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Autore: Enchalott    19/10/2020    4 recensioni
Questa storia è depositata presso lo Studio Legale che mi tutela. Non consento "libere ispirazioni" e citazioni senza il mio permesso. Buona lettura a chi si appassionerà! :)
"Percepì il Crescente tatuato intorno all'ombelico: la sua salvezza, la sua condanna, il suo destino. Adara sollevò lo sguardo sull'uomo che la affiancava, il suo nemico più implacabile e crudele. Anthos sorrise di rimando e con quell'atto feroce privò il cielo del suo colore".
Genere: Avventura, Introspettivo, Sovrannaturale | Stato: completa
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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Approfitto dell'aggiornamento odierno per ringraziare tutte le persone che mi seguono, in particolare chi lascia un suo gradito pensiero e chi non manca mai all'appuntamento settimanale con "Anthos". Questo capitolo è il tramite che conduce all'ultima parte della vicenda. Un bacio a tutti! ^^
Strade che si dividono
 
Aska Rei tirò le redini, portando il cavallo al passo prima che lo sforzo dovuto al galoppo prolungato gli troncasse il respiro già affaticato.
«Se non le riposiamo qualche ora, finiremo per far schiattare queste povere bestie!» commentò Dare Yoon, battendo la mano sul collo sudato del destriero.
Il capitano della Guardia annuì, gettando un’occhiata ai soldati di Iomhar: erano provati dal cammino a tappe forzate, non avvezzi al clima del Sud e meno che mai al deserto.
«Siamo in vista dell’oasi di Oldoz, lì ci fermeremo.»
Le dune, scaldate dal sole rosso del tramonto, erano i fianchi formosi di una danzatrice tyala, addolciti e ammorbiditi dalla luce calante. Le prime stelle, distinguibili nell’esplosione di colori del cielo vespertino, baluginavano timide preannunciando la notte.
«Non so se bearmi dello spettacolo suggestivo o preoccuparmi per quello che il buio potrebbe celare» sospirò Tarlach, affiancandosi al pari grado.
«Già» borbottò Rei «Erinna è lontana, il non aver incrociato nessuno delle sette tribù lungo la strada è molto indicativo.»
«Vediamola in positivo» propose Dare Yoon «Non siamo incappati nell’ottava, incontro che non ci avrebbe affatto messi di buon umore.»
«Parole sante. Ma il mio timore è che gli Anskelisia siano occupati altrove, come riferito giù al porto.»
Il soldato aggrottò la fronte, inquieto per le notizie allarmanti che provenivano dalla capitale assediata da settimane e difesa dal generale Kendeas con sempre meno risorse. Sul principe Stelio, nessuno era stato in grado di fornire informazioni aggiornate e concordanti.
«Mi chiedo che diamine stiano facendo gli Aethalas!» ringhiò il primo con iroso disappunto «Il loro compito sarebbe vigilare sulle sorti del Regno!»
Dare Yoon portò d’istinto la mano al petto, sfiorando il sigillo di Narsas.
«Non mi preoccuperei. Ho intenzione di raggiungere Varsya. Ho un messaggio che deve essere riportato a prescindere.»
«Non starai pensando di cercarli da solo?! Dico, Yoon, sei impazzito?»
«Niente affatto. La mia speranza è di intercettarli essi strada facendo. Ma se non dovesse accadere, sarò costretto a privarti della mia compagnia. Tu continuerai per Erinna con gli uomini di Tarlach, io vi raggiungerò in seguito.»
«Non sono d’accordo!” enfatizzò Rei «Mi opporrei a una trovata del genere in circostanze ordinarie, figurati adesso!»
«Lo so. Non cercare di dissuadermi, sai che non funzionerebbe. La promessa che ho stretto vince sulla tua lecita preoccupazione.»
«Non vince sulla tua dannata ostinazione però! Forse un mio ordine diretto ti indurrebbe a riconsiderare le tue precipitose aspirazioni!»
Dare Yoon gli piantò addosso le iridi blu mezzanotte, tutt’altro che intimidito.
«Mi indurrebbe soltanto a un’insubordinazione.»
«Cosa!? Non ti permettere…!»
La risata aperta di Tarlach mitigò l’atmosfera tesa.
«Consentitemi di spezzare una lancia a favore del vostro braccio destro, comandante» interloquì educato «Per mantenere l’impegno di portarci in salvo voi avete sfidato la morte, combattuto contro deamhan appena rimesso in piedi e addirittura stretto amicizia con una ciurma di pirati. Suppongo abbiate chiaro il valore della parola data. Non è corretto sfruttare il vostro grado per impedire a un altro uomo d’onore di mantenere un giuramento, anche se si tratta della salvaguardia di un amico. Non siete d’accordo?»
