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Autore: Scarlet Jaeger    26/09/2020    5 recensioni
"Ma a volte
l'amicizia fra maschio e femmina non è fatta per
durare a
lungo, perché prima o poi uno dei due finisce per innamorarsi
dell'altro."
Genere: Generale, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Kei Hiwatari, Nuovo personaggio
Note: OOC, What if? | Avvertimenti: nessuno
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Capitolo 40


La fatidica mattina della partenza mi svegliai sola nel letto matrimoniale, lo stesso che avevo condiviso con Rei fino al giorno della sua sfida con Boris. 
Quel letto era stato testimone del bacio che il mio dolce compagno di squadra mi aveva donato ed era stato anche testimone della notte precedente, che avevo passato tra le braccia di Kai. Stavo lasciando in quella stanza d’albergo i miei ricordi più belli e probabilmente sarebbero rimasti indelebili nella mia mente. Non sapevo ancora cosa ci avrebbe riservato il futuro. Non sapevo quando avrei potuto incontrare di nuovo Rei, né sapevo cosa avrebbe fatto Kai una volta tornati in Giappone. Ma, soprattutto, non sapevo cosa avrei dovuto fare io. Inoltre volevo solo una cosa, e cioè che la squadra dei Bladebreakers avesse continuato ad esistere e che, nella probabilità che si fosse presentato un altro campionato del mondo, noi avremmo di nuovo combattuto insieme. 
«Saya?», mi sentii richiamare e quando alzai gli occhi verso la persona che mi aveva destata dai miei pensieri sospirai, perché capii immantinente che il fatidico momento era arrivato. Era più di mezz’ora che stavo meticolosamente mettendo i miei vestiti in valigia, con una lentezza tale che avrebbe snervato chiunque. E l’espressione di Kai, che mi stava osservando a braccia conserte sull’uscio della camera, ne era la prova. Aveva il suo borsone già a tracolla ed era vestito di tutto punto, pronto per la partenza.
«Arrivo…», dissi in mia discolpa, di nuovo con un lungo sospiro, finendo per scaraventare alla bene e meglio le ultime cose all’interno della valigia oramai quasi piena. «Datemi solo il tempo di stipare le ultime cose qui dentro!», conclusi, digrignando i denti mentre cercavo di chiudere la cerniera della mia borsa, sotto una plateale occhiata al cielo spazientita del mio compagno.
«Tuo nonno ti lascerà qui…», mi disse lui, guardandomi di traverso, e fu in quel momento che mi decisi a rimandargli indietro un’occhiataccia.
«Non hai nulla di meglio da fare stamattina?», sbuffai mentre mi rialzavo da terra, togliendomi da davanti al viso i ciuffi di capelli che erano sfuggiti dalla coda per colpa dello sforzo che mi ero ritrovata a fare. «Sei fin troppo logorroico per i miei gusti…», assottigliai lo sguardo, ma lui mi rispose solamente con una risatina posata ma divertita. «Perché non vai a dare una mano al Prof e Max? Sono sicura che avranno un bel da fare con Takao e sono sicura che anche lui sia messo come me…», gli indicai la mia borsa, facendogli intendere che il nostro grande campione fosse come al solito in ritardo, ma lui alzò di nuovo gli occhi al cielo con una smorfia.
«Non ci penso nemmeno…», mi rispose con aria arcigna, ripiantando di nuovo i suoi occhi nei miei.
«Potevi almeno darmi una mano, invece che stare lì a bacchettare…», continuai imperterrita, prendendo la valigia ed arrivandogli a parlare a pochi centimetri dal naso. Lui comunque non si spostò minimamente dalla sua posizione e sembrò anche parecchio divertito dalla situazione. Era chiaro che stavamo scherzando, ma in ogni caso un piccolo aiutino mi avrebbe fatto comodo. Lui però fece spallucce, come se quella fosse stata una questione di poco conto ed aprì la porta che ci separava dalla camera degli altri tre, ma quando attraversammo l’uscio venimmo gelati all’istante dalla scena che ci si parò di fronte.
