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Autore: Herm_periwinkle    08/10/2020    1 recensioni
Sono passati diversi anni dalla fine della guerra e i regazzi del team Avatar non hanno avuto più occasione di vedersi, ciascuno preso dalla propria vita. Fino a che la nascita di Moma li porterà a riunirsi. Sono cambiati molto, alcuni sono più felici, altri sono semplicemente insoddisfatti delle proprie vite. Gli equilibri del gruppo, dopo tanto tempo che i loro membri sono stati lontani, sono destinati a cambiare, forse per sempre. Riuscirà Zuko ad affrontare i mutamenti che avverranno? Katara sarà in grado di discernere la verità del suo cuore? O saranno così ciechi da credere che nulla è cambiato?
[Zutara]
Dalla storia:
“Vedo il modo in cui vi guardate.”
Ci fu una pausa lunghissima, infinita. Abbassò lo sguardo colpevole, non sapendo cosa dire. Cosa si poteva dire in una situazione simile? Ogni parola sarebbe suonata sbagliata, una stupida scusa, ipocrita e inopportuna.
“Ti conosco più di chiunque altro e so che tra voi c’è qualcosa. Si vede, è palpabile. Ti chiedo solo di dirmi la verità: vi siete baciati?”
Genere: Introspettivo, Malinconico, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Katara, Quasi tutti, Sokka, Zuko
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Un raggio di luce ostinato che penetrava dalla persiana abbassata costrinse Katara ad aprire finalmente gli occhi. Aveva fatto un terribile sogno. Si girò verso Aang, ma il lato del letto solitamente occupato da lui era freddo e vuoto. Alzò la testa di scatto, sentendo il cuore trafitto da tante piccole lame sottili. Non era stato un sogno, la terribile notte precedente era stata reale. Aang doveva essere andato via da almeno un paio d’ore. Il suo lato del letto era freddo e nella stanza non c’era più alcun oggetto che potesse far sospettare che l’avatar avesse alloggiato in quella stanza.

Il senso di colpa strinse le viscere di Katara, facendola di nuovo scoppiare a piangere. Avrebbe voluto avere la forza di dominare le sue lacrime per far smettere quella cascata sul suo volto, ma non ci riusciva in alcun modo. Era stata un mostro. Non aveva nemmeno avuto il coraggio di parlare lei con Aang, ma aveva aspettato che fosse lui a farlo.

Si ributtò sul letto, coprendosi la testa con le coperte. Le sarebbe piaciuto scomparire da quel posto, essere inghiottita dal terreno, non dover più affrontare la vita. Decise che per il momento la cosa migliore da fare sarebbe stata rimanere sepolta nella sua stanza a piangere.
Il suo piano durò appena un paio d’ore, poi sentì qualcuno bussare alla porta.

“Katara, sei qui dentro?” chiese la voce dolce di Suki.
“Vai via, per favore” le rispose Katara singhiozzando irrefrenabilmente. Si chiese come fosse possibile che non fosse ancora morta disidratata.

Suki rimase piuttosto scossa. Non era da Katara farsi vedere debole e disperata, c’era evidentemente qualcosa che non quadrava. Decise di entrare ugualmente, sperando di poter aiutare l’amica in qualche modo.

Quando aprì la porta trovò la stanza in condizioni molto diverse da quelle che avrebbe potuto immaginare: metà delle cose che si sarebbero dovute trovare lì, come i vestiti e gli effetti personali di Aang, si erano completamente vaporizzate. Al loro posto c’era un mucchietto informe sotto alle coperte, in cui Suki, con un po’ di fantasia, individuò la sagoma di Katara. Si sedette sul bordo del letto e accarezzò titubante quella matassa singhiozzante che si trovava accanto a lei. Sperò di aver individuato la testa e di non star accarezzando nessuna parte del corpo imbarazzante.

“Che cosa è successo?” provò a chiedere quando sentì che i singhiozzi si erano un po’ calmati.
Solo allora Katara sollevò un poco le coperte, osando tirar fuori dal suo nascondiglio sicuro gli occhi gonfi e rossi e un naso sgocciolante. Suki si affrettò a passarle un fazzoletto. Piano piano la dominatrice uscì completamente fuori dalle coperte, asciugandosi gli occhi e cercando di controllare il respiro.

“Promettimi che non mi giudicherai in alcun modo” disse all’amica, indecisa se parlarle o no. Avrebbe voluto potersi alleggerire di quel peso, ma non era sicura di aver la forza di ammettere quello che aveva fatto.
Non appena Suki promise, Katara lasciò che tutta l’angoscia che serbava nel petto sgorgasse come un fiume in piena, raccontandole ogni cosa. Quando ebbe finito Suki l’abbracciò e le disse “Non puoi controllare il tuo cuore e non puoi essere arrabbiata con te stessa per essere umana.” Katara si strinse forte all’amica come se fosse il suo unico appiglio.
“Non raccontare a Sokka di Zuko” le disse, con una nota di disperazione nella voce. “Non è ancora il momento.”
Suki le promise che non l’avrebbe fatto. Conosceva bene Sokka e, impulsivo com’era, se avesse saputo la verità avrebbe solamente fatto danni, anche se solo a fin di bene. Katara le sorrise riconoscente e si accasciò di nuovo sul letto, esausta, ma lievemente alleggerita di un peso.