Aska Rei mugugnò qualcosa tra i denti, facendo evaporare l’irritazione.
«Se siete tutti contro di me! Almeno porta con te un paio di soldati, Yoon!»
«No, da solo attirerò meno l’attenzione. Inoltre, con tutto il rispetto, sul nostro territorio gli uomini del Nord sono pesci fuor d’acqua. Mi rallenterebbero, mentre a Erinna, con te alla guida, svolgerebbero appieno il loro compito.»
Il giovane capitano sbuffò, privo di motivazioni da opporre, alzando gli occhi al cielo.
«Grazie, comunque» articolò il compagno impacciato.
Aska Rei inarcò un sopracciglio.
«Non c’è di che! Quando incontrerai la persona che terrà testa alla tua testardaggine e forse la incrinerà, vorrei essere in prima fila a godermi lo spettacolo! Perché succederà, vedrai!»
«Ti farò avere il biglietto» ribatté Dare Yoon.
 
L’oasi di Oldoz era un minuscolo specchio turchese circondato dalla rigogliosa vegetazione del Sud, che impediva la visione ottimale a chi si trovava all’esterno.
I due ufficiali elestoryani smontarono di sella e vi si diressero con cautela, per constatare eventuali pericoli racchiusi tra le fronde verdi e fitte.
Le orme nella sabbia vennero cancellate dalla brezza serale: Tarlach comprese che, se l’oasi avesse celato dei nemici o qualche fiera, non sarebbe stato possibile valutarlo se non direttamente. Aveva sempre pensato a Elestorya come a una terra felice, priva di pericoli, leggendaria nella sua dolcezza: invece, per quanto aveva appurato in quei giorni di viaggio estenuante attraverso le dune, i rischi erano innumerevoli. Si presentavano differenti da quelli aspri di Iomhar, non minori. Caldo contro freddo, sabbia contro neve, ghali contro beathir. La tenebra valeva per ambedue. Osservò ammirato i compagni di strada muoversi con agile circospezione.
Aska Rei s’inoltrò silenzioso tra i cespugli, facendo un cenno al suo secondo affinché lo imitasse effettuando il giro dal lato opposto.
Un sommesso vociare oltre il fogliame lo mise sul chi vive: sguainò la spada, mantenendosi sotto vento e attraversò la verzura, emergendone con un balzo.
Le persone accampate sulla sponda, intente a preparare la cena, sobbalzarono spaventate, bloccandosi nei gesti familiari che stavano compiendo. Erano una decina e, a giudicare dalle apparenze, si trattava di un paio di famiglie di mercanti. I loro animali e le loro merci riposavano poco distanti, accanto alle tende color corda che avevano innalzato come riparo.
Rei esalò il fiato, abbassando l’arma ma avvicinandosi con prudenza. Lo sguardo terrorizzato dei tre uomini in piedi accanto al fuoco si spostò dalla lama snudata del giovane ai colori riconoscibili della sua uniforme e virò sollevato.
«N-non siamo armati, oyketi» balbettò il più anziano, rivolgendoglisi con il suo grado nel dialetto delle tribù e alzando le mani a titolo preventivo.
Le donne annuirono tremanti, richiamando a sé i bambini dai loro giochi. L’ufficiale rinfoderò la spada, oggetto di occhiate più curiose che atterrite dei quattro ragazzini, che obbedirono a malincuore all’appello delle madri.
«Aska Rei, comandante della Guardia reale di Erinna» si presentò sbrigativo «Mi sorprende incontrare una carovana sparuta e priva di scorta in mezzo ad anydri, di questi tempi e con dei bambini al seguito» rincarò con rimprovero.
L’uomo che aveva parlato prima scosse la testa, angosciato.
«Purtroppo abbiamo scelto di spostarci nel momento sbagliato. Mi chiamo Xatra, veniamo dalla capitale. Mia figlia maggiore ha partorito da poco, ci siamo recati laggiù per visitarla, ma non siamo riusciti a raggiungerla.»
L’immagine di Dionissa in attesa di dare alla luce la loro creatura e incalzata dai demoni dilaganti, si materializzò nella mente di Rei, provocandogli un’acuta fitta di preoccupazione.
«Una scelta azzardata. O devo supporre che le voci sull’assedio siano esagerate?»
