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Autore: Nike90Wyatt    25/09/2020    1 recensioni
Una lettera da Milano sconvolge la vita di Marinette Dupain-Cheng, paladina di Parigi nei panni di Ladybug e neo Guardiana della Miracle Box; una serie di circostanze, insieme ai suggerimenti dell’inseparabile Tikki e dei suoi genitori, la spingeranno a prendere una decisione che stravolgerà il suo futuro e le sue relazioni.
Intanto, Gabriel Agreste, ossessionato dalla vendetta nel nome di sua moglie Emilie, vola in Tibet, accompagnato dalla sua fedele assistente, nonché amica e complice, Nathalie Sancoeur, con un unico obiettivo: scoprire i segreti dei Miraculous che si celano tra le mura del Tempio dei Guardiani.
Genere: Azione, Sovrannaturale, Thriller | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna | Personaggi: Adrien Agreste/Chat Noir, Gabriel Agreste, Marinette Dupain-Cheng/Ladybug, Nuovo personaggio
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Nathalie Sancoeur passeggiava intorno al tavolo montato all’interno della tenda, le mani dietro la schiena l’una stretta nell’altra. L’orologio del computer segnava le 10:00. Erano già passate quattro ore. Che diavolo stava facendo Gabriel?

Lo staff di supporto nella spedizione era lo specchio della sua inquietudine: la osservavano silenti e voltavano il capo nel momento in cui lei incrociava il loro sguardo. Gli unici a restare impassibili erano i due militari, già pagati per il lavoro, e la guida sherpa, il cui unico interesse era passare da una mano all’altra il suo bastone da passeggio e masticare tabacco. Insopportabile.

Nathalie si avvicinò al tecnico che gestiva le telecomunicazioni. «Ancora niente?»

Il tecnico scosse la testa.

Nello zaino, Gabriel aveva un segnalatore gps, in modo che la sua posizione fosse tenuta sempre sotto controllo. Quando era tornata al campo, il tecnico aveva riferito a Nathalie di aver perso il segnale per poi averlo riagganciato subito dopo. Doveva essere stato il tempo impiegato da Gabriel per attraversare quell’anfratto. Dopo poco, il segnale era scomparso di nuovo per non fare più ritorno.

Nathalie si tolse gli occhiali appannati e li pulì con un panno cavato dalla tasca dei pantaloni. «Continua a provare.» Li inforcò di nuovo sul naso. «Devi riuscire a riagganciare il segnale.» Si era resa conto di aver usato un tono severo, come se il ritardo di Gabriel e la totale assenza di informazioni sul suo conto fossero colpa del tecnico.

«Morte certa oltre grotta» disse la guida sherpa. «Destino segnato.»

Nathalie lo fulminò con lo sguardo. Già trovava irritante quel sorriso smielato che le rivolgeva dal momento in cui si erano presentati, a tratti anche rivoltante. Un’altra parola fuori posto sulla sorte di Gabriel, e gli avrebbe staccato a suon di sberle i pochi denti che gli rimanevano in bocca.

La guida sherpa si strinse nelle spalle, ma non fiatò. Forse aveva capito l’antifona.

L’aria nella tenda iniziava a farsi pesante, così Nathalie prese dal gancio dell’appendiabiti il suo cappotto e lo indossò. «Chiamatemi immediatamente in caso di novità.» Uscì fuori lasciandosi alle spalle i mormorii dello staff. Li aveva scelti personalmente un mese prima a Parigi, fidandosi del loro curriculum esemplare e della palese voglia di avventura. Gabriel aveva insistito affinché non fossero persone impressionabili, che fossero discreti e competenti.

Nathalie infilò il cappuccio. Intorno all’accampamento era scesa la nebbia, per fortuna non fitta a tal punto da non vedere nulla. Il sole nel cielo era un pallido disco giallo. L’aria d’alta quota le avrebbe schiarito le idee, magari le avrebbe dato il coraggio di prendere in mano le redini e organizzare una spedizione di soccorso. E se fosse stato necessario, avrebbe anche affrontato i Guardiani dei Miraculous pur di riportare Gabriel a Parigi sano e salvo.

