No time for Regrets
Where have they all gone?!
Taehyung spalancò gli occhi, l’ora del riposo che s’era concesso era passata;
il capo chino quasi fuori dal materasso, gambe e braccia divaricate nella
tipica posizione a stella che amava assumere durante le sue pause rappresentavano
ciò che avrebbe definito con il sorriso “comodità”. Aveva sempre avuto un
rapporto meraviglioso con Morfeo: lui lo amava ed il dio lo faceva dormire come
un sasso ad ogni singola occasione. Si stropicciò gli occhi scuri osservando il
mondo dalla serranda spezzata a metà altezza.
I lampioni ormai erano accesi.
Quanto aveva dormito?
Hoseok lo riportò alla realtà, gli auricolari e la
penna in mano, un blocco di appunti pieno di schizzi, frecce e numeri sparsi.
«Che stai facendo?» Incuriosito, Taehyung si sporse dal letto superiore, tanto
da rischiare di cadere sul pavimento. «Stai studiando di nuovo?»
Il compagno di stanza scosse il capo soddisfatto: stava immaginandosi
coreografie, passi, movenze spinte da ritmi alternati e variegati che la musica
trasmetteva direttamente al cervello.
«Sai, mi chiedo come fai, io proprio non capisco.»
«Vedi,» disse Hoseok voltando il quaderno nella sua
direzione, «io focalizzo le persone ballare i passi che la mia testa immagina.»
«E questa persona è Yoongi? Lo stai facendo per lui,
vero?» Il ragazzo era sempre stato estremamente diretto, spesso al limite
dell’imbarazzante. L’altro dal canto suo non poté ribattere, anzi arrossì
grattandosi nervosamente lo zigomo e ridendo come un ebete: certo, erano passi
studiati per il compagno che ancora stava lottando contro la scarsa capacità di
muoversi a tempo senza inciampare, o rischiare di cadere rovinosamente a terra.
Non era stata una richiesta esplicita quella di Yoongi,
un muto aiuto nemmeno, ma c’erano stati segnali inequivocabili che Hoseok aveva colto con occhi rammaricati ad ogni lezione
sofferta portata a termine con particolare fatica. Richiuse il blocco
portandoselo appresso come si trattasse di un tesoro d’inestimabile valore, ed
invitò l’altro a seguirlo in cucina; «non ti sembra ci sia troppa calma?»
«Chiama, muoviti. È tutta colpa tua, razza di…»
«Yoongi, basta. Adesso Jin
avvertirà un inserviente così da risolvere la faccenda senza problemi. Jin, su, va a chiamare l’inserviente. Dai.» Namjoon sospingeva con pacata pazienza il collega verso la
portineria, nella speranza che almeno uno dei dipendenti si fosse attardato al
lavoro. Jin camminò prima, poi corse osservando
nervosamente l’orologio da polso: il turno dei dipendenti era già finito,
tranne che per la bonaria ed affidabile presenza della signora Choi, la guardia
notturna.
E non c’era.
L’entrata del palazzo era deserta. Le pareti azzurro antico – e per antico s’intendeva
vecchio, non certo una tal parvenza di nobiltà di tinta – non risuonavano del
solito caotico mix diurno di voci; i quadri osservavano silenziosi il corridoio
stretto, vuoto. Doveva trovarla. Aveva creato un danno non indifferente solo
perché distratto, e naturalmente gli altri avevano preteso lui sistemasse la
faccenda. Di sfondare la porta a calci non se ne parlava, dunque doveva
rimediare a costo di sondare tutto l’edificio. La guardiana sarebbe
potuta essere letteralmente ovunque. Si incamminò sconsolato,
maledicendo l’impulso che l’aveva portato a comportarsi così; era frustrato,
non s’era fermato a riflettere prima d’agire ma era sicuro che la sua “terapia
d’urto” sarebbe stata efficace. Doveva esserlo, ne andava del percorso del loro
futuro.
Del suo futuro.
Mugugnava svoltando prima a destra, poi a sinistra e di nuovo a sinistra; aveva
bussato a tutte le porte constatando l’inevitabile epilogo di una tanta e tale
cazzata: la signora Choi non c’era. Come poteva fare? Osservò lo spiraglio di
una serranda constatando che era già sera: possibile? Certo, ormai l’estate se
l’era lasciata alle spalle, e l’autunno stava dando il meglio di sé con
pioggerelle leggere e tendenzialmente fredde, accorciando le giornate quel
tanto da sconvolgere i ritmi più caldi a cui s’era ancora abituati. Come tanti
altri stava facendo un’enorme fatica ad abituarsi al cambio stagione; mica come
Jungkook, pensava scuotendo il capo con disappunto. No,
lui era diverso. Lui non scaricava le sue frustrazioni sugli altri.
