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Autore: beavlar    30/09/2020    2 recensioni
Fili e Kili sono morti, hanno sacrificato tutto per il loro re, per la loro gente, ora anche Thorin dovrà rinunciare a tutto, ai suoi pregiudizi, alle sue idee, alle sue alleanze, per il suo "tesoro" e il suo popolo.
Dall'altra parte una mezz'elfa divisa tra due razze, dovrà invece fare i conti con il suo oscuro passato, accettando se stessa e accettando accanto a se il re di Erebor.
Due animi carichi di dolore e rimorsi, in cerca del loro posto al di sotto della Montagna e al di sopra delle stelle.
Genere: Fantasy, Introspettivo, Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Nuovo personaggio, Thorin Scudodiquercia
Note: Movieverse, What if? | Avvertimenti: Violenza
Capitoli:
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Sentimenti celati







 
 
 
 
Il mattino arrivò silenzioso posandosi ai lati della montagna come una dolce carezza, i candidi fiocchi che avevano imperversato per tutta la notte precedente avevano smesso di cadere così come le nuvole grigie che le portavano, lasciando libero il cielo ad un azzurro celestiale. Illuminata dai raggi del sole la neve brillava sulla parete rocciosa della montagna che faticava a svegliarsi, il canto degli uccelli risuonava delicato tra i pini che costeggiavano la valle rimbombando tra le piccole finestre e rimbalzando nel grande atrio d’entrata dove già alcuni assonnati piccoli manipoli di guardie cominciavano a darsi il cambio dopo la lunga notte.
La sala dei banchetti ormai era vuota e con calma cominciava ad essere ripulita dal putiferio che era riverso sia per terra che sui tavoli: sulle sedie giaceva ancora addormentato profondamente qualche nano abbracciato a dei boccali vuoti o altri con le schiene premute contro le pareti fredde della sala cercando di cullarsi l’un l’atro e ripararsi dalla pietra fredda che li circondava. Il fuoco delle torce quasi del tutto spente o quello piu’ intenso delle braci a malapena vive nell’immenso camino dietro al tavolo reale, illuminavano foscamente la sala nel frattempo che la luce dorata che si spargeva vivace tra i blocchi dorati nelle pareti arrivava a dare l’inizio a una nuova giornata.
 
Fu proprio una luce leggera che entrò dalla finestra di pietra a svegliare anche Ghìda dal sonno sereno in cui era immersa. Un piccolo brivido le attraversò la spalla scoperta scendendole giù fino la schiena nuda, ancora avvolta in un leggero e morbido tepore, destandola dolcemente e accompagnandola a prendere di nuovo possesso di tutti i suoi sensi. Debolmente aprì gli occhi abituandosi piano alla penombra presente nella stanza, mettendo lentamente a fuoco ogni singolo contorno dei mobili che riusciva a vedere; il camino era spento, ma la luce lieve che filtrava delicata dalla finestra le fece capire da subito che era ancora presto. Si raggomitolò leggermente su se stessa e con un movimento inconscio spostò indietro la schiena incontrando un qualcosa di caldo e di incredibilmente familiare che sembrò inghiottirla non appena la sfiorò; si ritrovò a sorridere sul tessuto del cuscino e con cautela si voltò dalla parte opposta del letto e il sorriso prima a malapena accennato le si distese su tutto il viso mentre un dolce calore le salì dal petto fino alle goti colorandole.
 
Accanto a lei Thorin era ancora addormentato adagiato sul fianco girato verso la sua direzione: il petto gli si alzava e si abbassava lentamente, così come la sua mano poggiata adagiata su di esso che tratteneva il lenzuolo che a malapena gli copriva lo stomaco; i capelli neri ricoprivano la maggior parte del cuscino e anche una buona porzione del suo viso. Aveva le labbra socchiuse e la piccola ruga in mezzo agli occhi austeri era distesa così come il resto del suo viso, trasmutato in una delle espressioni piu’ serene che gli avesse mai visto.
 
Prudentemente alzò la mano dal materasso e la avvicinò verso il suo viso e, prendendolo con la punta delle dita, gli spostò da davanti gli occhi un ciuffo cinereo che maldestramente gli era andato a coprire il viso fino alla bocca intersecandosi nella barba disordinata e glielo portò dietro la spalla posandolo tra gli altri ciuffi neri. Dalla bocca socchiusa di Thorin d’un tratto uscì un respiro piu’ pesante degli altri e le piccole rughe sotto gli occhi si formarono un’alta volta: mordendosi il labbro spaventata di averlo svegliato tolse la mano dai suoi capelli e a poco a poco il respiro tornò regolare, così come i suoi lineamenti, che da netti tornarono a malapena accennati.
Sospirando, e non riuscendo a resistere all’impulso di non farsi almeno piu’ vicina, si fece forza con il bacino e si mosse silenziosamente verso il re e con una piccola spinta delle braccia si riposizionò nella stessa posizione in cui aveva preso sonno la notte precedente. Con attenzione spostò la mano ancor ferma sul fianco verso l’alto adagiandola al centro del suo petto, poco sopra dove aveva lui poggiata la sua, lasciandosi andare al cullare dei suoi respiri, aggrappandosi con una gamba alla sua artigliandolo.
Posò la testa sopra il braccio disteso sui cuscini e insinuò il suo viso sulla sua spalla annegandoci poco a poco, cullata dal suono profondo del cuore di Thorin che, in sintonia con il respiro profondo e scandito, creò una calma ninna nana che riuscì a darle pace al petto immediatamente; attraverso i muscoli tirati e le cicatrici evidenti spostò lo sguardo su ogni linea sguardata e bluastra del tatuaggio che gli attraversava i pettorali, dal becco del volatile in mezzo al suo sterno fino alla fine delle ali, una delle quali terminava proprio dove aveva il viso poggiato.
 
D’un tratto sentì delle dita sfiorarle la schiena nuda che cominciarono a poco a poco a disegnare piccole curve che dal basso salirono sempre di più fino ad arrivarle alla spalla: sopprimete un ennesimo sorriso contro la pelle bollente sotto di lei lasciandosi andare alla meravigliosa sensazione che la mano di Thorin le stava regalando, decisa a non aprire gli occhi avendo una terribile paura che tutto ciò potesse scomparire. Tutto quello che le era successo quella notte, dal suo inizio alla sua fine, le era sembrato così irreale che tuttora aveva paura di stare ancora sognando. Anche se era abbastanza sicura di essere sveglia dubitò che tutto quello che stesse vedendo in quel momento potesse essere reale, per questo non osò muovere neanche un muscolo, lasciando andare ancora di piu’ la testa sulla scapola di Thorin tenendo gli occhi chiusi, volendo vivere ogni singolo attimo che le potesse essere concesso.
A suo malgrado non poté non aprirli di nuovo quando sentì una pressione gentile sopra la sua testa: due labbra bollenti le si poggiarono gentilmente di sopra della sua nuca intanto che le dita continuavano il loro giro, ridisegnandole ogni bozzo delle ossa della colonna vertebrale o ogni cicatrice sulla schiena fino infine a salire insinuandosi sotto i suoi capelli, incrociandosi con delicatezza tra le ciocche.
 
«Sto ancora dormendo?» La voce roca risuonò all’interno della sua cassa toracica diventando ancora piu’ profonda e impastata dal sonno di quanto già non fosse, smuovendole i ciuffi in cima alla testa.
 
Le scappò un piccolo sbuffo divertito, incapace di dirgli che anche lei aveva pura che stesse ancora dormendo, che tutto ciò non fosse reale: chiuse di nuovo gli occhi premendo le labbra al di sopra del suo petto in un piccolo bacio al quale lo senti fremere.
 
«No, non credo, suppongo di no.» Gli rispose adagiando di nuovo la testa nell’incavo del suo collo osservando la mano di Thorin che ancora poggiata sul suo stomaco si strinse lievemente intorno al tessuto blu scuro del lenzuolo aggrappandocisi.
 
«Sei sicura di ciò che dici?» Le chiese ancora serio, terribilmente serio.
 
Non riuscì a trattener una risata leggera di fronte al tono che Thorin aveva usato: terribilmente autorevole e severo che oltre che incredibilmente dolce le sembrò incredibilmente esagerato e conoscendolo non si sarebbe mai lasciato andare in quel modo se non per poterci poi sogghignare sopra.
 
Gli baciò un'altra volta il petto ruotando gli occhi cominciando ad alzare lo sguardo verso il suo viso per ribattere a tono. «Beh posso sempre controllare che io non sia…» Le parole le si bloccarono in bocca così come la sua ironia si trasformò in silenzio non appena incrociò lo sguardo di Thorin sopra di lei.
 
La stava osservando in un modo che le fece saltare un battito al petto: non aveva quasi espressione, la stava solo guardando direttamente, come se la volesse trafiggere con lo sguardo o strapparle la carne dal petto e guardarla dentro, come potesse svanirgli tra le braccia da un momento all’altro, perché Thorin quello stava temendo con tutto se stesso, che da lì a poco lei sarebbe scomparsa che, come ogni notte da quattro mesi, gli sarebbe svanita tra le dita o peggio che il suo viso si sarebbe tramutato in qualcosa di peggio rispetto al nulla.
 
Ghìda aprì e chiuse la bocca piu’ volte sbarrando gli occhi di fronte a quella reazione che mai si sarebbe aspettata, di fronte a quella fragilità ben celata che Thorin stava facendo troppo trasparire e che mai le aveva dato l’opportunità di vedere: mai, neanche una volta, si era ritrovata così vicina al nano che si celava dietro la corona, neanche la notte precedente.
La paura di Thorin le passò addosso e quando alzò la mano per toccarlo questa le tremò leggermente come se solo sfiorandolo si sarebbe potuto ritrarre come un animale nella sua tana, ma non lo fece rimase invece immobile e lasciò la sua mano traballante posarsi sulla sua mascella, sulla barba ispida e scura sulla guancia che al minimo tocco si tese così come il suo viso: un ultimo spasmo, prima di socchiudere gli occhi e lasciare la rabbia defluire in un sospiro pesante che le smosse le ciglia.
 
Con cautela si avvicinò ancora di piu’ tanto da poter sfiorare il suo naso contro quello spigoloso di Thorin, tanto da poter sentirgli il sangue fluirgli nelle vene perfino o i nervi distendersi lentamente uno ad uno. «Sì, sì sono sicura Thorin, non stai dormendo.» Lo rassicurò cauta continuando ad osservarlo, sentendo il cuore contorcersi in una morsa quando si sentì tirata  possessivamente ancora piu’ sul suo corpo dalla mano grande e ruvida ancora sulla sua schiena.
 
Thorin la guardò in silenzio, passando gli occhi azzurri velocemente da un occhio all’altro, prima di  guardarle il petto, sotto il collo, studiandolo con attenzione: un’azione che non riuscì a spiegarsi e che riuscì a spiegarsi ancor meno quando sciolse la mano dal lenzuolo e lo avvicinò contro il suo petto sfiorando con la punta delle dita il punto che attirava il suo sguardo. Lo sentì serrare la mascella un'altra volta sotto le proprie dita e poi in quello che fu un attimo la mano schizzo via dal suo petto afferrandole gentilmente la mano premendola ancora di più sul proprio viso lasciando un altro sospiro uscirgli dalla bocca annuendo.
 
«Thorin cosa è successo?» Gli chiese con un tono che fece fuoriuscire tutta la preoccupazione che non smetteva di abbandonarla, neppure in quale momento nel quale sembrava essere ritornato in quello stato di pace in cui aveva dormito.
 
Il nano scosse la testa conducendole la mano con la propria verso le sue labbra, baciandole la punta delle dita e sorridendo debolmente su di esse e stringendola ancora di più a se facendo combaciare del tutto i loro corpi nudi, portando le loro mani ancora unite in mezzo ai loro petti.
 
Con gentilezza adagiò la fronte sulla sua. «Non ascoltare le parole di un vecchio sciocco re dei nani.» Mormorò sorridendo con il lato della bocca tentando di rassicurarla ma sapeva che c’era qualcosa che le stava nascondendo e la cosa non la rassicurò, affatto anzi se poteva essere possibile le diede solo la conferma che le stava nascondendo qualcosa.
 
«Ho quasi la tua stessa età, quindi mi daresti anche a me della vecchia nana sciocca se non ti rivelassi i miei pensieri?» Rispose alzando un sopracciglio stringendosi ancora di piu’ al corpo caldo e possente del nano assottigliando lo sguardo.
 
Sospirando arreso Thorin scosse la testa e sciogliendo solo l’indice dalle loro mani usandolo come leva per alzarle ancora di piu’ il viso verso il suo per poterla guardare ghignate negli occhi. «Quasi, quando avrai la mia età ti dirò che sei una vecchia sciocca regina dei nani, ora ti ordinerei solo di dirmeli.»
 
In altre circostanze avrebbe continuato il battibecco, anzi aveva già la risposta pronta prima che lui parlasse, su come lui non potesse ordinargli un bel niente rispetto ciò che sentiva ma quando Thorin pronunciò quelle parole tutti i suoi pensieri si annebbiarono di colpo: un frase di una semplicità inaudita ma che alle sue orecchi risuonò come una preziosa promessa che dovette elaborare a rilento, rimanendo in un profondo silenzio, nel frattempo che il suo corpo non faceva altro che fremere e il suo respiro accelerare poco a poco.
Si sarebbero sposati questo lo aveva sempre saputo, una vita insieme era naturale in quella circostanza, ma sentirlo in quella situazione, sapendo ciò che provavano l’uno per l’altra, la scosse profondamente, un qualcosa che non si era mai neanche immaginata di poter sentire.
 
Si morse lievemente l’interno guancia cercando di calmare il mare che le si era creato dentro e che specchiandosi negli occhi chiari che aumentavano solo di intensità come delle onde violente contro la costa bianca dalla quale proveniva. «Sei pronto ad aspettare così tanto?»
 
Thorin la guardò dritta negli occhi, passando solo leggetemene le pupille su ogni tratto del suo viso scioccato ma incredibilmente felice di quella domanda, anche se la risposta gli sembrava abbastanza chiara, ricordandosi quel piccolo scorcio di vita che Mahal gli aveva donato la possibilità di vedere prima di lasciarla andare, forse per sempre, e la risposta gli arrivò chiara e non ebbe paura alcuna di rivelargliela.
 
«Tutta una vita.» Mormorò strofinando i loro nasi l’uno sull’altro, a un soffio dalle sue labbra prima di annullare la distanza tra di loro con un bacio a fior di labbra che in meno di un attimo mutò.
 
Quello che era nato come un piccolo e innocente bacio montò ben presto come una marea trascinandoli entrambi in altri cento e cento ancora, in cui si persero totalmente in meno di un attimo: Ghìda chiuse gli occhi portando le sue mani a intrecciarsi nei capelli neri attirando ancora di piu’ verso di se mentre Thorin la avvolse con entrambe le braccia stringendola a sé tentando di ignorare, per quanto potesse, la luce del giorno diventare sempre piu’ intensa oltre le sue palpebre semi socchiuse o il fatto che gli stava cominciando a mancare il fiato, ma per Durin avrebbe retto fino a che i polmoni non gli si sarebbero svuotati del tutto.
 
L’idea di lasciarla in quel letto da sola quella mattina era una delle prospettive piu’ insopportabili che si era mai trovato ad affrontare in tutta la sua vita: se ne avesse avuto il potere avrebbe bloccato il tempo in quell’istante, in un ritorno infinito  di quegli ultimi minuti e avrebbe mandato a marcire i suoi doveri. Anni addietro probabilmente lo avrebbe fatto continuando ad assaporare quella lingua nella sua bocca che lo cercava sempre piu’ disperatamente o a lambire quel corpo di cui si era beato nelle notti piu’ oscure lasciando che quella voglia dietro la sua testa si potesse fare avanti anche nel suo corpo. Fu la prospettiva che non sarebbe stato il suo ultimo momento in quello stato a fargli staccare le labbra dalle quelle languide di Ghìda; un sospiro arreso gli oltrepassò le labbra non appena puntò lo sguardo verso i suoi occhi scuri socchiusi e seppur odiandosi a poco a poco lasciò le sue mani scivolare sia dalla sua schiena e dai suoi fianchi, accarezzando la cicatrice su uno di questi, puntandole con la fronte la finestra aperta, facendo chiaro riferimento a come la penombra cominciava a diventare una luce aranciata.
 
«Devo andare.» Mormorò a un soffio dalle sue labbra ricevendo un piccolo sorriso come riposta insieme alle sue mani che si andarono a sua volta a sciogliere da dietro il suo collo dandogli l’autorizzazione ad alzarsi, seppure l’autorizzazione in quel caso se la dovesse ancora dare da solo.
 
Si diede una botta con i reni mettendosi su a sedere sul letto strofinandosi le mani sul viso cercando di mascherare la frustrazione che gli stava cominciando a montare nel petto: senza aspettare oltre sapendo che se ne sarebbe pentito passò lo sguardo attentamente sul pavimento di fronte a lui per cercare le brache che nella foga non ricordava neanche dove aveva gettato. Ringraziando Durin li riuscì a notare quasi subito, sopra la cassettiera accanto al letto che si tenevano ancora sul mobile quasi per miracolo, come entrambe le gambe scure a penzoloni nel vuoto.
Allungò il braccio per afferrarli e, grazie al suo ultimo briciolo di autocontrollo e senso del dovere, riuscì ad alzarsi dal letto e infilarseli con talmente decisione che per un attimo penso addirittura che stesse per strapparli, prima di lasciarsi a sedere un’altra volta sul letto per allacciarsi i laccetti incrociati che ora gli parevano solo una terribile tortura per farlo rimanere ancora piu’ a lungo.
 
Le dava la schiena mentre si allacciava i pantaloni in silenzio, tirando e stringendo i lacci tentando di fare il meno rumore possibile: Ghìda si morse il labbro pensando a quale fatica stesso compiendo in quel momento o alla sua espressione accigliata mentre tentava almeno. Si lasciò andare totalmente di fianco voltandosi verso di lui affondando la testa tra i due cuscini e distendono il braccio verso la porzione vuota di letto che aveva lasciato: lo osservò in silenzio per qualche istante passando lo sguardo sulla schiena nuda coperta per la metà dai capelli corvini; seguì i sui segni rossi di unghie che gli attraversavano la schiena da parte a parte in entrambe le direzioni marchiandogli la pelle già colma di piccole e grandi cicatrici perlacee e si morse un labbro quando le immagini di come Thorin si era procurato quei segni le tornarono di fronte agli occhi.
 
Alzandosi con cautela dal letto, Thorin si chinò lievemente in avanti afferrando qualcosa da terra che  Ghìda riconobbe subito come la camicia che indossava la notte precedente; con un sospiro si sedette poi di nuovo sul bordo del letto e la incuriosì abbastanza quando invece di indossare l’ indumento se lo passò tra le mani piu’ volte , posando poi gli avambracci sulle ginocchia e facendo uscire un breve sbuffo smuovendo le ampie spalle.
 
«Torna a dormire.» La intimò volando di poco lo sguardo oltre la spalla prima di spostare di nuovo la sua attenzione verso il tessuto nero fermo nelle sue mani e cominciare di nuovo ad allargarlo con le dita.
 
Arrotolò con attenzione i lembi della camicia incontro ai palmi per indossarla, ma appena cominciò a infilare una mano si dovette bloccare immediatamente quando due braccia delicate gli avvolsero il collo e un peso soffice gli si poggiò sui muscoli tesi della schiena nuda; socchiuse gli occhi esalando un sospiro esasperato appena sentì la pressione dei seni sulla pelle e le labbra di Ghìda avvicinarsi oltre la sua spalla e lasciargli un bacio sotto l’orecchio.
«Potrei rivolgerti le stesse parole lo sai vero?» Commentò dolcemente allontanandosi di poco dal suo viso e abbandonandosi al limitare della sua spalla con la guancia per poterlo guardare in viso.
 