Una strana figura, grande quanto una falena, svolazzò nella nebbiolina. Aveva quattro ali e, man mano che si avvicinava a Nathalie, si intravedeva la pelle color viola. La donna strizzò gli occhi per mettere a fuoco l’immagine: era Nooroo. Aveva il volto stremato e volava a scatti, incerto. I suoi occhi brillarono di luce quando la vide.

Nathalie chiuse la mani a coppa e gli offrì un appoggio. «Nooroo, cos’è successo? Dov’è Gabriel?»

«Signora Nathalie...» Tossì e si interruppe per riprendere fiato. Dalla voce tremolante, era evidente che qualcosa era andato storto. «Il padrone è… Lui è...»

Nathalie chiuse le mani e corse verso la tenda adibita alla cucina. Nooroo era stremato, aveva bisogno di ricaricare le energie. Lo lasciò su un tavolino, si tolse il cappuccio, aprì il mini-frigo e prese una mela. La appoggiò sul tavolino e la tagliò in sei spicchi. Ne consegnò uno a Nooroo.

«Grazie signora Nathalie.» Il piccolo Kwami addentò lo spicchio. Gabriel lo aveva abituato a dover avere sempre timore dei suoi padroni, un atteggiamento che Nathalie non condivideva ma che doveva assecondare. «Mi dispiace» disse Nooroo con sguardo vacuo.

«Raccontami tutto.» Nathalie gli porse un altro spicchio e gli accarezzò il capo. «È necessario che non trascuri nessun dettaglio o non sarò in grado di aiutare Gabriel.»

«Il padrone ha bussato alla porta del tempio, ma nessuno gli ha aperto. Così si è trasformato in Papillon per entrare con la forza.» Buttò giù un boccone, si ripulì un rivolo di bava accanto alla bocca. «Dentro era buio, ma all’improvviso si sono accese tutte le candele e due portatori di Miraculous sono comparsi minacciando il padrone. Lui li ha affrontati, ma erano troppo forti...» La voce era singhiozzante.

«Dopo cos’è successo?»

«Uno dei due ha afferrato il padrone per la gola e lo ha scaraventato giù per il torrente. Lì la trasformazione è terminata e l’ho perso di vista. Non sono stato più in grado di seguirlo.»

Nathalie aprì il cappotto e mostrò il taschino della camicetta nera che indossava sotto al pesante maglione in lana. «Entra qui e riposati. Ora ci penso io.»

Nooroo annuì e fece come gli aveva detto.

Nathalie rientrò ad ampie falcate nel tendone principale dell’accampamento. Un moto di rabbia e di adrenalina le bruciava in petto. «Ascoltatemi tutti!» Gli occhi dei presenti puntarono su di lei. «Sono quattro ore che non riceviamo notizie da Monsieur Agreste. Ritengo che sia opportuno organizzare una spedizione di recupero.»

I membri dello staff si scambiarono occhiate perplesse, ma annuirono all’unisono. I due militari borbottarono lievi proteste nella loro lingua, ben consci che il loro giudizio non sarebbe stato preso in considerazione. Erano pagati per altro. La guida sherpa, invece, mantenne un decoroso silenzio. Sì, aveva capito chi comandava lì.

«Fai venire un elicottero con un dottore» disse Nathalie al responsabile delle comunicazioni. «Voglio il migliore, non bado a spese.»

 

Un elicottero militare atterrò nello spiazzale limitrofo all’accampamento nel giro di mezz’ora. Il soffice manto nevoso venne spazzato via dal movimento delle eliche.

Nell’abitacolo erano sedute due persone: un uomo con pochi capelli brizzolati, mascella squadrata e occhi simili a due fessure e un ragazzo sulla trentina, occhi dal taglio orientale e capelli scuri.

