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— Onda
Personaggi:
Herman Melville
Canzone: Song of The Sea ~ Lisa Hannigan
Numero parole: 509
La canzone del
mare
Né silenziosa né immobile
Che cerca ancora amore.
Un
tempo, le onde avevano
il loro modo di chiamarlo a qualcosa che aveva bisogno di sentire, che
doveva
vivere: calmavano il moto incessante e si facevano quasi più
fiacche,
misteriosamente silenziose nei propri giochi di fuga e ritorno,
lasciando che
il richiamo delle balene fosse l’unico suono a raggiungere la
spiaggia e la sua
mente.
Herman avrebbe potuto
anche passare i giorni e le notti di un’intera esistenza a
contemplare il regno
che intravedeva sotto le braccia del mare, tanto profonde e immense da
poter
dare colore ai cieli: e Moby Dick era nata da quel contatto siglato
dall’eternità, creatura di acqua e nubi, splendida
come tutto ciò che non è
corroso dalla sofferenza — dove se
n’è andato quel tempo, e io con lui?
Se fosse solo un
po’ più
giovane, se tutto quello che ora sta guardando fosse accaduto prima,
sarebbe
piegato in due dallo strazio: come sotto l’influsso di una
maledizione, ogni
cosa che le sue mani abbiano creato o toccato ha mutato volto fino a
rendersi
irriconoscibile, rigonfio di malattia e dannazione. Moby Dick
è stata piegata
dall’azione umana che lui non è riuscito
a fermare, la Gilda si è
ammantata di ombre che lui non avrebbe voluto e ha
cullato nel grembo
una missione rovinosa. E alla fine, cos’è rimasto?
Sono cadute entrambe con le
loro memorie, sogni e miserie, tra le stesse onde che ormai non lo
chiamano più.
“Che almeno il mare resti
intatto dal male”, ha pensato; tuttavia, questo non ha voluto
dargli ascolto e
si è inghiottito ciò che rimaneva del suo
passato… ma non lui.
Il dispetto finale, la
delusione di un mondo che allora lo aveva scelto e
dal quale era stato
scelto a propria volta… e per cosa?
E nonostante tutto, anche
in quell’istante non riesce a dare la colpa
all’uomo senza scrupoli che dietro
al sorriso ha sempre nascosto una voragine oscura: certe morti sporcano
ogni
cosa, rendono folli e determinati a rovesciare l’inferno pur
di piegare il
tempo fino a costringerlo a tornare indietro, riducono all’impotenza chi
rimane a guardare e non sa quanto di sé stesso
resterà. No, non c’è colpa
nell’aver
inseguito una speranza senza accorgersi delle vite trascinate dietro di
sé,
perché il dolore non chiede prezzo minore. Questo giunge, o
giungerà, per ognuno:
finire insieme a Moby Dick sarebbe stata la soluzione migliore, eppure
il mare
ha deciso di non toccarlo.
Evidentemente, dopo
simili eventi e contando che ormai non c’è
più nulla da perdere, o la sua
strada è sbarrata per sempre, o dal fondo si può
solamente risalire.
Moby Dick continua a respirare,
la sente: anche se non lo vuole, se pensa di non averne più
diritto, le balene sorgono
da sé per seguire i suoi passi, quasi a evitargli o
alleviare la solitudine dei
tempi che verranno. E le onde non si arrestano, trovano sempre la
propria
strada; forse, è il momento d’imparare ancora la
loro canzone e prepararsi a
dire addio, o rimandarlo al futuro.