Voltò leggermente lo sguardo alla sua destra incontrando un paio di occhi scuri che brillavano di luce propria coperti da dei piccoli ciuffi disordinati che le scendevano lunghi fin a coprirle gran parte del braccio teso mentre le labbra erano arrosate e piegate in un piccolo sorriso facendo vacillare anche la sua lucidità.
 
Strinse il tessuto della camicia nella mano e rimase ritto a se stesso. «Sei tu che mi hai svegliato.» Commentò severo o almeno quello che dovette sembra un tono severo ma che si andò a sgretolare sotto quello sguardo così sereno che mai le aveva visto sul viso.
 
Maledizione.
 
Sospirando e lasciando crollare per quello che fu un attimo i suoi buoni propositi; avvicinò il viso al suo e lasciò delicatamente andare la fronte sulla sua inspirando profondamente l’odore che amava, lo stesso che aveva sentito tutta la notte nelle narici.
 
«Riposa, ancora per qualche ora.» La intimò nel frattempo che la voglia di prenderle il viso e baciarla si fece sempre troppo reale, ma sapeva che se l’avesse baciata avrebbe mandato in malora ogni suo impegno quella mattina.
 
«Ma io non sono…» Ghìda non riuscì neanche a finire la frase che si dovette tirare indietro dalla fronte di Thorin nascondendosi di nuovo dietro la sua spalla per trattenere uno sbadiglio che inevitabilmente però le trasmutò le parole. «Io non sono stanza stanca.» Riuscì finalmente a completare la frase celandosi imbarazzata sulla pelle del nano, tradita perfino dal suo stesso corpo.
 
La sua fronte venne smossa da dei piccoli movimenti e poi per quello che fu un attimo senti Thorin ridere: non una delle risate che sentiva di solito, un piccolo sbuffo o un grugnito, no, lo sentì ridere per davvero, una risata che in tutti quei mesi non era mai riuscita a sentire. Percepì una piccola stretta al petto di fronte a quel suono profondo ma terribilmente dolce che aleggiò per la stanza soprattutto quando abbassò il viso imbarazzato per nasconderla.
 
Alzò lo sguardo di nuovo oltre la sua spalla sorridendogli. «Dovresti ridere più spesso, hai una risata splendida.»
 
Thorin la osservò oltre la sua spalla e alzò un sopracciglio con ancora un piccolo sorriso stampato sulle labbra. «Non è con le lusinghe che mi distrarrai da ciò che ti ho detto.»

«Con te le lusinghe servono poco e non avevo intenzione di farlo, era solo la verità.» Commentò di rimando baciandogli l’incavo del collo, oltre la barba ispida lasciandosi poi di nuovo andare con la guancia sulla spalla bollente osservandolo.
 
Una piccola scintilla gli illuminò gli occhi azzurri e spalancando leggermente la bocca scosse la testa: le sembrava quasi incredulo alle sue parole, perfino scioccato; un piccolo sorriso gli si formò al lato della bocca e  sospirando con un gesto veloce si liberò della camicia che teneva ancora tra le mani poggiandola di fianco a lui.
 
«Vieni qui.» La intimò osservandosi dapprima le gambe e poi spostando gli occhi di nuovo verso di lei allargando le braccia dietro il suo busto in un soffice invito che Ghìda non si fece ripetere due volte.
 
Accompagnata dal braccio di Thorin gattonò sul materasso e sporse prima una gamba e poi l’altra mettendosi seduta sul suo ventre lasciando dietro di se il lenzuolo e con cautela poggiò le mani sul petto per farsi un minimo di forza. Due calde e possenti braccia la cinsero con possessione, con un estremo bisogno portando il suo corpo a premersi contro il suo, facendo aderire i loro corpi e le loro fronti ancora una volta e portandola di nuovo a perdersi ancora in quei due pozzi blu che la guardarono in una maniera tale che le fece attorcigliare le membra.
 
Non c’era niente di voluttuoso in quell’abbraccio, solo un’estrema dolcezza alla quale entrambi ancora dovevano abituarsi come alla concezione che quella non sarebbe stata l’ultima di quelle mattine passate così, dove perfino Thorin, anche se non l’avrebbe mai detto, tentennava a lasciarla andare impaurito che non fosse reale.
Gli sembrava di avere tra le braccia la cosa piu’ preziosa e fragile della Terra di Mezzo, anche se sapeva che tutto si poteva dire di lei tranne che fosse fragile, ma piu’ la guardava e piu’ si sentiva di avere il potere di romperla anche solo sfiorandola; la osservò attentamente, voleva imprimersi ogni singolo tratto del suo viso o del suo corpo su di se: alzò la mano da dietro la sua schiena accarezzandole le braccia le gambe intorno alla sua vita fino a risalire fino alle sue spalle e ad arrivare al suo viso passandoci sopra il dorso delle dita delicatamente.
 
Ghìda chiuse gli occhi sorridendo a quel semplice gesto lo osservò con attenzione mentre le spostò i capelli di lato e  sussultò quando sentì le sue dita avvicinarsi al collo, verso il punto che ancora sentiva bruciante e livido dallo notte precedente; lo sfiorò lievemente con la punta delle dita, facendole socchiudere gli occhi e inclinare al testa di lato mentre dal basso ventre  le risalì di nuovo quel calore bruciante ma al contempo a questo salì  anche una terribile sensazione di nausea che le strinse lo stomaco, e alzando lo sguardo verso il viso di Thorin ne capì il motivo. Aveva lo sguardo accigliato, le sopracciglia nere corrugate incorniciavano gli occhi azzurri passavano lo sguardo piu’ e piu’ volte sullo stesso punto sul suo collo, adombrandosi sempre di piu’. Istintivamente spostò lo sguardo sulla spalla muscolosa e a malapena coperta dai ciuffi cinerei e si morse l’interno guancia alla vista del marchio violaceo e alle piccole crosticine a forma di mezzelune lasciate dai propri denti: sapeva cosa stava pensando Thorin, perché era la stessa cosa che stava pensando lei in quel momento.
 
Non avrebbero dovuto, non dovevano farlo per alcuna ragione, se si fosse venuto a sapere, se fosse nato anche solo il dubbio nel palazzo, sarebbe stato lo scandalo ma se questa notizia fosse uscita fuori dalle mura della Montagna Solitaria avrebbe significato la fine di tutto.
 
Ricorda a chi devi la tua lealtà Ghìda.
 
Socchiuse gli occhi ripensando a quelli occhi scuri di suo padre, viscidi, languidi e opprimenti che la osservavano giudicatori l’ultima volta che l’aveva visto e al modo in cui l’aveva guardata: non lo avrebbe accettato, per alcuna ragione, se lo avesse saputo non poteva neanche immaginare cosa avrebbe potuto fare. Nella sua assurdità forse sarebbe stato anche lieto, era un passo piu’ vicino a ciò che voleva, ciò che voleva fosse il suo posto per lei, ma piuttosto che sopportare il disonore si sarebbe tagliato la barba e avrebbe riversato su di lei tutte le ire la Terra di Mezzo, e peggio lo avrebbe fatto con Thorin e ne avrebbe avuto tutto il diritto.
Aveva disobbedito un'altra volta ma nella sua disobbedienza aveva compiuto la scelta piu’ sbagliata che avrebbe potuto fare, eppure in quel momento non gliene importava, avrebbe rifatto quella scelta sbagliata cento e cento notti ancora, e ne avrebbe pagato le conseguenze cento e cento volte ancora, avrebbe sopportato le ire di suo padre cento e cento volte ancora.
 
Suo padre controllava la sua vita, lo aveva sempre fatto, controllava il suo corpo e le sue decisioni, ma non avrebbe piu’ potuto governarla, non quello che sentiva, non quello che voleva: quello non era mai stato in grado di farlo; dietro un inchino e all’obbedienza che gli doveva c’era anche quella che doveva a se stessa e quella che doveva al suo re, l’amore che provava per il suo che andava oltre qualsiasi obbligo le avrebbe imposto suo padre. Ebbe la sicurezza che se fosse stata obbligata, al di là dell’esilio, lei sarebbe tornata da Thorin e lui sarebbe andato a prenderla, oppure no?
 
Si morse il labbro e per un attimo ebbe paura di parlare, paura di sentire una risposta affermativa alla domanda che le bagnava le labbra, ma infine forse fu proprio quella paura a farla dare fiato alla bocca. «Lo rimpiangi, quello che è successo questa notte?» Si ritrovò a dare sfogo alle sue parole senza rendersene conto.
 
Thorin si riscosse immediatamente, distogliendo lo sguardo dalla sua spalla e facendolo saettare verso il suo viso e l’espressione dapprima cupa divenne incredibilmente seria, tanto da metterle paura.
 
Serrò la mascella e con decisione le prese il mento facendola voltare il viso verso il suo osservandola severamente. «L’ultima cosa che provo dopo questa notte è il rimorso, quello che è stato è stato e non devi rendere conto delle tue decisioni a nessuno, non qui, non sotto questa montagna, come io delle mie Ghìda.» Scandì ogni parola guardandola dritta negli occhi e non riuscì a notare un singolo cipiglio di una menzogna in quelle parole che le scaldarono il cuore e ciondolare la testa al suo tocco.
 
Annuì di rimando posandogli la mano sul viso contorno dalla rabbia che a quel suo piccolo gesto cominciò di nuovo a distendersi; lentamente si avvicinò alle sue labbra vi posò un bacio così leggero che senti a malapena le labbra sotto le proprie, sfiorandole.
Thorin rimase immobile non respirando neanche a quel contatto, non facendo nulla osservandola solo in attesa, una lunga ed estenuante in cui dovette lottare con tutto se stesso per rimanere impassibile, di fronte ai suoi occhi semi socchiusi e alla mano sul suo viso che lo attirò un'altra volta così pericolosamente vicino al suo viso
Si sforzò a resistere anche quando lo baciò una seconda volta con leggerezza, ma quando lo baciò una terza volta premendo con passione le labbra sulle sue anche non ne fu piu’ in grado e si lasciò andare a quel bacio, assecondandola; si ritrovò a schiudere immediatamente le labbra non appena gli passò le mani dietro al collo tirandosi sopra di se sovrastandolo in altezza.
Percepì il sangue pulsargli nelle vene di tutto il corpo; incontrollato; la strinse a se possessivo afferrandole i fianchi e poi portare le sue mani sulle cosce tese godendo della sua pelle d’oca e del suo corpo nudo premuto contro il suo e quella smania incontrollata e la stessa lussuria di cui era stato vittima la notte presente lo ghermì ancora.La sentì fremere quando passandole le dita verso l’interno coscia le diede un leggero scossone che la portò ad aprire ancora di piu’ le gambe; strinse le dita vogliosa nei suoi capelli attirandolo ancora di piu’ verso di se premendo i loro corpi l’uno sull’altro. Scocciato percepì la costrizione dei pantaloni farsi tremendamente fastidiosa specie quando i loro lombi si contrarono ancora una volta  languidi e la sentì gemere nella sua bocca.
 
Era combattuto, terribilmente esitante, diviso tra la mente e il corpo: la prima non faceva che ripetergli di alzarsi da lì e varcare quella soglia, o sarebbe venuto meno ai suoi obblighi,  il secondo, invece, lo implorava di mandare tutto in malora e continuare a baciarla e consumare ancora la passione ardente che non aveva intenzione di abbandonarlo e che era sicuro non l’avrebbe abbandonato per tutto il resto della giornata. Ma, alla fine, prevalse il buonsenso: spostò una delle mani che le artigliavano ancora le gambe verso il suo mento e, seppur gli costò tutta la sua ragione, si scostò dalle sue labbra scuotendo la testa.
 
«Non adesso, non ora.» Esalò fermo, anche se la voce roca lo tradì ,a pochi centimetri dal suo viso, accarezzandole il lato della bocca con il pollice; lei abbassò le palpebre assaporandolo appieno e sospirò lievemente mentre prendeva di nuovo possesso di se.
 
«Lo so.» Annuì velocemente seppur nei suoi occhi lucidi e nelle guance rosse poteva percepire la stessa battaglia che imperversava dentro di lui, irrimediabilmente sentì le e le braccia da dietro il suo collo sciogliersi e diventare di nuovo un leggero tocco sul suo petto.
 
Le si avvicinò un’ultima volta posandole un bacio leggero sulla fronte e anche se a malavoglia la scostò da se e si alzò definitivamente da quel letto e dal suo corpo, lasciandola andare e lasciando come un bagno freddo che quel momento gli passasse addosso, o meglio si impose di farsi passare quel momento addosso.
 
Ghìda sospirò osservandolo strisciare via di nuovo dal letto portandosi il lenzuolo verso il petto coprendosi il corpo ancora totalmente nudo e cercando di placare quel senso di smania che l’aveva colta fino a poco prima; si mise seduta al centro del materasso trascinandosi dietro il lembo del lenzuolo arrotolato verso il lato del letto e se lo strinse con entrambe le mani mettendosi seduta.
 
Rimase in silenzio osservando il nano infilarsi la camicia nera, ormai ridotta a uno straccio  vicino al bordo del letto, passandosela oltre le braccia e cominciando a chiudere ogni singolo bottone mentre con lo sguardo si cominciò a guardare intorno non prestando la minima attenzione alle sue mani. Lo osservò corrugare la fronte guardandosi intorno, facendo saettare lo sguardo verso il vimano e le pellicce che lo ricoprivano , assottigliando sempre piu’ lo sguardo verso degli angoli remoti della stanza in cerca di qualcosa.
Dovette sopprimere una piccola risata contro il ginocchio teso che aveva vicino al viso e ne dovette sopprimere un'altra quando una cotta in pelle raggomitolata per terra proprio di fronte alla sua vista attirò la sua attenzione.
 
Alzò il dito tenendosi il lenzuolo solo con una mano indicando l’indumento sotto il tavolo di fronte al camino ormai spento. «Lì, vicino alle gambe della sedia» Gli indicò mordendosi il labbro incapace quasi di ricordarsi come potesse essere arrivato fino a lì.
 
Thorin smise di guardarsi intorno e puntò lo sguardo verso il lato opposto della stanza seguendo il punto che le indicava lasciando un sospiro pesante notando fin dove era arrivato e notò anche il sorriso malizioso che si dipinse sul volto di Ghìda non appena le fece notare dove era si trovava la sua cotta: lui però si ricordava come era successo, eccome se lo ricordava e quel ricordo era l’unica cosa che in quel momento gli impediva di raccogliere solo i vestiti e andarsene da lì.
Si tirò giù un'altra volta afferrando da sotto la sedia la cotta nera sospirando verso le braci spente del camino di fronte a se e continuando ad osservare le ceneri sotto di se passò un braccio dentro una manica, stiracchiandosi la schiena per quel che poté: un misero tentativo di risvegliarsi totalmente
 
 «Dove vi condurranno i vostri doveri quest’oggi mio signore?» La voce ironica rimbalzò dolce verso le sue orecchie facendolo sbuffare divertito e spostare lo sguardo verso il viso arrossato che continuava a seguirlo in ogni suo movimento adagiato tra due piccole ginocchia coperte
 
«Ho delle riunioni da sbrigare e pile di pergamene da firmare e ci sono stati dei problemi alle fucine ieri, quindi credo che starò lì tutto il pomeriggio.» Le rispose spostando di nuovo di poco lo sguardo verso di lei e verso il suo corpo raggomitolato nelle lenzuola blu, rendendole di nuovo terribilmente invitanti.
 
«E’ accaduto qualcosa di grave?»
 
«Niente che non si possa risolvere nel giro di una giornata: si sono inceppati i mulini che azionavano le carrucole dalle miniere.»
 
«E tu questo non lo ritieni grave?» Ribatté facendo diventare il suo tono improvvisamente piu’ acuto.
 
Sbuffò divertito cominciando ad abbonare i bottoni triangolari della cotta ancora aperta. «Ho detto che non è nulla che non si possa risolvere nel giro di una giornata.» Appuntò alzando un sopracciglio. «E i tuoi doveri dove ti porteranno?»
 
«Oh non credo che tu avrai bisogno di saperlo, ti basterà appizzare un po' di piu’ l’orecchio per sapere dove io mi trovi e con chi mi trovi.» Gli rispose lanciandogli un’occhiata divertita sopprimendo una risata ripensando a quello a cui inevitabilmente sarebbe corsa questa mattina, compreso anche l’euforia che certamente non sarebbe mancata e nessuno dei sei piccoli nani, perfino dopo una festa come quella della notte precedente.
 
Probabilmente fu anche il pensiero di Thorin perché sorrise verso il basso con il lato della bocca allacciando una ad uno le piccole placche triangolari sul petto. «Credo che dopo ieri sera possano avere la grazia reale e la mia autorizzazione a scorrazzare in giro per il palazzo quanto desiderino.» Ammiccò alzando di poco lo sguardo puntandolo di nuovo verso di lei e poi di nuovo verso l’ultimo allaccio facendolo scattare.
 
«Non dire cose delle quali potresti pentirti, potresti ritrovarti ad avere delle guardie del corpo giorno e notte che ti aspettano fuori dalle porte d’entrata e che finirebbero per seguirti come ombre a ogni tuo passo.» Lo avverti ironica, ma da una parte sapeva che anche se era una piccola battuta sarebbe potuta essere benissimo una realtà molto plausibile.
 
Thorin con un paio di falcate pesanti si avvicinò di nuovo al letto chinandosi per raccogliere la cintura ancora a terra vicino alla colonna di legno all’angolo sinistro espirando profondamente mentre si chinava verso il basso.
«Con dedizione potrebbero sempre imparare e diventarle un giorno.» Le rispose duro, ma riuscì a captare una profonda tenerezza in quelle parole che si andarono ad addolcire a poco a poco, lasciando fuoriuscire un lato di lui che mai si sarebbe aspettata.
 
Paterno.
 
Sorrise tra se e se quando una piacevole sensazione al petto le fece saltare un battito al cuore, e portarla ad osservare con ancora piu’ attenzione di prima i tratti rigidi di Thorin che bassi si accigliavano sempre di più mentre snodava i lacci di cuoi e si sistemava la cintura nera intorno al busto.
 
«Potresti venire tu stesso a dirglielo quest’oggi, li renderesti davvero felici sai?» Gli propose stringendosi ancora di piu’ le gambe al petto. «Ti ammirano, molto ma questo penso che tu già lo sappia.»
 
«Ero dell’idea che mi trovassero spaventoso.» Commentò Thorin facendo passare la prima cinghia verso il passante alzando un sopracciglio divertito, pensando poi a quella dalla parte opposta dello stemma reale.
 
Ghìda si morse il labbro alzando dolcemente le spalle ripensando alle parole della piccola Màr e dovette sopprimere un piccolo riso, ripensando a come piu’ di una volta aveva usato quelle esatte parole nei confronti del re, ma di come con il tempo avesse cambiato idea: spesso infatti si ritrovava a dover rispondere delle domande alquanto inopportune o spesso delle quali non sapeva neanche la risposta, era diventata curiosa verso di lui.
 
«Ora ti definisce piu’ come un orso in realtà…»  Ammise nel frattempo ci si allacciava l’ultimo laccio della cintura. «Io invece ho sempre sostenuto che tu assomigliassi molto di piu’ un lupo.»
 
«E la tua scelta è stata fatta in base a quale criterio?» Gli chiese ancora curioso allungando la mano verso il dorso della sedia afferrando il mantello poggiato lungo sullo schienale e cominciando a infilarci le braccia una alla volta. 
 
«In base tue zanne affilate e la tua pelliccia folta ovviamente.» Ribatté divertita alzando un sopracciglio passandogli gli occhi addosso indugiando sulle spalle larghe coperte da quella soffice pelliccia marrone scura e verso i capelli che ribelli neri e grigi gli ricadevano sulle spalle e sulla schiena intrecciandosi con i folti ciuffi del vello. 
 