Nathalie si portò dietro i due militari e la guida: sebbene non gradisse la sua compagnia, conosceva bene il posto e poteva essere d’aiuto. «Lei si sieda davanti» gli disse. «Dia indicazioni al pilota affinché segua il corso del fiume. La pagherò il doppio del suo onorario se riusciamo a trovare Monsieur Agreste.»

L’uomo fece ancora una volta sfoggio della sua orribile dentatura incompleta.

Nathalie salì nell’abitacolo posteriore, si presentò all’uomo, il medico chiamato in caso di necessità, e al ragazzo, un infermiere ed interprete.

L’elicottero si sollevò da terra con un sussulto. Lo stomaco di Nathalie si rovesciò e lei ringraziò di aver consumato una colazione leggera quella mattina.

Il velivolo zigzagò tra le montagne andine, planando nei punti in cui il letto del fiume sfociava in piccoli affluenti per poi riunirsi in un unico corso. In alcuni punti fu necessario accendere i potenti fari in quanto l’ombra proiettata dalle montagne faceva calare nel buio più totale gli anfratti.

La guida sherpa aveva abbandonato il suo atteggiamento poco collaborativo ed aveva preso sul serio la situazione, indicando con estrema precisione al pilota i punti in cui sondare il fiume. Nathalie si teneva in constante contatto con il campo base, qualora i tecnici riuscissero a riagganciare il segnale gps di Gabriel.

L’elicottero passò sotto un ponte naturale di ghiaccio e virò in basso: una vallata si aprì sotto gli occhi dei passeggeri. La guida sherpa sventolò la mano verso il basso. Il pilota annuì. L’elicottero sobbalzò e Nathalie ricacciò indietro un conato; non avrebbe mai più dimenticato quella giornata.

«Tā zài nà !» urlò la guida. “Eccolo!”

Nathalie si appiattì contro il vetro. In mezzo a quella sconfinata massa bianca attraversata da una falce azzurra d’acqua, c’era una sagoma nera, stesa prona sulla neve. «Atterriamo!» urlò al pilota, per sovrastare il rumore delle pale.

Quando il velivolo toccò terra, uno dei due militari spalancò il portellone scorrevole. Nathalie, il medico e l’infermiere balzarono nella neve e raggiunsero il corpo di Gabriel. Non aveva più gli occhiali, il cappotto e il pantalone erano lacerati in diversi punti, scoprendo lembi di pelle a tratti graffiata. Aveva perso anche uno degli stivali. La chioma biondo platino era macchiata da una piccola chiazza color porpora. Nathalie si sentì mancare, il cuore le batteva come un martello pneumatico.

Il dottore, assistito dall’infermiere, scoprì il petto di Gabriel e vi appose dei cavi collegati ad un monitor cardiaco. Il segnale era piatto. «Chú chàn qì» “Defibrillatore.”

Il ragazzo gli consegnò le due piastre, il medico le strisciò l’una contro l’altra e le spinse sul petto di Gabriel. Il corpo sussultò sotto la scarica, ma il segnale restò piatto. Il medico fece segno di alzare la carica.

La guida sherpa fasciò con cura la ferita alla testa, i due militari prepararono una barella e due spesse coperte di lana beige.

Il medico spinse di nuovo le piastre, Nathalie deglutì.

Il corpo di Gabriel sussultò. Il monitor emise un bip.

Nathalie si sentì svuotata, sul punto di svenire, ma si impose di restare dritta sul posto. Non era il momento di rilassarsi.

«Dobbiamo portarlo via di qui.» Il medico infilò l’ago di una flebo nel braccio sinistro di Gabriel. «È ancora a rischio ipotermia ed occorre fargli una tac per il colpo preso alla testa.»

I due militari, l’infermiere e la guida sherpa si adoperarono per caricare il corpo di Gabriel sulla barella, coprirlo con le coperte e legarlo con i due nastri a strappo.