«No, oyketi» rispose l’uomo con l’orrore negli occhi “È impossibile raggiungere le mura, qualunque cosa sia il nemico che sta accerchiando la città. Avevamo con noi un seguito armato, ma…»
Si interruppe e i compagni dovettero addirittura sorreggerlo. Il poveretto si accasciò pesante sulla sabbia, accettando con gratitudine l’acqua fresca che una delle donne si premurò di porgergli. Nello stesso istante Dare Yoon emerse dalla vegetazione, scatenando un’altra ondata di esclamazioni atterrite prima che la sua divisa fosse illuminata dai bagliori del tramonto.
«Non stanno mentendo. Niente armi, qualche mercanzia e parecchia incoscienza, a giudicare dalle reazioni» commentò brusco.
«Avvisa Tarlach di raggiungerci. Stanotte divideremo il fuoco con queste persone» borbottò Rei, convinto della buona fede dei malcapitati.
 
L’ingresso dei soldati di Iomhar nel cuore dell’oasi suscitò parecchio stupore: tutti gli occhi si focalizzarono sulle loro tenute nordiche, pur alleggerite dei mantelli di lana e degli accessori più pesanti, sui loro occhi limpidi che viravano dall’azzurro al verde, sulle chiome bionde o rossicce, sulla carnagione chiara arrossata dal sole implacabile del deserto. Gli elestoryani li osservarono con curiosità mentre si prendevano cura dei robusti cavalli, una razza mai vista al Sud, e mentre si scambiavano qualche parola in una lingua incomprensibile.
La distesa di sabbia, anydri, era così: permetteva alle strade di incrociarsi e talvolta le divideva, abbracciando l’umanità nel suo difficile cammino come una grandiosa metafora della vita.
 
Dare Yoon si concesse una rinfrescata, inginocchiandosi in disparte sulla sponda dell’oasi e immergendo le mani nell’acqua tiepida. Si sciacquò i capelli dalla sabbia e si passò una pezzuola umida sul collo e sul petto: il sole arancio scuro a sette raggi occhieggiò dalla casacca sbottonata.
«Una settimana» asserì Aska Rei, sedendosi a gambe incrociate e liberandosi con lena degli stivali «Per arrivare a Erinna, salvo inconvenienti. Così assicura Xatra, basandosi sul fatto che siamo più veloci di loro.»
Il soldato annuì secco e si distese, appoggiandosi sui gomiti e sollevando lo sguardo al cielo buio. Il sigillo Aethalas luccicò tra i suoi pettorali.
«Il reggente è a quattro giorni da Oldoz, a giudicare dalle informazioni che i mercanti si sono scambiati lungo il tragitto. Pare abbia affrontato un’orda di daimar e sia stato rallentato di parecchio» continuò il capitano, spogliandosi della camicia smanicata «Sei proprio deciso a cacciarti tre le fauci dei nemici?»
«I demoni non mi spaventano.»
Rei decise di levarsi quanto ancora indossava e sciolse i capelli corvini sulla schiena.
«Nessun dubbio, ma il principe Stelio ha riunito le sette tribù. Incontrerai anche gli Haltaki e non puoi essere sicuro che…»
«Non è un problema» tagliò corto Dare Yoon, lanciando un’occhiata critica all’amico che entrava placido nell’acqua immota.
«Che c’è?» borbottò il comandante.
«Non hai alcun pudore. Ci sono delle signore, potrebbero venire qui.»
«E allora? Figuriamoci se non hanno mai visto un uomo nudo… e poi è buio! Anzi, dovresti raggiungermi, è un toccasana dopo tutta la polvere che abbiamo mangiato!»
«Ti comporteresti allo stesso modo se ci fosse la principessa Adara? Via i vestiti e tanti saluti?»
«No… è diverso!»
«E come?» sogghignò Dare Yoon «Seguendo la tua logica, chiunque potrebbe denudarsi davanti a tua moglie senza dilemmi.»
«E va bene! Ho ricevuto il messaggio! Giuro solenne di tenermi il più possibile addosso i pantaloni. A patto che tu tolga più spesso i tuoi!»
«Cosa!?»
«Andiamo, Yoon, non guardarmi con quell’aria indignata! Sto scherzando!»
Questi sbuffò sonoro. Tipico di Rei: sdrammatizzare e darsi alla commedia per nascondere l’agitazione. I due aspetti in lui erano direttamente proporzionali, dunque doveva essere molto inquieto. Si sentì responsabile.
«Non mi succederà niente, te lo assicuro.»