«Takao, quelli sono i miei calzini!», stava gridando Max, cercando di togliere dalle mani del capitano un paio di calzini bianchi. 
«E dove sono i miei?!», gridò quest’ultimo in risposta, indispettendo di più il biondino, già sull’orlo della crisi di nervi.
«Non lo so, guarda in bagno!», continuò il nostro americano, mentre il professor Kappa cercava, con fare decisamente nervoso, di chiudere le sue borse.
«Ahh, la valigetta dei pezzi di ricambio è qua, quella del pronto soccorso è lì, dove avrò messo il pigiama? Oddio siamo in ritardo!», continuava a sbraitare da solo, quasi noi non fossimo stati presenti e non potevo credere ai miei occhi. Quando spostai lo sguardo su Kai, lui si era portato una mano a coprirsi gli occhi e tremava leggermente, chiaro segno che stava iniziando lentamente a perdere la pazienza ma stava diligentemente mantenendo il silenzio pur di non dire qualcosa di cui si sarebbe pentito.
«Visto? Non sono l’unica ritardataria!», gli resi noto con una smorfia, ma l’occhiata che intravidi dalle sue dita mi convinse a non continuare a controbattere.
«Aspetta Takao, ti do una mano!», gli proposi prima che Hiwatari decidesse di farlo penzolare fuori dalla finestra con un cappio fatto di lenzuola.


In un ora eravamo riusciti a riordinare le nostre cose, scendere a fare l’ultima colazione in quell’Hotel e raggiungere l’aeroporto di Mosca, per imbarcarci sul volo che ci avrebbe riportato a Tokyo, e nella sala di aspetto del check-in c’erano tutte le nostre vecchie conoscenze. Le squadre degli European Dreams, Alla Stars e White Tiger erano tutte radunate in quel grande salone e quando approdammo all’interno stavano tutti parlando tra loro. Alcuni ci salutarono, alcuni vennero a parlare con noi per darci l’ultimo saluto prima di partire, ma la mia attenzione venne catturata da una persona in particolare.
«Rei…», lo richiamai quando ci venne incontro e, per fortuna, non c’era Mao al suo seguito. Era rimasta a parlare con Emily, leggermente più in disparte rispetto alla mischia, ma ogni tanto buttava un’occhiata verso di noi, probabilmente per vedere come si sarebbe comportato il suo compagno o come mi fossi comportata io…
«Saya», mi salutò con un buffetto affettuoso sulla guancia, che mi fece  abbassare leggermente lo sguardo. Non ero ancora riuscita a sopprimere del tutto quello che provavo per lui, o a dimenticare quel che c’era stato. Il fatto che il mio cuore era stato rapito da un’altra persona non voleva dire che fossi riuscita a togliere il ricordo di Rei dal mio cuore.
«E quindi il fatidico momento è arrivato…», mi lasciai però andare, parlando con un tono talmente triste che riuscì ad indispettire a tal punto Kai accanto a me, che decise di allontanarsi lasciandoci soli. Probabilmente, dopo la nottata che gli avevo fatto passare due giorni prima, non avrebbe voluto vedere le mie lacrime nemmeno sotto tortura, e poi sono sicura che lui non era tipo da smancerie, quindi si sarebbe limitato a salutare tutti compostamente come suo solito. 
«Già», sospirò in risposta il mio compagno di squadra, ma lo fece con un piccolo sorriso, anche se triste.
«Mi dispiace che sia già finita, avrei voluto che questo mondiale fosse durato ancora un po’!», gli resi noto, riportando lo sguardo che avevo abbassato di nuovo nei suoi occhi, trovandoli stranamente lucidi.
“Non piangere Saya”, mi imposi, ma purtroppo non era nella mia indole rimanere impassibile. Ero troppo sentimentale e troppo sensibile, soprattutto quando si trattava di salutare persone che ritenevo importanti, come lo era lui.
«Anche per me. Siete stati la mia famiglia ed ho passato con voi dei momenti che rimarranno indelebili nel mio cuore…», iniziò «soprattutto quelli vissuti con te…», mi sorrise, portandomi una mano ad accarezzarmi di nuovo la guancia, dove una lacrima era appena sfuggita al mio controllo.
