Crossover
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Autore: evil 65    04/10/2020    10 recensioni
Il Multiverso, così come lo conosciamo… non esiste più. In seguito ad un fenomeno distruttivo noto come Lo Scisma, un uomo misterioso che si fa chiamare il Maestro è riuscito creare una realtà completamente separata dalle altre, dov’è adorato come un dio onnipotente.
Apparentemente inarrestabile, il Maestro comanda col pugno di ferro questa nuova terra, chiamata "Battleground", nella quale vivono numerosi personaggi provenienti dai vari universi, tutti immemori delle loro vite precedenti.
Ogni storia ha il suo principio. E questa è la loro epopea...
Genere: Avventura, Azione, Fantasy | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het, Yuri | Personaggi: Anime/Manga, Film, Fumetti, Telefilm, Videogiochi
Note: AU, Cross-over | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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Ecco un nuovissimo capitolo, con cui riprendiamo la trama principale.
Vi auguriamo una buona lettura!

 


Capitolo 26 - After the fight
 
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"Can somebody tell me who I am?
Will I ever learn to live my dream?
Will I be in harmony with the river deep underneath my skin?
Can somebody tell me who we are?
We strayed from our path much too far
Will we ever see the flowers growing in our yard?
"
Orangle Blue - Can Somebody Tell Me Who I Am


Una settimana. Ecco come Lord Shen aveva avuto modo di scandire il tempo trascorso da quando Qrow Branwen era morto, disintegrando l’Indominus Rex e gran parte dei sotterranei, dando così modo alla moglie Summer Rose - e soprattutto a Royal Noir - di fuggire.
La cosa l’aveva naturalmente fatto andare fuori dai gangheri, anche più del dovuto, dato che era arrivato vicino, molto più vicino di quanto fosse mai stato finora, a chiudere qualsiasi conto con il moccioso, solo per vedersi andare tutto all’aria per colpa di quei due stupidi Cacciatori. 
Magra consolazione il fatto che Branwen fosse morto: nel farsi saltare in aria aveva distrutto completamente la sua preziosa creatura, facendogli perdere anni e anni di prezioso lavoro alchemico, genetico e scientifico. E fra le tante cose che l’albino detestava, c’era vedere i propri investimenti e i propri esperimenti andare a monte per colpa di uno scarafaggio schifoso.
Per un folle istante aveva addirittura pensato di andare da quell’intrigante di Salem a chiederle di risarcirgli i danni che il suo stupido genero aveva provocato, ma aveva tempestivamente recuperato il controllo prima di compiere seriamente una sciocchezza del genere: sarebbe stato infantile e lo avrebbe fatto apparire come incapace di gestire due porci ribelli, senza contare che era l’ennesimo motivo per cui il Vigilante Mascherato gli era sfuggito.
L’ultima cosa che voleva era compromettersi ancora agli occhi del Maestro: meglio restare in silenzio e sistemare la faccenda personalmente, e solo dopo ricontattare il proprio Signore. Si consolava pensando che avrebbe aggiunto anche quest’onta allo scotto da pagare di Baelfire: era anche semplice colpevolizzarlo dato che, alla fin fine, quell’inutile stupido verme d’un Cacciatore aveva fatto tutto per lui.
Ma prima doveva fare in modo di cancellare quanto accaduto alla sua reggia, così si era messo all’opera per riparare i danni, che tradotto significava costringere giorno e notte i suoi servi a lavorare per rimettere tutto a posto, mentre lui si era concentrato sul preparare la festa annuale dell’Empire Day nella propria capitale.
Si era prefissato, una volta cessato tutto, di agire subito. Dopotutto, il Maestro gli aveva dato campo libero: non gli serviva più dare la caccia a Royal, aveva altre idee su come agire e dove colpire, ma soprattutto sapeva che avrebbe presto incontrato nuovamente il ragazzo, era solo questione di tempo.
Almeno, quelle erano le sue intenzioni iniziali… prima di venire contattato da Darth Vader ore dopo l’incursione dei ribelli su Scarif, imponendogli di svolgere una chiamata olografica.
Il governatore aveva saputo della notizia dai telegiornali, ma il servizio era stato piuttosto impreciso, dispersivo e poco chiaro. Ma non se n’era stupito, accadeva sempre così quando si preferiva non far sapere alla gente, anche se non ci voleva un genio per immaginare che qualunque cosa fosse successa era colpa dei ribelli, come aveva naturalmente supposto.
Probabilmente il Maestro aveva incaricato Vader di fargli rapporto e informarlo nel dettaglio; non era la prima volta che accadeva, e non era nemmeno una novità il fatto che non morisse dalla voglia di incontrare il Sith, ma suo malgrado era vincolato dall’obbligo di collaborazione e cooperazione: lo consolò il fatto che certo neanche il Sith fosse soddisfatto del proprio compito.
Dunque si recò nella sua stanza personale e si posizionò sopra il pannello delle comunicazioni. Incrociò le mani dentro le maniche del kimono e rizzò il capo, in attesa.
Fu allora che l’imponente figura di Darth Vader si materializzò di fronte a lui sotto forma di un ologramma color turchese.
<< Shen >> rimbombò la voce cavernosa dell’Oscuro Signore dei Sith, senza il minimo accenno di rispetto o cameratismo.
Neanche questa era una novità, se non fosse che sembrava quasi più sprezzante del solito, qualcosa che non passò certo inosservato alle orecchie dell’albino.
<< Vader... >> gli rispose, nel proprio tipico tono falsamente conciliante, mentre mentalmente elaborava possibili spiegazioni a quell’atteggiamento << Suppongo che la festa non abbia riscosso il successo che speravi per i tuoi ospiti. Che peccato, ma niente di nuovo o sorprendente, alla fine. >>
I pugni del Sith si strinsero in modo quasi impercettibile, ma un guerriero attento come Shen non ebbe problemi a riconoscere quanto le sue parole avessero effettivamente irritato l’esecutore imperiale.
<< Per quanto le tue parole siano apprezzate... >> continuò Vader, utilizzando un tono di voce molto più sarcastico << non ti ho contattato per discutere dell’assalto alla mia dimora. >>
L’albino inarcò le sopracciglia, internamente spostandosi sul chi vive. << E per cosa, allora? >>
L’altro rimase in silenzio per quasi un minuto buono, le lenti della maschera fisse negli occhi rossi del governatore. Shen cominciò a sentirsi non poco infastidito dalla mancanza di una risposta e fece per aprire bocca, ma ecco che il Signore Oscuro riprese a parlare.
<< Ho avuto un incontro diretto con Royal Noir. >>
L’imperatore dovette fare del proprio meglio per restare immobile e semplicemente assottigliare lo sguardo, evitando di sussultare, sbarrare gli occhi o stringere i pugni. Stava lentamente cominciando ad intuire il motivo di quella convocazione, ma non poteva esserne davvero sicuro, non sapendo assolutamente nulla di ciò che era avvenuto né come la situazione si era evoluta: per questo doveva e voleva scoprirlo a tutti i costi, senza rischiare di lasciar trapelare un interesse sospetto.
<< Che ne hai fatto? >> domandò, la voce calma, misurata.
Vader incrociò ambe le braccia davanti al petto.
<< È ancora vivo >> rispose, impassibile << Ora capisco come sia riuscito a darti così tanti problemi, è un giovanotto con molto potenziale. E posso assicurarti che la conversazione che abbiamo avuto durante il nostro scontro è stata a dir poco… illuminante. >>
<< Ma davvero? >> replicò Shen con sarcasmo pungente, mentre internamente rimuginava << Cosa ti avrebbe detto di così straordinario? Quanto la sua crociata sia disinteressata? Quanto sia disposto a sacrificarsi per il bene comune? O piuttosto ti ha deliziato con le sue urla strazianti di dolore? >>
<< Basta con i giochetti, Shen! >> Il Sith puntò improvvisamente un dito in avanti, ringhiando attraverso il respiratore della maschera << Te lo chiederò una volta, e una soltanto. >>
Sembrava più furioso di quanto il governatore lo avesse mai visto in tutti quei vent’anni che avevano passato a servire il volere del Maestro, il che era tutto dire.
<< Tu lo sapevi? >>
Fra sé e sé, naturalmente l’imperatore capì subito l’antifona, per questo dovette faticare molto per restare lucido: da una parte sentiva – suo malgrado e con sommo disgusto – il timore avvolgerlo, seguito dalla rabbia, dalla stizza e dal disappunto. La situazione non avrebbe potuto essere peggiore: non aveva previsto un simile risvolto nei suoi piani.  
Mentre elaborava quei pensieri assieme a un modo per uscirne fuori, fu lesto a sbattere le palpebre e storcere le labbra.
<< Temo, Vader, che dovrai rinunciare al tuo proposito di chiedermelo una sola volta, perché sai… secondo il principio base della conversazione, sarebbe piuttosto utile specificare al tuo interlocutore a cosa ti riferisci, se davvero desideri avere una risposta ad una domanda. Perciò... anche se so bene che non rientra specificatamente nelle tue facoltà, vedi di essere esplicito nelle tue dichiarazioni, o la nostra discussione si interromperà qu-... >>
<< SAPEVI CHE ROYAL NOIR ERA MIO FIGLIO?! >> tuonò il Sith.
Questa volta fu troppo, la collera bruciante che aveva invaso l’Oscuro Signore dei Sith era letteralmente palpabile: la sua voce riecheggiò per tutta la stanza con la stessa intensità del rombo accompagnata da un tremolio dell’ologramma, e il governatore non poté impedirsi di fare un passo indietro mentre per un solo microscopico istante la paura dominava il suo volto.
Vader lo vide raddrizzarsi sulla schiena e fissarlo con gli occhi sbarrati per quasi un minuto buono. Poi, lentamente… fu attraversato da un fremito. Poi un altro. E poi un altro ancora. Il fremito divenne presto un sussulto concentrato principalmente sulle spalle, finché l’albino non gettò indietro la testa ed esso si trasformò in una risata stridula e sgraziata. Si portò una mano al volto, rischiando per un istante addirittura di barcollare.
<< Tu… tu e quel… moccioso... >> annaspò Shen fra le risa << E tu… tu mi hai convocato… per…! Tu… e il moccioso...! Oh, dèi! Hai voglia di prendermi in giro! E pensavi che… io...! >>
Prese un respiro profondo, prima di calmarsi e farsi serio.
<< Davvero, Vader? Pensi sul serio che io possa aver mai sospettato minimamente che quel piccolo passerotto mascherato fosse tuo figlio? Per gli dèi, stare tutto quel tempo dentro quel casco deve averti rallentato il cervello. Come facevo a saperlo, di grazia? >>
L’Oscuro Signore dei Sith abbassò lentamente il dito e non ripose, soppesando l’albino per quello che sembrò un tempo interminabile. Per un attimo, Shen si ritrovò a valutare l’idea che potesse leggergli la mente con la Forza. Tuttavia, trovò sicurezza nel fatto che fossero entrambi troppo distanti l’uno dall’altro, e che quindi neppure volendo sarebbe riuscito ad usare i suoi poteri su di lui.
<< Forse stai dicendo la verità >> ribatté Vader << O forse no. In ogni caso… la situazione non cambia. >>
Puntò nuovamente il dito in direzione del governatore.
<< Cesserai ogni tuo tentativo di rivalsa nei confronti di Royal Noir con effetto immediato. Da questo momento in avanti… spetterà a me occuparmi di lui, e a nessun altro. Sono stato chiaro? >>
<< Mio caro, per quanto voglia seguire il tuo amorevole consiglio >> replicò Shen, mostrandogli, col proprio sorriso, i denti bianchi e perfetti, inconsciamente proprio come il predatore che difende la propria preda ad ogni costo << tu non possiedi l’autorità per determinare una tale condizione. Per la legge del Maestro, è mia competenza qualsiasi faccenda relativa alla mia terra, com’è giusto che sia… e come entrambi ben sappiamo, tuo figlio calca il suolo cinese da ben due anni, ed è sempre sul suolo cinese che ha svolto i suoi crimini. >>
<< Allora consolati del fatto che al momento non si trovi più nei tuoi domini, e che invece sia finito nei miei >> rispose l’altro, sprezzante << Qui non si tratta più di eliminare una minaccia per l’Impero, ma di acquisire una nuova risorsa. E credo che anche il Maestro converrà del fatto che tu non sia la persona più adatta per occuparsi della questione, visti i tuoi precedenti… trascorsi con il ragazzo. O forse dovrei dire “fallimenti”. >>
L’albino strinse le labbra e socchiuse le palpebre, mentre il suo autocontrollo veniva messo nuovamente a dura prova.
<< Io eseguirò quello che il nostro Signore richiederà, perciò aspetterò esclusivamente i suoi ordini e le sue disposizioni al riguardo. Dunque avanza tali affermazioni di fronte a me solo se LUI ti avrà ordinato di riferirmele. >>
<< Gliene parlerò direttamente >> ribatté il Sith, noncurante << Vedi solo di tenere sotto controllo la tua sete di vendetta. Non vorremmo che i tuoi desideri personali finiscano con il danneggiare una potenziale risorsa per il nostro signore, dico bene? >>
<< Oh, non sia mai... >>
Shen si portò il palmo al cuore, oscenamente contrito, per poi spostare lo sguardo a contemplare i propri artigli ripiegati a pugno, noncurante. Contrariamente a quanto la conversazione aveva lasciato presagire, un’idea perversa gli era balenata alla mente ed era deciso a metterla in atto.
 << A tal proposito, visto che la mia missione passa di tutto diritto a te, collega, forse è bene che io ti passi tutte le informazioni che ho faticosamente raccolto in questi anni nella flebile speranza di scoprirne di più su di lui. >>
Vader inclinò appena la testa di lato, internamente sorpreso che il governatore fosse disposto a collaborare. Cercando di nascondere il suo sospetto, incrociò nuovamente le braccia davanti al petto e mantenne una posizione ferma.
<< Prosegui >> ordinò freddamente.
L’angolo in ombra della bocca dell’albino si allungò verso in un mezzo sorriso di diabolico compiacimento.
<< Logan Royston >> dichiarò, affabile << Certamente Anakin lo conoscerà bene. Le mie ricerche mi hanno dato modo di supporre che potesse essere in qualche modo coinvolto negli affari del Vigilante Mascherato, ma ahimè, la mia posizione e quella di cui gode lui non mi hanno mai permesso di accettarmene nel concreto. È una fortuna che tu non abbia questo tipo di vincoli, non trovi? >>
Vader si limitò a fissarlo per qualche altro secondo. Poi, senza offrire alcun tipo di ringraziamento, chiuse di scatto la chiamata olografica, mentre la sua immensa figura scompariva dalla stanza con un sottofondo di elettricità statica.
Shen fissò il punto in cui era sparito per quasi un minuto buono. Poi, lentamente, le sue labbra si arricciarono in un ghigno di maligno trionfo che poi divenne un vivace sogghigno. 
Era stato facile. Troppo facile. Come affermava sempre, non c’era quasi gusto, era di un’impulsività unica: intuibile da chi Fire avesse preso.
Avendo scoperto del figlio, c’era ragione di credere che Vader conoscesse anche la sua identità sociale, e di conseguenza sapesse dei suoi rapporti con Lord Royston. E perciò qui entrava in gioco l’istigare la testa calda del Sith, la sua l’indole violenta, iraconda, gelosa, possessiva… distruttiva.
Shen non aveva fornito che un suggerimento, un’idea, partendo dal suo piano originale. Non gli sarebbe più servito colpire il padre adottivo del ragazzino come aveva pianificato personalmente, aveva fatto in modo che ci pensasse il padre naturale a farlo per lui. Voleva che a Vader balenasse in mente l’idea di attirare il figlio colpendo Logan e infine quella di averlo tutto per sé uccidendo il “rivale”.
Sapeva bene quanto il ragazzo ne sarebbe uscito distrutto, come sapeva che un’azione del genere commessa da Vader non avrebbe fatto altro che allontanare Fire da lui, generando fra loro solo odio e disprezzo.
Non aveva ceduto prima all’offerta dell’albino di unirsi a lui e non avrebbe ceduto neppure a quella di Vader: anche se era sangue del suo sangue, il moccioso era troppo pieno del proprio ego altruistico. Sarebbe rimasto con la Ribellione fino alla fine, e qualora catturato avrebbe preferito morire piuttosto che tradirla: dopo il loro ultimo incontro, ormai ne era certo.
Niente di più soddisfacente, perché a quel punto, se non avesse voluto piegarsi gli sarebbe spettata solo la morte: Vader sarebbe stato obbligato ad ucciderlo, oppure, chissà, magari il piacere di compiere un simile atto sarebbe stato offerto a lui, Shen.
Alla fine non aveva nessuna importanza. Perché in qualunque modo sarebbe andata a finire… avrebbe ottenuto quello che voleva: il sangue del figlio di Lada, un figlio che non sarebbe mai dovuto nascere, la cui sola esistenza era un’aberrazione, un insulto alla sua persona, una sofferenza visiva e concettuale.
Un tributo vivente al suo amore perduto che avrebbe annientato.
A qualunque costo.
 