Sì, un enorme e solitario lupo, non c’era assolutamente nessun’animale che lo avrebbe mai potuto identificare meglio, nel bene e nel male.
 
«Hai un fervida immaginazione.» Le rispose scrollando le spalle sistemandosi con un movimento il mantello sulla schiena
 
Si dovette trattenere all’alzare gli occhi al cielo, quindi sbuffo solo pesantemente incrociando le braccia al petto. «Se avessi una fervida immaginazione ti avrei descritto come una bestia molto meno comune di un lupo.» Appuntò decidendo, guardandolo ormai vestito, che forse era anche il tempo per lei di alzarsi e di cominciare a prepararsi.
 
Seppur l’idea di rimanere a letto ancora per qualche ora la tentò si trascinò al bodo del letto trattenendo ancora il lenzuolo tra le mani raggelando appena posò i piedi sul marmo freddo e facendosi coraggio espirò profondamente e si alzò in piedi portando con se anche il lenzuolo ancora stretto la petto; si strinse il tessuto blu scuro ancora di piu’ addosso quando cominciò a camminare a piccoli passi verso la cassettiera poggiata contro il muro infondo alla stanza, mordendosi il labbro dalla concertazione  cercando di poggiare i piedi sulle pellicce soffici e non sul pavimento gelido. Arrivata di fronte ad essa ne aprì il primo cassetto triandosi su in punta di piedi per guardarne al meglio l’interno passando al setaccio tutti gli abiti piegati che vi erano o dentro cercandone uno adatto a quella giornata così rigida. Passò la mano libera delicamenti su ogni bustino o merletto che vedeva, indugiando sui vestiti con una folta pelliccia, alzando e arrogando i tessuti cercandone uno cha la convincesse, ma piu’ guardava piu’ sembrava stesse guardando sempre lo stesso abito. Sospirò esausta danna ancora piu’ affondo con la mano e stringendosi ancora di piu’ il lenzuolo al petto fino a che non sentì dei passi pesanti farsi sempre piu’ vicino a lei.
 
Le scappò un sorriso quando due braccia la avvolsero da dietro intrecciando le mani sul suo ventre e una schiera di ciuffi neri le si parò accanto al suo viso, seguito ben presto da una sensazione di calore sulla tempia, bloccandole immediatamente la sensazione di freddo sulla pelle e la mano all’interno del cassetto, ancora intento ad alzare un corpetto di un vestito verde scuro.
 
«Credevo che avessi dai compiti da svolgere.» Appuntò lasciando andare ancora di piu’ la schiena verso il suo petto, spostando la mano dentro al cassetto aperto verso il basso poggiandola mano sopra quelle calde e grandi di Thorin sul suo ventre.
 
Sentì un piccolo sbuffo attraversarle i capelli e poi la barba crespa scendere dal lato della testa verso l’orecchio sfiorandolo a malapena, permettendole di sentire così il respiro del nano dietro di lei, caldo e pesante, che solo a sentirlo sulla pelle le fece venire piccoli brividi dietro la schiena e il collo.
 
«Non lo stai rendendo per niente facile.» La voce calda e roca le entrò nelle ossa facendola adagiare ancora di piu’ verso l’immenso petto dietro di lei.
 
«Ma io non sto facendo nulla.» Appuntò voltando di poco gli occhi verso il viso poggiato al lato della sua testa, scorgendone i tratti rigidi che con una estenuante lentezza si mossero sempre piu’ verso il basso facendole socchiudere gli occhi.
 
«Non ne hai bisogno» Sussurrò roco di rimando baciandole l’inizio della spalla un'altra volta facendole inarcare la testa contro la sua spalla, lasciandogli libero accesso su tutta la linea curva del collo.
 
Sentì le labbra di Thorin abbassarsi sempre di piu’ dal suo orecchio verso il suo collo fino ad arrivare alla spalla, che sfiorò con la punta delle labbra: in un piccolo sobbalzo chiuse le dita dapprima solo poggiate sul dorso della mano portandole a premersi ancora di piu’ contro il suo ventre.
 
Thorin alzò gli occhi azzurri verso i suoi che non l’avevano mai abbandonato e prima che se ne potesse accorgere il suo viso si fece ancora piu’ vicino al suo e la stretta sul suo ventre si fece ancora piu’ salda, fino a far sfiorare i loro nasi e a fondere i loro respiri.
 
Si guardarono intensamente negli occhi facendo sfiorare le loro labbra e facendole infine incontrare in un bacio passionale che le tolse il fiato; ruotò la testa all’indietro contro la sua spalla chiudendo gli occhi mentre la lingua di Thorin si intrecciò possessivo con la sua facendole serrare gli occhi e il petto. Intrecciò la mano nella sua premendosi ancora di piu’ indietro contro il suo petto sentendo un piccolo ringhio montare nella gola del nano quando i loro corpi si allacciarono l’uno all’altro approfondendo il bacio e facendole tremare le dita che trattenevano il lenzuolo che in quel momento voleva solo che cadesse.
 
Con il fiato corto e la testa annebbiata fu il suo turno di interrompere tutto ciò prima che entrambi potessero perdere l’autocontrollo un'altra volta. «Va.» Gli sussurrò a fior di labbra sorridendogli cauta e puntandogli con lo sguardo l’uscio della porta alle sue spalle. «Prima che sia io a non lasciarti piu’ andare.» Gli confessò sorridendogli seppur dentro di se sapeva che se già le era difficile lasciarlo andare in quel momento cosa avrebbe provato se l’avesse baciata ancora in quel modo, rendendo la situazione irrecuperabile.
 
Gli era talmente vicina che i respiri brevi e impazienti si confondevano tra loro ma, benché entrambi si fossero avvicinati ancora pericolosamente, Thorin riuscì a riprendere il controllo di sé, spostandosi di poco dal suo viso; le sorrise ancora, lasciandola col cuore traboccante di felicità che come un tamburo le e posandole un ultimo bacio a fior di labbra.
 
«Non ti prometto nulla, cercherò di liberarmi per qualche minuto se lo desideri.»
 
Le scappò un sorriso sulle sue labbra sincero lasciando andare la fronte contro la sua annuendo con la testa. «Gli faresti una bella sorpresa, grazie.»
 
Le sorrise di risposta e prima che se ne potesse rendere conto sentì le mani di Thorin scivolare via dal suo bacino e irrimediabilmente la sua mano prima intrecciata a quella del nano trovò la freddezza del tessuto del lenzuolo, così come il freddo della stanza che le artigliò la schiena non appena il re si allontanò da lei; riuscì a voltarsi un ultima volta  osservandogli la schiena ampia prima di vederlo scomparire oltre l’uscio della porta, seguendolo con lo sguardo.
 
Appena la porta fece un rumore sordo e si ritrovò totalmente sola si strinse contro di se il lenzuolo nel frattempo che il cuore che le cominciò a battere all’impazzata come se da quando si fosse risvegliata dovesse riprendere tutti i batti che Thorin era riuscito a bloccarle; espirò cominciando a sorridere come una sciocca tra se e se incapace di smettere e, come una ragazzina, si avvicinò di nuovo verso il letto lasciandosi andare con la schiena di nuovo contro di esso espirando profondamente. Chiuse gli occhi godendosi il calore che ancora emanava il materasso, testimone di ciò che era accaduto e intrinseco degli odori della notte precedente e si dei quali si trovò il corpo impregnato così come la sua mente, ormai totalmente sicura che quei dolci pensieri che non l’avrebbero abbandonata per tutta la giornata.
 
 
 
 
 
 
 
 
«Le navi da Gondor sono attraccate al porto sulle rive di Pontelagolungo?» Chiese Thorin voltando di poco lo sguardo verso il nano anziano accanto a se, trattenendo le mani dietro la schiena stringendosi i polsi l’uno nell’altro in una presa ferrea scendendo.
 
Balin scosse la testa seguendo i passi lenti e rigidi di Thorin affiancandolo mentre camminavano attraverso l’ala sospesa oltrepassando un piazzale dalle quale dalle quale si formavano due scale che ripide discendevano entrambe verso le parti piu’ basse del palazzo e verso l’entrata del regno sotto la Montagna.
 
«Ancora no, ma i corvi sono tornati con la notizia che Ecthelion ha già preparato le scorte di viveri e birra in giusta quantità, compresa un parte che sarebbe dovuta arrivare verso la fine della primavera per i mesi caldi.» Lo informò stringendosi al petto una quantità infinita di pergamene e carte di lettera arrotolate e stropicciate dando un’occhiata al di sotto di un paio di queste alzandone i bordi con il dito consultando i fogli arrivati dalla cittadella.
 
I documenti stretti tra le due maniche della toga rossa scura finivano sempre  di piu’ in bilico ogni volta che imbucavano una scalinata o quando per forza di cose si ritrovavano sia lui che Thorin a fare dei piccoli cenni di riverenza a ogni saluto e a ogni nano che incrociavano. La situazione peggiorava a dismisura quando, spesso quella mattina, Balin si ritrovava a schivare a piccole falcate piccoli gruppi di nani che si dirigevano nella parte opposta alla loro, salendo verso la cima della montagna e piu’ di una volta gli venne alla mente il fatto che il suo rigore sarebbe stata la sua rovina, se non per la sua vita, per la sua vecchia schiena.
 
I piani del palazzo era ricolmi di nani da ogni parte della Montagna quella mattina, da fabbri, muratori, sarti, orafi, stagnai, pareva quasi che la festa della notte precedente si fosse solamente spostata di qualche scalino al di sopra della Sala dei Banchetti o che i mercati alle radici della montagna avessero preso il sopravvento arrivando perfino alle alee del palazzo. E piu’ le ore tarde della mattinata si facevano vicine, piu’ anche la quantità di nani all’opera aumentava e l’essere sopiti di molti nelle prime ore della mattina prima del primo consiglio della giornata, aveva lasciato spazio alla quotidianità e alle faccende che erano state abbandonate al giorno prima al primo servizio del primo piatto di cinghiale.
Un leggero e piacevole mormorio si spargeva dalle piccole finestre e dall’intreccio di scale e corridoi riscaldati dalla luce dorata e viva del palazzo, tra le quali le usuali casse di diamanti gioielli e oro venivano trasportati nei mercati al di sotto della città, le dame e le nane passeggiavano lentamente per le scale strusciando i lunghi vestiti e le guardie che a ogni incrocio rimanevano ferme e immobili scrutando attentamente ogni singolo nano che passava di fronte alle loro ronde.
Seppure infatti gli avvenimenti della notte precedente avessero cambiato la realtà all’interno della Montagna in una maniera che molti ancora non riuscivano del tutto a cogliere, questa sembrava essere tornata alla sua solita continuità: i nani non cambiano, ci provano, ma non cambiano mai, sono testardi come la roccia e ineluttabili come le radici delle montagne di Arda. Possono essere scalfiti o levigati ma mai cambiati eppure Erebor sembrava essere profondamente cambiata in quelle poche ore della notte, specialmente agli occhi piu’ attenti di un nano in particolare che conosceva fin troppo bene come un regno era spesso solo il riflesso del re che lo governava.
 
Dwalin seguiva da dietro rimanendo in silenzio il fratello e Thorin ormai da diversi minuti, ascoltando ogni singola parola che usciva dalle loro bocche anche se visto dall’esterno, probabilmente non pareva neanche molto interessato agli affari di stato e in parte era proprio così. Quella mattina non stava prestando minimamente attenzione alle chiacchiere ormai ripetute fino alla nausea, era interessato a ben altro e quel ben altro era anche lo stesso motivo per il quale stava trascinando i piedi verso le fucine per sistemare quell’odioso problema ai mulini prima del tempo invece che organizzare le ronde di guardia per il prossimo mese, e quella sua decisione era stata presa non appena Thorin aveva messo piede nella sala del consiglio quella mattina.
 
La riunione si era svolta nel quasi piu’ totale dormiveglia dell’intero consiglio, Nori aveva ancora un occhio nero, Bofur a malapena riusciva a mantenere quel cappello biforcuto dritto, così come la sua testa, Glòin neanche un occhio riusciva a tenere spalancato, Dori,  seppure era il piu’ in forma tra i presenti, aveva più’ volte dovuto trattenersi il viso tra le mani per non crollare sul tavolo e il giovane Ori invece aveva lasciato vagare la piuma con l’inchiostro sempre veloci e abili in piccoli ghirigori distratti.
D’altra parte lui non poteva essere il buon esempio per nessuno di loro, aveva la testa che gli pulsava da quando si era alzato dal letto: aveva passato la notte uno schifo, neanche se si concentrava riusciva a ricordarsi come fosse arrivato nei suoi appartamenti; era però solo che sicuro non ci era arrivato unicamente con le sue gambe perché quando si era svegliato i vestiti, di solito ammassati a un lato del letto, erano piegati sulle sedie intorno al focolare ed era assolutamente sicuro che la notte precedente non sarebbe mai stato in grado di compiere un gesto del genere.
 
Ma non Thorin, lui era attento quella mattina, vispo, interessato a ogni parola che usciva dalle bocche dei ragazzi intorno al tavolo rispondendo con semplici monosillabi invece che occhiate gelide o semplici grugniti come era successo nell’ultima settimana. Era diverso, molto diverso, non era né stanco né assorto, era totalmente in se, troppo in se, ed era quello che lo aveva lasciato di stucco: non era cupo o raccolto in pensieri lontani da se, in un passato, in un presente o in un futuro, no era se stesso, solo ed esclusivamente un Thorin che non vedeva da quasi un decennio.
Seppur per poche volte, era riuscito a spostare lo sguardo verso di lui appena in tempo per vedere dei piccoli sorrisi deformargli la bocca nel frattempo che fissava dei punti vuoti sul tavolo, e questo voleva dire una sola cosa e, nel nome di Durin, doveva essere così, non c’era altra spiegazione logica, o meglio non c’era un'altra spiegazione che dopo la serata precedente volesse sentire uscire da quella regale bocca.
La causa era una era sempre e solo una e sapeva che nell’assurdità della situazione, dovesse essere successo qualcosa e, per una maledettissima volta, un qualcosa che invece che farlo mugugnare come una bestia selvaggia ferita lo avesse rimesso in sesto.
 
Possibile che Balin non riuscisse a vederlo, o era lui che indagava troppo e nella sua speranza si era fatto dei castelli immaginari? O perfino che i suoi desideri personali gli avessero offuscato la mente spostandoli e fondendoli con la faccenda di Thorin con la mezz’elfa? No, non era così e la ragione per cui non era così erano un fatto, un singolo avvenimento che gli era stato riportato dalle ronde notturne al cambio della guardia quella mattina appena si era svegliato: Thorin non aveva dormito nella sua stanza, era entrato nelle sale reali, ma non era tornato a dormire lì ne lo avevano visto uscire le guardie di fronte alla sua porta quella mattina.
 
La sua speranza in quel momento, seguendolo, non era che gliene parlasse, ormai non osava piu’ neanche pretendere che gliene parlasse, ma per lo meno in quel lasso di tempo regnava in lui la vaga speranza che si potesse tradire in qualche modo o ancor meglio che la mezz’elfa si presentasse davanti a loro come era successo il giorno precedente e gli togliesse quel dubbio, quella assurda opzione nella testa. Il Thorin che conosceva lui non avrebbe mai osato tanto, nel suo senso d’onore non avrebbe mai fatto tanto, ma dopo che gli aveva rivelato la vera ragione dei suoi sentimenti per la figlia di Telkar, la vaga possibilità che fosse accaduto divenne molto piu’ di una possibilità e da come la guardava la sera prima, con quel estremo bisogno che lui poteva comprendere troppo bene, diventò quasi una certezza.
 
«Le provviste dalla città di Minas Tirith non arriveranno a Dale in tempo quindi, vista la condizione del fiume e del lago.» Chiese conferma Thorin scendendo una a uno a uno gli scalini senza mai staccare gli occhi da davanti a se o dal suo fianco verso Balin.
 
Suo fratello sospirò pesantemente scuotendo la testa di rimando e schioccò la lingua in una secca negazione. «Manca ancora un mese all’equinozio di primavera e anche se la neve si sciogliesse in tempo dubito che riusciremo ad avere quei rifornimenti in tempo o noi a inviargli l’oro che ci hanno richiesto.» Non riuscì a non far trasparire un velo di preoccupazione che si andò a riflettere sullo sguardo mesto che lanciò a Thorin dal basso della sua statura verso il profilo rigido del re che invece non si scompose scuotendo solo la testa con un movimento secco.
 
«Glòin è riuscito ad avere da Bard di Esgarot quello che ci serviva, Dain ci darà il resto dai Colli Ferrosi.»
 
Balin si accigliò tutto di un colpo continuando a seguire i passi pensati che Thorin continuava a compire, rendendo palese la sua confusione, sia per la risposta di Dàin che sia per la sicurezza con la quale gliela aveva data.
 
«Anche con gli ordini di non passare nei territori di Esgarot?»
 
«Passeranno da Nord, è il massimo in cui possiamo sperare così come il poterle ricevere prima di quattro lune. Ci sono notizie dal Bosco?»
 
Balin a suo malgrado dovette scuotere nuovamente la testa , provando anche un briciolo di vergogna, stingendo le labbra nervosamente. «Niente di rilevante ragazzo, ancora non è arrivata una risposta mi duole dirti, neppure dopo l’ultimo messaggio.»
 
Gli passò velocemente gli occhi sul profilo duro che non si scompose neanche a quella notizia, rimanendo cauto e autorevole, seppure la notizia non fosse solo che un’ennesima porta sbattuta in faccia;  nella sua saggezza sapeva che se la cosa fosse continuata la calma che adesso Thorin esternava sarebbe diventata furia pura e in quel caso, gli orchi nella valle e la strada elfica, sarebbero stati il minore dei problemi. Sapeva che voleva la pace, la voleva disperatamente, ma rischiare di portare il popolo alla miseria e all’insicurezza era una scelta che non poteva avere, che non voleva far rivivere a nessuno.
 
D’un tratto però Balin si sentì in obbligo di rallentare il passo, neanche si era reso conto in realtà che già aveva cominciato da una rampa di scale, almeno fino a che non spostò lo sguardo da di fronte a se, di nuovo verso Thorin, notando il suo corpo muoversi piu’ lentamente di prima e di come tutto d’un tratto fosse diventato nervoso, terribilmente nervoso: forse aveva parlato troppo presto. I passi di Thorin divennero sempre piu’ pesanti a  ogni scalino sceso, quasi sofferto: gli occhi gli saettarono irrequieti verso terra evitando questa volta lo sguardo sempre piu’ accigliato di Balin. Dwalin dietro di loro dovette a sua volta rallentare il passo per non andare a sbattere contro la schiena del fratello e non riuscì a non lanciare uno sguardo verso le mani dietro la schiena del re, capendo immediatamente che qualcosa non andava.
Queste si strinsero l’una nell’altra sempre di piu’ ogni passo che compiva, fino a far stridere gli anelli argenti tra le dita scaricando la tensione in un gesto che ormai entrambi i fratelli sapevano interpretare troppo bene.
 
Un sospiro pesante gli scosse le spalle prima che potesse dare voce a ciò che lo aveva reso irrequieto in quel modo in un battito di ciglia, confermando solo l’ipotesi che pensavano sia Balin, ma soprattutto di cui era certo Dwalin. «Le lettere che ho firmato ieri sera invece, sono state inviate tutte quante?» Chiese rigido, quasi fermandosi i passi, spostando lo sguardo di nuovo verso Balin.
 
Dwalin alzò un sopracciglio capendo perfettamente a cosa si riferisse con la parola tutte, e di come in quel tutte facesse riferimento solo ad una in particolare, ma di questo anche Balin ne era a conoscenza: il vecchio nano si strinse le carte al petto pensando a quando quella mattina si era passato e ripassato tra le mani il fogliettino piegato e laccato dal sigillo blu scuro e di quanto la curiosità lo avesse quasi mangiato vivo volendo sapere la sua reazione a quel messaggio che lo aveva tenuto teso per giorni, ma dopo la notte precedente sapeva già quale fosse la risposta che racchiudesse, per questo si sentì quasi sollevato della risposta che gli diede.
 