«Rei…», singhiozzai il suo nome quando oramai non ero più in grado di trattenere le lacrime e sentii le sue braccia, quelle in cui avevo trovato confronto nei momenti di disperazione, stringermi a sé come in quei giorni e mi lasciai andare in un pianto quasi disperato.
«Dai, non è un addio», sentii la sua voce in risposta, ma la trovai incredibilmente incrinata, chiaro segno che si stava imponendo di non scoppiare a piangere anche lui.
«Lo so…», continuai io, senza però staccarmi dal suo petto, e sono sicura che in quel momento Mao mi avesse maledetta in tutte le lingue. 
Quando mi decisi a sciogliere quell’abbraccio, lo vidi asciugarsi al volo alcune lacrime sfuggite anche al suo di controllo e mi beai del sorriso meraviglioso che invece mi regalò. 
Ci guardammo intensamente negli occhi per dei secondi che parvero infiniti, in cui pensai che mi avrebbe presa e baciata di nuovo, invece non lo fece. Era rimasto eretto nella sua posizione e stava quasi per dirmi qualcos’altro, ma l’arrivo di Kai spezzò l’atmosfera.
«Dobbiamo andare», disse categorico, spostando poi lo sguardo su Rei, che annuì leggermente sotto quella constatazione.
Insieme noi tre ci dirigemmo verso i nostri compagni Bladebreakser, che nel frattempo avevano salutato tutti gli altri Bladers.
«Quindi dobbiamo salutarci…», sospirò Takao, che per l’ennesima volta era stato la voce dei miei pensieri. 
Io, Kai ed il Prof saremmo imbarcati sull’aereo diretto Tokyo, insieme a mio nonno, Takao ed i suoi parenti, mentre Max e Rei avrebbero preso strade diverse. Uno sarebbe tornato al suo villaggio natale insieme ai White Tigers, mentre l’altro aveva deciso di passare del tempo in America con sua madre e suo padre. 
«Già», sospirò Max, abbattuto, mentre osservava la punta delle sue scarpe. 
«Parla per te, io dovrò sopportarti ancora tutto il viaggio…», fu la risposta sprezzante di Kai, che però stemperò la tensione del saluto che si era creata, facendoci scoppiare a ridere. E rise anche lui stesso.
«Dai ragazzi, non sarà la fine. Prometto di venire a salutarvi il prima possibile, il tempo di sistemare alcune questioni in sospeso», disse Rei, spostando per un momento lo sguardo su di me e capii subito che c’entrasse Mao.
«Vale anche per me! Tornerò in Giappone molto presto, vedrete!», continuò il nostro americano, più rincuorato di pochi minuti prima. Per lo meno aveva ripreso la sua solita spensieratezza.
«Scrivetemi, mi raccomando, leggerò tutte le vostre e-mail!», disse la sua il Prof e dopo essersi accordati per avere notizie l’uno dell’altro con costanza, le nostre strade si divisero.
Quando varcai il check in mi voltai indietro per l’ultima volta e vidi due occhi ambrati che mi osservavano con tristezza.




Era passata una settimana da quando eravamo tornati in Giappone e di Kai non si vide più nemmeno l’ombra. Sperai almeno che non fosse tornato ad essere il ragazzo freddo e spietato a capo degli Shall Killer. Ammetto che mi era passata per la testa l’idea di andare a vedere se lo avessi trovato nel loro covo, ma non volevo tornare di nuovo in quel posto, né andare da sola fino in periferia. Inoltre avevo paura di ciò che avrei trovato se fossi realmente andata. Non so cosa avrei fatto se lo avessi visto di nuovo in quella stanza. Era vero che in fondo era cambiato grazie a noi, ma come si sarebbe comportato se avesse rivisto i suoi vecchi sottoposti? Ma purtroppo quella fu solamente l’ennesima domanda senza risposta. 