                                                                                                                           * * *
 
Ellen camminò rapida per il corridoio del palazzo. Portava un vassoio con sopra un bicchiere da drink e due birre di marca già aperte. Sapeva bene che rischiava parecchio, ma aiutare il suo capo faceva parte del lavoro. E, anche se non lo mostrava, lo faceva anche per un interesse tutt’altro che professionale.
Era davanti all’ingresso della palestra. Fece un respiro profondo… e l’aprì.
Vorkye abbatté l’ennesimo sacco da boxe con pugno, schiantandolo contro il muro. Era ancora nella sua vera forma e più furioso che mai. Anche se erano passate alcune ore dalla battaglia, la sua ira non accennava a placarsi.
Dopo la fuga del Falcon dalla festa, il Maestro era subito giunto nella villa di Skywalker. Non aveva pronunciato una sola parola. Si era limitato ad osservare il luogo con la sua solita espressione.
“Che disfatta” erano state queste le uniche parole che aveva detto.
E aveva avuto ragione. Malgrado lui e Vader avessero avuto la meglio sui loro avversari, se li erano lasciati scappare. E con tutta probabilità, quei ribelli avevano pure ottenuto quello per cui erano venuti, senza subire effettive perdite.
E in tutto questo... lui non aveva detto nulla a nessuno di loro. Non che ce ne fosse stato bisogno. Quella era stata una vera e propria sconfitta.
Questo rendeva Vorkye più furioso che mai. Aveva fallito nel far fuori un meticcio, era stato ferito sia dentro che fuori.
<< Maledetto! >> ruggì il soleano, facendo tremare la stanza.
<< Signore. >>
Le sue attenzioni furono richiamate dalla voce della sua segretaria. Era lì davanti all’ingresso con un vassoio contenente due bottiglie di alcolici.
<< Non ho sete e non voglio che nessuno mi ronzi intorno. Potrei schiacciarlo senza il minimo rimorso >> ringhiò lui.
In quel momento non gli importava di chi aveva davanti.
<< È qualcosa che ho tenuto apposta per occasioni come questa, signore. Si fidi, la farà rilassare. >>
Gli occhi del soleano fissarono la bionda come braci ardenti. Sperava davvero che un semplice liquore potesse calmarlo?
Con passo pesante si avvicinò alla ragazza fino a quando non le fu a mezzo metro di distanza. La sua figura imponente la sovrastava. Sarebbe bastato un niente per ridurla in pezzi. Eppure, lei continuò a fissarlo con insistenza e sguardo servile.
Vorkye storse il muso in un ringhio. Abbassò una mano artigliata verso di lei… e afferrò una delle bottiglie, che tracannò tutto d’un fiato.
Non appena l’alcolico venne a contatto con le sue papille gustative, rimase senza parole. Il sapore era qualcosa di nuovo. Frizzante e forte... e c’era anche altro che lo stava stuzzicando. Una cosa nuova. E questo sortì un effetto inaspettato per lo stesso soleano: sorpresa, seguita da una inaspettata curiosità.
Considerando il suo umore del momento, quelle sensazioni si rivelarono inaspettate. Ma gli permisero comunque di sedare la sua rabbia.
Col gusto particolare di quella bevanda ancora in gola, il suo umore cambiò quasi del tutto, tanto da farlo tornare alle sembianze umane. Indossava ancora l’abito da sera, ma privo della cravatta e con qualche bottone che era saltato.
Con occhi più calmi, il biondo fissò la sua segretaria. << Da dove viene questo alcolico? Non l’ho mai visto prima. E noto che non c’è nessuna etichetta. >>
<< È un cocktail fatto in casa ideato da mio padre. Ha sempre detto che è perfetto per risollevare l’umore >> rispose Ellen calma.
Vorkye la fissò stupito. Poi, dopo alcuni secondi di silenzio, si lasciò scappare una risata.
 << E lo posso confermare. Il tuo vecchio la sa lunga >> e finì di scolarsi la bottiglia sentendo che l’ira che aveva in quel momento veniva piacevolmente sopita dal particolare sapore di quell’alcolico.
<< Sono contenta di vedere che ha recuperato il buonumore, signore. Presumo che il protocollo 11 dovrà attendere, per ora. >>
Vorkye lasciò andare la bottiglia appena svuotata e prese l’altra.
<< Per ora i problemi sono altri >> borbottò, mentre ne versava una parte nel bicchiere << Mettilo in stand-by. Abbiamo problemi più gravi da risolvere.>>
<< Come vuole, signore. Ma… perché ha riempito il bicchiere? >>
<< Mi pare ovvio. Gli alcolici hanno un sapore migliore in compagnia >>
Elen guardò il suo superiore sbigottita. Non si aspettava una sorpresa simile.
<< È il mio modo di ringraziarti, Ellen. Senza questa prelibatezza… be', chissà per quanto tempo avrei lasciato che la mia rabbia oscurasse il mio buonsenso >> disse il biondo, rispondendo alla sua muta domanda.
La ragazza lo fissò per qualche altro secondo, e infine accettò l’offerta del suo capo.
 << La ringrazio >> disse con tono rispettoso.
Calò un irreale silenzio. Durò per circa un minuto. L’unica cosa che si sentiva era lo scorrere dell’alcol che scendeva nella gola di entrambi.
<< Lo avete finalmente incontrato. Parlo del vostro obiettivo >> sussurrò Ellen, spezzando il silenzio.
<< Già >> affermò Vorkye, facendosi un altro sorso.
La sua mente ripercorse tutto lo scontro. Ogni singolo fotogramma di quello che era successo. Lo stile di combattimento, le abilità, le magie... e lo spirito del drago.
Ora che era calmo, stava analizzando tutte le informazioni che aveva ottenuto sulla sua preda.
<< Presumo che non costituisca un problema per voi >> commentò Ellen.
Il soleano osservò la sua segretaria con la coda degli occhi.
<< È l’esatto contrario >> esclamò << Anche se era in netto svantaggio, il meticcio ha continuato a combattere e mi ha osservato e analizzato a sua volta. In parole povere, mi ha battuto sul piano tattico. >>
<< Non capisco che cosa volete dire. >>
Il sovrano del sole non se ne stupì. << Lui aveva già capito di non potermi battere a questo primo incontro. A parte cercare di sopravvivere, il suo obiettivo era osservarmi. E ci è riuscito fin troppo bene. >>
Sentì che la rabbia stava riemergendo, ma la ricacciò subito indietro con un altro sorso.
<< Quindi ritiene che la prossima volta potrebbe tenerle testa? >> chiese Ellen, dubbiosa.
Vorkye si lasciò scappare un sorriso. << Se così non fosse… la caccia non sarebbe affatto divertente, come direbbe Megatron. >>
Finito il suo drink, il soleano si avviò verso l’uscita.
<< Cancella tutti gli appuntamenti dei prossimi giorni e tieni sempre aperta la mia linea privata. Ci sono diversi accessori che mi serviranno per prepararmi a dovere. E avvia un’indagine approfondita su un ragazzo di nome Angel Arthur Hikaru. Voglio sapere ogni cosa su di lui. >>
<< Sissignore. Provvedo subito >> rispose la bionda, prendendo subito in mano il palmare.
<< E fai una bella scorta di questa bontà. La voglio nel mio personale frigo bar. >>
<< Nessun problema, signore >> continuò Ellen, segnandosi anche questo.
Senza dire altro, Vorkye uscì dalla stanza. Mentre camminava con passo svelto, il soleano ripensò al suo patto con il Maestro e poi al mito dei Calak’ants. Essendo un soleano, lo conosceva molto bene.
Credeva che non ne avrebbe mai incontrato uno e invece… il destino aveva voluto che la sua preda fosse proprio l’ultimo ancora in circolazione. Anche se in quel momento non era un vero pericolo, non era da escludere che la prossima volta che si sarebbero incontrati avrebbe potuto riservare non poche sorprese. Doveva farsi trovare pronto.
<< La prossima volta non mi sfuggirai, meticcio. Ne va del mio trono e dalla vita di mio fratello. E non rinuncerò a nessuna delle due. >>
Fu questa la sua promessa, prima di sparire nelle sue stanze.     
 