Annuii alzando gli occhi verso il profilo di Thorin, ancora austero e indecifrabile. «Sì questa mattina presto, avevo bussato alla tua porta per avvertirti che avevo fatto volare i corvi ma non ho ricevuto risposta…».
 
Thorin non rispose e cominciò a camminare di nuovo in maniera sostenuta, volutamente ignorando la domanda di Balin, imboccando un piazzale sospeso, passando in mezzo ai due bracieri che segnavano la fine dell’ultimo piano del palazzo. Affrontare in quel momento quell’argomento non era proprio ciò che voleva, se da una parte anche lui stentava a crederci,  parlarne al parente avrebbe significato solo sentirsi fare il quarto grado, un quarto grado che non avrebbe ascoltato in ogni caso e che non aveva senso di essere fatto, non era un ragazzino, sapeva quello che aveva fatto e sapeva cosa significava e cosa avrebbe comportato. Entrambi lo sapevano e da come sentiva lo sguardo di Dwalin su di lui, probabilmente anche lui sapeva.
 
 «Hai dormito vero ragazzo? Non hai un bell’aspetto.» Insistette Balin raggiungendolo di nuovo non mollando la presa sull’argomento.
 
Eccola la domanda che Dwalin aspettava, lì posta di fronte a lui, apparecchiata e pronta a essere servita su piatti dorati: incrociò le braccia al petto in attesa e fisso la nuca di Thorin continuando a seguirlo passo dopo passo.
 
Un suo sospiro pesante gli fece quasi che avrebbe vuotato il sacco o che avrebbe per lo meno dato una giustificazione plausibile, ma come quel minimo sentore di sincerità fosse apparso, sparì di nuovo sostituito dal suo profilo austero che si abbassò verso il fratello.
«Ero sceso nelle fucine per controllare i progetti prima di oggi pomeriggio, avere un po' di tranquillità e riflettere su quello che andava fatto.»
 
Non riuscì a trattenere uno sbuffò divertito sentendo la risposta istintiva e lui anche solo grazie quella ebbe la sua di risposta: era successo.
 
«Sembra che ti abbiano infilato la testa sotto un incudine e poi vi ci abbiano cominciato a battere sopra con un martello.» Commentò  ironico infine, dopo i suoi lunghi minuti di silenzio, volendolo stuzzicare e volendo fargli intuire che lui sapeva, ma per qualche strano motivo immaginava che Thorin già avesse quest’informazione.
 
Vide i muscoli delle spalle tendersi un'altra volta e un ennesimo guizzo attraversargli la schiena Thorin impiegò qualche lungo palpito, indeciso sulla risposta: infine optò per una parte di verità . «Dopo ieri sera la sensazione che provo alle tempie è certamente quella.» Mormorò ancora facendo riferimento a ben altro rispetto a quello che si aspettava il vecchio nano accanto a lui o a Dwalin dietro di lui che però a differenza del fratello fu in grado di capire che si stesse riferendo a tutt’altro che al banchetto o alla birra scura bevuta.
 
Dwalin infatti roteò gli occhi di fronte a quella ennesima negazione e strinse ancora di più le braccia al petto scuotendo la testa arreso. «Già dopo ieri sera… » Commentò  di nuovo ironicamente continuando a seguirlo.
 
Thorin si fermò e voltò la testa fulminandolo con lo sguardo, intimandolo con un’occhiata autorevole a non continuare a parlare ma non gli importò minimamente e lo continuò a guardare alzando un sopracciglio  per invitarlo a ribattere un’ennesima volta e stuzzicandolo a vuotare il sacco un’ultima volta. Gli occhi azzurri si assottigliarono per un attimo prima di roteare e di nuovo senza dire nulla cominciò a camminare di nuovo superando il fratello che spostò lo sguardo confuso verso di lui e Thorin, avendo notato con molta probabilità lo scambio di squadri.
 
Balin osservò attentamente il fratello con attenzione ancora sogghignate con gli occhi piantati di fronte a se e si ritrovò ancora una volta a chiedersi cosi gli passasse per la testa, seppure le piccole frecciatine gli avessero lasciato ben poche opzioni e mentre queste si assottigliavano sempre di piu’ il ghignò trionfante sul viso del fratello verso Thorin divenne sempre piu’ grande.
 
D’altro canto Dwalin aveva notato lo sguardo di Balin ma non rispose impegnato troppo a guardare cosa stesse accadendo alle sue spalle da quando Thorin aveva accelerato il passo superandoli; al fratello sarebbe bastato salire un paio di scalini, trovarsi dove si trovava lui e guardare dietro di se,  per avere la visione di ciò che vedeva lui in quel momento, sia di Thorin sì di quello che c’era sotto di fronte a Thorin.
Si lasciò scappare un ennesimo sospiro e con un movimento secco della testa gli puntò dietro di lui, alla fine della scalinata che stavano scendendo; Balin non capendo corrugò di nuovo la fronte ma infine si voltò seguendo il gesto e fu finalmente in grado di vedere almeno in parte ciò che vedeva lui: Thorin, aveva fermato il suo camminare e si era avvicinato alla ringhiera dello spiazzo fissando un punto indefinito di fronte a se, poggiato con le braccia sulla balaustra dorata delle scale senza muovere un muscolo.
 
Il vecchio nano confuso si avvicinò verso la ringhiera dorata scendendo le ultime tre scale e cautamente camminò verso la schiena del re, totalmente voltata verso l’abisso e l’intersecarsi delle scale sotto di loro. A passi incerti si accostò alla sua schiena trattenendo i fogli ancora impilati stretti al suo petto, osservandolo di sottecchi quando arrivò al suo fianco, si affacciò poco a poco con la testa e notò come avesse gli occhi persi nel vuoto, verso un punto fisso. Seguì attentamente la linea dritta che disegnavano i suoi occhi azzurri e gli scappò un sorriso, capendo perfettamente perché gli occhi  gli stessero brillando in quella maniera.
 
A tre rampe di scale, poco sotto di loro, la soglia della Sala del Ferro era ben visibile, così come tutto quello che accadeva nell’atrio ottagonale che in altre ore sarebbe stato o vuoto o sarebbe stata il piccolo antro in cui Thorin avrebbe sfogato i propri problemi sulle asce di Dwalin o dove Dwalin avrebbe scaraventato le sue frustrazioni cozzando le proprie asce sulla quasi inscalfibile lama elfica di Thorin. E anche se in quel momento la situazione sotto di loro era quasi simile, tutto si poteva dire a meno che i colpi assestati fossero forti o pericolosi come i loro: tra le immense colonne che circondavano la sala, la luce dorata entrava ribalzando sulle asce e solle armature appesa ai muri illuminano di vari strascichi di luce le piccole figure che avevano invaso il salone che volteggiavano le proprie armi d’addestramento guidati dalla piu’ improbabile dei maestri.
Ghìda al centro della stanza alzava e abbassava la lama muovendosi agile e leggera parando con facilità i piccoli colpi incerti e traballanti del piccolo nano di fronte a lei, colpendolo delicatamente con il piatto della lama non appena commetteva un errore, prima di riposizionarlo correttamente e continuare un'altra volta, muovendosi sempre nello stesso modo sperando che imparasse o riconoscesse i suoi movimenti, facilitati dagli abiti per niente da dama che indossava, sostituiti infatti da una camicia da lavoro e pantaloni.
 
Balin l’aveva già vista allenarsi, o l’aveva vista allenare in alcune sporadiche mattine il gruppo di piccoli nani, o in una delle Sali inferiori del regno sullo stesso piano delle fucine o appena fuori le porte del palazzo, ma il fatto che fosse lì  con loro era una cosa totalmente inaspettata e forse anche per Thorin, visto il modo in cui la stava guardando.
 
Ridacchiò leggermente e si voltò al suo fianco stupendosi di fronte al sorriso aperto che Thorin stava rivolgendo verso quella piccola scena e fu in quel momento che diede fiato ai suoi pensieri che la notte prima non era stato in grado di esprimere. «E’ brava con i bambini e quello che hanno fatto quei ragazzini è davvero straordinario, in piu’ di duecento anni non ho mai visto nulla del genere accadere sotto questa montagna, è stato un evento quasi senza precedenti.»
 
Non ricevette risposta, solo un piccolo cenno della testa verso il basso in approvazione e il suo silenzio gli diede solo la possibilità di finire il suo pensiero.
 
«Hai fatto bene a non intervenire ragazzo è stato un gesto che tutto il regno ha approvato, soprattutto conoscendo le sue origini. Andrà interpretato come un buon auspicio alla sua incoronazione.»
Questa volta invece uno sbuffo divertito gli uscì dalle labbra di Thorin e voltò lo sguardo vedendolo sorridere con il lato della bocca e annuire, mentre continuava a tenere lo sguardo in avanti puntato oltre le alte colonne che non permettevano una visione completa di quello che succedeva ma abbastanza da incantarlo totalmente.
 
«Non c’è ancora nulla di ufficiale, mancano ancora piu’ di  due mesi, la mia speranza è che i buoni presagi continuino fino a quel momento.» Rispose stringendo ancora di piu’ le braccia l’una nell’altra sulla lastra dorata.
 
«Il gesto di ieri sera ti dovrebbe aver dato la conferma che hai compiuto una buona scelta, sono sicuro che quello che accadrà in seguito te ne darà solo ulteriori di conferme.»
 
Inaspettatamente scosse la testa e le spalle gli si rilassarono di colpo cosi come il sorriso a malapena accennato divenne un sorriso quasi timido, puntato dapprima verso il basso e poi di nuovo verso la Sala del Ferro. «Non ne ho bisogno Balin.» Mormorò tra se e se, in una silenziosa ammissione, al quale alle prime rimase sconcertato non essendo sicuro di aver capito bene, ma che poi si trasformò in certezza quando Thorin si girò verso di lui dandogli la conferma di ciò che aveva detto.
 
Con il cuore colmo di gioia artigliò ancor meglio con il braccio sinistro le carte sul suo petto e slegò quello opposto, alzandone la mano e posandogliela gentilmente sull’avambraccio piegato stringendolo con fermezza quando in realtà dentro di se avrebbe solo voluto abbracciare il re accanto a se dalla gioia.
 
«No, infatti, non credo che tu ne abbia piu’ bisogno.» Gli appuntò facendogli capire i suoi pensieri e solo la gioia che provava al solo pronunciare quelle parole.
 
Thorin annuì di nuovo con la testa ringraziandolo e poi spostò di nuovo lo sguardo sbrigativo oltre le scale le scale che ripide continuavano a scender rispetto dove si trovavano loro in quel momento. «Continuate, vi raggiungo tra pochi minuti.» Gli ordinò e lanciò un’ultima occhiata sotto di se rendendo chiare a Balin le sue intenzioni facendo spuntare sulla bocca del vecchio nano un sorriso affettuoso e complice.
 
«Se non ti vediamo ragazzo cominceremo senza di te… prendi il tempo che ti serve.» Gli appuntò e Thorin non poté fare a meno di sorridergli grato e annuire verso il pavimento prima di stringerli con ancora piu’ fermezza l’avambraccio vecchio e stanco in un silenzioso ringraziamento.
 
Lo seguì con lo sguardo mentre voltandosi di nuovo dietro di se cominciò di nuovo a salire le scale dalle quali erano appena scesi, per andare a prendere un corridoio che lo potesse riportare su e di nuovo giù, di nuovo verso le sale piu’ esterne del palazzo…verso di lei .
Spostò lo sguardo verso Dwalin, ancora fermo sulla rampa di scale dove si erano fermati poco prima, vedendolo alzare un sopracciglio non appena Thorin gli si affiancò e un sorriso sornione dipingersi sulle labbra non appena quest’ultimo gli lanciò un’occhiata di sbieco mugugnando qualcosa; non riuscì a sentire ciò che si dissero ma non ne ebbe bisogno per sapere che fosse un’imprecazione: lo capì piu’ dal sorriso del fratello che si trasformò in una risata abbozzata.
 
Dwalin sospirò lanciando ancora uno sguardo veloce dietro di se notando come Thorin avesse accelerato improvvisamente il passo e di come spedito imboccò il primo corridoio sulla destra salendo a grandi falcate le scale a due a due preso da una fretta che raramente gli aveva visto. E come ogni volta non aveva neanche bisogno di chiedersi il perché di quella fretta.  Abbassò lo sguardo verso suo fratello che lo guardava con un sorriso stampato in faccia, in attesa che probabilmente gli dicesse qualcosa e decise di accontentarlo dando libero sfogo ai suoi pensieri, che con molta probabilità in quel momento erano gli stessi di Balin.
 
«E’ un pessimo bugiardo, lo è sempre stato.» Disse duro spostando di nuovo lo sguardo dietro di se, verso Thorin ormai lontano che imboccava lo spiazzo sul quale erano appena passati dalla parte opposta, prima di scomparire tra le colonne verdi e tra il via vai di nani tra i corridoi.
 
Cominciò di nuovo a passi pesanti e ridondanti a scendere le scale una alla volta portandosi verso la balaustra dove suo fratello era poggiato con il petto con  tra le mani ancora la pila di fogli giallastri. «Non era nelle sue stanze questa notte, ne n’è uscito questa mattina presto.» Disse al fratello avvicinandosi a sua volta verso la ringhiera e lasciando andare le braccia a ciondoloni su questa, distendendole in avanti lasciando i muscoli rilassarsi.
 
Balin scosse la testa ridacchiando sommessamente e si girò a sua volta poggiando entrambi gli avambracci carichi sulla ringhiera dorata delle scale.« Pensi che non lo sappia? Quando sono entrato il letto era intonso e non c’erano neanche i suoi vestiti.» Ammise Balin ghignando con il lato della bocca.
 
Dwalin si scosse un minimo di fronte alla reazione del fratello, triando su la testa di scatto e puntando di nuovo lo sguardo verso il viso paffuto e arrossato: rimase scioccato ma non perché lo sapesse ma perché ne stava ridendo. Per un attimo si dovette chiedere se stesse pensando entrambi la stessa cosa o se entrambi fossero sulla stessa linea di pensiero rispetto a ciò che quel gesto poteva significare. Interdetto si lasciò andare con gli avambracci ancora di piu’ contro la ringhiera, e capì esattamente che il pensiero era lo stesso quando gli occhi di suo fratello si posarono verso di lui e un'altra risatina gli fuoriuscì dalla bocca di fronte alla sua espressione accigliata.
 
Con gli occhi sgranati agguantò con forza i propri avambracci cercando di trovare le parole adatte ma che di fronte al comportamento così insolito di Balin gli sfuggirono. «Proprio tu ne stai ridendo? Nel nome di Durin, dovrei essere io dirgli che è stata un’ottima idea e tu dovresti essere tu quello a ricordargli di quanto sia stata una pessima idea »
 
Balin sorridendo alzò le spalle in un piccolo movimento. «Lo è stata ma ha importanza fratello?» Gli replicò ancora un’altra volta continuando ad osservare dritto di fronte a se, verso il gruppetto di ragazzini che seppure non si potesse sentire, si poteva benissimo vedere, così come la mezz’elfa che in mezzo a loro alzava e abbassava la spada tra le mani.
 
«Quindi approvi il suo strappo alle tradizioni e alle regole? Proprio tu?!»
 
«Le tradizioni non sono mai state scritte e le regole cambiano, se dovessimo seguirle alla lettera neanche dovrebbe amarla. Vuoi essere tu quello a ricordargli questo particolare…proprio tu?» Gli sottolineò questa volta con un tono piu’ severo lanciandogli un’occhiata di sbieco, uno sguardo giudicatore che ormai si vedeva rivolta un giorno sì e anche il successivo, soprattutto da quando Dìs era tornata.
 
Strinse la mascella di fronte a quel colpo ben assestato, e sentì i muscoli delle spalle guizzargli in uno spasmo quando i momenti della sera prima, quelli che non aveva annebbiati, gli provocarono dei leggeri brividi dietro al collo o nelle mani con le quali l’aveva strinta a se danzano in mezzo alla sala ricolma, e poi un particolare di due labbra poggiate al lato della sua bocca.
 
No, no, quello doveva esserselo immaginato, per forza.
 
Balin aveva ragione, se lui stesso avesse dovuto seguire le tradizioni a quest’ora sarebbe dovuto scappare dalla Montagna o non avrebbe dovuto neanche guardare piu’ Dìs  in viso o cercarla in tutte quelle mattinate, ma lui era lui, le conseguenze dei suoi gesti avrebbero intaccato solo lui. Thorin d’altra parte non si era mai lasciato andare così, non con quello che c’era in gioco, non lasciandosi andare ai propri istinti, ai propri sentimenti, troppo calmo, troppo freddo, temprato da troppo.
 
Tutto troppo.
 
Spostò lo sguardo verso il punto che suo fratello continuava imperterrito osservando o meglio ciò che Thorin poco prima stava osservando, riuscendo dentro di se a capire perché avesse accelerato in quel modo il passo.  Non poté biasimarlo affatto, ma per quanto avesse voluto che quel momento tra di lui e la mezz’elfa accadesse ora ne aveva paura, la stessa paura che gli aveva rivelato Dìs: che potesse finire nel peggiore dei modi.
E il peggiore dei modi era un signore dei nani lontano da loro che era all’oscuro di molte cose, un signore dei nani che aveva il potere di interrompere perfino la decisione del re di Erebor, un signore dei nani che lo aveva disgustato dal primo momento che era entrato dalla porta principale e che da quando lo aveva sentito parlare lo terrorizzava a tal punto da temere per la scelta che aveva compiuto Thorin.
 
«Le loro azioni avranno delle conseguenze, le hanno sempre.» Mormorò rigido come la roccia dando sfogo alle sue preoccupazioni.
 
Balin sospirò pesantemente. «Finché le loro azioni non verranno alla luce, possiamo continuare a dargli tempo… anche se non è una scelta saggia.» Ammise infine seppur con riluttanza, ma non aveva il cuore di portare via a Thorin quel momento: la politica c’entrava poco, era rischioso ma la possibilità che l’accordo fosse rotto erano pari al nulla e mancava così poco tempo al matrimonio che qualunque azione irrecuperabile sarebbe passata inosservata. «Come ha detto prima mancano due mesi e saranno marito e moglie, pensavo ne saresti stato felice.»
 
«Lo sono ma non mi sarei mai aspettato una cosa del genere.» Borbottò Dwalin, senza rendersene conto: stupito dalla frase si sentì rabbuiarsi tutto di un colpo, schioccando la lingua. «Non da lui.»
 
Il fratello annuì comprensivo verso il basso continuando a tenere gli occhi puntati verso le scale sotto di loro, riuscendo tra le fiamme delle torce e io gruppi di guardie e artigiani a vedere i capelli neri di Thorin farsi spazio verso le colonne immense che segnavano l’entrata del salone.
 
«Thorin, in fin dei conti, è solo un nano. Per quanto possa essere arrivato in alto resta sempre tale. Ama e odia nella stessa misura di chiunque altro e, anzi, proprio per quello che gli è accaduto durante la sua intera vita, probabilmente lo fa con maggiore intensità di qualunque altro nano e paradossalmente, fratello, il suo comportamento è la prova che la ama più di se stesso.»
 
Dwalin rimase in silenzio ascoltando ogni singola parola di suo fratello, non avendo possibilità di ribattere neanche una volta essendo un discorso che si era fatto anche da solo diverse volte, che aveva intrapreso con lui, nei loro silenzi, nelle loro battaglie nella stessa stanza d’addestramento sotto di loro in quel momento.
 