Per fortuna le mie giornate venivano risollevate dalla presenza di Takao ed il Prof Kappa. Anche loro erano preoccupati per l’assenza di Kai, ma entrambi mi rassicurarono sul fatto che in fondo il nostro compagno era fatto così. Per tutto il mondiale era sparito e riapparso a suo piacimento, e probabilmente avrebbe fatto la stessa cosa. In più sarebbe iniziato presto un nuovo anno scolastico, quindi lo avrei sicuramente rivisto a scuola. Dovevo solo pazientare ancora qualche giorno. 
Così, insieme ai miei amici ed Akira, trascorrevamo le nostre giornate al parco, oppure al fiume, giocando a Beyblade con i ragazzi che ci avevano accolti a braccia aperte dopo il nostro ritorno. Si erano tutti complimentati con noi per la nostra vittoria al campionato mondiale e la loro presenza ed i loro complimenti, così come la vicinanza dei miei amici, avevano colmato un po’ il vuoto lasciato da Rei e Kai.
Ma non potevo ancora sapere che il destino ci avrebbe di nuovo messo lo zampino… 
Rividi Hiwatari qualche giorno dopo, quando oramai la speranza di rivederlo era crollata drasticamente. 
Stavo tornando a casa dopo una giornata passata coi ragazzi ed il sole stava pian piano iniziando a tramontare. Le strade erano tinte dei colori di quel meraviglioso fenomeno e si stavano accendendo i primi lampioni. Ero quasi arrivata al cancello d’entrata della mia villetta quando lo vidi. 
In un primo momento non lo riconobbi, perché era rimasto leggermente in ombra, con le braccia conserte al petto ed un piede appoggiato al muro dietro di sé. Sciolse la posizione solo quando si accorse della mia presenza e solo allora decise di mostrarsi, facendomi prendere un colpo.
«Kai!», lo richiamai, meravigliata ed emozionata di trovarmelo di fronte quando oramai non ci speravo più. Nonostante avessi costantemente avuto voglia di rivederlo, ogni giorno imponevo a me stessa di non alimentare false speranze. 
Invece in quel momento era di fronte a me, con uno sguardo incredibilmente serio e la sciarpa bianca che svolazzava alle sue spalle portata dal vento.
Ci guardammo negli occhi per un lungo istante, in cui ascoltai il mio cuore battere all’impazzata. Probabilmente ero anche arrossita, ma sperai che lui non se ne fosse accorto.
«Saya!», rispose al mio saluto, alzando leggermente gli angoli della bocca in un piccolo sorriso, probabilmente per rassicurarmi.
«Ma dov’eri finito? Ci hai fatto preoccupare!», lo bacchettai poi, facendogli capire dall’intonazione della voce tutta la mia preoccupazione. «Sono giorni che non ti fai vedere!», insistetti e lo sentii sospirare sotto quelle parole. Quello mi incuriosì molto e mi costrinse a guardarlo con un sopracciglio alzato.
«È successo qualcosa?», gli chiesi infine, dopo che dalla sua voce non sembrava fuoriuscire alcun che.
«Sono sorti alcuni problemi», ammise e mi sembrò che quella confessione fosse stata alquanto sofferta. Non dissi nulla però, perché non volevo obbligarlo a dirmi quello che non mi avrebbe mai detto di sua spontanea volontà. In un primo momento mi chiesi il perché della sua presenza fuori casa mia, ma per fortuna fu lui a continuare. Inoltre fui ben felice di vedere che si ricordava il mio indirizzo. 
«Ti va di fare due passi?»
Quella sua strana richiesta mi meravigliò, perché non mi sarei mai aspettata una simile proposta da parte sua, ma probabilmente il suo voleva solamente essere uno sfogo. Così non mi restò altro da fare che accettare, ed inoltre avrei fatto di tutto pur di stare con lui ancora un po’. Avevo l’impressione che, se mi fossi distratta anche solo per un attimo, lui sarebbe sparito di nuovo…
Mi portò fino al parco, dove anni addietro ci divertivamo a sfidare a Beyblade i ragazzi più grandi di noi. Il ricordo mi strappò un sorriso, ma quando prendemmo posto su una panchina poco illuminata e dopo che vidi lo sguardo di Kai perso nell’orizzonte, mi costrinsi a darmi di nuovo un contegno. Inoltre, quegli occhi  così malinconici mi strinsero il cuore. 