                                                                                                                        * * *
 
Le ferite di Angel erano risultate più gravi del previsto. Il Dottore aveva fatto tutto quello che poteva per salvarlo. C’era riuscito, ma il giovane versava in stato di incoscienza. Ora era lì nell’infermeria della nave, attaccato a varie macchine operatorie.
Per quanto sapesse che il tempo era un lusso che non avevano, il Dottore aveva comunque deciso di sostare su una piccola luna forestale che confinava con il pianeta, in attesa che l’adolescente riaprisse gli occhi.
Dal loro primo incontro, aveva preso ad osservarlo con molta attenzione. Aveva osservato tutti quanti i vari membri del gruppo, ma per quanto riguardava il rosso, sia prima che dopo lo sblocco dei suoi ricordi… lo aveva subito identificato come un qualcuno che si portava appresso un enorme fardello e che si era fissato nel volerlo portare tutto da solo. 
Yūko stessa, durante la loro chiacchierata, aveva accennato a qualcosa. Gli aveva detto solo questo: che quel peso avrebbe potuto allontanarlo da tutti.
Nessuno meglio del Signore del Tempo lo poteva capire. Ne aveva passate tante, e compiuto tanti di quegli atti orribili da poter comprendere perfettamente quanto il giovane stesse soffrendo.
<< Ti senti responsabile? Di cosa? >> sussurrò il Signore del Tempo.
Sapeva che Angel non gli avrebbe risposto. Lo avrebbe voluto chiedere al drago, ma la creatura sembrava essere sparita nel nulla. Forse era legato alle condizioni del rosso, oppure ad altro, ma nessuno lo aveva più visto dallo scontro alla magione.
Il Dottore gli poggiò una mano sulla spalla. Altro non poteva fare, al momento.
<< Qualunque cosa sia... be', lascia che questo vecchio pazzo ti dica una cosa... io ti perdono. Per cui non chiuderti >> disse con occhi paterni << Riprenditi alla svelta e parliamone insieme. >>
Dopodiché, ebbe l’idea di attaccargli una flebo. Ma quando il liquido iniziò a entrare dentro il corpo del rosso, successe qualcosa. Le ferite cominciarono a guarire più rapidamente e le condizioni registrate dagli strumenti migliorarono di colpo.
Il Dottore osservò il fenomeno con un cipiglio sorpreso. Come era possibile?
Fu poi colto da un flash. Il rosso stesso glielo aveva accennato. L’acqua era l’elemento che lui poteva controllare naturalmente. Se poteva richiamare l’acqua e usarla a piacimento… forse poteva anche usarla per rigenerarsi. Ma se questo fosse stato davvero il caso… ne serviva di più.
<< Più acqua. Ha bisogno di molta più acqua. >>
Come una furia, il Signore del Tempo liberò il rosso da tutti gli apparecchi e, prendendolo di forza, lo portò fuori dalla stanza.
La sua azione lasciò senza parole gli altri Time Warriors presenti. Che cosa stava facendo?
<< Serve un lago o un fiume. Qualsiasi cosa che contenga una grande quantità d’acqua >> disse l’anziano con sguardo agitato << Avrà lo stesso effetto che hanno i fulmini su Thor. >>
Il Tonante era lì presente. Comprese le intenzioni del leader, prese il rosso con un rapido cenno e lo portò verso la fonte d’acqua più vicina, un piccolo lago situata a qualche centinaio di metri dalla zona di atterraggio. Una volta lì, ve lo gettò dentro senza troppi compliemnti. Qualche minuto dopo, venne raggiunto dal Dottore ed entrambi rimasero fermi ad osservare.
Il corpo di Angel sprofondò nelle oscurità del lago… e il vuoto lo circondò.
   