Il capitano si affrettò a rivestirsi e gli si sdraiò accanto con un sospiro.
«Non me lo perdonerei mai. Sei mio fratello, Yoon.»
«E tu il mio.»
Si guardarono in un modo che superò tutte le opportunità offerte dalle mere parole. Nessuno dei due avrebbe voluto separarsi dall’altro, ma era ciò che la vita stava loro chiedendo. Avrebbero pregato affinché le loro strade un giorno si ricongiungessero.
«Comunque io sono quello bello della famiglia» sogghignò Rei, inghiottendo la commozione profonda con la solita tattica spavalda.
«Io quello intelligente» ribatté al volo Dare Yoon.
 
Dionissa si destò nel pieno della notte, sedendosi con un gemito soffocato. Per un istante temette che fossero i segnali del travaglio, ma la bambina era tranquilla: per lei non era ancora arrivato il momento, seppur prossimo, di vedere la luce.
Eppure avvertiva qualcosa di diverso. Si sentiva debole e stanca, ma era come se in lei si fosse rinfuocata all’improvviso una luminosità familiare. Ebbe un tuffo al cuore. Dei pietosi, il Kalah! Avvertì scorrere nel suo corpo debilitato la chiaroveggenza in tutta la sua pienezza, forte e misteriosa come era sempre stata. Per la prima volta dopo tanti mesi si sentì completa, integra nel suo essere, com’era stata sin dal suo ingresso nel mondo. Il dono di Amathira risplendeva nel profondo, intatto.
Ragionò sul fenomeno inatteso, rallentando i battiti concitati del cuore, che gioiva e  si turbava alla sensazione conosciuta e ritrovata. Se Anthos aveva sciolto lo schermo, la situazione al Nord era disperata: forse il reggente aveva perso lo scontro con il Nemico. Forse era in fin di vita, forse era intervenuto Irkalla in persona. Tremò al pensiero del destino tra le mani di due divinità avverse e battagliere.
Magari Adara aveva convinto il marito a soprassedere: il blocco di recente le si era manifestato più come una difesa che come un atto dispotico del principe di Iomhar, dunque, non c’era ragione per…
Devo scoprirlo subito, non posso lasciarmi divorare dal dubbio.
Rivolse lo sguardo alla luna, pallida tra le insolite nubi che graffiavano il firmamento.
Entrò in concentrazione senza difficoltà e cercò la traccia della presenza di Anthos nella visione, tentando di stabilire il contatto. Sperò che il principe non lo rifiutasse. La scia dell’essenza di lui era inafferrabile, evanescente, come se non si trovasse al presente in quella contingenza; non rispose alla connessione spirituale, non per borioso disinteresse o per spossatezza estrema. Fu come afferrare un’illusione e trovarsi con le mani vuote.
Dionissa riaprì gli occhi, ansimando per la paura e non per la fatica. Non riuscì a spiegarsi l’avvenimento, un caso mai occorso nella sua esperienza di veggente. Riprovò, ottenendo il medesimo, sfiduciante risultato. Non si arrese, cambiò strada. Ripiombò nella meditazione, appellandosi a un aggancio diverso ma altrettanto importante: lo intravide nella condivisione spirituale e lo afferrò al primo tentativo con una facilità quasi ridicola.
Màrsali rispose subito al suo appello, sorreggendo la comunicazione mentale con gioia e trepidazione immense.
Principessa Dionissa!
La giovane elestoryana espresse la propria felicità nel saperla viva e ricevette in cambio quella parimenti sentita della fanciulla bionda. Raccontò l’accaduto e domandò con ansia notizie della sorella e del consorte.
Non saprei darvi ragione della loro assenza, le nostre strade si sono divise da quando siamo stati costretti a fuggire dalla capitale. Ma il principe Anthos sta svolgendo il suo compito di reggente come nessuno avrebbe sperato e la regina Adara è al suo fianco. Mia signora, non sbaglio a riferirvi che l’amore che vostra sorella ha portato nella nostra terra è riuscito a raggiungere l’animo di colui che regna su noi tutti. Egli combatterà il Nemico e lo farà senza chiedere nulla in cambio.
Dionissa vibrò di letizia e commozione, pur nella grave preoccupazione per lo scontro che si stava prospettando. Non riuscì a darsi risposta in merito al riguadagnato controllo del Kalah e Màrsali non poté aiutarla.
Nonostante gli evidenti segni del cielo, il Distruttore non si è manifestato. La fine di ogni esistenza incombe sui due Regni e il Traditore degli dei non è che il primo ostacolo. Ma non dobbiamo disperare, siate forti, abbiate fede.
