte.
Peeta
sembra volere la stessa cosa, perché appena la porta si chiude, lui mi attira a
sé. Mi accarezza le mani per poi risalire, lentamente, sulle braccia, sulle
spalle. Passa le dita sul mio collo e sul mio mento, sfiora le mie labbra con le
dita. Gliele bacio, piano, prima di sollevarmi sulle punte delle scarpe per
incollare la mia bocca alla sua. Un bacio leggero, a cui ne seguono molti altri.
In mezzo a questi baci, le sue dita tornano a scendere sul collo, e sciolgono
il fiocco che tiene ferma la mantella. Questa cade a terra in un fruscio quasi
impercettibile.
-
Era tutto ciò che mi mancava: vederti vestita da sposa – mormora, incollando i
suoi occhi nei miei.
-
Appena in tempo – soffio sulle sue labbra.
Dopo
la mantella, è il turno della sua giacca di cadere a terra, a cui seguono poi
la sua camicia ed il mio vestito. Non mi resta più nulla da togliere, a parte
le mutandine e le scarpe, quindi sono in netto svantaggio. Lo bacio con più
trasporto mentre armeggio con l’allacciatura dei suoi pantaloni, e Peeta mi
lascia fare. Le sue mani vagano sulla mia schiena e sul mio seno quando riesco
a spogliarlo del tutto. Peeta mi fa indietreggiare fino a che non raggiungo il
materasso, toccandolo con il retro delle ginocchia; mi siedo, scivolo all’indietro,
tocco le lenzuola fresche con la schiena.
Peeta
è su di me e mi bacia, lentamente. Ho come l’impressione che le sue mani siano
dappertutto, sul mio corpo, eppure le vedo, poggiate ai lati della mia testa
per non gravarmi addosso col peso del suo corpo. È tutto così forte,
amplificato, da mandarmi in confusione.
Peeta
scende con le labbra, lasciando una scia di baci sul collo, sul seno, lungo
tutto il suo cammino. Bacia la pancia rigonfia, i fianchi morbidi, si sofferma
maggiormente su quello ferito dal coltello di Gloss, che ora ha solo una
cicatrice rosa come ricordo del suo passaggio. Si sofferma a baciare l’orlo
delle mie mutandine. Le fa scivolare via lentamente, e lo fa guardandomi negli
occhi.
Mi
sta facendo penare, e lo sa bene. Mi stuzzica, in una tortura che è insieme
dolce ed insopportabile.
Lo
attiro nuovamente verso di me quando quegli inutili pezzi di stoffa, i miei e i
suoi, sono ormai fuori dalla nostra portata. Lo bacio, gli avvolgo le gambe
intorno alla schiena e i nostri bacini entrano in contatto. Dopo un secondo,
sento che comincia a farsi strada in me.
Sono
mesi che non abbiamo un contatto così intimo: non stiamo più insieme in questo
modo da quando abbiamo saputo della bambina. È meraviglioso, sentirlo di nuovo;
è meraviglioso sentirsi di nuovo.
Amarsi,
nel modo in cui ci amiamo, è meraviglioso.
Peeta
resta immobile, rigido, con la fronte contro la mia e le braccia posizionate
accanto alla mia testa. Si sta trattenendo, ma non voglio che lo faccia. Non
può fare nulla di male, oltre che amarmi. Voglio che lo sappia.
-
Non mi farai del male – gli dico, labbra contro labbra. – Non potrai mai farmi
del male – dico ancora, muovendo il bacino incontro al suo.
Questo
gli fa chiudere gli occhi, gli fa perdere anche l’ultima briciola di autocontrollo
che ha in corpo. Inizia a muovere il bacino, andando incontro ai miei
movimenti, e torna ad amarmi ancora una volta.
Stavolta
è diverso, è un tipo di amore che non abbiamo mai provato prima. Neanche la
nostra prima volta insieme è stata così. È un amore lento ed intenso, intense
come le spinte del suo bacino, intense come le fitte di piacere che invadono il
mio ventre. È un piacere che sembra durare all’infinito. Vorrei che questa
notte possa durare all’infinito.
Affondo
i denti nella carne della sua spalla, sopraffatta dalle troppe sensazioni. Sono
così amplificate… è tutto troppo forte da sopportare. Il mio corpo non riesce a
contenere tutto questo. Arriccio le dita dei piedi quando una spinta più forte
delle precedenti arriva. Un urletto esce dalle mie labbra e quelle di Peeta
sono già lì, pronte a coprire gli altri, quelli che potrebbero arrivare.
-
Che succede? – domanda, fermandosi all’improvviso. Asciuga il mio viso. Non mi
ero accorta di star piangendo. Piango per tutto ciò che sto provando? Piango
per il piacere che mi sta donando?
-
Non fermarti – metto a tacere ogni sua eventuale intenzione di mettere fine al
nostro amore. Non deve assolutamente provare a farlo. – Ti prego, non ti
fermare…
E
non lo fa. Sempre con quella solita, esasperante lentezza con cui ha iniziato,
Peeta torna ad amarmi, sollevandosi appena sulle mani per infondere più
decisione alle sue spinte. Morde il mio mento e la pelle delicata che vi è
sotto, provocandomi una nuova scossa lungo la schiena. La inarco, rabbrividendo.
-
Ti amo – ansimo, quando tutto diventa troppo. Avvolgo le sue spalle e lo tiro
di nuovo a me, e stavolta sono io che lo costringo a fermarsi. Ci guardiamo
negli occhi, e vedo che i suoi sono lucidi: lucidi di eccitazione, lucidi
dell’amore che prova per me… lucidi per ciò che gli ho appena confessato.