 
Angel aprì gli occhi. Si sentiva disorientato e il luogo in cui si trovava non aiutò di certo a migliorare il suo stato d’animo. Ovunque si voltasse… vedeva solo bianco.
“Dove mi trovo?” pensò il rosso.
Si alzò in  piedi e si rese conto di essere a petto completamente nudo. Come se si fosse appena alzato dal letto. Almeno era questa la sensazione.
<< Ti sei svegliato, finalmente. Sei un vero dormiglione >> commentò una voce.
Il rosso trasalì ma non per lo spavento, bensì perché riconosceva la voce e… sapeva che il suo possessore era morto vent’anni fa.
<< Be', non mi rispondi? >> chiese la voce, mentre si una figura si avvicinò a lui.
<< Mi perdoni… professore. È che non riesco a capire dove mi trovo >> rispose il rosso.
Davanti a lui era apparso un uomo piuttosto alto. I capelli neri leggermente arruffati gli incorniciavano il viso olivastro, illuminato dagli occhi di un acceso castano. La sua figura era interamente coperta da un mantello verde scuro. Mostrava a mala pena una trentina d’anni, ma in realtà era molto più vecchio.
Dopo sua  madre, era stato il suo primo mentore nonché la persona di cui si fidasse di più. Il suo nome era Ash ed era soprannotato il Maestro dei Venti.
L’uomo si guardò intorno. << In effetti, è tutto bianco. Ma sappiamo entrambi dove ci troviamo, no? A scuola. >>
Quel luogo bianco sparì e lasciò spazio a un ampio cortile circondato dalla natura e… a un’imponente costruzione.
Era un enorme complesso color ambra. La sua forma circolare era caratterizzata da quattro portali, tutti decorati con statue raffiguranti quattro bestie, simbolo dei punti cardinali. Ma vi erano altri quattro portali a metà strada tra i principali, caratterizzati da dei bassorilievi. All’interno, sorgeva una cittadella in cui gli stili di diverse culture e mondi si combinavano l’uno con l’altro.
Quello era il luogo in cui Angel aveva studiato e appreso quello che sapeva: il luogo dove si diceva si potesse apprendere l’inizio e la fine di tutto, l’Almega Istitute. Ne ricordava fin troppo bene la storia: era nata da un’idea, quella che tutte le razze del Multiverso potessero riunirsi insieme e condividere le loro culture.
Sulle prime, in molti avevano pensato che questo insolito progetto sarebbe stato un fallimento. Eppure, dopo molti anni, la sua realizzazione si era rivelata un successo. Le varie razze appartenenti ad altri mondi - persino Paradiso e Inferno - avevano lentamente aderito a questa folle idea. E la follia era diventata realtà. L’Almega Istitute era nata.
Il rosso fissò il luogo con occhi che erano un misto tra il nostalgico, il felice e il triste. Credeva che non avrebbe mai più rivisto quel posto, e invece ora era lì davanti ai suoi occhi. Era il luogo in cui era diventato quello che era adesso.
Era felice di rivederlo e… anche triste e scoraggiato.
<< Che ti prende? Non sei contento di sapere dove sei? >> gli chiese il suo insegnante.
Il rosso si sfregò gli occhi lucidi. << Lo sono. Ma non credo di meritare di varcare quella soglia. Non dopo tutto quello che è successo. E poi… so bene che ormai questo luogo non esiste più. >>
Il moro lo fissò stupito e poi fece un sospiro. << È vero. Almega non esiste più. È stata cancellata dal multiverso con lo Scisma. Così come è successo a me, a mia moglie e a mio figlio. >>
<< Quindi lei lo sa già. E io sono morto, vero? >>
Ash scosse la testa. << No, figliolo. Non sei morto. Sei solo sospeso nel vuoto a metà tra la vita e morte. Tuttavia… lo sai, no? Quando si è in questa condizione, realtà e sogno diventano una cosa sola. So che sei distrutto dal senso di colpa. Credi davvero che lo Scisma sia colpa tua? >>
<< Non sono riuscito a fermarlo. Ho tentato qualsiasi cosa per convincerli a cambiare idea. Li ho persino combattuti e alla fine … ho perso e il multiverso ne ha pagato le conseguenze, così come tutti i miei compagni. Ed è per questo che sono responsabile di tutto quello che è successo dopo. >>
Il rosso non riuscì a trattenere le lacrime che iniziarono a scendergli copiosamente dagli occhi. Ognuna di esse era carica di rammarico e dolore per le tante vite, mondi e universi che erano spariti quel giorno infausto. Non poteva dimenticare quello che era successo, ne ciò che aveva perso. E quel peso era ancora lì sulle sue spalle.
In tutto questo, Ash lo fissò con occhi calmi finché, con uno scatto gli fu davanti e lo colpì con un pugno.
Angel non se lo aspettava e subì il colpo, finendo col sedere per terra.
<< Scusa. È il modo più efficace che conosco per calmare questi singhiozzi inutili >> commentò il moro << Così come sono inutili tutti questi sensi di colpa che ti affliggono. >>
Angel lo fissò confuso.
<< Indubbiamente hai perso… e sì, è accaduto tutto quello che è successo. Ma non devi certo darti la colpa per una decisione presa da quei folli. Tu hai fatto tutto quello che potevi per convincerli a non commettere un simile gesto ma, ahimè, ci sono eventi contro cui nessuno può opporsi. >>
Il rosso lo fissò senza parole. Poi abbassò la testa con uno sguardo cupo.
<< Eppure, non riesco a non pensare che alla fine sia tutta colpa mia. >>
<< Su questo ho da ridire >> ribattè Ash << Io non ti do la colpa di nulla. Perché mai dovrei farlo? >>
Angel non seppe come rispondergli. Non aveva nemmeno il coraggio di guardarlo negli occhi.
Il moro sospirò << A quanto pare il mio lavoro di mentore continua anche dopo la morte. Su, alzati. È l’ora della lezione extra, e non si accettano rifiuti. >>
Il tono dell’uomo era autoritario. Angel lo conosceva fin troppo bene. Lo aveva sentito così tante volte, mentre gli impartiva una lezione dopo l’altra.
<< Sissignore. >>
Ash annuì soddisfatto. << Eccellente! Ora… vediamo di rimetterti in sesto. >>
Sollevò un dito, e Angel si ritrovò con indosso una camicia di lino bianca abbinata a pantaloni neri e un mantello bianco bordato di azzurro, con un simbolo all’altezza del cuore. Era un ottagono con ricamate le lettere “ΑΩ” con fili color platino.
<< Ora sei più presentabile >> dichiarò Ash, per poi avviarsi verso l’ingresso.
Angel lo vide camminare, ma non riuscì a muoversi. Era come se il suo corpo si fosse improvvisamente bloccato contro la sua volontà.
Il moro si voltò verso di lui. << Ancora non vuoi entrare? >>
<< Vorrei, ma… non riesco a muovermi. Mi sento, come dire, bloccato >> gli rispose il rosso.
Ash lo fissò dubbioso e infine sospirò << A quanto pare ti serve una spinta. Be', è questa la prima lezione. >>
Schioccò le dita e una folata di vento soffiò da dietro il rosso. Era forte abbastanza per far muovere il giovane e a farlo avanzare verso il portale, permettendogli di varcarlo.
Ma quando lo fece, il panorama cambiò. L’Almega era sparito, sostituito da un luogo tetro e avvolto dal buio.
Angel si guardò intorno confuso. Non capiva dove si trovasse. Anzi, no… ora che ci pensava, sapeva che posto era quello.
<< La Terra delle Ombre >> sussurrò.
<< Esatto >> gli rispose Ash, al suo fianco << Perché una lezione inizi come si deve, prima di tutto è necessaria una buona introduzione. >>
Il rosso fissò prima lui, e poi il paesaggio attorno a sé. In tutta la sua vita ci era stato solo una volta, ed era stata proprio sua madre a portarcelo. Affinché vedesse il luogo… da cui tutto era iniziato.
Mentre pensava questo, una figura si fece avanti dall’oscurità. Il rosso si voltò e… dilatò le pupille per l’incredulità. Davanti a lui era apparsa la figura di un uomo dai lunghi e lisci capelli rossi e dagli accesi occhi verdi, praticamente identico a lui. Suo padre.
<< Papà >> sussurrò il giovane,  con tono febbrile.
L’uomo continuò ad avanzare, senza considerarlo. Quasi come se fosse invisibile e, quando gli fu praticamente vicino, lo attraversò come fosse un fantasma.
Angel rimase senza parole e guardò il suo professore.
<< È un ricordo. Noi non possiamo interagire con loro. Possiamo solo osservare >> gli disse il moro << E vale lo stesso anche per me che sono morto. Non ero mica presente nel tuo passato. >>
Angel - ancora scosso - annuì e iniziò a seguire quel ricordo.
Suo padre si chiamava Alan, ed era il primo di ben sei fratelli e sorelle. Discendeva dalla casata dei Nibbio Blu, ben nota nel suo mondo per una caratteristica particolare: da nove generazioni si tramandava il titolo di Calak’ant blu e, considerando la longevità dei soleani, equivaleva a circa 350000 anni di onorato servizio. Suo padre era il nono, sebbene in quel ricordo non avesse ancora ricevuto quel titolo.
L’allora giovane Alan, poco più che ventenne, aveva deciso di intraprendere un viaggio. Voleva mettersi alla prova e capire che cosa fare della sua vita. Ma voleva farlo a modo suo. Senza una meta e seguendo solo il suo istinto, aveva varcato i confini della Terra, finendo in quella parte del pianeta nota come la Terra delle Ombre, impresa che pochi altri prima di lui erano riuscii a compiere.
Durante la sua traversata della foresta, si era trovato davanti a un castello interamente costruito di pietra nera. A custodirlo vi erano creature spettrali né vive né morte, che quando lo videro lo condussero al cospetto della loro regina:
Scáthach.
La diafana figura della donna era avvolta da un’armatura viola con decorazioni dorate all’altezza degli spallacci e borchie dello stesso colore tra gambe e braccia. Sul suo capo poggiava un lungo velo scuro riccamente  ricamato. Finiva con un gioiello rosso all’altezza della fronte, che evidenziava maggiormente il colore degli occhi scarlatti. 
Quando la vide, la prima cosa che Alan pensò era che fosse una donna bellissima ma anche triste e… sofferente. Come apprese da lei stessa, la regina di quelle terre aveva da tempo perso la sua umanità. Suo malgrado, era diventata una dea immortale, legata a quel luogo e incapace di lasciarlo. I suoi occhi potevano vedere il destino di chi aveva davanti e, inevitabilmente, era sempre quello di morte. Un destino cui lei aspirava da più di due millenni, ma che non poteva realizzare. Sapeva che sarebbe sopravvissuta a tutti, rimanendo sola… per sempre.
Per questo aveva deciso di isolarsi dal resto del mondo e non avere più interazioni, così che quella sua sofferenza rimanesse solo sua e di nessun altro.
Angel osservò suo madre in volto. Era completamente diversa dalla donna che aveva conosciuto. Sembrava quasi lo spettro di se stessa, colma di dolore e tristezza. Lei gli aveva raccontato il suo passato, ma non era mai riuscito a immaginarsela in quello stato.
<< Ora puoi farlo >> gli disse Ash, serio << In un certo senso, stai soffrendo proprio come lei. Ti senti schiacciato dai sensi di colpa e dal dolore proprio come tua madre. Eppure, a un certo punto… qualcosa è cambiato. >>
Alan si ritrovò subito impressionato dalla potenza di quella donna. Nascondendo la sua natura, chiese a
Scáthach di allenarlo e di aiutarlo a trovare la sua strada. La strega, seppur riluttante, accettò la sua richiesta con l’unica condizione che lui non rivelasse la sua esistenza al resto del mondo. 
Per mesi, Alan seguì le sue lezioni. Grazie alle abilità della strega che aveva allenato il famoso
Cú Chulainn, apprese molti stili di combattimento. E al contempo, iniziarono ad avvicinarsi.
E fu allora che gli occhi della donna presero ad evitarlo. Temeva che un giorno ne avrebbe intravisto la morte, ma allo stesso tempo non voleva che lui si allontanasse da lei. Dopo tanto tempo passato in quel castello… si sentiva meno sola.
Un giorno Alan decise di parlarle apertamente. Sapeva che così avrebbe sollevato il sottile velo che separava la maestra dal resto del mondo, ma dentro di lui qualcosa di intenso era già in moto da settimae.
Ma prima che potesse conversare con lei,
Scáthach lo congedò dal suo regno, con la scusa che il suo addestramento fosse finalmente concluso. In realtà, lo aveva fatto per il suo stesso bene. Anche lei aveva iniziato a nutrire sentimenti per quel giovane e sapeva che alla lunga lo avrebbe visto morire come tutti coloro che aveva conosciuto. Alan cercò di opporsi, ma le sue proteste finirono con l’essere ignorate.