Quella mattina Zuko si svegliò tardissimo, avendo sprecato l’intera notte a pensare alla sua bella. Tuttavia gli bastò davvero poco per notare che in casa c’era un’atmosfera diversa, come se fosse calata una pesante cappa d’angoscia su tutti loro. Toph era uscita per andare ad allenarsi, Sokka e Suki erano particolarmente taciturni e si ostinavano a non voler far altro che giocare con Moma, Katara era chiusa in stanza e non dava alcun cenno di voler uscire, di Aang e di Appa, invece, non c’era nessuna traccia. Si chiese che cosa fosse successo, ma non riuscì ad ottenere niente da Sokka o da Suki. Suki non lo guardava nemmeno in faccia e Zuko si chiese perché all’improvviso avesse cominciato a comportarsi in maniera così strana con lui. Sembrava che provasse un misto di odio e compassione nei suoi confronti, eppure non ricordava di aver fatto nulla di male. Aveva anche lavato spesso i piatti nell’ultimo periodo. Si decise ad andare a parlare con Toph, per quanto quell’opzione lo spaventasse. Non era proprio la ragazza con cui era più facile avere una conversazione.

La cercò a lungo prima di riuscire a trovarla. Non stava in spiaggia, né in nessun altro luogo nelle vicinanza. Tuttavia sentiva la terra tremare, il che era evidentemente dovuto all’impatto con le rocce che scagliava. Seguì il suono di massi infranti fino a che non la trovò in una radura, intenta a lanciare lastre di terra come fossero fresbee contro dei pilastri che aveva eretto lei stessa.
“Cosa vuoi?” gli chiese, rude, senza dar cenno di volersi fermare. I colpi si susseguivano rapidi e precisi.
Zuko non seppe bene cosa rispondere. “Avevo bisogno di qualcuno con cui parlare.”
“Di cosa?”
“Non lo so, di parlare in generale” rispose arrossendo. Ma che razza di domanda era? Non bisognava avere sempre per forza un argomento di conversazione intelligente. Si poteva parlare anche solo per il piacere di farlo. Non era sicuro di potersi aprire e confidare con Toph. Probabilmente era l’ultima persona sulla faccia della terra in grado di parlare di sentimenti. Come avrebbe voluto avere accanto suo zio in quel momento. “Però vedo che sei molto impegnata, non volevo disturbarti.”
“Se non è un problema parliamo dopo. Intanto puoi parlare con Aang, lui non penso abbia niente da fare oltre a stare con Katara.”
“Oh, sì, certo. A dopo.”

Quindi lei non sapeva nulla, si disse mentre tornava a casa. Non si era nemmeno accorta che di Aang non c’era alcuna traccia, probabilmente era uscita per allenarsi molto presto. Il che rendeva la situazione ancora più strana.

Dopo aver percorso la sua camera avanti e indietro talmente tante volte che vi avrebbe potuto scavare un fossato si decise di fare quello che avrebbe voluto fare da ore: parlare con Katara. D'altronde erano amici, che cosa ci sarebbe stato di male? Le avrebbe chiesto scusa per averle preso la mano allo spettacolo, era stato semplicemente preso dal pathos della scena. Sì, era andata così.
Di fronte alla stanza di Katara il coraggio però gli parve venir meno. Era una semplice porta in legno d’acero, ma era più spaventosa di un drago sputafuoco.

‘Forza Zuko, ce la puoi fare’ si disse con le nocche sospese a mezz’aria. ‘Hai superato momenti peggiori’. Cominciò a sudare freddo, ma alla fine riuscì a colpire quella porta. Tre colpetti secchi e decisi, terribilmente in contrasto con il battito frenetico del suo cuore.
Sentì provenire un mugugno da dentro la stanza, interpretò con un ‘chi è?’.
‘Sono io, Zuko’ rispose allora.
Non ricevette nessuna risposta. Provò a chiamare il nome di Katara un altro paio di volte e a chiedere se potesse entrare, che voleva solo sapere come stesse, ma la ragazza continuava a tacere. In quel momento passò per il corridoio Suki, con in mano un vassoio con un teiera piena di the bollente.

“Non penso proprio sia il momento Zuko” gli disse, aprendo leggermente la porta e infilandosi dentro talmente velocemente da non dargli il tempo di sbirciare all’interno.

Zuko rimase come uno stoccafisso a fissare la porta che gli era stata appena sbattuta davanti al naso, se possibile ancora più confuso di prima. C'era decisamente qualcosa che non andava.
   
 
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