Peeta
sa già che lo amo, ma questa è la prima volta che lo sente dire da me, dalle
mie labbra, ad alta voce. Non gliel’ho mai detto ad alta voce. Perché ho
aspettato così tanto per dirglielo? Perché ho voluto attendere proprio la notte
prima della nostra possibile morte per confessarglielo?
-
Ti amo – ripeto ancora, piangendo. Piango perché ho atteso tutto questo
tempo come una stupida, prima di dirglielo. – Ti amo – ripeto, e
stavolta non ho più intenzione di trattenermi: glielo dirò sempre, finché la
vita mi permetterà di farlo. – Ti amo – ripeto, asciugando le gocce salate
che stanno cadendo dai suoi occhi.
Anche
Peeta mi ama, ma non me lo dice.
Peeta
mi ama, ma non me lo dice a parole: me lo dimostra con un bacio.
Peeta
mi ama, e me lo dimostra riprendendo ad amarmi.
So
before the light
Hold
me again
With
all of your might
In
the still of the night
In
the still of the night
Non
dormiamo, non ne abbiamo la forza. Siamo stretti sul letto, nudi, senza
muoverci. Senza neanche tentare di coprirci, senza neanche tentare di muovere
un muscolo, senza neanche tentare di parlare. Senza neanche tentare di ignorare
i secondi, i minuti e le ore che passano, scandendo il tempo che ci separa
dall’ora fatidica, quella in cui dovremo lasciarci. La prossima volta che ci
vedremo sarà all’interno dell’arena.
La
mia testa è poggiata sulla sua spalla e la mia mano è sul suo cuore, come se
volessi accertarmi che sia ancora vivo. Ho paura di sentire il suo petto vuoto,
di non sentire più il battito, di non sentire più la vita scorrere in lui. Il
respiro di Peeta si infrange contro i miei capelli. Ha le labbra premute contro
la mia fronte, in un bacio eterno: non si sono mosse da lì, da quando abbiamo
smesso di fare l’amore.
Nel
silenzio della notte1, i nostri cuori ed i nostri respiri sono le
uniche cose che percepiamo, che contano davvero in questo strano limbo fatto di
ore contate. Oltre a loro, iniziano a farsi strada l’angoscia e la paura. Il
timore avanza con lo scadere del tempo a nostra disposizione. La notte avanza,
si fa meno buia, le stelle scompaiono. Il cielo si rischiara, si colora di un
rosa pallido sfumato di viola. Dalla finestra, attraverso le tende, appare la
prima, debole luce del mattino.
Bussano
alla porta.
Non
possiamo ignorarlo: è il segnale. È il momento. Sono qui per separarci.
Peeta
bacia la mia fronte e, senza guardarmi, scivola via dalla mia presa, scivola
via dal letto. Raccoglie da terra i pantaloni. Lo guardo mentre li indossa
stando seduta sul letto, incapace di imitarlo. Incapace di muovere le gambe, incapace
di mettere i piedi per terra.
Stringo
le braccia attorno al petto, sentendomi improvvisamente vulnerabile. Mi sento
troppo piccola, troppo nuda, troppo scoperta. Troppo conscia di ciò che ci
attende al di fuori di quella porta.
Non
voglio morire.
-
Non voglio morire – lo dico ad alta voce, tra le lacrime che hanno
ripreso a scorrere. Il mio petto è scosso da singhiozzi rumorosi e dolorosi. –
Non voglio morire…
-
Non morirai – dice Peeta, afferrando la mia testa. – Non morirà nessuno oggi,
Katniss. Amore mio, nessuno di noi morirà oggi…
Smette
di parlare, e cerca di consolarmi con le sue labbra. A che serve conoscere
tutte le parole del mondo se esistono i baci? A che servono le parole, se possiamo
usare i baci?
Questo
è il bacio dei disperati: è carico della disperazione più totale. Abbiamo
entrambi smesso di respirare per dedicarci con tutti noi stessi a questo
contatto, a questo bacio disperato. È l’ultimo contatto che avremo per ore,
prima di ritrovarci nell’arena.
Un’arena
pronta ad ucciderci.
__________________________
1 “Nel silenzio della notte” è la
traduzione letterale della frase che da il titolo alla storia, e che è anche il
titolo della canzone che avete trovato a tratti lungo il capitolo. Sono
innamorata di questa canzone dai tempi di Dirty Dancing (♥), quindi immaginate la mia gioia
quando l’autunno scorso l’ho ritrovata nella colonna sonora di The Irishman di
Scorsese (♥).
La stavo ascoltando quando cercavo un titolo adatto e alla fine ha vinto
proprio lui. Questo capitolo si sposa benissimo col testo, non trovate?
Dovete assolutamente scusarmi se
stavolta vi lascio delle note più lunghe del normale, ma ho davvero tante cose
da dire. Dovrete sopportarmi ancora per un po' XD
Una Katniss visibilmente incinta,
in abito da sposa, accanto a Caesar Flickerman: è stata la prima immagine che
mi è passata per la mente, mesi fa. Una Katniss visibilmente incinta che
partecipa all’Edizione della Memoria è una situazione che mi sarebbe sempre
piaciuto esplorare nel mondo delle fan fiction, ma non sono mai riuscita a
trovare qualcosa che le si avvicini davvero. E dato che ero annoiata – nel bel
mezzo del lockdown e dopo aver discusso la tesi di laurea online – ho deciso di
buttarmi e di provarci io, a scrivere questa particolare versione. Sono partita
da quell’immagine andando a ritroso, e da questo momento in avanti scopriremo
come proseguirà.
Credo che sia il capitolo a cui
tengo di più in assoluto, proprio perché è grazie a ciò che contiene se esiste
questa ff. Vi ringrazio per avermi supportato e per essere arrivati fin qui ♥
Siete pronti per tornare
nell’arena? Io no!
D.