Scáthach lo osservò dall’alto del torrione del castello. Avrebbe tanto voluto che restasse con lei, ma sapeva anche il destino al quale sarebbe stato condannato… e non poteva sopportarlo.
Tuttavia, il fato decise di giocare uno scherzo in suo favore.
Una pietra del balcone dove si trovava cedette e lei, spinta in avanti, precipitò nel vuoto. Fosse stata una persona normale sarebbe morta… ma lei era immortale, non si sarebbe fatta nulla. Conscia di questo, chiuse gli occhi attendendo il contatto col suolo.
Tuttavia non raggiunse mai il suolo. Sentì delle mani forti prenderla in braccio. Una sorpresa inaspettata. E ancora più inaspettato fu quando aprì gli occhi e scoprì che era stato il suo ormai ex allievo a “salvarla”.
Ma fu la presenza di un paio di grandi ali blu dietro la schiena del giovane a lasciarla senza parole. Era un qualcosa che non aveva mai visto prima di quel momento. E per la prima volta, dopo tanto tempo… rimase sbalordita, non solo dalle nuove apparenze del rosso, ma anche da quello che vide nei suoi occhi: infinito. Un ciclo ininterrotto di vita. Qualcosa che non aveva mai visto in un mortale, e nemmeno in un semidio.
A seguito di questa visione, chiese al rosso chi fosse in realtà, una domanda semplice che non aveva mai posto a nessuno. Perché credeva di essere in grado di capirlo da sola. Ma ora non lo credeva più.
“Qualcuno che desidera vedere il tuo volto illuminato da un sorriso” le rispose Alan.
Passò ore a raccontarle la storia del suo popolo. Una storia che lasciò l’imperturbabile regina senza parole.Per un attimo,
Scáthach si sentì come se si fosse  appena svegliata da un lungo sogno. O forse era il contrario? Non riusciva a comprenderlo.
Dopo il racconto, gli chiese solo un’altra cosa: di portarla via da quel luogo con le sue ali. Alan non se lo fece ripetere due volte e, assunte, le sue vere sembianze - quelle di un uomo rapace - la prese con sé e la portò via da dalla Terra delle Ombre.
Quel mondo si oppose. Cercò di trattenerli lì.
E ci sarebbe anche riuscito, se una forza più antica - nata dalla Volontà stessa del suo mondo - non fosse giunta in soccorso di Alan, rendendolo così il nuovo Calak’ant blu. Forte di questa nuova protezione, il soleano ebbe la meglio sulla foresta e liberò 
Scáthach dalla sua prigionia.
La donna si trovò davanti a un mondo nuovo. Qualcosa che nemmeno nei suoi sogni più nascosti avrebbe mai potuto immaginare. E quel mondo si chiamava libertà. E a donargliela, era stato un angelo. Alan, il suo angelo dalle ali blu.
Fu proprio quel pensiero che fece apparire sul volto della donna un sorriso sereno, il primo da innumerevoli secoli.
Quello che seguì fu la nascita del loro amore. E il frutto di quell’unione… fu l’arrivo di Angel.
Il ragazzo si ritrovò nel cortile interno dell’istituto, a molta distanza dall’ingresso. Come aveva fatto a percorrere quel tratto senza rendersene conto?
<< Sei semplicemente entrato dentro e hai continuato a camminare >> gli disse il suo maestro, rispondendo alla domanda inespressa con tono irriverente.
Angel lo guardò scioccato.
Ash sorrise. << Ora è il momento di cominciare la lezione vera e propria. Ma prima dimmi, che cos’hai appreso da questa piccola esperienza? >>
Angel lo osservò ancora, poi abbassò lo sguardo con aria riflessiva. << Che tutto quello che è successo alla mia famiglia, dal giorno in cui i miei genitori si sono incontrati… è avvenuto a causa della scelta dei miei genitori di continuare a lottare. >>
Ash annuì. << Esatto. E TU, ragazzo mio… sei proprio il risultato di quella scelta. >>
<< E a cosa sono servito? >> chiese il rosso, con occhi tristi << Sono stato davvero all’altezza dei miei genitori? >>
<< Tu credi di no? >> gli chiese Ash,
Il rosso non seppe che cosa rispondere.
Il suo maestro sospirò. << A quanto pare, hai pure dimenticato chi sei. E temo che questa volta il Maestro non c'entri. Dimmi un po’… che fine ha fatto quel bel cappello di paglia che non volevi mai togliere? >> gli chiese.
Angel dilatò le pupille. Il suo cappello. Era vero, non lo aveva più con se. Anzi… lo aveva, ma non lo indossava più. Come avrebbe potuto farlo, in simili circostanze?
<< Ricordi quando lo indossasti la prima volta? E soprattutto… che cosa dicesti di voler diventare? >> gli chiese Ash.
Angel abbassò lo sguardo. Come poteva dimenticarlo? Ricevette un altro pugno in testa dal suo maestro.
<< Ti ho fatto una domanda. Lo sai che non è educato non rispondere >> lo riprese il moro con occhi affilati.
<< Chiedo scusa >> sussurrò il rosso, tenendosi la testa dolorante << Non potrei mai dimenticarlo. >>
Ash lo scrutò duramente. << Allora dillo. Qui e ora, senza testimoni. Senza la paura di essere giudicato. >>
Angel esitò a rispondere. << Era… era solo un sogno >> disse con un tono di voce molto più cupo.
Ash scosse nuovamente la testa. << Era molto di più, ragazzo mio. Ma sembra che tu abbia bisogno di un piccolo aiuto. >>
Si voltò e si diresse verso il portone dell’istituto, seguito dall’allievo.
Angel si ritrovò davanti una scena ben nota. La scena della spiaggia con i suoi genitori, quando era piccolo. L’aveva sognata così tante di quelle volte che ormai la ricordava praticamente a memoria. Ma sapeva anche.... che non era quella vera. Questo perché la prigione creata dal Maestro la riteneva folle, se non impossibile persino per un sogno. E anche molto pericolosa.
Il motivo? Perché si era tenuta in un luogo che andava contro la logica di quel mondo e vi erano presenti individui la cui presenza costituiva un rischio per l’illusione chiamata Battleground. Ma che cosa mostrava?
La famiglia di Angel, costituita non solo da lui e dai suoi genitori, ma anche dai suoi nonni paterni e dagli zii a bordo di una nave pirata. Ma non era una nave pirata come le altre. Era un brigantino dalle rifiniture singolari, come mai se ne erano viste in tutta Battleground. Il suo nome era Thousand Sunny.
Era un brigantino costruito con il legno del leggendario "Albero tesoro", una gigantesca pianta in grado di resistere a numerose guerre e conflitti.
Aveva un giardino sul ponte, con tanto di scivolo e altalena, e una torre d'osservazione come coffa sull'albero di trinchetto. Ai due alberi erano attaccate grandi vele. La polena era in foggia di testa di leone con una criniera che assomigliava molto ai raggi solari o ai petali di un fiore. La ruota del timone della Thousand Sunny era situata sulla prua della nave. Su di essa vi era un dispositivo che controllava il Soldier Dock System: girando la manopola si poteva scegliere quale compartimento doveva essere aperto sul fianco dell’imbarcazone; tirando poi la leva situata a destra della ruota del timone si apriva il suddetto scomparto. Le ancore erano posizionate a destra e a sinistra della prua e somigliavano alle zampe di un leone. All’interno era divisa in vari livelli usati per l’abitazione, il relax e molto altro ancora. Era stata costruita per perseguire un ambizioso obiettivo: poter solcare indenne tutti i mari del mondo, sopravvivendo alle loro insidie.
L’equipaggio poi... era ancora più singolare della nave. In totale era costituito da una decina di membri tutti appartenenti a luoghi diversi ma uniti da un obiettivo comune: spingersi verso il limite estremo di quel mondo e trovare il leggendario One Piece, un tesoro appartenuto all’ultimo Re dei Pirati.
Il capitano di questa ciurma si chiamava Monkey D. Luffy. Era un ragazzo poco più che ventenne dotato di una grande vitalità e desiderio di libertà, nonché di una spericolatezza e imprevedibilità che lo rendevano unico nel suo genere. Un altro tratto distintivo era il buffo cappello di paglia che teneva sempre sulla testa. Era rotondo, adornato da una striscia rossa e una cordicella lungo i bordi. A detta sua era il simbolo di una promessa che aveva fatto a se stesso e a un amico, e proprio per questo lo considerava il suo tesoro più prezioso, insieme ai compagni che lo seguivano in questa fantomatica impresa.
Il resto della ciurma era composto da individui altrettanto bizzarri: Zoro, uno spadaccino dai corti capelli verdi armato di ben tre spade; Sanji, un cuoco biondo dalle sopracciglia a ricciolo amante delle belle donne e specializzato nel combattimento dei calci; Usopp, un cecchino dal lungo naso e dal coraggio altalenante; Chopper, una renna umanoide dal naso blu che era anche un abile medico; Franky, un cyborg autoassemblato e costruttore della Sunny; Brook, un musicista non morto e completamente tutto ossa ma munito di una capigliatura afro; Nami, una bella navigatrice amante dei mandarini e dei soldi. E infine Nico Robin, un’altrettanto bella archeologa dallo sguardo magnetico.
Ognuno di loro era reduce di storie incredibili – impossibili da riassumere in poche righe
 – nonché un animo che li rendevano diversi dai classici pirati descritti nelle storie, e un modo di vivere che nessuno poteva eguagliare.
E un giorno avevano finito con l’incappare nel nonno di Angel, giunto sulla terra per conoscere la nuova famiglia di suoi figlio, il padre del rosso. La loro nave si era incagliata nei pressi dell’isola su cui Alan aveva scelto di stabilirsi, e fu proprio l’intervento del soleano a salvare l’imbarcazione. Questi li aveva presi subito in simpatia e aveva offerto loro la possibilità di cenare con lui prima di riprendere il largo e di conoscere il resto dei suoi parenti.
Da lì in poi, i rapporti tra la famiglia Hikaru e la ciurma si erano fatti sempre più stretti e amichevoli, e il gruppo di pirati non aveva mai perso l’occasione di venirli a visitare.
Di suo nonno, Angel ne conservava un vago ricordo, più che altro perché lo aveva visto poche volte. Sapeva che era stato il precedente Calak’ant blu e lo era stato per quasi cinque millenni in cui aveva compiuto gesta di cui pochi altri potevano vantarsi. A pensarci ora... il rosso era convinto che Vorkye stesso non avrebbe retto un secondo contro il nonno.
Ma ciò non era importante. Quel ricordo era legato a qualcos’altro. E il rosso lo ricordava. Lo poteva definire come uno dei momenti chiave che lo avevano reso quello che era ora.
Su quella nave, per la prima volta nella sua giovane vita, il giovane era stato colto da un dubbio, ossia che cosa diventare. Era stato qualcosa di così forte da fargli perdere l’entusiasmo della giornata ed era avvenuto tutto in un istante. Da cosa era nato non lo sapeva nemmeno lui, ricordava solo che in quel momento serio e triste come mai prima d’ora.
Quando espresse questa sua perplessità agli adulti, questi gli dissero che aveva una vita intera per deciderlo e che doveva fare esperienze per capirlo. Ma queste parole non furono sufficienti per il bimbo. Erano troppo vaghe e gli fecero sorgere sempre più domande che la sua giovane mente non riusciva ancora ad elaborare.
Ma a dargli la risposta che voleva ci pensò Luffy, quello che considerava al pari di un fratello maggiore e quasi un modello. E non lo fece con le parole…bensì con i fatti.
Gli mise il suo cappello di paglia in testa, se lo caricò in spalla e, sfruttando i poteri legati a un frutto magico di quel mondo, allungò le braccia e partì come un razzo verso il cielo ricevendo un: << Ma sei impazzito?! >> da tutti i presenti, preoccupati più per il piccolo Angel che per lui.
Il piccolo rosso ebbe così il suo primo battesimo del cielo. La sensazione della forte pressione dell’aria, il fischio del vento nelle orecchie, la difficoltà a tenere gli occhi aperti e l’attrito con la sua pelle furono a dir poco inebrianti.
Quando poi si affievolirono, permettendogli di tornare a vedere, quel dubbio che lo aveva colto... sparì, esattamente com’era apparso. Questo perché era stato colmato.
Intorno a lui, illuminato da sole, vi erano il cielo e il mare e oltre di essi... l’immensità. I suoi occhi guardarono tutto ciò che aveva di fronte, ma non riuscirono ad estendersi oltre l’orizzonte. Che cosa vi era oltre quella linea sottile? Che misteri e popoli potevano esserci al di là di quel mondo? La risposta non tardò a farsi sentire: un’avventura. Una promessa di libertà. Una parola pericolosa per il regime del Maestro e così forte da mettere a rischio l’intero sistema che lui aveva creato.
E fu allora che, per la prima volta, la sua mente fu attraversata da visioni legate a chi aveva tenuto il cappello. La visione durò poco, ma fu così intensa da imprimersi nell’animo del piccolo.
Quando poi il rosso fu recuperato dai suoi, notarono tutti che il sorriso era tornato sul suo viso, poiché aveva finalmente trovato il suo obiettivo: essere libero e andare alla ricerca di una grande avventura. Parole un po’ ingenue, ma che per i presenti su quella nave accolsero con gioia.
E lì avvenne un altro grande momento. Davanti a tutti loro, il giovane rosso ricevette il capello paglia del capitano di quella ciurma. Un vero e proprio passaggio di testimone che nessuno si sarebbe mai aspettato. Ma dato che serviva ancora al giovane capitano, il nonno di Angel decise di crearne un’altro a partire da uno stelo dell’originale. Nacque così il cappello di Angel, la sua promessa, il suo vincolo. Il suo più grande tesoro.
La visione si allontanò ed Angel si ritrovò nell’atrio della scuola.
Quel ricordo... lo aveva scosso. C’era qualcosa che aveva dimenticato di esso: la promessa che aveva fatto quel giorno. La sua prima e più importante promessa…e lui ne era venuto meno.
Si guardò tristemente le mani. << Non sono riuscito a mantenerla... >> 
<< È presto per dirlo, ragazzo mio >> ribatté Ash << Fino a quando c’è vita… c’è speranza. E tu hai entrambe le cose. Devi solo ricominciare a lottare per ciò in cui credevi. >>
<< Ma non so come >> sussurrò l’altro, abbassando lo sguardo.
Fu in quel momento… che qualcosa scattò in lui. Una reazione quasi improvvisa che lo fece mettere in guardia. Sollevando appena la mano destra, bloccò il pugno che stava per colpirlo in pieno volto.
Lo fece istintivamente, senza nemmeno pensarci. Fu come respirare.
Ash lo guardò soddisfatto. << Ecco come: reagendo >>
Il rosso lo fissò, quasi senza parole. Era riuscito a intercettarlo, anche se prima non ci aveva fatto nemmeno fatto caso. Ma come?
<< Ti poni troppe domande, ragazzo mio. Non servono. Bloccano solo la mente, rallentano il corpo e lo rendendono pesante, limitando ogni tua azione. È giusto avere dubbi, ma non bisogna mai averne troppi, o si rischia di venirne schiacciati. Ti ricordi queste parole? >>
Angel abbassò lo sguardo per un attimo e poi annuì. << Le ho dette io.... molto tempo fa a Najimi, quando la incontrai per la prima volta. >>
Ash annuì con un sorriso. << Il giorno in cui scelse di donarti Blue. >>
<< Fu poco prima che mi iscrivessi a questo istituto >> commentò il rosso ricordando il sogno che aveva fatto prima di partire col Dottore per la missione.
 In quell’occasione discusse con la ragazza per quasi un’ora. Ciò che si dissero non fu niente di particolare. Parlarono del più e del meno, qualcosa che Najimi non era più abituata a fare. E come darle torto, considerando il ruolo che le avevano dato i suoi creatori?
L’incontro tra lei e il rosso era avvenuto per puro caso, durante una delle innumerevoli passeggiate dell’entità per il Multiverso. Chissà cosa sarebbe successo, se i due non avessero mai incrociato i rispettivi cammini, se Najimi non avesse cominciato a sviluppare un sentimento d’affetto per le creature che era stata incaricata di salvaguardare, e che fino a quel momento aveva sempre osservato con cupo distacco.
Sicuramente, molti degli avvenimenti più significatici che accaddero dopo quel fatidico incontro non avrebbero avuto luogo. Era stato proprio Angel a stimolarla a conversare con lui, dopo averla vista passeggiare con aria malinconica vicino a casa sua. A spingerla a dire tutto quello che le venisse in mente, senza preoccuparsi della possibilità che avrebbe utilizzato quelle informazioni per tramare contro di lei, come molti altri avevano già fatto in passato. E furono proprio la personalità pura e irriverente del rosso che spinsero l’entità a dargli Blue, rendendolo un Guardiano del Multiverso.
Mentre pensava questo, seguì il suo insegnante per i corridoi dell’istituto. Ogni passo li dentro gli riportò alla mente le varie persone che aveva incontrato in quella strana accademia. Erano tanti gli amici che si era fatto in quel luogo. Alcune erano state molto più che semplici amicizie: veri e propri legami che non avrebbe mai potuto dimenticare.
<< Legami… già >> borbottò il giovane.
Nel ricordare i volti di quei suoi amici perduti, gli occhi iniziarono a velarsi di lacrime.
<< Non pensare con dolore a quei legami. Non li hai persi. Sono sempre con te >> gli disse Ash come se gli avesse letto nella mente.
<< Ma fanno male >> protestò Angel << Più passa il tempo, più quei sogni che avresti voluto realizzare si fanno sbiaditi e a nulla serve stringerli tra le mani. Una volta divenuti cenere… non si possono più realizzare. >>
Ash lo fissò in silenzio, poi riprese a camminare. << Non sono ancora diventati cenere, ragazzo mio. Non fino a quando hai ancora la forza di alzarti. E per averla devi ricordare ciò per cui ti batti. >>
<< E per cosa mi sto battendo? >> chiese il rosso, dubbioso.
Il moro lo fissò con la coda dell’occhio. << Questo dovresti saperlo bene. Ma dimmi: qual è il legame che ti ha sempre spinto ad andare avanti? >>
Angel ci pensò per qualche istante e il volto di una ragazza si fece sempre più vivido nella sua mente. << Mato. >>
Ash annuì. << Fu la prima persona capace di rubarti il cuore. Rammenti ancora il vostro primo incontro? Eravate piuttosto adorabili. >>
Nel ricordarlo, Angel sorrise nostalgico. Al contempo, partì un’altra visione
Era l’inizio dell’estate. Il secondo anno alla Almega stava per concludersi. Per Angel gli studi non erano un gran problema. Aveva lavorato a sufficienza, quindi aveva deciso di prendere un po’ d’aria.
Era seduto nel giardino dell’edificio, completamente solo. O meglio.... era in compagnia di Blue. Ma la sua presenza spesso spaventava gli altri ragazzi, che quindi lo evitavano. E dato che non sapeva ancora evocarlo a piacimento, la sua manifestazione era piuttosto difficile da controllare.
Quel giorno, tuttavia, il fato fece muovere i suoi ingranaggi in favore del rosso. Una dolce canzone si levò non molto lontano da lui e Angel non riuscì a resistere alla tentazione di trovarne la fonte.
Fu allora che conobbe Mato Kuroi, quella che sarebbe diventata la ragazza della sua vita.
Il loro incontro fu all’inizio un po’ imbarazzante per via di Blue. Quando la ragazza lo vide fece un’espressione incredula... sostituita subito dopo da una sognante ed esuberante. A quanto pare, era una grande fan dei draghi, e pure Angel finì con l’incuriosirla con il proseguire della loro conversazione.
La loro amicizia venne cimentata nel momento in cui il rosso le lasciò provare il suo cappello, solo per vederle come le sarebbe stato. E fu proprio quel gesto ad unirli in quel legame che sarebbe poi sfociato in vero amore.
Da allora la vita di entrambi cambiò. Insieme vissero avventure di ogni genere per il Multiverso, conoscendo quelli che poi sarebbero diventati dei preziosi compagni.
Il battagliero Vali Lucifer, discendente del primo re demone del suo mondo, e detentore del potere del drago Albion; l’imprevedibile Bikou, nipote del mitico guerriero Sun Wukong dalla genuina allegria e dalla l’incredibile foga battagliera e compagni di squadra di Vali; l’attraente e letale Nekomata – una razza di metà umani e metà gatti - Kuroka, maestra delle arti demoniache ed eremitiche e dal carattere sbarazzino, compagna di Vali; i fratelli Arthur e Le Fay Pendragon, eredi dell’antico re della mitica Camelot; il demone del freddo Ice, un umanoide appartenete a una razza di conquistatori intergalattici, ma considerato la pecora nera della famiglia a causa della sua mentalità pacifista; Jasmine Sandtimes, ultima discendenti di un antico clan di stregoni capaci di manipolare il tempo grazie all’uso di artefatti mistici, e quindi chiamati impropriamente Signori del Tempo, sebbene non appartenessero alla stessa razza del Dottore e del Maestro. La ragazza era stata maledetta dal vampirismo, eppure era capace di sopravvivere alla luce del sole; Petra Kirsgley, una ragazza proveniente anch’ella da una Terra alternativa e reincarnazione di un’antica divinità dragonica; Ali Shadi, giovane sultano di un altro mondo e detentore dello spirito di Red la Fenice, antica compagna di Blue; Goemon, un monaco Shaolin dal mondo degli eremiti e detentore di Kuro la tartaruga nera, altro antico compagno di Blue; Kah Hitodama, aliena dal carattere focoso e detentrice di Flama, la tigre bianca; Maya Sphere, una giovane donna dal cuore incredibilmente puro e dall’animo combattivo; Tivan, un essere cosmico dall’età incalcolabile che si era addossato il ruolo di guida del gruppo.
Erano questi i membri principali del vecchio gruppo a cui apparteneva il rosso. Col tempo se ne erano aggiunti anche altri, ma sempre in maniera sartuaria.
In loro compagnia, Angel aveva vissuto le avventure più disparate, visitato numerosi mondi, conosciuto gente di ogni sorta, affrontato potenti nemici... anche allo Scisma.
Angel ricordava fin troppo bene quel giorno. Era iniziato come tanti altri, e si era concluso in tragedia.
Lui da poco diventato Calak’ant, era stato chiamato insieme a tutti i suoi compagni al cospetto delle entità creatrici, il cui nome non osava neanche pensare... insieme alla fantomatica chiave da loro creata, Najimi Ajimu. Fu detto loro che il ruolo di questa realtà era ormai giunto al termine, e per quanti argomenti avrebbero sollevato… la sorte del multiverso era stata decisa.
A nulla servirono i tentativi dei Guardiani di evitare la catastrofe. Le entità non vollero sentire ragioni.
Compreso che ormai il tempo delle parole era finito, i Calak’ants scelsero di ricorrere alle maniere forti. Ognuno di loro aveva un motivo per continuare a vivere… e qualcuno da cui tornare. Non avrebbero mai accettato un genocidio di massa di tale portata.
Combatterono con tutte le loro forze ma non servì a nulla. Alla fine, ognuno di loro cadde sotto i colpo delle entità.
Ed Angel... era tutto ciò che restava di loro. Per qualche strana ragione, lui era sopravvissuto.
La visione si concluse nuovamente. Il giovane si ritrovò seduto su una sedia foderata di lana verde. Davanti a lui vi era Ash, che lo osservava con uno sguardo serio.
<< Comprendo la tua sofferenza, figliolo… ma non puoi lasciarti abbattere in questo modo. >>
Angel abbassò lo sguardo. Il suo volto era cupo e gli occhi erano prossimi al pianto.
<< E perché non dovrei professore? >> chiese con voce strozzata << Ho assistito alla fine di tutto, alla morte di tutto ciò che avevo a cuore e di tutti coloro che amavo… e non ho potuto fare nulla per proteggerli. >>
Dai suoi occhi iniziarono a scendere le prime lacrime.
<< Ora che ho recuperato la memoria.... vorrei non averlo fatto. Ho troppi ricordi... troppe emozioni... troppi pesi addosso. E più passa il tempo... più diventano pesanti. >>
Ash lo lasciò piangere in silenzio. Capiva ciò che provava. Il peso che si portava addosso era enorme.
<< Capisco come ti senti, dico davvero. Credimi, ho incontrato tanti ragazzi con il tuo stesso problema, più di quanti avrei voluto. Potrei farti la paternale e rifilarti il solito discorso motivazionale da quattro soldi, ma sai che non sono quel tipo di persona. Invece… proverò a tirarti su di morale! >>
Nel sentire quelle parole, Angel cominciò a calmarsi. Era più per la confusione che per effettiva curiosità.
<< Come?>>
Il moro si alzò di scatto. << Ridandoti la volontà che hai perso. Sei il Calak’ant blu, simbolo della volontà no? Hai dimenticato che cosa vuol dire indossare quel ciondolo? >>
Angel fissò il ciondolo che teneva appeso al collo. Aveva una luce fioca e la sua forma... era irregolare.
Mentre si asciugava le ultime lacrime, il giovane ricordò quanto fosse stato felice di indossarlo la prima volta. Non era sua intenzione succedere al padre... lui avrebbe voluto prendere un’altra strada. Eppure, anche così, era stato scelto dal ciondolo blu, diventandone il nuovo proprietario. Ma ora... che senso aveva che la sua esistenza? Soprattutto... dopo lo Scisma?
<< Perché è ancora qui? >> sussurrò più a se stesso che al suo insegnante.
<< Ecco... questa è un’ottima domanda. Col multiverso scomparso è venuto meno il compito che avevate avuto voi Calak’ant... perché uno dei dieci ciondoli è ancora qui? >> gli chiese il suo maestro.
Il rosso abbassò lo sguardo per riflettere. << Io… non lo so. >>
<< Allora ha il tuo primo compito per la settimana >> ribattè l’altro, con una scrollata di spalle.
Al contempo, il mondo onirico attorno a loro cominciò a crollare, e una luce accecante iniziò a farsi strada oltre una parete fatta di mero pensiero.
<< Sembra che il nostro tempo assieme sia giunto al termine >> commentò Ash, per poi volgere un ultimo sorriso in direzione del suo allievo << Ma non preoccuparti, ragazzo mio. Ci rivedremo, puoi starne certo! >>
Angel tentò di protestare, ma si ritrovò incapace di proferire parola. Venne avvolto dal bagliore e sentì una forza sconosciuta che lo tirava indietro.
<< E quando succederà…spero che avrai trovato le risposte che cerchi! >>
                                                                                     