«In questo momento mi auguro solo di non avere un moccioso con la sua faccia irritante che mi scorrazza tra i piedi prima del tempo.» Ammise piu’ a se stesso che al nano accanto a se che alle parole del fratello non poté fare in meno di sorridere.
 
«Ma ne saresti felice.» Gli appuntò Balin divertito, osservando i tratti persi del suo fratello minore verso il basso.
 
Annuì di rimando sforzando un sorriso quando puntò di nuovo lo sguardo verso la mezz’elfa e alla figura austera di Thorin che si avvicinava sempre di piu’ vicino al colonnato della sala, senza entrarvi, osservandoli solamente e osservandola senza staccarle gli occhi di dosso mentre questa era inginocchiata sistemando un moccioso in una posizione di difesa.
Sospirò avendo a sua volta una piccola visione di un futuro che non era poi così lontano, annuendo con la testa con il cuore che gli si scaldò alla possibilità di fronte ai suoi occhi.
 
«Immensamente fratello.» Mormorò infine e a suo malgrado si ritrovò a sorridere spontaneamente.
 
 
 
 
 
 
 
 
Thorin rimase accanto a una delle colonne osservandola incantato rimanendo nella penombra delle due colonne di marmo non volendo interrompere alcun modo quello che stava succedendo di fronte a lui e non riuscendo a staccarle gli occhi da dosso, dal suo corpo, dal suo sorriso, o dai capelli legati che adoranti dai piccoli aneli aveva adagiati su una spalla. Riuscì però a lanciare un’occhiata veloce verso il resto del gruppo di ragazzini seduti uno accanto all’altro con le schiene attaccate al muro della sala  incredibilmente silenzioso mentre osservavano Ghìda o il figlio di Flòni in mezzo alla sala o mentre spostavano lo sguardo incantati per i fregi dorati o gli scudi e le armi attaccate ai muri. Per quanto avesse voluto dire che fosse sceso fino a lì solo per mantenere la sua parola, la verità era che voleva guardarla; per quanto assurdo da qualunque concezione razionale, voleva guardarla di nuovo da vicino seppur per pochi minuti prima di tornare al lavoro, prima di tornare ai suoi doveri che l’avrebbero allontanato da Ghìda ancora per ore. La cosa che gli pareva piu’ ironica di tutto ciò era che non gli era servito per trovarla seguire gli schiamazzi delle piccole voci acute tra le scale, gli era bastato sentire, anche se flebile sotto di esse, la sua, ma questo sarebbe stato un segreto che avrebbe custodito gelosamente e che avrebbe omesso di dirle semmai glielo avesse chiesto.
Forse quella poteva essere la prima volta da mesi nella quale avrebbe potuto dire che erano davvero silenziosi e attenti, incantati quasi quanto si sentiva lui in quel momento nell’osservala mentre Ghìda sistemava con dei piccoli movimenti dei piedi le gambe del piccolo nano dai capelli biondi, dandogli delle veloci indicazioni che a fatica riusciva a seguire.
 
Si sentiva uno sciocco, tutto ciò gli sembrava ridicolo, un sogno, come quello che pensava quella mattina, un sogno ad occhi aperti nel quale tutt’ora stentava a trovare il suo posto, a trovare realmente un suo posto o a sapere quanto potesse lasciarsi andare; era stato troppi anni così, troppo tempo rintanato dentro se stesso, a rivedersi, a sentirsi spaccato a metà tra ciò che era e ciò che doveva essere, ma ora le due cose sembravano di andar a pari passo. Ghìda era riuscita a farle andare di pari passo. E gliene era grato, immensamente per amarlo accettando questa possibilità, per avergli dimostrato di poterlo amare seppure fosse il nano che era, seppure fosse diviso a metà tanto quanto lei, se non nel sangue nello spirito.
Da quando aveva accettato di sposarla sapeva già che non sarebbe stato un padre perfetto, un amante perfetto, un marito perfetto, non lo sarebbe mai stato, ci poteva provare, ma non era nato per questo, per avere una famiglia sua, e mai aveva pensato di averla, e questa realtà la conoscevano entrambi. Ghìda neanche lo pretendeva, sapeva che sarebbe rimasto sempre lo stesso ma, nel nome di Durin, questo non sarebbe significato che non avrebbe provato a farla sorridere ogni maledetto giorno sotto quella Montagna, e si, avrebbe aspettato di nuovo tutta una vita se avesse dovuto, se questo avesse voluto dire sentirsi in pace come in quel momento.
 
Una maledizione? Un destino predestinato da Mahal? Una benedizione dopo secoli da parte di Durin? Una ricompensa del destino?
 
Neanche gli importava più’ saperlo, e gli andava bene così, il saperlo reale gli bastava, il sapere che avrebbe potuto baciare quelle labbra che sorridevano verso il piccolo nano di fronte a lei per il resto della vita gli bastava  e gli bastava sapere ogni mattina si sarebbe svegliato e l’avrebbe trovata al suo fianco, così bella, così luminosa e piena di vita; ma anche così lontana e schiva che se lui era un lupo come aveva detto lei era in assoluto la luna a cui avrebbe ululato ogni notte.
 
Si lasciò andare lentamente con la spalla verso la pietra fredda della colonna accanto a se lasciando una risata scappargli dalle labbra quando, il piccolo nano di fronte a Ghìda tremò su se stesso non appena quest’ultima gli sistemò gentilmente le mani sull’impugnatura della spada d’addestramento; gli fu chiaro che non si trovasse nella pozione piu’ comoda, ma si ritrovò a sorridere di fronte alla sua espressione accigliata non appena gli intrecciò le dita con le sue per posizionargli una mano infondo all’impugnatura.
 
«Tieni la spada con entrambe le mani, stringi forte e piegala di lato, piu’ su le mani, così Lòni, se no finirai per farti male da solo.»
 
«Ghìda ma così non ci riesco!» Mugugnò Lòni sforzandosi il piu’ che riuscisse a mantenere la spada ferma e rigida di fronte a se con entrambe le mani che a poco a poco gli si cominciarono a torcere così come le braccia.
 
Un sospiro divertito le uscì dalla bocca  difronte all’espressione concertata e alla postura instabile  che il piccolo nano continuava a mantenere seppure gli avesse posizionato le braccia in maniera corretta: con attenzione fece un paio di passi indietro e sfoderò la lama che portava la suo fianco portandosela di fronte agli occhi tenendola con entrambe le mani.
 
Quella spada.
 
Thorin sorrise con il lato della bocca facendosi un paio di passi in avanti muovendosi verso il fascio dorato di luce che segnava la soglia della stanza ottagonale osservandola attento mentre la mosse con tale maestria che sembrò facesse parte del proprio braccio. Non poteva non ammettere che la sensazione che voleva donarle quando la usasse fosse proprio quello, anche il renderla piu’ possibile simile a quella che aveva cercato di creare, per renderla il piu’ sua possibile. Vedergliela però maneggiare fu totalmente un'altra sensazione, che gli stinse il petto in una morsa gentile e abbassare quasi lo sguardo imbarazzato.
 
«Lo so che è difficile ma allarga le gambe e tieni il peso sulla spalla, non sul polso, così dovresti riuscirci.» Lo corresse ancora sorridendogli e allargando di poco le gambe muovendo il proprio piede tra le sue caviglie aiutandolo a posizionarle in maniera tale che i colpi che gli avrebbe inferto non rimbalzassero sulla lama.
 
«In quanto sei riuscita ad imparare a stare così, in questa posizione?»
 
«Dei mesi, anche se la cosa difficile non è mai stata per me posizionarmi in questa maniera, ma ritornarci ogni volta a fine di ogni movimento.»
 
Lòni guardandosi i piedi e poi le mani seguì le indicazioni che gli aveva dato, mettendosi precisamente nella posizione in cui si trovava lei, annuendo poi con la testa dandole il segno che fosse pronoto mentre con lentezza allargò di poco le spalle e assottigliò lo sguardo. Ghìda annuì a sua volta con il capo, facendo cadere i ciuffi della pettinatura prima inclinare di poco la spada e di assestargli il primo colpo sul piatto della spada cominciando a contare a voce alta ogni singolo movimento che compivano entrambi.
Il ragazzino riusciva a tenere testa ai suoi movimenti agili, parandoli con dei movimenti rigidi delle braccia, tentando di muovere i piedi il piu’ che poteva: fu in grado di vedere come Ghìda si stesse trattenendo, puntando sempre allo stesso punto, muovendosi a malapena, alzando e abbassando la lama in maniera ritmica dandogli modo di capire i suoi movimenti attraverso quegli esercizi semplici e basilari.
 
«Wo fratello guada qui! Sono stupende! E guarda questi scudi, sembrano quelli che sono appesi ai muri vicino alle fucine. Non ci credo che siamo nella Sala del Ferro! Solo i principi posso stare qui!» Trèl urlò a voce alta trascinando la propria spada al lato del suo corpo facendo strusciare la punta per terra, continuando a guardare verso l’alto, verso la quantità di armi e armature intorno a lui appese al muro, o verso ai fregi dorati che ne adornavano le pareti. «Ghìda sei sicura che il re ha detto che possiamo stare qui?» Le chiese continuando a guardare verso l’alto in ammirazione, gli occhi verdi che scintillavano mentre muoveva lo sguardo sgranato da muro a muro stringendo sempre di piu’ la piccola ascia tra le sue gambe
 
«Sono sicura, ha usato un altro termine, ma sono sicura che anche se ci vedesse, non verrete puniti e gettati nelle segrete, vi do la mia parola.» Ansimò Ghìda ridacchiando di rimando aumentando il ritmo dei colpi verso Lòni facendo aumentare la sua concentrazione.
 
Thorin sorrise con il lato della bocca di fronte a quella risposta scuotendo la testa rispondendo internamente alla domanda del piccolo nano: indirettamente sì.
 
Infatti non era esattamente quello che aveva detto, ma lo scorrazzare per il palazzo sotto la sua supervisione sarebbe stato piu’ che utile, sia per evitare delle scorribande per i piani piu’ alti mandando in esasperazione le guardie a ogni piano, sia per non farli rimanere e poi come le aveva detto, quei ragazzini, se lo erano meritato, non sapeva come poterli ringraziare di piu’ ma la reazione di del figlio di Tàrim gli fece ben intendere che a loro bastava quello, forse neanche una sua parola sarebbe valsa di piu’ per quando Ghìda ne potesse dire.
 
«Troppo forte!» Aggiunse Trèl eccitato facendosi strada muovendosi sulle punte delle ginocchia tra le gambe distese per terra di Drèl e Fàrim che lo fulminarono con lo sguardo non appena, talmente entusiasta, non si accorse, inciampando tra le loro gambe, di star quasi per calpestarla piccola Mar che seduta in mezzo a loro, non stava prestando attenzione acconciando con cautela i capelli di una bambola di pezza.
 
«Fratello mettiti seduto! Stai attento per la barba di Durin!» Lo rimproverò Drèl dandogli un colpo sul polpaccio con la piccola ascia che teneva tra le mani in mezzo alle gambe, ma il fratello sembrò non ascoltarlo affatto continuando a guardare incantato le pareti ricolme di fregi beccandosi un’ennesima occhiata poco amichevole da entrambi gli amici.
 
«Guarda, guardate quella è un effige di Gròr e quello è Thràin I dopo la guerra dei draghi di ghiaccio!»
 
Lòni sbuffò pesantemente bloccando il colpo che stava per infliggere sulla lama di Ghìda a mezz’aria e batté i piedi per terra voltandosi verso il muro e verso la schiena di Trèl ancora rivolta verso di lui. «Trèl abbassa la voce per la barba di Duri-ehi!»
 
Le parole gli vennero bloccate in bocca quando alle spalle gli arrivò un colpo di piatto che fece un rumore sordo sulla piccola schiena, ne tanto forte da potergli fare male ma abbastanza da fargli capire di come avesse appena compiuto un essere a dir poco grave. Ghìda alzò un sopracciglio divertita e si lasciò scappare una risata di fronte all’espressione dolorante del piccolo nano, e di come si piegò su se stesso  sfregandosi il dietro della spalla con la mano libera.
 
«Guarda sempre davanti a te, o finirai per ricevere dal tuo avversario piu’ di una pacca dietro la schiena, Lòni, figlio di Flòni.» Lo rimproverò sorridendogli comprensiva con il lato della bocca.
 
Di risposta Lòni annuì verso il basso lanciando un'altra occhiataccia verso Trèl che come se non fosse appena successo nulla non staccava gli occhi dai fregi anzi se era possibile si era avvicinato ancora di piu’ al muro osservandoli da vicino, non notandolo neanche o ne notando la piccola figura che spaventata gli sfrecciò dietro abbandonando la bambola sul pavimento. Si voltò di nuovo verso Ghìda, rosso in volto e mugugnò appena stringendosi il retro della camicia all’altezza di dove era stato colpito e abbassando la spada di poco facendola toccare per terra con la punta imbarazzato.
 
«Lo so mia signora, mi dispiace, stavo solo -»
 
«Il mio turno sarebbe già arrivato se non ti muovessi come un goblin senza una gamba!» Gli urlò dall’altro capo della stanza Fàrim già pronto in piedi e già con la spada d’addestramento rinfoderata nell’elsa portandosi entrambe le mani a coppa per potersi far sentire non solo dall’amico ma probabilmente dall’intera Erebor.
 
Sbuffando Lòni scostò lo sguardo dal suo diventando ancora piu’ rosso rispetto a prima e lo puntò verso l’amico alzando la punta della spada da terra e puntandola giudicatore verso l’amico. «E tu che ne sai di come si muovono i goblin riccioli rossi? Soprattutto dei goblin senza una gamba!?»
 
«Scuramente meglio di te!» Ribatté il nano dai capelli rossi sprezzante incrociando severamente le braccia al petto.
 
«Mi muoverò anche male ma almeno non ho quella brutta faccia che ti ritrovi tu!» Sputò di risposta facendo un passo avanti contro l’amico digrignando i denti in maniera quasi animalesca, mentre la singola treccia al lato della testa gli ricadde in avanti tagliandogli il viso in due.
 
I due nani si fissarono intensamente per dei lunghi istanti, entrambi cominciavano a piegarsi pericolosamente in avanti, le mani di Fàrim che si sciolsero dal suo petto andando con cautela a sfiorare il fodero della spada legato al suo fianco, nel frattempo che Lòni strinse con ancora piu’ fermezza il manico squadrato della propria.
Li osservò attentamente, attenta a ogni singolo movimento che entrambi stavano compiendo, chiudendo la mano in una morsa nervosa intorno alla propria spada ancora rigida sul suo fianco: era da giorni che si punzecchiavano in quel modo, era successo la notte prima ed era successo anche adesso, era sicura che non si sarebbero fatti del male, non con le loro spade ma ciò non la tranquillizzò soprattutto quando Fàrim cominciò a muoversi felpato verso il centro della sala.
 
«Fàrim…» Lo richiamò spaventata Nìm alzandosi da dove era seduta per terra abbandonando la piccola spada a terra e alzandosi il bordo del vestito tremante pronta a correre. Lo sguardo le divenne sempre piu’ preoccupato ogni passo che il fratello compiva verso Lòni, così come la stretta intorno ai lembi del vestito sempre piu’ salda che aumentava a ogni attimo di silenzio tra i due. «Fàrim pianta finiscila! O lo dico ad a-dad! Lòni basta!» Ripeté un’altra volta urlando battendo un piede per terra e  furiosa cominciò a camminare vero il centro della sala nel frattempo che invece il fratello imperterrito continuava ad avanzare verso l’amico con il viso simile a una lastra di pietra.
 
Durò pochissimo ma appena Fàrim fu abbastanza vicino a Lòni le guance di questo divennero via via sempre piu’ gonfie così come il suo petto, e dopo un lungo momento in cui gli cominciarono a tremare le labbra, queste finirono per esplodere del tutto in una grassa risata facendo scoppiare a ridere anche Lòni tutto di un colpo facendo ben intendere a tutti che quello che era appena successo non era nient’altro che una recita ben orchestrata.
 
«Vieni qui brutta zucca vuota!» Urlò Fàrim ridendo e prendendo il nano biondo per il collo portandoselo sotto il braccio e, sghignazzando lo sottomise scompigliandogli tutti i capelli con una mano ridendo e facendo ridere a crepapelle Lòni incastrato nella sua presa.
 
Nìm invece era livida dalla rabbia , ormai era così vicina a entrambi, che era pronta apprenderli entrambi a pugni se avesse potuto, ma lo scherzo era finito troppo presto perfino per lasciarle quella possibilità. «Siete degli stupidi! Tutti e due! Non fate mai piu’ una cosa del genere!»
 
Ghìda sospirò di sollievo e chiuse gli occhi lasciando il filo di tensione scivolarle addosso così come allentò la stretta intorno all’elsa sotto il peso delle risate e gli urli alterati di Nìm rossa in viso che lontana da loro sbatteva i piedi per terra facendo invece sghignazzare Drèl e Trèl che in meno di un attimo si gettarono nella mischia unendosi al baccano e prendendo in giro i due nani.   
 
«G-Ghìda.» Un piccolo strattone al lato della camicia vicino alla coscia richiamò la sua attenzione compresa una piccola voce spezzata che le fece abbassare immediatamente lo sguardo: Mar al suo fianco con gli occhi azzurri sgranati e le sopracciglia attagliate sulla fronte con aria angosciata nel frattempo che le tirava sempre di piu’ la camicia logora.
 
Preoccupata si abbassò verso di lei lasciando cadere la spada di lato a se, posandola al suo fianco, inginocchiandosi con cautela sul marmo verde senza essere abbandonata neanche per un secondo dagli occhi preoccupati di Mar così come dalle sue piccole mani che si attorcigliarono ancora di piu’ nel tessuto rossastro tirandola giù.
 
«Cosa è accaduto Mar?» Inclinò appena la testa in avanti posando la mano sulla stretta rigida sulla camicia, cercando di calmarla, ma sentì le sue dita stringersi solo con piu’ fermezza tanto quasi da abbassargliela oltre la spalla raggomitolandosi sul suo fianco e allarmandola.
 
«C-credo che abbiamo fatto troppo rumore.» Mormorò insicura con le labbra che le tremarono prima di spostare lo sguardo da lei verso un punto indefinito oltre l’entrata della sala indietreggiando di poco dieto le sue gambe come per nascondersi da qualcuno.
 
Confusa da quel comportamento alzò gli occhi verso dove la piccola nana stava continuando a fissare e tra le ombre delle colonne verdi: fece vagare attentamente lo sguardo tra i fasci di luci in mezzo a uno di questi e, accostata a una colonna, una figura austera catturò la sua attenzione facendole saltare un battito dalla sorpresa e in meno di un attimo comprese la reazione della piccola nana che attimo dopo attimo la stringeva ancora di piu’ nascondendosi.
 
Era venuto alla fine quindi.
 
Thorin se ne stava con una spalla poggiato a un lato della colonna intagliata, le braccia dietro la schiena, fissando in un silenzio autoritario dentro la sala: le lanciò un'occhiata, le iridi azzurre brillarono così intensamente da farle salire un calore inaudito dal basso ventre al petto e farle salire un moto d’orgoglio che mai pensava di poter sentire, che neanche quella mattina aveva sentito.
 
Ricambiò il suo sguardo per dei lunghi istanti non avendo idea di cosa fare, cosa dire: la parte piu’ istintiva di se le urlava di  corrergli tra le braccia, e se entrambi fossero stati diversi fossero stato altro rispetto a ciò che il loro ruolo gli imponeva, con molta probabilità lo avrebbe fatto, ma la sua parte piu’ retta invece le ricordò prepotentemente di non poterlo fare, che determinate cose dovessero rimanere nascoste; si sarebbero comportati come se nulla fosse accaduto, anche se sapeva già che le sarebbe difficile, se non impossibile, soprattutto se la guardava in quella maniera.
 