«Kai, è successo qualcosa?», gli chiesi, quando oramai non riuscivo più a sopportare il suo silenzio. Ero sicura che avesse qualche problema, ma purtroppo non era mai lui ad iniziare un discorso. Sono sicura che per lui doveva essere stato difficile anche venire a parlare con me, ma gli fui grata per averlo fatto. Significava che ero tornata ad essere pressoché importante per lui. Abbastanza per confidarmi i suoi problemi. 
«Ho rivisto mio nonno», mi disse però, spiccio e coinciso come era solito essere e quella constatazione mi spiazzò. Mi ero ritrovata a serrare la mascella con disapprovazione. Sapevo quello che aveva fatto quell’uomo, ma sapevo anche che fosse in prigione… 
Fu lui in ogni caso a dissipare ogni mio dubbio. 
«È in carcere», mi rassicurò, «ma è stato trasferito qui in quanto non è cittadino Russo. Purtroppo però è ancora lui il mio tutore, in quanto io sia minorenne, e nell’impossibilità momentanea di poter adempiere ai suoi doveri, io sono stato di nuovo affidato a mio padre», concluse e lo vidi stringere pugni e mascella, nonostante non avesse spostato minimamente il suo sguardo dall’orizzonte. 
Io ascoltai diligentemente le sue parole, ma purtroppo non le compresi a pieno. Così decise di continuare. 
«Dopo la morte di mia madre, mio padre si è risposato. Si è fatto una nuova famiglia, dimenticandosi della vecchia. Non si è mai preso cura di me o preoccupato per la mia salute, infatti non si è mai preoccupato del fatto che mio nonno mi avesse usato per i suoi scopi. Non fece una piega quando suo padre gli disse che ci saremmo trasferiti a Mosca…», fece spallucce, ma l’espressione del suo volto mi fece capire che avesse sofferto non poco quella situazione. 
«Ed anche adesso ha preferito non avermi tra i piedi nella sua famiglia perfetta, infatti ha trovato un modo per allontanarmi…», fece spallucce, ma io spostai lo sguardo sul suo profilo con un sopracciglio alzato e lui, quasi avesse capito la mia confusione, continuò. 
«Mi ha trasferito in un collegio fuori città», disse amaramente ed a me prese un colpo. Era esattamente quello che non avrei mai voluto sentire. 
Stava di nuovo per allontanarsi da me. 
«Purtroppo parto domattina, perché dovrò portare nel dormitorio tutte le mie cose», digrignò leggermente i denti, «E non potrò tornare molto facilmente, perché saremo controllati», soffiò contrariato ed io mi accorsi che ero rimasta per tutto il tempo con il fiato sospeso. Allentai leggermente la tensione quando finì di parlare, seppur lo feci con fare triste. 
«Quindi stai andando via… di nuovo…», constatai e mi meravigliai di come la mia voce fosse uscita decisamente troppo roca rispetto al solito. 
«Si», ammise, «però questa volta ho voluto avvertirti», concluse, facendo sicuramente riferimento alla prima volta in cui era andato via, e lo fece spostando il suo sguardo intenso su di me. Probabilmente si aspettava che dicessi qualcosa, ma ero rimasta talmente scioccata che in un primo momento non seppi cosa dire. In ogni caso mi imposi di parlare e così feci. 
«Ma, tornerai vero? Ti farai sentire?», gli chiesi, titubante, e lo vidi aprirsi in un piccolo sorriso, seppur anche il suo fosse incredibilmente triste. 
«Appena potrò... », fece spallucce. «Ho trovato un piccolo magazzino in periferia, dove porterò tutto quello che non mi servirà nella nuova scuola, compreso Dranzer», sospirò poi, amareggiato, appoggiandosi alla spalliera della panchina in cui eravamo seduti.