Il Dottore continuò ad osservare il punto in cui il giovane era sprofondato, chiedendosi se la sua idea si sarebbe rivelata produttiva. Ora, accanto a lui avevano preso posto Thor e i due team di Cacciatori, internamente preoccupati per le condizioni del loro compagno di squadra.
Due minuti erano passati, ma il soleano si limitò a galleggiare immobile sulla superficie del laghetto.
Il Signore del Tempo sospirò. A quanto pare, aveva fatto un errore. Stava per ordinare a Thor di andare a riprenderlo… quando notò qualcosa di singolare persino per i suoi standard.
La superficie del lago iniziò ad agitarsi, l’intero luogo sembrava quasi essere in fermento. Notò l’erba crescere più rapidamente, le foglie degli alberi fiorire più verdi che mai e poi il cielo si fece più acceso. Persino il Miolnjr aveva iniziato a reagire in maniera strana contro la volontà del suo padrone.
Il leader della Resistenza tornò a fissare la superficie acquatica, questa volta con un sorriso comprensivo << Avanti, Angel… alzati e cammina. >>
L’acqua si sollevò di colpo generando una colonna che s’innalzò alta verso il cielo. Tutti dovettero proteggersi per evitare di essere investiti dagli schizzi, fatta eccezione per Thor, il quale rimase immobile ad osservare lo spettacolo, consapevole che il loro alleato era risorto dall’abisso in cui era sprofondato.
Pochi secondi dopo, la figura di Angel si materializzò al centro del lago, sostenuta da una coppia di enormi ali draconiche.
Il rosso sollevò lo sguardo verso i componenti dei Time Warriors, facendo loro un cenno.
<< Bentornato, Angel. Stavo iniziando a preoccuparmi >> commentò il Dottore.
Il rosso gli offrì un piccolo sorriso. << La prossima volta vedrò di farmi pestare un po’ meno. >>
Mentre l’adolescente volava fino a riva, Thor gli lanciò una rapida occhiata da capo a piedi.
<< Noto con piacere che sei guarito da ogni infortunio, giovane compagno. Sei pronto a tornare a combattere? >> gli chiese ilTonante con voce fremente.
<< Lo sono, figlio di Odino. Ma prima, se mi è consentito, suggerisco di fermarci per prepararci a dovere per la prossima battaglia >> disse Angel rivolgendosi al Dottore.
Il Signore del Tempo batté le mani. << Dico che sono d’accordo. Mi ci vorrò un po’ per setacciare i dati raccolti trovare le coordinate del Tardis, e penso che molti di voi abbiano bisogno di una buona dose di riposo. Quindi ci fermeremo qui per un giorno e ci prepareremo per il prossimo passo. Qualche obiezione? >>
Nessuno ebbe nulla da ridire.
 << Allora faremo così >> disse soddisfatto, mentre la sua mente vagava a uno dei membri della squadra che non era presente.
Con un sospiro interno, decise che avrebbe fatto visita ad un certo arciere.