Fu Thorin a rispondere ai suoi quesiti confermando la sua risposta scuotendo di poco la testa sorridendole flebilmente con il lato della bocca; di tutta risposta abbassò di poco il capo in riverenza abbassando di poco lo sguardo verso terra prima di guardare di nuovo la piccola nana che continuava a guardare Thorin con gli occhi sgranati.
 
«No, non credo sia per quello.» Le mormorò vicino all’orecchio passandole delicatamente un braccio dietro il busto  incitandola di poco a farsi piu’ vicino o a smettersi di nascondersi dietro la sua schiena, ma questa la strinse ancora di piu’ nascondendosi ancora di piu’ dietro il suo fianco.
 
«S-sei sicura? Magari abbiamo fatto qualcosa di sbagliato.» Le chiese ancora puntando di nuovo lo sguardo insicuro in alto verso di lei.
 
Le scappò una risata di fronte a tanto smarrimento e di fronte al fatto che imperterrita la piccola nana la stringesse ancora nascondendosi sempre di più dietro di lei; scosse la testa accarezzandole leggermente il retro della schiena con la mano. «No non avete fatto niente di sbagliato ti do la mia parola.» Tentò ancora di tranquillizzarla ma Mar continuò a fissarla arricciando ancora di piu’ le sopracciglia scure, ancora di piu’ quando la vide sorridere verso quella figura che seppure non dovesse continuava a incuterle paura.
 
Si era un orso, soprattutto con quella pelliccia nera, si assolutamente.
 
Nel frattempo nessuno dei presenti oltre la piu’ piccola si era reso conto di chi si trovasse all’entrata della sala, troppo presi a continuare il piccolo battibecco iniziato troppo prima, e a punzecchiarsi l’un’latro con una serie di battute e buffetti schierandosi a cerchio  e in parti opposte in maniera tale che potessero guardarsi tutti in faccia tra le battute.
Avevano appena finito di sghignazzare a una quando Drèl si poggiò leggermente con il braccio alla spalla di Trèl  arricciando il naso tutto di un colpo con un’espressione disgustata prima di avvicinarsi un'altra volta e annusarlo all’altezza del collo ripetendo di nuovo quell’espressione assottigliando le labbra.
 
«Lòni può anche muoversi come un goblin ma certamente tu puzzi come uno di loro, ti sei fatto un bagno sta mattina fratello? A-mad lo aveva preparato per entrambi.» Ripeté esponendo di poco la lingua con un’espressione disgustata allentandosi immediatamente
 
«Ne vuoi un altro po'?» Trèl ridacchiò alzando poi il braccio del lato dalla quale il fratello si era allontanato alzando l’ascella mostrando l’alone di sudore della camicia verde.
 
«Che schifo!» Mugugnò infastidito avvicinandosi al lato opposto rispetto al fratello verso Fàrim che sghignazzò tra i denti.
 
«Pensate che i guerrieri in viaggio si facciano il bagno?»
 
Drèl annuì accostandosi sempre di piu’ al nano dai capelli rossi per allontanarsi dal fetore di suo fratello continuando a guardarlo ancora piu’ disgustato quando gli si avvicinò ancora. «Ovviamente si fanno il bagno, con tutto quel sangue e quella terra, useranno gli stagni o i fiumi e Trèl non è un guerriero potrebbe anche lavarsi.»
 
«Non ho bisogno di lavarmi se mi devo allenare e poi sporcare di nuovo ed è ovvio che non se lo fanno Fàrim, non perdono il loro tempo così! Il bagno è una cosa inutile»
 
Convinto dalla risposta Lòni indico con un dito l’amico annuendo con la testa. «Io sono d’accordo con Trèl. Credete che Thorin Scudodiquercia  quando sia arrivato alla Montagna profumasse di rose?» Chiese alzando un sopracciglio no riuscendo a trattenere una risata e non rendendosi neanche conto di come i tre nani di fronte a lui non stessero piu’ prestando attenzione a lui o al discorso, di come ora stessero prestando solo attenzione a una figura rigida che avanzava verso di loro, o di come si fossero allontanati l’uno dall’altro di poco e diventando bianchi come dei lenzuoli.
 
«Nossignore, i veri guerrieri non profumano di rose devono puzzare come i piedi di un troll e come un na-Ah!» Fàrim di fronte a lui gli assestò un calciò leggero sullo stinco senza mai staccare gli occhi da sopra di sé facendolo gemere di dolore e chinare lievemente in avanti andando a sfiorarsi il punto colpito.
 
«Lòni fai silenzio!» Sibilò lanciandogli solo un’occhiata veloce prima di portare entrambe le braccia dietro la schiena a sorreggersi continuando a guardare in alto
 
«Stai tu zitto Fàrim ma che ti è…»
 
«Lòni, figlio di Flòni dico bene?» Proruppe alle sue spalle una voce fin troppo conosciuta al piccolo nano risuonando dura nella sala facendolo raggelare su se stesso.
 
Socchiudendo gli occhi totalmente nel panico bloccò la frase a metà girandosi dietro di se e irrigidendosi tutto di un colpo quando ebbe la conferma di chi avesse parlato, sbiancando immediatamente, prima di diventare rosso quasi come i capelli di Fàrim che seppur rigido dietro di lui sopprimeva le risate assottigliando le labbra. Thorin lo guardò squadrandolo dall’alto al basso mentre Lòni non riusciva a fare altro che non balbettare suoni maledicendosi nella sua testa per riuscirsi a ficcar sempre in quelle situazioni: in quel momento desiderava solo essere inghiottito dal pavimento sotto di se e scomparire.
 
«R-re…S-sì, io -io -io… non..» Cominciò a mormorare cercando con tutte le forze di non agitarsi ma ormai era inutile.
 
Drel notò gli occhi sbarrati di Lòni e il suo rimanere immobile e incapace di fare altro che non fosse fissare il re: gli si affiancò velocemente allungando la mano verso al nuca bionda e abbassandogliela facendolo chinare, strappando un sorriso sommesso a Thorin che rispose con un breve cenno della tesa prima di guardare verso gli altri tre nani accanto al nano biondo che nel frattempo erano rimasti zitti e in silenzio aspettando che aggiungesse un'altra parola, o che sbottasse in faccia all’amico… o entrambe le cose anche.
 
Ghìda sentì Mar stringerla ancora di piu’, accoccolandosi al suo fianco e nello stesso istante sentì un'altra piccola mano allacciarsi dietro la sua gamba, stringendola debolmente e una serie di boccoli rossi poggiarsi al lato della sua spalla: Nìm a sua volta aveva seguito l’esempio di Mar facendosi vicina a lei, osservando con gli occhi sbarrati il re arrossendo a poco a poco. Aveva il volto voltato verso Lòni, lo osservava in silenzio, stringendosi sempre di più’ a lei, preoccupata, nel frattempo che il nano biondo diventava sempre piu’ rigido. Tutti e quattro i nani infatti stavano sudando freddo a tutti stringendosi sempre di piu’ le spalle nervosamente, compreso Fàrim che riusciva a malapena a mentene il contatto visivo, seppure fosse quello che difronte ai suoi occhi sembrava quasi sempre il meno nervoso.
 
Cautamente Thorin si fece infatti piu’ vicino a quest’ultimo inclinando di poco la testa verso il basso per poterlo guardare al meglio che poté negli occhi. «Tu invece sei il primogenito di Tàrim non è così?»
 
Lòni lanciò un’occhiata verso l’amico al  suo fianco che allargando i poco il petto, facendosi coraggio, prese un piccolo respiro incerto prima di annuire velocemente con la testa. «S-si mio re.»
 
Thorin annuì con la testa con un movimento secco e poi spostò lo sguardo verso i due fratelli che si fecero leggermente piu’ vicini tenendo il mento in alto e mettendosi addirittura in punta di piedi mantenendo le mani ben ferme sulle armi legate ai loro fianchi. « E voi siete i figli di Orel…» Commentò osservano prima uno e poi l’altro che non risposero a parole, annuirono solamente sempre piu’ in angoscia, tanto che Trèl cercò la mano del fratello inutilmente perché questo lo scacciò con una manata veloce continuando a guardare verso il re.
 
Ghìda strinse piu’ vicino Mar a se sedendosi meglio per terra, incapace di spostare gli occhi dal profilo autoritario di Thorin o dagli occhi quasi terrorizzati di tutti e quattro i nani: e lei che gli aveva detto che non ne erano spaventati, e non lo erano affatto di questo era certa, intimoriti forse ma mai spaventati. Thorin si tirò di poco su con la schiena studiandoli come se stesse guardando dei nani adulti, cominciando con cautela a girare intorno al gruppo che invece rimase fermo seguendolo solo con lo sguardo non voltando neanche la testa, cosa che la fece sorridere con il lato della bocca: le fecero quasi tenerezza, poiché da un lato poteva comprenderli perfettamente. Si era trovata nelle loro posizioni piu’ e piu’ volte, essere scrutata da quegli occhi in quel modo era difficile per lei, pensare che dovessero farlo loro in quel momento ma sapeva che non avevano nulla da temere.
 
«Spada o ascia?» Gli chiese tutti e quattro inaspettatamente scuotendoli e facendoli rizzare ancora di piu’ tutti e quattro in una botta sola sorridendo ironico con il lato della bocca di fronte alla reazione.
 
Drèl guardò il fratello dandogli una piccola botta con la punta del piede cercando un suggerimento alla risposta, convinti che ci fosse una risposta giusta o una sbagliata, ma Trèl alzò le spalle non capendo e lanciando uno sguardo veloce verso i fianchi di tutti e quattro voltando la testa.
 
Prendendo coraggio Fàrim voltò di poco la testa osservando il re incrociare le braccia l’una sull’altra continuando il suo giro studiandoli. «C-cosa… Cosa intendete?»
 
«L’arma che preferite, ascia o spada.» Chiese ancora fermandosi di nuovo di fronte a loro.
 
«S-spada.» Mormorò di risposta Fàrim lanciando uno sguardo incerto verso il resto degli amici che non ci misero molto a rispondere a turno, portandosi le mani verso le piccole cinture.
 
«Ascia.»
 
«Spada.»
 
«Spada.»
 
«Le guardie reali usano delle picche per le ronde, voi sareste in grado di imparare a usarle?» Gli chiese seriamente guardandoli tutti e quattro attraverso le sopracciglia scure. «Mi sono giunte notizie che avete questo desiderio.»
 
Ghìda si morse il labbro dovendo sopprimere un sorriso quando lo sguardo serio di Thorin si spostò dai quattro piccoli nani verso di lei lanciandole uno sguardo complice di sottecchi: essere venuto a parlare con loro le bastava, ma non poté negare a se stessa che quel gesto avrebbe fatto tanto per loro. Lanciò uno sguardo verso i quattro bambini che rimasero ancora imbambolati  non sapendo cosa dire e lanciando solo delle occhiate confuse al re e verso di lei aprendo e chiudendo la bocca piu’ volte confusi. Alle prime non capirono diventando solo piu’ nervosi: Drèl si strinse a suo fratello non sapendo cosa rispondere così come Fàrim guardò Lòni il quale invece stava osservando lei in cerca di una risposta.
La stava guardando con gli occhi sbarrati la bocca aperta, capendo probabilmente a cosa Thorin si riferisse e si ritrovò costretta a confermare abbassando la testa: la bocca semiaperta si trasmutò in un sorriso che le mostrò tutti i denti, compreso quello mancante al lato della bocca in preda all’entusiasmo che in altre circostanze, era molto sicura, avrebbe riversato sulla piccola Nìm attaccata a se.
 
Lo vide trattenere un piccolo saltello dondolandosi solo impercettibilmente sui talloni, cercando di rimanere composto, o cercando per lo meno di calmare l’entusiasmo.« C-credo di sì beh cioè non ci abbiamo mai provato. Prima credo che dobbiamo cominciare a sapere usare  queste, suppongo, credo… mio re.»
 
Thorin abbassò lo sguardo verso il basso piacevolmente sorpreso della risposta alzando impercettibilmente un angolo della bocca. «E avete imparato a maneggiarle meglio quest’oggi di quanto eravate in grado di fare ieri?»
 
«S-si Ghìda…» Cominciò di nuovo Lòni ma scosse la testa correggendo le sue parole allargando ancora di piu’ il petto autorevolmente e rendendo la voce ancora piu’ profonda. «V-volevo dire, la nostra signora ci stava facendo vedere come parare senza uno scudo.»
 
Notò gli occhi azzurri di Thorin schizzare ancora verso di lei rimanendo però con la testa ferma voltata sempre verso il piccolo gruppo. «E cosa ne avete imparato?» Gli chiese ancora abbassando di poco la testa.
 
Il nano biondo stette per rispondere ma Drèl accanto a lui buttò giù un groppo che gli si ea formato in gola e lo anticipò posando nervosamente la mano sul bordo dell’ascia al suo fianco. «C-che anche se non abbiamo uno scudo possiamo usare la lama per ribaltare le posizioni per contrattaccare, non ce n’è bisogno… di uno scudo…p-possiamo anche non averlo. » Continuò intimorito lanciando un’occhiata di supporto dal fratello che annuì di rimando sorridendogli con il lato della bocca dandogli il supporto per continuare.
 
«Si è così, che quando, che dobbiamo metterci in questa posizione…» Cominciò Trèl dandogli supporto: indietreggiò di un paio di passi spostando lo sguardo da Thorin verso il pavimento tirando fuori con cautela la piccola spada e mostrando a Thorin la posizione iniziale, con la spada tra i palmi e le ginocchia piegate, continuando a cercare il supporto dei tre amici che spostarono lo sguardo verso di lui annuendo. «E poi…»
 
«Le gambe.» Gli sussurrò all’orecchio il fratello lanciando un’occhiataccia verso i piedi troppo vicino l’uno all’altro.
 
«Ma io piu’ larghe di così non so tenerle.» Gli sussurrò di rimando Lòni cercando di trovare di nuovo l’equilibrio che era riuscito a mantenere prima, inclinando il braccio o abbassando di poco le ginocchia, ma in ogni caso il piccolo polso gli si cominciò di nuovo a contorcere su se stesso  «G-ghì…mia signora, com’era quella cosa ci avete fatto vedere prima, quella cosa con le gambe e il gomito…» Le chiese incerto spostando lo sguardo dalla lama verso di lei, terribilmente imbarazzato, soprattutto quando si rese conto che il re non aveva mosso un muscolo continuando ad osservarlo dall’alto verso il basso. «…n-non ci riesco piu’.» Mormorò con il labbro che gli tremò debolmente.
 
Le scappò un piccolo sospiro osservandolo. «Dovresti ricordartelo a questo punto dopo tutta questa mattinata a provarlo.» Cercò di ribattere autorevole, ma gli occhi sempre piu’ grandi del nano la cominciarono a guardare ancora piu’ supplicanti, così come quelli dei restanti che gli si affacciarono oltre la spalla o dietro la schiena dell’amico supplicandola silenziosamente.
 
Non ebbe il cuore di dire a nessuno di loro di no e lasciò un sospiro arreso uscirle dalla bocca, e già da quello dei piccoli sorrisi si formarono sui visi preoccupati, essendo tutti riusciti nel loro obbiettivo: piccole canaglie. 
 
Si sforzò di trattenere un sorriso ma l’ironia della situazione ebbe le meglio e così lasciò lentamente andare la mano di Mar e a Nìm tirandosi su da terra facendosi forza sulle ginocchia. «Molto bene ma avrò bisogno che uno di voi piccoli soldati mi dia una mano.» Mormorò infine arrendendosi  sotto quegli sguardi che prima o poi l’avrebbero sicuramente fatta finire nei guai.
 
Con cautela abbassò la mano prendendo di nuovo in mano dal marmo verde la spada le quali venature intagliate scintillarono non appena cominciò ad alzarsi sentendo dietro di se le due piccole nane indietreggiare.
 
«Se è un soldato un po' piu’ grande ad aiutarvi vi creerebbe imbarazzo mia signora?» Una voce profonda interruppe il piccolo Trèl che già era pronto ad avvicinarsi  facendo sgranare gli occhi a tutto il gruppo di nani, e non solo a loro: Ghìda per poco non sobbalzò trattando la lama tra le mani ancora con piu’ fermezza.
 
Alzò lo sguardo verso quello di Thorin, interdetta da una simile proposta, tanto da lasciarla senza parole alcuna, studiando i suoi occhi blu che la fissavano cercando un appiglio di ironia ma niente oltre un’estrema risolutezza . Si morse il labbro imbarazzata e sbatte un paio di volte chi occhi prima di lasciarle un sorriso incresparle le labbra mentre sentiva le goti diventarle rosse a poco a poco.
 
«Credevo aveste dei compiti da svolgere mio signore» Affermò mordendosi il labbro inferiore debolmente spostando lo sguardo di nuovo verso gli occhi azzurri che guizzarono lievemente di fronte a quella chiara provocazione, che non era stata capace di trattenere.
 
Thorin abbozzò un sorriso divertito sciogliendo le braccia dal petto e  dandosi uno scossone con le spalle facendo cadere il mantello oltre le sue braccia facendo toccare quasi del tutto terra al pesante tessuto nero;  prima che potesse toccare del tutto terra si passò una mano dietro la parte bassa della schiena afferrandolo con una mano e, senza smettere di guardarla lo a terra lo posò accanto per terra al suo fianco .
 
«Credo di essermi liberato per qualche minuto mia signora.» Ribatté di rimando muovendosi di un paio di passi piu’ in mezzo alla sala sguainando Orcrist dalla al lato della sua cintura strappandole un sorriso complice, rendendole sempre piu’ chiare le sue intenzioni e il suo desiderio di vederla combattere insieme a lui.
 
Non era riuscito a non lasciarsi andare, anche se di lasciarsi andare non poteva proprio parlare: sarebbe stato così ormai lo sapevano entrambi, una recita che avrebbero dovuto portare avanti per due mesi, in cui quel parlare per enigmi li avrebbe coperti e messi in ombra rispetto a ciò che potevano mostrare alla Montagna, ai sette clan: Durin solo sapeva quanto volesse che quei mesi passassero nel minor tempo possibile.
Ghìda si mosse a sua volta al centro della sala, seguendo attenta i passi felpati di Thorin nel frattempo che teneva Orcrist dritta sul suo fianco tendo il braccio teso facendone quasi strusciare la punta per terra. Le venne in mente quando quella scena fosse già accaduta mesi addietro, a come si era sentita e a come invece si sentiva in quel momento: un’evoluzione di quello che in cuor suo sapeva già di provare dentro l’armeria dorata. La decisone con quale l’aveva guardata, lo stesso fuoco con la quale la stava guardando adesso che così come allora non la fece tentennare, ma le diede una sicurezza che mai sarebbe mai riuscita a provare in altro modo.
 
Con un gesto netto roteò la lama sul suo polso portandola nella posizione giusta con l’affilatura della lama verso il basso. «Mi permettete mio signore?»
 
Thorin non rispose, sorrise solo con il lato della bocca e strinse l’elsa di Orcrist con ancora piu’ irruenza alzandola di poco da terra e abbassando di poco il capo decretando una silenziosa approvazione a iniziare; Ghìda strinse il manico della spada e in un attimo si ritrovò viso a viso con Thorin roteando su se stessa per colpirlo al petto. Venne repentinamente bloccata dalla lama rigida di Thorin e non riuscì a non trattenere un gemito sommesso tra i denti non appena le due lame cozzarono l’una sull’altra: le sembrò di aver scontrato il braccio su un muro di marmo, talmente duro da farle tremare il polso.
Vide le sopracciglia scure di Thorin inclinarsi l’una sull’altra ma non gli diede modo di potersi preoccupare oltre: non voleva che lui si preoccupasse per lei, non in quella situazione. Si girò di nuovo cercando di colpirlo dall’altra parte ma nuovamente Thorin la bloccò allungando la lama alta oltre la sua spalla con entrambe le mani, ma questa volta poté sentire la differenza dal suono che fecero le due lame quando si scontrarono: aveva diminuito la forza che stava impiegando nel braccio.
Alzò lo sguardo un’altra volta oltre la lama e Thorin la stava guardando autorevole oltre le sopracciglia trafiggendola con lo sguardo: un unico messaggio che passò severamente e che parve urlarle quando con irruenza cercò di aumentare la pressione per far aumentare la forza nel  suo,  ma di tutta risposta il re lasciò il braccio andare indietro rendendole la possibilità di colpirlo troppo facile. Se fosse stato un combattimento vero lo avrebbe potuto uccidere solo ondeggiando di piu’ la lama e lasciandola scivolare oltre il suo viso.
 