In un primo momento mi persi a guardare il suo profilo, mentre il suo sguardo era di nuovo rapito dall’orizzonte, così da riuscire ad imprimere nella memoria ogni dettaglio di quel volto oramai perfetto. Purtroppo c’era ancora una cosa che volevo chiedergli, e lo feci chiedendoglielo a brucia pelo. 
«Kai?», lo richiama infatti e quando spostò i suoi occhi nei miei continuai. «Sei tornato ad essere il capo degli Shall Killer? »
Serrai la mascella e lo vidi aprirsi un un’espressione talmente schifata che mi fece ben sperare. 
«Non ho più nulla a che spartire con quei teppisti», disse perentorio e potei tirare un sospiro di sollievo. 
«Era quello che volevo sentire», gli sorrisi e lui me ne fece un altro in risposta, uno di quelli che non vedevo da molti anni. 
Purtroppo però nessuno dei due aveva intenzione di parlare ancora e la conversazione crollò così. Spostai anche io lo sguardo verso l’orizzonte, ascoltando il battere incessante del mio cuore, provato dalla sua vicinanza e da quello che mi aveva appena detto. 
Kai sarebbe andato via di nuovo ed io non ero pronta a vederlo andare via come avevo visto andare via Rei. 
«Spero solo che quando tornerai ti ricorderai di nuovo di me…», dissi di punto in bianco, quando oramai non riuscivo più a sopportare ancora il silenzio che era sceso tra noi. Lui non si era più voltato a guardarmi, nemmeno quando avevo provato a lanciargli qualche occhiata inquisitrice, mentre cercavo di captare la sua reazione, ma quella constatazione mi era venuta dal cuore. Quella era la mia più grande paura. Avevo il terrore di vederlo andare via perché non volevo che la storia si ripetesse. Non volevo soffrire di nuovo mentre mi aggrappavo alla speranza di fargli ricordare il fatto che fossi esistita nella sua vita. Per fortuna lui scoppiò a ridere, con una risatina composta tipica di lui. 
«Non succederà! In fondo, questa volta sono abbastanza vicino a te», sorrise chiudendo leggermente gli occhi ed io mi tranquillizzai. In fondo, volevo solo rimanere presente nella sua vita. Non potevo inoltre pretendere che lui fosse rimasto con me per sempre. Mi accontentavo della sua amicizia, anche se io avevo iniziato a sentire per lui qualcosa di più intenso e profondo, persino più di quello che avevo provato per Rei. 
«Allora aspetteremo il tuo ritorno…», gli resi noto, parlando volutamente al plurale. Non volevo che capisse quello che provavo, ed in fondo anche Takao ed il Prof avrebbero voluto rivederlo. I Bladebreakers avrebbero continuato ad esistere, almeno nel cuore dei componenti. 
Lui però non rispose ed io mi limitai ad osservare l’ultimo raggio di sole lasciare spazio all’oscurità. Fu in quel momento che Kai si alzò dalla panchina, voltandosi verso di me con una mano tesa. 
«Vieni», mi disse poi, facendomi arrossire. «Ti accompagno a casa», mi sorrise leggermente ed io non potei far altro che acconsentire a quella richiesta, prendendo la sua mano e beandomi di quel suo sprazzo di gentilezza. 
Camminammo in quella posizione in religioso silenzio, fino a quando arrivammo di nuovo di fronte al cancello d’entrata della mia villetta, e solo allora Kai allontanò la sua mano. Io invece ero rimasta in piedi con lo sguardo basso, mentre imponevo a me stessa di non piangere, ma mi stava costando un certo sforzo. In fondo avevo pianto quando avevo salutato Rei all’aeroporto ed in quel momento la situazione non era diversa da allora. Non ero pronta a lasciarlo andare. Non ero pronta per vederlo andare via di nuovo. Non ero pronta a piangere di nuovo la sua assenza. 
«Beh, allora ciao… », mi disse, anche se dalla sua voce trapelava un certo nervosismo, che in altre circostanze mi avrebbe fatta sorridere. Ma non in quel momento, perché il mio cuore stava piangendo. Stava andando via senza avergli detto quello che provavo, ma ero estremamente sicura che lui non fosse stato pronto per comprendere a pieno le mie parole e forse, così facendo, lo avrei allontanato da me ancora di più. Per questo rimasi in silenzio, annuendo leggermente con le labbra serrate. Stavo in tutti i modi cercando di reprimere le lacrime. Lui non era un tipo sentimentale e sono sicura che non avrebbe mai voluto vedermi piangere per un saluto. 