                                                                                                                                      * * *
 
Nella sua cabina personale, Royal Noir, o meglio, Baelfire nel fidato costume senza maschera né cappuccio calato, stava steso a dormire nel suo letto in una posizione sregolata, detta “a stella di mare”, indice del suo tormento interiore. Di fianco a lui, Rowlet il barbagianni riposava profondamente sul proprio trespolo personale, molto più serenamente addormentato del proprio padroncino.
La stanchezza mentale dovuta al trauma, paradossalmente, avevano garantito al giovane il sonno immediato quando si era semplicemente sdraiato supino, senza cambiarsi né infilarsi sotto le coperte. Aveva temuto di non riuscire a prendere sonno, ma forse sarebbe stato molto meglio il contrario...
 
Era ritto in piedi, immerso nell’oscurità più totale, con addosso un’irrazionale opprimente sensazione di angoscia e ansia.
Subito creò una sfera di luce nei palmi e la spedì a levitare qualche metro sopra la testa, per illuminare il tutto e così discernere dove si trovava: sembrava di essere letteralmente nel nulla, vagamente poteva distinguere attorno a sé un lungo corridoio il cui proseguimento sprofondava nel buio e le cui pareti parzialmente rischiarate dalla luce proiettavano ombre inquietanti.
Si guardò intorno spaesato, timoroso e incerto su come agire, il respiro ansimante per via della sensazione di alienazione che provava. Non importava come, voleva assolutamente uscire da lì ad ogni costo, o sentiva che avrebbe potuto soffocare.
Fu allora che qualcosa gli mozzò definitivamente il fiato in gola per la paura e lo inchiodò sul posto.
Il suono di un respiro continuo, basso e sibilante come emesso attraverso il metallo, echeggiò intorno a lui, ma soprattutto alle sue spalle. Rimase per qualche istante immobile, i pugni serrati e i brividi che lo attraversavano da capo a piedi, seccandogli in gola la saliva. Poi, lentamente, si voltò a guardare dietro di sé.
L’infernale respiro suonava. Vicino. Sempre più vicino. L’oscurità davanti lui avvolgeva tutto, finché non venne squarciata da un guizzo rosso che andò a comporre i lineamenti di una lama laser, la cui luce... illuminò i lineamenti di Darth Vader.
Fire sobbalzò all’indietro, mentre  l’Oscuro Signore dei Sith avanzava inesorabile.
<< Vieni con me… >> gli sussurrò, il palmo della mano libera teso e la punta del laser che sfregava contro la parete oscura, sprigionando scintille rosse << figlio mio. >>
L’adolescente era paralizzato dall’orrore e dal terrore più puri, ma quando la mano guantata di Vader si protese arrivando a sfiorargli il volto tremante, cercando di trascinarlo a sé in un abbraccio confortevole e rassicurante, qualcosa lo fece scattare.
<< NO! >> gridò, spingendolo violentemente via, mentre la sfera di luce sopra la sua testa si trasformava in una serie di dardi che sfrecciarono contro il Sith per colpirlo: quest’ultimo retrocesse e alzò la lama per deviare i colpi.
Ne approfittò immediatamente per correre via infilandosi nel nero corridoio, con in mente il solo scopo di allontanarsi il più possibile, ma all’improvviso il Sith gli si materializzò di fronte, completamente dal nulla, vicino abbastanza da agguantargli la gola e sollevarlo da terra: Fire boccheggiò terrorizzato, serrando le dita attorno a quelle guantate dell’uomo, le cui lenti del casco gli restituivano il riflesso del proprio volto deformato dai rantolii e dagli occhi sgranati, illuminato dalla spada laser.
<< Osi disobbedire a tuo padre!? >> tuonò Vader << Tu sei mio. >>
<< No… TU NON SEI MIO PADRE! Non lo sei! >> strillò Fire, divincolandosi animatamente << Non verrò mai con te! Lasciami andare! >>
<< TU – SEI – MIO! >>
Quella frase gli rimbombò nella testa, amplificata, baritonale, tanto da stordirlo. Il Sith pose fine ai suoi tentativi di dimenarsi stringendo la presa più forte tanto da piegargli la testa all’indietro, strappandogli un sonoro gemito.
Poi, sotto i suoi occhi orripilati, mutò forma, ingigantendosi a dismisura, lasciando il posto ad un Darth Vader alto trenta metri, grande al punto che il giovane si ritrovò completamente avvolto dalle dita del suo gigantesco pugno, ad osservare scioccato l’enorme casco torreggiante sopra di lui.
<< Non puoi scappare da me. Dovunque andrai, io – ti avrò – sempre – in pugno! >>
Fire urlò con tutto il fiato che poteva accumulare in gola e cercò invano di divincolarsi prendendo a pugni le gigantesche dita sotto di sé, ma la stretta si fece forte al punto da stritolarlo, facendogli scricchiolare le ossa.
<< No… NOOOOOOOOOOOOOOOOOOOOOO! >>
 