«Se continui a spingere finirai per lussarti il polso.» Mormorò severo lacerandola con lo sguardo.
 
«Allora non trattenerti, non con me…ti prego.» Sussurrò supplicandolo con lo sguardo osservandolo dritto negli occhi.
 
I tratti duri di Thorin si assottigliarono di poco seppure la forza opposta alla sua di lama non aumentò lasciando la propria spada avvinarsi ancora di piu’ verso il suo collo, quel tanto da far cadere i ciuffi neri sul suo viso dritti in mezzo all’incrocio delle due lame.
 
 
«Ti prego non dubitare di me, ti prego.» Gli ripeté ancora e fu solo in quel momento che vide il fiato appannare la lama sotto la sua gorgia con un sospiro: non voleva farlo, questo lo sapeva, ma quelle sue preoccupazioni dovevano finire, se poteva essere una sua pari, lo voleva essere in tutto e per tutto.
 
D’un tratto sentì finalmente il braccio di Thorin fare forza facendo scintillare lievemente le lame di entrambe le spade e con uno scossone violento della spada la respinse via come se fosse aria indietreggiando di nuovo di alcuni passi prendendo di nuovo il controllo della situazione: ora stavano combattendo ad armi pari, ora era il vero inizio.
 
In meno di un minuto l'aria divenne satura del cozzare di lame potenti e resistenti, scintille sprizzavano quando si baciavano; lo stile di combattimento totalmente uno diverso dall’altro: Thorin era brutale, netto rigido, Ghìda invece lasciata libera di muoversi senza un peso ingombrate di una arma non sua era veloce e leggiadra. Quando Thorin alzava la lama ripiombava giurì con una tale forza da tagliare l’aria intorno a lui con un suono netto, nel frattempo che Ghìda non provava neanche a pararli, preferendoli schivare di lato. Più di una volta si misero in difficoltà, ma trovarono sempre il modo di venirne fuori e rispondere agli attacchi dell'avversario: con maestria, senza risparmiare le forze, schivando, parando, affondando e attaccando, mettendo in pratica ogni tecnica che conoscevano, ogni trucco imparato.
 
Con forza Thorin si portò verso il basso putando alla gamba ma con suo stupore Ghìda fu in grado di bloccargli il colpo allungando la lama verso la propria coscia chinandosi: la osservò dal basso verso l’alto mentre ansimante tentava di ribaltare a suo vantaggio la situazione, alzando la spada snella ma resistente tenuta ferma con tale forza che si sentì costretto ad aumentare anche la propria.
«E’ un ottima lama.» Mormorò ansimante facendo ancora piu’ forza.
 
«Me l’ha forgiata un buon fabbro.» Rispose ansimante di rimando facendo strusciare la sua spada via dalla sua.
 
Gli scappò un piccolo ghigno guardandola ansimare mentre pronunciava quelle parole indietreggiando di poco. «Deve averci lavorato a lungo.» Rispose cercando di colpirla un’ altra volta verso il petto ma prima che riuscisse a sfiorarla  si abbassò chinandosi per evitare il colpo.
 
«Non sapete neanche quanto mio re.» Gli rispose gemendo per la fatica che il movimento le aveva provocato, ma prima che se ne potesse accorgere o anche rendere conto la vide scivolare sula pavimento portandosi alle sue spalle; in quello che fu un attimo sentì il seno premuto contro la sua schiena e le labbra vicine al suo orecchio mentre la lama gli arrivò alla gola di piatto costringendolo ad alzare il mento verso l’alto.
 
«Non avete neanche idea.» Gli sussurrò spezzata dal fiatone vicino all’orecchio con una voce talmente suadente che dovette deglutire per rimanere lucido, ma quella punta di superbia nel suo tono, gli toccò un nervo scoperto intaccandone l’orgoglio, facendo nascere un desiderio di possessione, di dominazione verso di lei che non riuscì a controllare.
 
«Oh ne ho una vaga idea, zabd-ê.» Mormorò togliendo una mano dall’impugnatura di Orcrist e allungandola dietro di se afferrandole il fianco con irruenza.
 
Con forza le strinse possessivamente la vita e puntò un piede dietro di se: aumentò la stretta facendole perdere l’equilibrio e facendo perno si girò tra le braccia delicate che lo circondavano, liberandosi dalla presa e ribaltando la situazione guardandola dritta in volto. Ansimante, le portò Orcrist all’altezza del fianco trattenendola con la mano libera a mezz’aria all’indietro in maniera tale che non potesse tirarsi in vanti o indietro e allo stesso tempo non potesse caderle dalle braccia.
 
«Lasci ancora il fianco sinistro scoperto.» Mormorò avvicinandosi sempre di piu’ al suo viso tanto che lei tentava di tirarsi ancora di piu’ su con dei colpi dei reni cercando di liberarsi non accettando la sconfitta: ecco la sua guerriera.
 
La mano di Ghìda si ritrovò bloccata dietro la nuca di Thorin, ma era fin troppo tirata indietro per poterla muovere, e il suo equilibrio era fin troppo instabile per potersi muovere liberamente dalle sue braccia: era in trappola; guardò Thorin dritto in volto con gli occhi sgranati colpita da quella mossa che mai si sarebbe aspettata e che mai avrebbe preso in considerazione. Il petto le  sfiorava il suo alzandosi e abbassandosi per il fiatone e per l’adrenalina che si abbassava a poco a poco. Nessuno dei due osò muoversi, anche se ormai il duello era finito facendo rimanere  le lame al loro posto.
 
Si sentì avvampare dall’interno non riuscendo a staccare gli occhi dai suoi,  cercando di sopprimere quella voglia immensa di alzare solo di poco il viso verso l’alto, già talmente vicino che non posare le labbra sulle sue fu una prova terribile per il suo autocontrollo. Non riuscendo ad alzarsi di piu’ si lasciò andare ancora di piu’ alla presa sul fianco di Thorin che sentì ben presto trasformati in un piccolo rialzo dietro la schiena; non potendo fare altro che non fosse guardarlo andò a sfogare quello che non poteva dirgli a parole con un gesto che apparteneva solo a lui, che avrebbe donato solo a lui: alzò la mano libera a mezz’aria verso l’alto poggiandola delicatamente in mezzo al petto oltrepassando la cotta di pelle poggiandosi a sfiorargli la camicia in un silenzio giuramento che entrambi sapevano cosa volesse dire.
 
«Lo so.» Lo sentì sussurrare di rimando nel frattempo che il pollice dietro la sua schiena le disegnò un piccolo cerchio accarezzandola.
 
Due mesi e mezzo, solo due mesi e mezzo.
 
Nel frattempo sei piccoli nani li stavano osservando con gli occhi sgranati, increduli rispetto ciò che avevano appena visto, uno accanto all’altra con gli occhi scintillanti e le bocche aperte, non essendo capaci di poter staccare gli occhi dai due combattenti, neanche in quel momento che stavano fermi uno tra le braccia dell’altro: non avevano mai visto niente del genere; nemmeno Nìm nelle lezioni mattutine, che rimase senza fiato così come la piccola Mar vicino a se che le teneva la mano, mentre l’altra era ben artigliata alla camicia di Lòni accanto a se. Non aveva mai visto Ghìda in così tante volte che le aveva insegnato a maneggiare  non aveva mai visto come fosse in grado di muoversi, e come si fosse mossa in quella maniera contro il re.
 
«Non diventeremo mai delle guardie reali non è vero?» Riuscì a dire infine Lòni dando fiato a un pensiero comune dei piccoli nani facendo voltare il viso di Ghìda rubandole un sorriso.
 
 
 
 
 
 
 
 
«Oh non essere sciocco Dwalin, queste insinuazioni sono assurde e tieni qui visto che stai con le mani in mano e stai attento a non farli cadere!»
 
Lo rimproverò lanciandogli un’occhiata rapida Dìs dall’alto della scala di legno scorrevole agganciata al bordo superiore della libreria di legno, allungandogli un tomo vecchio e logoro con una mano incitandolo con un movimento del polso ad afferrarlo.
 
Lasciando fuoriuscire un sospiro esausto slegò le braccia dal petto e si allungò con un braccio afferrandolo e lasciando la nana tornare al suo lavoro minuzioso; Dìs si voltò un'altra volta verso la libreria passando in rassegna il ripiano sopra di lei e, tenendo tre tomi attaccati sul petto formoso, con una mano ne cominciò a sfilare un quarto impuntandosi con un piede oltre il limite della scala allungandosi con tutto il corpo per raggiungere il suo obiettivo come meglio poteva.
 
«Non sono mie supposizioni io so che è accaduto e accadrà di nuovo, sicuro come la luce del giorno.» Ribatté un’ennesima volta poggiando sul tavolo dietro di se su cui era poggiato, il registro che gli aveva appena passato congiungendo poi di nuovo le braccia al petto ancora sporche di polvere e pece dal lavoro spossante che lo aveva messo a dura prova quel pomeriggio nelle fucine.
 
Dopo che Thorin era tornato avevano cominciato lavorare come delle bestie da soma, era abbastanza sicuro di non aver mosso così tante pietre e massi come quel giorno; aveva dovuto sopportare la voce di Bofur che urlava da una parte all’altra delle indicazioni scritte sui progetti logori, camminandogli accanto con quella matassa di fogli urlandogli nell’orecchio ogni cosa che dovesse fare. Aveva dovuto piu’ volte desistere dal dargli un pugno in pieno viso e forse l’unica cosa che lo aveva fermato, anche quando si erano dovuti immergere lui e Thorin in mezzo ai bulloni e agli ingranaggi oliati delle carrucole sotto suo suggerimento, era il fatto che piu’ sarebbe andato veloce piu’ si sarebbe potuto togliere da quell’impiccio in cui l’aveva buttato la sua curiosità.
 
Dopo un intero pomeriggio passato lì sotto ne era finalmente uscito quasi all’ora di cena, con tutti i muscoli del corpo doloranti e diverse nuove bruciatore che sapeva lo avrebbero fatto dannare come una bestia nelle ore successive. Appena aveva messo piede fuori dalla soia delle forge già si era già cominciato a pregustar l’idea di ciò che lo aspettava arrivato nei suoi appartamenti, un boccale di birra, qualcosa di cucinato portato dalle cucine del palazzo e un bagno gelato, ma si era dovuto ricredere appena dopo che aveva salito una decina di rampe di scale mettendo piede nelle alee del palazzo.
Gli unici frammenti che gli tornavano in testa in quel momento erano quelli in cui Dìs gli era corsa incontro appena lo aveva visto spuntare da dietro un corridoio chiuso, e quelli in cui, senza neanche chiedergli qualsiasi cosa a parole, lo aveva solo preso di peso agguantandogli un avambraccio e trascinandolo tra la muffa, libri e pergamene. Il tutto era successo con una tale velocità che ancora faceva una fatica immane a ricordarsi come e arrivato fin lì, con il di dietro poggiato su un tavolo di pietra vecchio nella libreria del palazzo e con gli occhi sempre attenti alla nana che continuava ad arrampicarsi e a raccogliere volumi ricolmi di appunti e liste e inventari degli ultimi centosettanta anni neanche fossero mele su un albero.
Come in quel momento che seppur in punta di piedi con la schiena tirata, il braccio teso come una corda d’arco e con libri su libri tra le braccia che orgogliosa non gli avrebbe mai dato, riuscì finalmente con un piccolo saltello a sfilare del tutto il tomo e a posarlo in cima a quelli tra le sue braccia.
 
«Allora vuol dire che in realtà durante il giorno c’è il buio Dwalin figlio di Fundin, Thorin non oserebbe mai fare una cosa del genere, non in queste circostanze.» Affermò piu’ sicura che mai lanciandogli un’occhiata risoluta e alzando un sopracciglio totalmente sicura delle proprie parole e al contempo totalmente scettica delle sue.
 
Guardandosi di tanto in tanto indietro Dìs cominciò a scendere le scalette di legno tenendosi solo con una mano alla ringhiera e trattenendo invece con l’altra la montagna di documenti sempre piu’ instabile fissi sopra il seno: la seguì con attenzione a ogni piccolo passo incerto che compiva all’indietro, sciogliendo poco le braccia al petto ogni volta che compiva un passo tremante, mentre una preoccupazione incontrollabile gli lambiva le membra. Sobbalzò scaricando tutta la tensione accumulata a due gradini verso la fine quando le vide un piede scivolarle all’indietro, ma come se lo fosse immaginato Dìs continuò a scendere non curante aggrappandosi solo con piu’ forza al lato della scala mettendo infine i piedi a terra.
 
Strinse la mascella infastidito dalla paura insensata che aveva provato poco prima e ancora piu’ infastidito dalla sua testardaggine al dover sempre fare tutto da sola. «Non riesco a capire perché tu stia facendo tutto questo a quest’ora e perché lo stia svolgendo tu.» Le ricordò non riuscendo a non usare un tono severo, che con la sua piu’ totale certezza lei non avrebbe ascoltato,  infatti gli rispose solo con un movimento fugace con la mano  per zittirlo prima di avvicinarsi verso il tavolo dove era poggiato con la parte basse della schiena posando accanto a lui i libri che aveva tra le braccia. 
 
«Perché all’ora di cena non c’è nessuno qui e perché finché non salirà al trono la regina reggente è compito della madre o della sorella del re occuparsi delle spese piu’ frivole che vengono compiute in questo regno e della loro organizzazione se serve.» Gli ricordò cominciando ad accatastare uno a uno i registri che aveva appena preso su quelli che già aveva tirato giù dagli scaffali. « Come ti ho già detto non capisco come abbiate fatto senza di me tutti questi mesi.»
 
«Ti continuo a ripetere Dìs che la mezz’elfa è già piu’ regina di quanto tu creda.» Ribatté un’ennesima volta lanciandola uno sguardo di sbieco oltre la spalla.
 
Arricciando le sopracciglia nere sospirò esasperata scuotendo la testa continuando a controllare i libri uno a uno osservandone il dorso prima di impilarli sulla piccola torre già formata. «E io ti continuo a ripetere che è impossibile, Thorin non lo farebbe mai no… » Ribatté con decisione u’ altra volta, ma infine sentì anche il suo tono vacillare parola dopo parola. Alzò un sopracciglio quando si fermò per un piccolo attimo bloccando anche le sue mani dal porre l’ennesimo libro sulla pila che stava preparando; gli occhi azzurri che si fissarono nel vuoto sotto di lei, pensierosi e velati dall’insicurezza: forse gli stava dando ragione o lo stava ascoltando per lo meno.
 
Invece scosse la testa distogliendo lo sguardo dai libri sotto di lei e con decisone mise sulla pila il libro fermo a mezz’aria scuotendo la testa ancora piu’ decisa di prima. « No, no è assurdo, non in una situazione come questa, no è impossibile non credo a una sola parola.» Ribatté ancora sicura iniziando a contare uno ad uno ogni tomo e le poche pergamene celate tra questo puntando il dito ad una a una rendendo ben palese come il discorso da parte sua fosse chiuso.
 
Dwalin dovette tenere la bocca chiusa: la sua stramaledetta lingua stava per ribattere un’altra volta, ripetendo di nuovo il concetto che ormai gli stava ripendo da un’ora buona. Non riusciva a ricordarsi neanche come era stato aperto il discorso, forse parlando di come erano andate le reciproche mattinate, o discutendo di quello che era successo la notte precedente, di cosa tutta la Montagna aveva lasciato che accadesse, di cosa anche lui aveva lasciato che accadesse, di cosa Thorin aveva lasciato che accadesse e di conseguenza di cosa era per forza di cose accaduto quella notte, di cosa anche suo fratello sapesse fosse accaduto dopo quella notte. Ma Dìs anche solo all’idea aveva chiuso ogni tipo di opzione possibile, per lei non era accaduto e non poteva accadere non con Ghìda e non in quel modo e se non lui ne avesse avuto la certezza con molta probabilità non avrebbe neanche osato pensare tanto.
 
La principessa infatti non riusciva neanche ad osare a pensare che una cosa del genere potesse essere accaduta, neanche complice la birra, il tabacco, il loro desiderio; quello che continuava a ripeterle Dwalin era inconcepibile, era al di fuori di ogni ragione e da qualsiasi cosa era sempre stato Thorin: onore, devozione, rispetto, erano solo tre delle parole che la portavano a pensare a suo fratello, e giacere con lei, con Ghìda, prima del matrimonio era un cosa che Thorin non avrebbe mai fatto. L’amore che provava per lei poteva averlo cambiato, lo sapeva, lo aveva visto e aveva visto come l’aveva guardata tutta la sera prima, ma sapeva quando fermarsi, lo aveva sempre saputo. Giacere con lei prima di sposarla era fuori questione, non solo perché non era ancora regina, ma perché le conseguenze sarebbero state irreversibili, se si fosse venuto a sapere, se fossero stati dei semplici amanti a nessuno sarebbe importato, se fosse accaduto con una nana qualsiasi tra i Monti Azzurri, nessuno avrebbe fatto obiezione, ma se si fosse venuto a sapere, se Telkar lo fosse venuto a sapere sarebbe stata la fine. Avrebbe avuto tutto il diritto di strappargliela via, di rivendicare un’onta sull’onore della figlia e nessun capo clan avrebbe appoggiato la scelta di Thorin, nessuno: l’amava troppo per correre questo rischio ed era troppo razionale per correre questo rischio.
 
Ma lei di razionalità non poteva davvero parlare dopo quello che aveva fatto, dopo quella sensazione che anche in quel momento stava provando standogli così vicino: lei doveva essere l’ultima a poter parlare di razionalità e dei sentimenti legati a questa. Strinse leggermente la mascella per forzare quei momenti, quella sua spinta la notte precedente dalla sua testa, la folle scelta che aveva compiuto poggiando le mani su quel maledetto materasso, approfittando che Dwalin non la potesse vedere, approfittando nella sua debolezza di sperare di poter sentire ancora quello che aveva sentito, ma quello che aveva provato la notte precedente non poteva essere reale, dopo quegli anni non era piu’ possibile e non sarebbe accaduto ancora.
Sentì lo sguardo di Dwalin ancora su di lei e il ricacciare indietro quei pensieri le divenne ancora piu’ difficile di prima se non quasi impossibile e, così come non sentire sulla pelle il fermaglio runico attaccato al collo che cominciava abbruciarle in mezzo al seno:  fece quindi l’unica che era in grado di fare in quei momenti, per proteggersi, per dimenticare, per non lasciare che la consumassero.
 
Far finta che non esistessero, che il dolore intorno a lei non esistesse piu’.
 
Sistemò con un paio di botte date con i palmi rigidi il piccolo mucchio ordinato e impilato di libri e con cautela li fece scivolare sul tavolo fino al bordo per poi prenderli da sotto e portarseli sul petto in modo tale che non sarebbero potuti cadere per la strada verso le proprie stanze.
 
Alzò un sopracciglio verso il guerriero che la stava guardando di sottecchi dandosi una spinta per poggiare meglio sullo sterno i vecchi tomi facendogli ben intendere che ce l’avrebbe benissimo fatta da sola: come sempre, ce l’avrebbe fatta da sola.
 