Non sempre.
Più o meno.
Ok, forse più che meno.
«Cazzo.» L’unica cosa che s’era permesso di esprimere ad alta voce visto che il
resto era decisamente peggiore. Restava una sola cosa da fare a questo punto,
prendere a calci la porta bloccata nella speranza di buttarla giù, o
scardinarla nel peggiore dei casi.
Bene.
Taehyung stava soffiando ripetutamente sulla superficie di quella che non aveva
neppure sembianza di cioccolata calda: grigiastra alla vista, rovente, le bolle
simili a miasmi sulfurei. Non la rendevano certo invitante. Hoseok
lo osservava contrariato, le sopracciglia corrugate, il solito cipiglio allegro
ormai assente.
«Spiegami ancora cosa sarebbe.» Si riferiva al liquido che sobbolliva
minaccioso nella ceramica.
«Comfort food.»
«Non dirmi che hai davvero intenzione di mandare giù quella roba.»
L’amico lo guardò torvo, offeso dall’affermazione: ci aveva messo amore, e un’eternità
anche solo per capire da che parte cominciare. Era al suo terzo tentativo, ed
era comunque il migliore risultato ottenuto; dopo un pentolino contenente latte
bruciato ed un altro lanciato sul lavandino con un mestolo annerito assieme
all’interno color pece, finalmente aveva portato a termine una preparazione lontanamente
accostabile a quella della foto riportata sulla confezione.
A modo suo ovviamente.
Rigirava il cucchiaino trovando il coraggio di assaggiarla con l’unica
conseguenza di ustionarsi la lingua, buttando la tazza a far compagnia al
pentolame sconfitto dall’eterna lotta contro l’incapacità genetica di cucinare.
Si accasciò sconsolato sul tavolo, le braccia a fare da cuscino alla fronte su
cui scendeva disordinata la zazzera castana.
«Di solito me la prepara Jin, e sai che quando mi
sento triste ho bisogno di cioccolato. Non c’è Jin,
non c’è felicità, non c’è cioccolata calda. Che giorno di merda, cosa potrebbe
succedere di peggio?»
Jin sbatté rovinosamente il piede contro lo stipite
dell’entrata del cucinino, imprecando visibilmente.
«Jin, ehi, ehi Jin potresti
preparami la cioccolata calda? Jin? Dai, stai un
attimo. Su, le tue mani magiche sono in grado di preparare qualsiasi cosa. Ti
prego, ho fame, sono triste, tanto triste, giuro, tantissimo…»
Il maggiore, spaesato e confuso da quel fiume in piena di parole che lo stava
travolgendo trascinandolo al largo e sempre più distante dall’obiettivo prefissato,
lo squadrò contrariato mormorando quanto non avesse tempo per quel genere di
cose inutili.
«Sapete dove sono gli altri? Li avete visti?»
Hoseok parlò al posto di un Taehyung giustamente e visibilmente
contrariato: «no, non abbiamo visto ancora nessuno. Pensavamo di andare a
cercarli in palestra. Aspetta, ma non doveva studiare Jungkook?
Prova a cercarlo in aula.»
«Genio.» Lo fulminò Jin e riprese a correre.
«Beh, cosa ho detto adesso di male?»
L’amico intanto rinunciò al proprio spuntino, depennando dalla lista mentale
delle abilità anche la preparazione di una cioccolata calda e densa. Ripensò sconsolato
alla pubblicità che spesso passava alla televisione, osservando un’ultima volta
il lavello sbuffando. Un piccolo brivido lo scosse, un presentimento che cominciò
a scavare passando dallo stomaco fino alle viscere.
«Un momento…» guardò il quadrante dell’orologio appeso in alto a sinistra. «Non
è l’ora del caffè di Namjoon?»
Hoseok voltò il capo nella stessa direzione dell’altro,
constatandone la veridicità. «E Yoongi
avrebbe già dovuto mangiare, fissato com’è con gli orari.»
«Si può sapere dove cazzo sono finiti tutti? E Jimin, l’hai visto lui? Dov’è?»
«Tae, sta tranquillo.»
«Jungkook? E Jungkook, lui
dove sta? Doveva darmi la rivincita, ho una partita in sospeso con lui dall’altra
sera.»
Ogni singolo elemento mancava all’appello.