«Ciao… », gli risposi, provando a sorridere, anche se ero sicura che fosse stato un sorriso fin troppo tirato. 
Lui mi sorrise a sua volta e mi trapassò con uno sguardo talmente intenso che mi sentii avvampare. Osservai i suoi occhi ametista beandomi di quella bellezza, fino a che non mi voltò le spalle per andarsene. 
Io abbassai leggermente lo sguardo, cercando di imporre alle mie gambe di spostarsi dall’entrata. Dovevo voltarmi anche io ed entrare in casa, ed una volta al sicuro avrei potuto dare sfogo alla mia frustrazione. 
Mi imposi finalmente di voltare lo sguardo e lo feci ancora a testa bassa, ma una presa ferrea sul mio polso mi costrinse a voltarmi di scatto e mi ritrovai a guardare di nuovo quelle iridi leggermente lucide che mi avevano sempre emozionata. 
«Ti prego, non essere triste», mi disse Kai con voce roca, ed ero estremamente sicura che gli fosse costato un certo sforzo. Sperai che anche lui non fosse pronto a dirmi addio, e forse il fatto che mi avesse richiamata ne era stata la prova. Ma io gli sorrisi debolmente, perché in fondo non avrei mai voluto rattristarlo o impensierirlo, soprattutto sapendo quello che lo aspettava da lì in avanti. 
Lui mi sorrise con rassegnazione, forse leggermente divertito, ed abbassò lo sguardo solo quando vide un gesto positivo dalla mia testa. 
«Te lo prometto», gli dissi e quelle mie parole lo convinsero a voltarmi le spalle di nuovo, quella volta definitivamente. 
Fu in quel momento che le lacrime iniziarono a scendere, mentre osservavo il lento oscillare della sua sciarpa trasportata dal vento. 
Quella fu l’ultima volta in cui vidi Kai Hiwatari. 
Almeno per quell’anno… 
Fine


°°°°°°

Colei che scrive:
Eccoci qua, arrivati con tristezza alla fine di questa storia T.T credo di non essere mai stata pronta per farlo, ma in fondo doveva succedere prima o poi. Porto avanti questa storia dal 2013 ed è sempre stata la trasposizione dei miei sogni di allora, di quando seguivo la serie in TV! Questa storia ha visto diversi blocchi dello scrittore, ma mi sono sempre imposta di finirla e così ho fatto. Ma non sono mai stata pronta per scrivere la fine definitiva, ed è per questo che ho deciso di scrivere il seguito (che inizierò a postare molto presto!). Nella mia mente, quando ho iniziato a scrivere questa storia, c’era un finale diverso. C’era sempre il triangolo Rei/Saya/Kai, con l’eccezione che Saya e Kai sarebbero finiti insieme. 
Ammetto che anche il finale di questo capitolo volevo farlo diverso…volevo far baciare di nuovo i due, in un lungo e passionale bacio di addio U.U ma mi avrebbe scombussolato di nuovo il seguito, per cui l’ho fatto così U.U Però forse, per i miei gusti, mi piace più così…perché così ci gusteremo le vicende di Saya e Kai, con la partecipazione straordinaria di Yuri e Boris, alle prese con la scuola e la vita da adolescenti ehehe
Come sempre ringrazio i miei recensori, che mi hanno sostenuta ed accompagnata fin qui *-* e che spero di trovare nel sequel tra qualche giorno ehehe. Ringrazio anche chi ha messo la storia tra le seguite/ricordate/preferite e tutti i lettori silenziosi giunti fin qua. Spero mi facciate sapere cosa ne pensate di questa storia. 
Infine mi sento di dire che, in fondo, questa non è una fine ma è solo l’inizio perché… beh ne vedremo delle belle! Eheh
A prestooo! 

  
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