«Avanti accompagnami Dwalin figlio di Fundin che mi annoio a camminare da sola.» Gli disse sbrigativa e tagliando corto i suoi pensieri, comportandosi come se nulla le fosse passato per la testa, come se quei ricordi non le appartenesse neppure e quel bacio a fior di labbra fosse solo frutto di un suo delirio.
 
A Dwalin scappò una risata sommessa osservandola mentre senza neanche aspettare una sua risposta aveva già attraversato il tavolo facendo tutto il giro di esso e aveva cominciato a passo spedito sul marmo verde camminando diretta verso l’arcata di entrata della biblioteca.
 
«Con tutta questa cortesia come posso rifiutare principessa.» Commentò ironico dandosi una botta con la schiena per tirarsi su dal bordo del tavolo osservandole la treccia nera e grigia chiara muoversi sulla schiena da una parte all’altra mentre dei passi verso la porta e oltrepassarla.
 
«Ieri notte non sei stato di molto piu’ garbo quando ti ho riaccompagnato a dormire nel tuo letto e neanche quando ti ci ho lasciato.» Commentò piccata attraversando l’uscio della porta attraversandolo e scomparendo dalla sua vista, ma forse era meglio così, in quel modo non avrebbe visto la sua faccia che con molta probabilità in quel momento era pallida come la neve.
 
Spalancò gli occhi incredulo per un secondo così come la bocca di fronte a quella informazione, ricollegando i vari pezzi che confusi aveva nella testa: aveva immaginato che qualcuno lo avesse riaccompagnato anzi ne era sicuro, ma mai si sarebbe immaginato che potesse essere stata lei, neanche se glielo avesse detto il suo stesso letto che era stata lei a adagiarlo tra le coperte. Ma sapendo quell’ultima informazione, se il suo letto avesse potuto parlare certamente la domanda che gli avrebbe posto sarebbe stata un'altra: se quelle labbra posate al lato delle sue erano state reali o frutto di un suo desiderio recondito, ma lui la risposta la sapeva già l’aveva sempre saputa e per Durin non se la voleva porre un'altra volta quella domanda.
 
Riprese il controllo di se stesso sbattendo le palpebre piu’ volte e bloccando l’aria fredda che gli oltrepassava le labbra chiudendo la bocca fissò l’uscio vuoto che Dìs aveva attraversato senza voltarsi indietro, cosa che non avrebbe mai fatto neanch sotto tortura, aspettare qualcuno o fermarsi per qualcuno. Con uno scatto che cercò di far passare inosservato si mosse vero la porta a sua volta e raggiunse a grandi falcate l’arcata di entrata oltrepassandola riuscendo a vedere solo da lontano la figura di Dìs che già aveva preso le scale sulla sinistra per salire verso le proprie stanze. Già pronta a vederla più’ simile a un pallino tra le scale verdi. E invece lo stava aspettando all’inizio di esse.
 
Ancora piu’ sconvolto, fu difficile mantenere un tono neutro, dovette stringersi gli avambracci l’uno sull’alto e rallentare il respiro prima di cominciare a camminare verso di lei che appena lo vide muoversi cominciò a salire gli scalini uno alla volta.
 
«Ho capito di non esserci arrivato dai vestiti piegati sulle sedia.,» Disse neutro come se la rivelazione di poco prima non avesse avuto importanza aumentando di poco il passo affiancandosi di nuovo a lei, seguendola tra i corridoi a malapena illuminati dalle torce notturne.
 
«Quelli te li sei strappati di dosso appena sei entrato dalla porta, sembravi quasi di nuovo sobrio, te li sei tolti e li hai lanciati sul pavimento. Sei incorreggibile, quella stanza è immersa nel subbuglio ogni mattina.» La vide alzare il lato della bocca girando a destra verso il primo tratto di scale che li avrebbe condotti verso le stanze reali inferiori che in ogni caso avrebbe dovuto percorrere anche lui per arrivare gli appartamenti del consiglio.
 
«Per fortuna che ho qualcuno che mi aiuta a ripulirla ogni mattina.» Rispose ironico guardandola di sottecchi e alzando un sopracciglio ironico vedendola alzare gli occhi al cielo irritata ma sapeva anche che non avrebbe resistito alla piccola provocazione.
 
Dìs infatti si lasciò scappare una risata sommessa e gli diede una piccola spallata dondolando con i piedi stando sempre attenta a tenere tutti i libri fermi sul suo petto trattenendoli con entrambe le braccia. «Un giorno potrebbe anche stufarsi di mettere mano tra le tue cose e ti ritroveresti sommerso di panni sporchi e il tuo catino ricolmo di acqua e piatti luridi.»
 
«Piu’ che il disordine nella mia stanza mi irriterebbe il non sentire piu’ una parlantina continua dalle prime luci dell’alba fino a mattina quasi inoltrata.» Ammise, celando quanto in realtà fossero veritiere le sue parole grugnendo verso la fine.
 
«Tu a me parli di parlantina?» Gli chiese scioccata aumentando di poco il tono della voce e alzando un sopracciglio dandosi uno scossone alle spalle tirandosi ancora più sui libri tra le braccia. «Dimmi Dwalin figlio di Fundin, da quando in qua sei diventato piu’ linguacciuto di una dama di corte dei Colli Ferrosi?» Appuntò ironica rendendo ben chiaro il soggetto della frase e a cosa si riferisse.
 
Alzò le spalle incurante cerando di mascherare le sue vere ragioni sentendosi quasi ferito nell’orgoglio nel sentirsi definito una dama di corte, come se le sue domande su Thorin fossero dettate solo dal pettegolezzo di cui ormai erano sature anche le guardie delle ronde, quando forse era l’unico in quella montagna che sapeva che dietro quel pettegolezzo c’era ben altro.
 
Lui era preoccupato, rinchiuso in una costante preoccupazione da mesi, già piu’ di quanto non lo fosse da anni: lo aveva visto arrivare e toccare nel il punto piu’ basso che avrebbe mai potuto toccare un nano, il punto piu’ basso che avrebbe potuto toccare Thorin e aveva visto mentre lo celava a chiunque chiudendosi nelle sue stanze e rimanendoci neanche dormendo, solo a fissare il vuoto o le carte sulle tavole, mettendosi da parte come aveva sempre fatto, mettendo il suo regno prima di se.
 
Era troppo desiderare che ci fosse qualcuno che potesse mettere lui al primo posto, visto che non era in grado di farlo da solo? E che ora volesse solo che questa rimanesse?
 
Serrò la mascella dandole una mezza verità, sperando da una parte che le bastasse. «Da quando tuo fratello da mesi non mi ha dato altra scelta che diventare la sua di dama di corte.»
 
«Non ti è mai interessata la vita di Thorin, non sotto quel punto di vista. » Ribatté Dìs accanto a se ancora una volta: dal suo tono di voce scettico riuscì facilmente a capire che non fosse per niente soddisfatta dalla risposta e neanche lui ne era uscito soddisfatto.
 
Era vero, non gli era mai interessata, non che Thorin gli avesse mai dato la possibilità di interessarsi a quella parte della sua vita, che dopo Erebor era stata cancellata del tutto e che in realtà anche quando erano ragazzi era stata quasi del tutto inesistente. I suoi rapporti con le nane si erano fermati a un paio di evasioni tra le colonne di Erebor, a fine banchetti, un qualcosa di puramente istintivo alla quale anche lui stesso si era lasciato andare, piu’ di Thorin e anche molto piu’ recentemente, ma non c’era mai stato niente di piu’. Non c’erano sentimenti, non c’era una ricerca dello sguardo dell’altro, era solo un corpo contro un altro corpo che dopo alcuni minuti si lasciava andare e si continuava la propria vita come se non fosse mai accaduto nulla.
 
E la verità era che ora invece gli interessava, perché anche se mesi addietro aveva creduto che quello che provasse per la mezz’elfa fosse solo puro desiderio aumentato dagli anni senza un corpo caldo accanto al proprio o che fosse una brama alimentata solo dal fatto che sarebbe stata sua moglie; infine però aveva capito che era ben altro, e quel ben altro avrebbe salvato suo fratello, il suo capitano, il suo re. Quindi sì, gli interessava, perché lui avrebbe avuto la possibilità di vincere dove lui aveva fallito, aveva avuto la possibilità di vedere il volto dell’amata sotto di se o sentire il suo corpo contro il proprio, non immaginarselo mentre stringeva il vuoto il corpo di un’estranea.
 
Abbassò lo sguardo colpevole e sentendo una rabbia cieca montargli nel petto, non riuscendo  neanche a riuscire ad osservare il profilo di Dìs con la coda nell’occhio, tenne il viso verso il basso osservando i gradini che continuavano a salire. «Le cose cambiano avevo capito che tu fossi la prima pensarlo» Mormorò tra se e se non riuscendo a guardarla e stringendosi le maniche arrotolate sugli avambracci ancora rigidi sul proprio petto sentendosi sempre piu’ nervoso: stava detestando la direzione che stava prendono quella discussione, stava scavando troppo affondo.
 
Ancora una volta il suo istinto non aveva fallito: se c’era qualcosa che sapeva fare Dìs, che era anche il suo piu’ grande difetto era l’inventare storie dove storie non c’erano, infinite trame per spiegare il piu’ semplice degli enigmi e dal ghigno storto che gli regalò capì subito che quello che gli stava per dire era certamente era una di queste e nel nome di Durin quello fu l’inizio della fine
Dìs gli si avvicinò di poco affiancandosi a lui tanto da sentire il tessuto del vestito scuro sfiorargli la pelle nuda dei gomiti e degli avambracci, tanto da poter serie il suo calore entrargli nella pelle: guardò di sbieco sotto di lui mentre continuavano a camminare sovrastandola in altezza, e un ghigno le comparve sulla bocca, gli occhi azzurri che schizzarono dalle sue braccia sempre piu’ rigide al suo viso studiandogli ogni singolo tratto del suo viso mentre quell’espressione sulla bocca diventava sempre piu’ grande.
 
«E’ successo qualcosa che non so? Una nana ha fatto breccia sotto la spessa armatura di Dwalin, figlio di Fundin e non ne sono stata messa a conoscenza?» Gli chiese e tutto di un colpò sgranò gli occhi  e sentì una morsa stringerli le viscere tirandole e legandole su loro stesse, mentre il cuore gli saltò un battito colto totalmente alla sprovvista da quella domanda.
 
Il sorriso sornione di Dìs andò sempre di piu’ ad allargarsi quando lo vide irrigidirsi e gli diede un'altra botta con la sua spalla sulla propria divertita e ormai sicura delle sue parole per incoraggiarlo, ma quello che fece fu solo aprirgli una voragine nel petto. Troppe emozioni celate tornarono a galla emozioni che non voleva piu’ sentire, una rabbia sorda che aveva rilegato da tempo.
Strinse il pungo nascosto tra le sue braccia serrando la mascella distogliendo lo sguardo il piu’ lontano che poté dagli occhi azzurri sforzandosi a parlare nel frattempo che i passi sui gradini diventarono sempre piu’ pesanti quando le gambe gli diventarono due macigni impossibili da muovere arrivando all’ultima rampa di scale prima delle stazze reali
 
 «No, non voglio solo che butti la sua vita in pasto ai cani.» Rispose quasi ruggendo, non riuscendo a controllarsi, sputando quelle parole per terra con tanta furia che faticò a riconoscersi, in un moto di rabbia che non avrebbe mai voluto mostrarle, una frustrazione che non le aveva mai mostrato.
 
Percepì un flebile sussulto di fianco a sé, il tessuto del vestito che sfiorò la sua manica con un movimento veloce prima che il flebile calore del suo corpo si allontanasse inevitabilmente da lui; non riuscì neanche a guardare in volto, perché era sicuro che se lo avesse fatto le avrebbe sputato addosso un dolore che lei non si meritava, un dolore che non le apparteneva e del quale lei non era l’artefice.
 
La sentì sospirare arresa e poté giurare che mormorò qualcosa tra le labbra di cui riuscì solo a distinguere il suo nome, ma tanto gli bastò per mandarlo ancora piu’ in difensiva facendogli serrare la mascella , tentando di controllare ogni sua reazione.  
«Le tue parole suonano piu’ come un rubino abbandonato in mezzo a un prato verde.» Mormorò solamente schietta.
 
«Un illusione?»
 
«Una menzogna.» Ribatté secca, acuto e superba tanto da toccargli la ferita aperta facendola sanguinare e far uscire tutto il veleno che racchiudeva.
 
Sentì dei fremiti attraversargli tutto il corpo fino a scaricarsi sulla mascella e farla tremare: i piedi gli si bloccarono sugli scalini, fermando a metà un movimento della gamba poggiandola saldamente sullo scalino dietro di se, bloccandosi del tutto per riprendere il controllo di se stesso, e far sue le parole che aveva appena sentito, prima che potesse davvero compiere qualcosa di cui si sarebbe pentito o prima che le rivelasse la verità, prima di dirle tutta la verità. Ma ogni tremolio che dal collo gli stava partendo fino ad arrivare dietro la sua schiena gli stava dando la spinta sempre piu’ definita a parlare a dare sfogo a quella domanda, al non mentirle piu’, perché quella menzogna in quel momento gli si stava rivoltando contro in tutte le maniere che si era premurato di non far mai accadere
 
Si, sei sei tu.
 
Le parole gli si formarono in testa ancora e ancora, ripetuta all’infinito. In diverse maniere ripetute in diverse sfumature, ma il significato rimaneva sempre lo stesso: sì e quella nana sei tu sei sempre stata tu ogni singolo maledetto giorno negli ultimi centosettant’anni.
 
Alzò lo sguardo dal vuoto in cui era immerso sul pavimento verso Dìs al di sopra delle scale, ormai arrivata allo spiazzo con la porta dorata dietro di lei che segnava a fine inevitabile di quel loro vagabondaggio notturno tra i corridoi, ma che segnava anche la fine del tempo che aveva per dirle la verità prima che ne perdesse il coraggio o l’occasione.
Si ritrovò ad osservarla, dal basso verso l’alto, per Durin, era bella piu’ di quanto lo fosse mai stata quando erano ragazzi, era una bellezza cosi terribilmente triste e diversa da come era sempre stata. Ancora si sentiva un ragazzino che la spiava durante le ronde e ancora sentiva tutto come la prima volta che aveva capito di amarla e che aveva accettato di amarla.
 
Era stanco terribilmente stanco di tenersi tutto dentro, non era in grado di accettare più tutto questo: gli bastava che lei fosse felice? Che fosse in grado di guardare avanti e invece che indietro, o almeno tentasse?  Sì, gli era bastato per tutta una vita, che lei avesse un sorriso stampato sul volto con lui o senza di lui, ma ora che era solo un’ombra di se stessa non gli bastava piu’ voleva che sorridesse per lui, nel suo egoismo voleva renderla felice, ma in quella felicità per una volta voleva esserci lui. Nel suo egoismo voleva che gli desse la possibilità di farla sorridere ancora, anche se per poco tempo, anche se solo frutto di un amore che lei non avrebbe mai potuto ricambiare: lui non poteva essere Vili, non poteva ridarle Kili o Fili, non poteva darle ciò che lei desiderava ma voleva tentare dargliene anche una millesima parte se avesse potuto.
 
Serrò la mascella osservandole gli occhi azzurri ancora in attesa e febbrili e la bocca agì per conto proprio senza aspettare una reazione dal suo cervello o peggio dal suo cuore che crollò su se stesso come le braccia legate al petto che si slegarono l’una dall’latra cadendo come due massi al lato dei suoi fianchi.
 
«Dìs c’è una cosa che… io…» Cominciò a dire ma come se il destino gli stesse dando un segno si interruppe bruscamente osservando dietro le spalle della nana e la figura che comparve sulla rampa di scale sopra le loro teste celata dall’ombra, interrompendogli le parole che gli stavano per uscire dalla bocca vennero spazzate via, risvegliandolo dal flebile sogno che si era creato.
 
Incrociò di nuovo le braccia al petto e indicò con il mento la figura vestita solo con una veste da notte  chiara e un mantello scuro che furtiva saliva le scale delle stanze reali per l’ala del re durante il cambio della guardia, sicura che nessuno l’avrebbe vista, sicura di essere coperta dall’oscurità della notte e dal silenzio di essa illuminata flebilmente dalla luce dei bracieri caldi.

« Quella però non lo è… una menzogna.» Affermò di nuovo con sicurezza, celando ancora una volta tutta la verità e tutta la sua sicurezza e facendo voltare il volto della nana verso l’alto riuscendo a farle distogliere gli occhi da lui prima che fosse troppo tardi.

Vide Dìs sgranare gli occhi osservando verso l’alto, sull’incrocio speculare delle scale dove si trovavano loro sussultando quando la mezz’elfa oltrepassò la porta dorata per le stanze del re guardandosi intorno mostrando chiaramente un segno violaceo sul collo prima di scomparire dietro l’uscio e chiudersi la porta alle spalle, rendendo anche palese a chiunque, anche a un nano cieco, cosa sarebbe successo e dove lei stesse andando.

«No, no quella non lo è.» Riuscì a sussurrare Dìs lasciandolo per un attimo espirare e ringraziare Durin per non averlo fatto parlare e pregandolo di non farlo mai parlare.
 
 
 
 










Angolo Autrice
 
Vi ringrazio e ringrazio ancora per la pazienza che state portando, e soprattutto per perdonarmi sempre questi miei immensi ritardi. Come già vi avevo detto ho perso tutti i file della ff, compreso questo capitolo che ho dovuto riscrivere daccapo, sappiate che non ne sono pienamente convinta perché l’ho dovuto appunto scrivere di nuovo ma spero solo di avervi dato dei piccoli momenti di gioia, anche se piccoli, è stato molto di passaggio mami è servito piu’ che altro per sistemare delle questioni tra Thorin e Ghìda, anche per vedere che rapporto avranno in seguito ora che si trovati nell’ammmmmmore e quali sono le reazioni degli altri a ciò insomma. <3 <3 <3 E poi oh! Big scoop Dìs Dwalin che mi ha strappato il cuore dal petto devo essere sincera. Oltretutto anche se non me lo merito ditemi cosa ne pensate di questo capitolo, perché sto passando un blocco dello scrittore terribile e lo so al capitolo precedente mi avete riempito di complimenti ma comincio a risentirne quando scrivo, delle volte fisso lo schermo e non riesco a fare nulla hahahahahha
Alllllora, so che non c’è molto ma qualche domanda ve la faccio. Cosa ne pensate delle dinamiche tra Thlrin e Ghìda, vi piacciono anche se non smielose? Scusate per Dwalin e Dìs ma va giostrata bene la cosa. Mamma mia calcolate che devo troppo scrivere una scena tra Mar e Thorin perché che lei è tipo spaventatissima mi spezza il cuore hahahahah Papà Thorin è quotato ormai da tutta Erebor praticamente. Poi in realtà c’è un piccolo incipit per qualcosa che succederà in seguito in questo capitolo, mh mh e si non c’è la part spoiler che vi avevo messo nel capitolo prima perché c’è stato un cambio di programma. E ragazze vi prego ditemi se questo capitolo è sottotono perché ho la sensazione che la mia scritta sia peggiorata una marea questo ultimo periodo. Non è per farmi leccare il sedere , la mia è una domanda seria perché sto scrivendo un botto di roba in inglese hahahahah
E ora i ringraziamenti dappriama per le recensioni ovvero: Perla 16, Alcalime91 e Giada Hp, grazie grazi grazie per le belle parole e il supportone, e poi NekoBlonde che anche se in ritardo c’è sempre anche lei  <3 <3 In piu’ un grazie a tutti voi miei seguaci in questa avventura Star_of_vespers ,Thorin78 , valepassion95, Aralinn , marisole, Ribes Roger e Fib23!
 
 
 
 



 
Spoiler.

Arrivi inaspettati…di un re inaspettato.
 

 
 
 
 
 
 
 
   
 
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