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Autore: _Equinox    07/10/2020    0 recensioni
Writober 2020 || Prompt presi da fanwriter.it (Lista n.2 - pumpNIGHT)|| ShigaDabi || Vari ratings e varie lunghezze
1. #riflesso: "[...]anche attraverso il riflesso, non avrebbe retto un simile sguardo così intenso"
2. #cerchio: "Tenko stava continuando a girare in cerchio davanti alla porta di casa[...]"
3. #pagine: "Senza che potesse controllarsi, la matita iniziò a scorrere sulle pagine dello sketchbook[...]"
4. #girasole: "Shigaraki afferrò lo stelo del girasole con due dita[...]"
5. #mare: "Rimase allora immobile in riva al mare[...]"
6. #corda: "La corda intorno ai polsi stringeva al punto da fare quasi male[...]"
7. #salvia: "[...]fece scivolare al suo interno delle foglie di salvia raccolte fuori"
8. #occhi: "Shigaraki era ipnotizzato dagli occhi di Dabi [...]"
9. #viola:
Genere: Fluff, Romantico, Slice of life | Stato: in corso
Tipo di coppia: Shonen-ai, Yaoi | Personaggi: Dabi, Shigaraki Tomura
Note: AU, Raccolta | Avvertimenti: Tematiche delicate
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Non si aspettava di trovarsi in quella situazione e, soprattutto, non si aspettava di trovarsi in quella situazione con lui, completamente da solo, in una grotta sperduta nel bel mezzo di un temporale.
Qualche bastardo aveva fatto la spia e l’esercito del re li aveva circondati nel giro di poco. A loro non era rimasto altro che combattere, ma la situazione aveva iniziato a peggiorare quando un bastardo aveva trafitto con una freccia la mano del capo e Dabi aveva usato quei maledettissimi poteri, attirando ancora di più l’attenzione. Fortunatamente, Shigaraki era stato abbastanza veloce nell’eseguire un incantesimo di teletrasporto e trascinarli via.
La League of Villains era in viaggio da giorni, avrebbero dovuto raggiungere la cittadella di Deika da ricercati, quindi avevano ben pensato di dividersi. Il capo, uno stregone dai poteri non ben definiti, non era nelle condizioni migliori per viaggiare dopo l’ultimo combattimento: la febbre che aveva contratto andava a tratti, ma quando capitava era impossibile perderlo di vista, perché diventava troppo vulnerabile. Dabi, altro stregone con una particolare affinità per il fuoco, diventava l’unico capace di dare un po’ di sollievo a quelle notti insonni, visto il calore naturale presente nel suo corpo, perciò era inevitabile assegnare a lui il ruolo di accompagnatore del boss.
«Tomura…»
In quel momento, l’albino era steso sul terreno freddo della grotta, ansimante, e con la freccia ancora bloccata nella mano. Il viso era arrossato, segno che la febbre era salita ancora. Non avevano con loro delle pozioni curative e gli incantesimi di guarigione non erano semplici da praticare se si usava un diverso tipo di magia – forse Tomura ci sarebbe anche riuscito, se non fosse stato ridotto in quello stato.
Dabi, in ginocchio accanto all’altro, stava provando ad analizzare la situazione: la loro sosta nella caverna, salvo imprevisti, sarebbe dovuta durare almeno per tre giorni, e nel frattempo dovevano preoccuparsi di non morire o essere catturati. La ferita doveva assolutamente essere medicata e in qualche modo dovevano capire come far passare quella dannata febbre.
«Tomura, hey… Devo tirarti fuori quella freccia dalla mano»
Shigaraki sembrava del tutto incosciente, il teletrasporto doveva averlo sfinito, tuttavia da un lato poteva essere un bene, visto che non avevano antidolorifici o anestetici con loro.
 
Dabi rientrò silenziosamente nella grotta, tirando un sospiro di sollievo nel trovare il capo ancora avvolto nelle coperte improvvisate ricavate dai loro mantelli. Aveva fatto un giro di perlustrazione dopo avergli chiuso la ferita con ago e filo – li portava sempre con sé per curare le proprie – nella speranza di trovare qualcosa da mangiare. Non era stato sfortunato, ma non si poteva nemmeno dire che le cose fossero andate bene: era riuscito a catturare un leprotto e a raccogliere alcune erbe, oltre a della legna da ardere.
Shiagaraki aveva ancora il volto arrossato, ma almeno tremava di meno. La grotta non era il luogo migliore per essere riparati, vista l’umidità presente all’interno, però se non altro l’accesso non era semplice – i graffi e le spine conficcate nel suo braccio a causa dei rovi all’esterno ne erano la prova.