 
<< Padron Fire! PADRON FIRE! Svegliati, ti prego! Padron Fire! >>
Il ragazzo cacciò un urlo e spalancò gli occhi, scattando seduto solo per ritrovarsi in un bagno di brividi e sudore. Rowlet bubolò, preoccupato, svolazzandogli immediatamente sulla spalla
<< Padron Fire! Stai bene!? >>
<< Sto bene… >> ansimò in automatico, senza nemmeno riflettere mentre parlava, prendendo il volatile fra le mani e poggiandolo sul cuscino << Sto bene… >>
<< No, non è vero! Padron Fire urlava e si scuoteva nel sonno, ha svegliato Rowlet e così l’ha visto, l’ha sentito! >>
<< Era solo un sogno, Rowlet. Torna a dormire… >>
<< Che succede qui? >>
Lo sguardo negli occhi di Fire si fece all’improvviso vitreo, mentre si girava in direzione di quella voce. Non aveva udito la porta aprirsi, era stato troppo preso dal proprio risveglio angosciante.
Il Dottore era entrato nella stanza e li aveva raggiunti. Con il volto chiuso in un cipiglio preoccupato, si fermò proprio accanto al letto. 
<< Ragazzino… ti senti bene? >>
La reazione conseguente fu talmente repentina che nessuno di loro tre fu davvero in grado di prevederla: Fire si alzò dal letto con un balzo, agguantò il colletto del Signore del Tempo e lo sbatté con forza contro la parete.
<< Ti sembra >> sibilò fra i denti << che IO STIA BENE!? >>
<< Padron Fire! >> strillò Rowlet, scandalizzato, scattando a stringergli i polsi con gli artigli << Che fai!? Lascia-…! >>
<< CHIUDI – QUELLA – FOGNA! LEVATI – DI – DOSSO! >>
Il barbagianni stridette e svolazzò all’indietro per lo spavento. Non aveva mai visto il padroncino così furioso: le fiamme dei suoi occhi dardeggiavano letteralmente, il respiro era un ringhio e ogni muscolo del suo corpo vibrava di collera.
Il Dottore rimase in silenzio, il viso completamente neutrale, con gli occhi fissi in quelli del ragazzo. Poi, dopo quello che sembrò un tempo interminabile, rilasciò un sospiro quasi rassegnato.
<< No, certo che non stai bene >> borbottò più a se stesso che all’arciere << In questo caso… lascia che ti ponga una domanda più pertinente: cosa posso fare per aiutare? >>
<< NON FARE IL CAZZO DI BUON SAMARITANO, STUPIDO IDIOTA! TU LO SAPEVI! >> tuonò Fire << SEI UN FOTTUTO SIGNORE DEL TEMPO! SAI PIÙ COSE DI TUTTI NOI MESSI INSIEME! SAPEVI ANCHE QUESTO! PERCHÉ NON ME L’HAI DETTO!? >>
<< Perché non ti ho detto cosa? Che tuo padre è uno psicopatico al servizio del più grande carnefice che l’universo abbia mai visto? Che ha massacrato intere famiglie senza esitazione? Che non esiterebbe a fare lo stesso con chiunque ti stia a cuore, se ciò significasse farti passare dalla sua parte? Ma certo, sono stato una persona orribile! Come ho potuto nasconderti una cosa del genere e dormire la notte? >>
<< Non ti azzardare a comportarti come se te ne importasse qualcosa di me! Mi hai mentito! DOVEVI DIRMELO! DOVEVO SAPERE! Hai idea di COME MI SIA SENTITO!? >>
Il Dottore tirò un lungo sospiro. << Siete tutti uguali, voi ragazzini urlanti. Guardatemi, sono ferito! Vi prego, compatitemi! Mai che incontri una specie decente, sapete solo piangere e frignare. Sì, ti ho tenuto nascosto delle cose, sì, l’ho fatto per proteggerti, sì, ho tradito tutta la fiducia che avevi nei miei confronti! Hai tutto il diritto di essere arrabbiato con me… >>
Gli poggiò entrambe le mani sulle spalle con una delicatezza disarmante. 
<< Ma non ti azzardare mai, e dico MAI… a pensare che non m’importi di te. >>
Fire sentì il labbro tremare, mentre un nodo opprimente gli stringeva la gola. Fu attraversato da un fremito e poi da un sussulto derivante da un singhiozzo improvviso. Lasciò il colletto dell’uomo con una scrollata e indietreggiò, stringendo i pugni con forza e sbattendo violentemente le palpebre.
<< Padron Fire, non trattenerti dal piangere >> intervenne Rowlet, accorato, appollaiandosi loro vicino << Piangere fa bene… >>
<< Non sto piangendo! >>
<< E io non ho mai incontrato la regina Elisabetta >> ribatté il Dottore, noncurante << Sfogati pure, ragazzino. Nessuno ti giudicherà. Non lo faccio mai. >>
Era come se il suo corpo non stesse aspettando altro che questo. Calde lacrime annebbiarono gli occhi dell’adolescente e scesero copiose a rigargli le guance colando lungo il mento. Un pianto silenzioso, ma lacerante esattamente come fosse stato sonoro grazie all’espressione di puro tormento e dolore in bella vista sul volto.
Rowlet gli volò incontro e lui fu subito pronto ad accoglierlo fra le braccia e a stringerlo al petto, mentre il cucciolo gli strofinava dolcemente il becco sul collo, poi lo fissò con i suoi occhioni e sorrise, per quanto il suo becco potesse permetterglielo, come a dirgli di non preoccuparsi. Poi emise un piccolo sbadiglio, e allora il padroncino lo ripose delicatamente sul trespolo, per poi osservarlo rimettersi a dormire.
Quindo si voltò, il Signore del Tempo si fece avanti e lo abbracciò intensamente.
<< Non ti dirò che va tutto bene. Diavolo, lo sappiamo entrambi che non va tutto bene. Una cosa, però, ho intenzione di dirtela >> gli pose delicatamente il palmo sotto il mento e gli sollevò il viso << sono fiero di te, ragazzo mio. >>
<< Per cosa? >> mormorò il giovane in tono stanco, abbassando lo sguardo << Ti sono saltato addosso come una iena impazzita. E mi sono lasciato abbindolare da lui come un idiota. >>
<< Hai fatto un errore, come ogni essere vivente su questo pianeta. Fare errori è parte della nostra natura. Lo so, è un difetto genetico piuttosto seccante. Ma non è questo l’importante. L’importante è che tu sia capace di comprendere l’errore che hai fatto e usare quello che hai imparato per non ripeterlo! Hai avuto la possibilità di staccarmi la testa ma non l’hai fatto, come hai avuto la possibilità di andare con Vader, ma non l’hai presa. >>
<< Mi perseguiterà, l’hai detto anche tu. Finché sono qui tutti voi siete in pericolo. >>
Il Dottore sbuffò. << Non fare il presuntuoso, ragazzino, eravamo già in pericolo prima che il tuo caro paparino decidesse di riallacciare i rapporti >> gli poggiò una mano sulla spalla << quindi non ti azzardare nemmeno a pensare di abbandonarci. Non voglio passare il resto della mia vita a consolare il tuo piccolo barbagianni. >>
Fire tirò su col naso, poi scosse il capo passandosi una mano fra i capelli. << Hai ragione, io… sono confuso, nervoso per tutta questa merda che mi è piombata addosso senza che potessi fare niente… e ho anche avuto quel fottuto incubo, prima… >>
Il Dottore annuì comprensivo. << Raccontamelo >> ordinò con gentilezza.
<< Era solo un sogno >> protestò il giovane.
L’uomo emise uno sbuffo sprezzante. << Ma davvero? >> domandò sarcastico, afferrando rapidamente il polso dell’arciere << Il tuo battito cardiaco dice il contrario. >>
Fire ritrasse il braccio con una smorfia di fastidio. << Perché, i Signori del Tempo non ne fanno mai di incubi? >>
<< Oh, ne facciamo! Altroché se ne facciamo. E i nostri sono anche peggio dei vostri, e lo sai perché? >>
<< Perché? >>
Lo sguardo del Dottore sembrò perdersi nella notte. << Perché tutto quello che un Signore del Tempo sogna… prima o poi si avvererà >> terminò con un sussurro << Ma, passata una certa età, un Signore del Tempo non ha più bisogno di dormire. Puoi stare tranquillo, non tormenterò nessuno di voi con una profezia stile Harry Potter. >>
<< Stile chi? >>
<< Lascia perdere... la mia richiesta resta. Raccontami quell’incubo, ti prego. >>
A quel punto, il Vigilante cedette e parlò: il Dottore ascoltò il tutto dall’inizio alla fine, senza mai fargli domande, senza mai interromperlo. Quando Fire ebbe terminato, prese un respiro profondo.
<< Dimmi, ragazzo… in questo momento hai paura? >> domandò il Signore del Tempo.
Il ragazzo respirò piano, serrandosi le dita tra i capelli. << Credo… credo di sì. >>
<< E di cosa hai paura? >>
<< Di… di Vader. >>
<< Perché? >>
<< Non è ovvio? >>
<< Lascia perdere la solita solfa del fatto che è uno psicopatico assassino. Rifletti bene, ragazzo. Cosa accadeva nel tuo sogno, all’inizio? >>
<< Lui… cercava di abbracciarmi… >>
<< E tu che cosa hai fatto? >>
<< Io… >> Il giovane socchiuse le palpebre a riflettere attentamente, abbracciandosi nelle spalle << io volevo che mi abbracciasse, l’ho desiderato ardentemente… ma dall’altra ero spaventato. Da lui, da quel che è, da quel che voleva farmi… e mi ha spaventato questo desiderio di lasciare che mi abbracciasse, le conseguenze che ne sarebbero derivate se avessi ceduto. E ho comunque avuto paura di perderlo proprio per questo. >>
<< Brillante analisi personale diretta, me ne compiaccio. Possiamo dunque dedurre senza tante cerimonie… che tu, mio caro, hai paura del legame di sangue che c’è fra voi, hai paura che questo ti comprometta e ti faccia tradire i tuoi principi, hai paura di seguirlo e diventare come lui, perché una parte di te lo desidera ardentemente. Sei terrorizzato da ciò. Bene! Questo è un bene. E lo sai perché? Lascia che ti racconti della paura >> esordì il Dottore << Il tuo cuore batte così forte che posso sentirlo dalla pelle, sta pompando un sacco di sangue e ossigeno al cervello, come combustibile in un razzo! In questo momento potresti correre più veloce, combattere con più forza, saltare più in alto come mai nella tua vita e sei così vigile che tutto ti parrà andare a rallentatore! >> esclamò con un ampio sorriso << Non è sbagliato avere paura, la paura è un superpotere! Anzi, è il tuo superpotere! C’è un pericolo  ambulante in questa navicella, e sai che cos’è? Sei tu. La paura fa parte di noi, ragazzo. E accettare questo fatto non è una brutta cosa. Può essere il più temibile dei nemici… oppure il tuo più grande alleato. La scelta spetta solo a te. >>
Volse al giovane un sorriso rassicurante.
<< Allora, che mi dici, Royal Noir? Che scelta prenderai? >>
Un altro profondo sospiro si liberò dalle labbra di Fire. Socchiuse gli occhi e strinse i pugni, quindi guardò il Dottore dritto negli occhi, con una determinazione nuova sia nello sguardo che nella postura.
<< Ho già fatto una scelta, e lo sai >> replicò, sollevando il mento << Ho scelto di seguirti, in nome di mia madre e del mio passato, e in nome dei valori che mio padre adottivo mi ha trasmesso. Non intendo tornare indietro, non lascerò che la paura mi freni, e non ti tradirò solo perché una delle risposte che cercavo era dove meno mi aspettassi di trovarla. Ma sappi che non sono disposto a dimenticare, Dottore, né ad attendere la fine della missione. Dovrai darmi molto presto delle altre risposte. >>
Il Dottore annuì, tranquillo. << Ho fatto una promessa anch’io che ho il dovere di mantenere adesso più che mai. Ho promesso a tua madre che ti avrei protetto, che ti avrei guidato e ti avrei risposto qualora avessi posto direttamente domande simili. Non hai che da chiedere a me, o volendo anche a Thor, perché sai, lui e tua madre erano parecchio intimi… >>
<< Cosa? >>
<< Scherzo! Cioè, almeno, credo… oh, lascia stare… comunque… >>
Il Signore del Tempo gli poggiò entrambe le mani sulle spalle.
<< Io e te siamo gli unici a sapere della tua parentela. Perciò mi sento in dovere di domandartelo, ragazzo, vuoi che... >>
<< No >> gli rispose il giovane, stringendogli di scatto i polsi, concitato << no. Ti prego, non dirlo a nessuno… non adesso, io… non sono pronto. Non posso… devo riposare, devo riflettere, voglio le mie risposte, voglio pensare… mi serve del tempo, okay? Perciò la mia risposta è no. Non dire niente a nessuno, non finché non avrai il mio consenso. Promettimelo. Promettimelo solennemente. >>
Il Dottore prese un respiro profondo. << D’accordo, ragazzo, te lo prometto. Te lo giuro sulla mia vita. Ora riposa. >>
 
 
 
 
 
Ecco fatto!
Shen continua a tramare, Vader è sul piede di guerra per la custodia, Vorkye è pronto ad andare a caccia, Fire ha le crisi mentali e veniamo a scoprire un po’ di cose sul passato di Angel e su ciò che la ha portato a diventare un Guardiano del Multiverso.
I personaggi della sua squadra sono un misto di pg appartenenti ad altre opere e OC creati dallo stesso Nick Nibbio. Lo stesso Ash è un OC creato dall’autore.
Ecco i prestavolti dei personaggi originali amici di Angel menzionati, solo per farvi un'idea

Ash: http://rei.animecharactersdatabase.com/uploads/chars/5688-950169250.jpg
Red: http://www.ideegreen.it/wp-content/uploads/2019/03/Araba-fenice-significato-1280x720.png
Kuro:http://upload.wikimedia.org/wikipedia/commons/thumb/1/1e/Wudanghshan-Xuanwu-in-Beijing-Capital-Museum-3796.jpg/220px-Wudanghshan-Xuanwu-in-Beijing-Capital-Museum-3796.jpg
Per Flama, invece, immaginatevi Grimmjow di Bleach, ma con i capelli rossi:
http://images-wixmp-ed30a86b8c4ca887773594c2.wixmp.com/f/2b2b483e-61ae-484a-8131-fc523267895d/d93bokf-6b0ac3bf-1c03-43a6-98e8-36b2d7f59c9a.jpg?token=eyJ0eXAiOiJKV1QiLCJhbGciOiJIUzI1NiJ9.eyJzdWIiOiJ1cm46YXBwOiIsImlzcyI6InVybjphcHA6Iiwib2JqIjpbW3sicGF0aCI6IlwvZlwvMmIyYjQ4M2UtNjFhZS00ODRhLTgxMzEtZmM1MjMyNjc4OTVkXC9kOTNib2tmLTZiMGFjM2JmLTFjMDMtNDNhNi05OGU4LTM2YjJkN2Y1OWM5YS5qcGcifV1dLCJhdWQiOlsidXJuOnNlcnZpY2U6ZmlsZS5kb3dubG9hZCJdfQ.v5FudKJlFnKVUqsl3Iw_F6g_u_6ubR82So7p5UaOf2c
La ciurma di Cappello di Paglia, invece, è presa dala manga/anime One Piece.

Il prossimo capitolo sarà interamente dedicato ai cattivi e avremo anche il ritorno di alcuni villain che fino a questo momento erano rimasti in disparte a occuparsi delle loro questioni…
  
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