Il medico passò un braccio intorno alla vita di Nathalie e la accompagnò nell’abitacolo. Estrasse dalla sua borsa una siringa e una boccetta. «Le servirà. È un calmante.»

Nathalie annuì, porse il braccio sinistro e il dottore le iniettò il siero.

Gli altri caricarono nell’abitacolo dell’elicottero la barella con Gabriel, l’infermiere tendeva il tubo della flebo.

Gli occhi di Nathalie si fecero pesanti, i muscoli indolenziti. Si accasciò sul sedile e si addormentò.

 

Si svegliò cullata dal movimento oscillatorio dell’elicottero. Con un sussulto, il velivolo atterrò sul tetto di un ospedale. Un manipolo di infermieri in camice assistette i due militari nel poggiare la barella su un lettino con le ruote.

Nathalie sollevò il busto, la testa le girava e davanti agli occhi aveva delle macchie nere e grige. Non sentiva più lo stomaco ballare e questo le fu di sollievo. Sarebbero passati anni prima di rimettere piede su un elicottero. Sbatté gli occhi e le immagini divennero più nitide. Il medico e l’infermiere non c’erano più accanto a lei. Perlomeno Gabriel era in buone mani e anche questo contribuì a ridarle un pizzico di sollievo.

La guida sherpa si accostò allo sportello. Aveva riguadagnato quel sorriso ripugnante e adesso anche i suoi occhi brillavano di avidità. Con quello che lo pagavano, poteva comprarsi un intero villaggio. «Andato tutto bene.» Solo ora si accorse che aveva anche una leggera zeppola in bocca quando parlava.

“Per te, forse. Per noi nulla è certo” avrebbe voluto dire, ma lo tenne per se. «La ringrazio per l’aiuto.» Riuscì a piegare le labbra in un mezzo sorriso. In fondo, senza il suo aiuto, le difficoltà sarebbero triplicate. «Dove siamo?»

«Chengdu. Ospedale buono più vicino.»

“Siamo in Cina.” Nathalie sospirò. «Chiamerò lo staff. Non appena saremo riuniti le darò l’assegno con la cifra pattuita più l’extra che le ho promesso.»

La guida si inchinò ed entrò nell’edificio.

Nathalie si liberò del cappotto e sbirciò nel taschino della camicetta. Nooroo dormiva. Lei prese un lungo respiro e si stiracchiò. L’aria era molto più pesante ed umida in città. Prese dalla tasca il cellulare e chiamò il campo base.

«L’abbiamo trovato.» Dal ricevitore si sollevò un coro di fischi ed applausi. «Non è ancora fuori pericolo, ma sta ricevendo tutte le cure possibili.» Fece una pausa. «Sgomberate il campo. La spedizione termina qui.»

 

Nathalie si isolò dal resto del gruppo. I ragazzi della spedizione l’avevano raggiunta a Chengdu affittando un piccolo magazzino per depositare l’attrezzatura. Erano tutti preoccupati per le sorti di Gabriel Agreste: nonostante fosse fuori pericolo di morte, il colpo alla testa preoccupava i medici che lo assistevano.

«Signora Nathalie.» Nooroo era l’unico che Nathalie volesse affianco in quel momento.

«Cosa devo fare, Nooroo?»

«Credo che abbia il diritto di sapere.»

Nathalie scosse il capo. “Ha ragione.” L’adrenalina del giorno precedente si era esaurita e adesso la spossatezza aveva preso il sopravvento, scaraventandola a terra nel corpo e nello spirito. La mano tremolante afferrò il cellulare, lo schermo fermo su un contatto della rubrica. “Ha il diritto di sapere” ripeté nella testa. Scambiò un cenno di intesa con Nooroo e premette l’icona della chiamata.

Occorsero due squilli prima che qualcuno le rispondesse.

«Sono io» disse Nathalie, e sperò che il suo tono di voce non la tradisse. «Devo parlare con Adrien.»

 

   
 
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