Sistemata legna, pensò bene di scuoiare e poi infilzare la lepre e, senza il minimo sforzo, evocò delle fiamme che iniziarono a propagarsi in maniera soffusa. Era facile controllarle, per lui, proprio grazie alla propensione verso il fuoco: altri elementalisti, quelli senza affinità, si sarebbero trovati in difficoltà anche con qualcosa di tanto semplice.
Assicuratosi che fosse tutto a posto, Dabi si avvicinò alla piccola sorgente presente lì, con la fiaschetta di whiskey in mano, vuota, visto che l’alcol era stato usato per disinfettare la ferita del capo. La riempì piano e semplicemente fece scivolare al suo interno delle foglie di salvia raccolte fuori. Sarebbe stato più facile utilizzarle se avesse potuto schiacciarle, ma non avevano né un mortaio con loro, né una ciotola, quindi dovevano accontentarsi. Non sapeva se avrebbe funzionato, però provò comunque a scaldare la borraccia, nella speranza di non bruciarla completamente: l’infusione sarebbe avvenuta meglio.
«Dabi…»
La voce flebile di Tomura lo fece scattare immediatamente verso di lui. Era un buon segno il fatto che si ricordasse di essere con lui, dopotutto, e il corvino fu sollevato. Si mise in ginocchio accanto all’altro stregone, alzandogli appena il capo con un braccio e sfiorandogli la fronte: scottava ancora, ma di meno rispetto a prima.
«Boss, sono qui. Ho trovato un leprotto e delle erbe che potrebbero aiutarti a metterti in forze» cercò di spiegare.
Shigaraki aprì appena gli occhi e la bocca; le iridi rosse risaltavano comunque al buio e dalle labbra uscivano ansiti regolari.
«Siamo al sicuro qui?» domandò l’albino, provando in tutti i modi a mettere a fuoco la zona circostante: ricordava di averli teletrasportati in una grotta, ma non pensava sarebbero riusciti a sopravvivere abbastanza.
«Sembrerebbe di sì, ma devi rimetterti in forze e non possiamo viaggiare con te malato» fu la risposta decisa di Dabi, che si affrettò ad aprire la fiaschetta e ad avvicinarla all’altro.
«Non credo che farmi ubriacare sia la soluzione» sussurrò scettico il capo della League of Villains.
«Non preoccuparti, è una specie di infuso con la salvia. Credo… Non lo so, mamma lo chiamava così»
Sul viso del corvino si dipinse un’espressione malinconica al ricordo della madre, la regina del Regno di Mezzo, da cui lui era scappato. Shigaraki se ne accorse, ma non disse nulla, limitandosi semplicemente a bere quella che non si avvicinava minimamente ad una tisana, visto il leggero retrogusto alcolico dato dal whiskey presente fino a poche ore prima.
«Riesci a stare con il busto alzato? Devo girare lo spiedo…»
E Tomura annuì, poggiandosi con la schiena alla parete alle sue spalle. La luce bluastra illuminava appena la grotta, ma era talmente soffusa da essere quasi soporifera. Per cercare di tenere gli occhi aperti, allora, seguì i movimenti di Dabi. Non si sarebbe mai aspettato che ad un certo punto della sua vita si sarebbe trovato in quella situazione con il figlio maggiore del re, scappato – o forse esiliato – dal regno: all’inizio aveva fatto fatica a fidarsi, ovviamente, ma col tempo aveva avuto modo di constatare di essersi sbagliato. L’ex erede al trono credeva davvero nella loro causa e più di una volta glielo aveva dimostrato. Spesso litigavano, una volta si erano anche quasi ammazzati e, decisamente, Shigaraki non lo sopportava, però c’erano stati dei momenti in cui si erano trovati a parlare come se fossero dei vecchi amici in una locanda.
«Sembra essere buono»
La voce bassa del corvino lo destò da quei pensieri. Era tornato vicino a lui, con lo spiedo in mano. Non aveva molta fame, tuttavia era privo di energia e non poteva fare incantesimi, quindi si vide costretto a mangiare di forza la carne, che, in fin dei conti, non era così male. Quando ad un tratto sentì le palpebre farsi più pesanti e un leggero brivido percorse il suo corpo, non disse nemmeno nulla nel sentire le braccia dell’altro avvolgerlo.
«Il mio corpo emana calore naturale, serve per contrastare un po’ l’umidità della grotta» gli sussurrò all’orecchio Dabi, come se si sentisse in colpa per averlo stretto in maniera così intima – di solito, il boss odiava il contatto fisico, e anche una semplice pacca sulla spalla poteva metterlo a disagio.
Tomura non disse comunque nulla e si lasciò trasportare da quel calore, forse per colpa della debolezza o forse perché, stare in quella specie di abbraccio, lo faceva sentire un po’ più al sicuro e protetto.
Il sapore della salvia – che da quel giorno avrebbe continuato ad associare a quell’avventura – continuava ad avvolgergli il palato.
   
 
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