La principessa accolse con affetto la premura della fanciulla iomharese. Restituì pari speranza, sebbene Erinna stesse tramontando nell’oscurità più tetra e la notte pronta a inghiottirla non fosse mai stata tanto scura e terrificante come allora. Avrebbero dovuto resistere a oltranza, come stavano facendo anche i cittadini del Nord, incalzati dallo stesso implacabile avversario. I due Regni erano ora legati dall’arbitrio di un Immortale e dalle azioni di un uomo.
Dionissa abbandonò il contatto con la veggente di Odhran con un senso di precaria sospensione nei confronti degli eventi in corso, contro la quale non esisteva alcuna soluzione. Solo difesa e attesa. Scivolò fuori dalla visione, focalizzandosi sulla realtà della propria camera, ma qualcosa la afferrò, trattenendola a forza all’interno dello spazio mistico prima che potesse svincolarsi. Una sensazione di corruzione e di gelo la pervase nell’immediato. L’ombra offuscò ogni cellula di quel luogo della mente con terrificante perfidia, un’onda buia e atroce.
Una figura ammantata in nero, più concreta che proiettata nell’inconscio, apparve innanzi a lei, fissandola con le iridi del colore del sangue. Le sue labbra si piegarono in un sorriso crudele e sottile. La tenebra emanò da ogni sua fibra.
«Shion!?» rantolò la principessa, stentando a riconoscere in quella creatura malevola i tratti familiari del fratello maggiore.
«Non ci vediamo da parecchio, sorellina» sogghignò questi «È stato provvidenziale trovarti tra le spire della divinazione. Deduco che Anthos abbia annullato la sua coercizione su di te.»
Gli occhi di Dionissa si riempirono di lacrime nell’udire la sua voce.
«Oh, Shion, cosa ti hanno fatto…»
«Cosa?» ripeté lui sprezzante «Sei in errore. Che cosa farò io a tutti voi, è la domanda corretta! Puoi dimenticare per sempre l’imbelle ragazzino che chiamavi fratello. Ha cessato di esistere. Il mio nome è Ishkur, signore del Nulla!»
La ragazza rabbrividì all’interno del legame, sentendosi soffocare dall’odio.
«Stai soffrendo, vero?» proseguì lui «Eppure non desisti. È ammirevole, mi fa sorgere il desiderio di usarti clemenza. Voglio proporti un accordo. Tu mi aiuterai a espugnare Erinna, consentendo a deamhan di carpire tutte le anime ivi custodite, io ti restituirò la salute. Permetterò che tu metta al mondo mio nipote, il mio erede, e che lo veda crescere.»
La giovane si strinse nei vestiti, come a proteggere la sua creatura innocente da quella presenza perniciosa.
«Devi rinunciare questa tenebra, Shion! Non permettere al male di vincere, sono certa che tu abbia la forza per opporti ad esso! Qualcosa di te è presente, lo sento! Smetti di avallare il Nemico, aiutaci! Ascolta la mia voce! Tu sei diverso da costui!»
«Ti affanni invano. Se il tuo Shion fosse vivo in una parte di me, continuerebbe a comportarsi come quando era un misero essere umano. Servirebbe me solo, sceglierebbe il mio fianco e odierebbe te: questa è la verità che continui grettamente a rifiutare. Ma è vero: lui è sempre stato diverso nell’animo, sebbene condividiate lo stesso sangue. Il mio a ben vedere. Tuo fratello non ha subito alcuna costrizione, così come tua sorella. Sei rimasta sola, veggente.»
«Stai mentendo! Adara si è opposta a te e il principe del Nord è schierato con lei!»
Ishkur esplose in una risata sguaiata e raggelante, che le rimbombò nella mente.
«Povera Dionissa… tu non puoi saperlo in effetti.»
La donna trattenne il fiato, resistendo al terrore. Se esisteva una speranza, non l’avrebbe lasciata cadere a causa delle sue parole mendaci. Lui sogghignò.
«La tua dolce Adara è nelle mani di Irkalla. È lui che sta servendo con devozione. Sai, conoscendolo da tempo immemore, posso garantirti che non vi risparmierà dalla distruzione che incarna, a differenza mia. La proposta che ti ho fatto resta valida. Cedi a me e sarai salva.»
Il cuore della principessa perse un battito. La visione oscillò, ma il dio del Nulla la sostenne senza sforzo, costringendola a restare in sua presenza.
«N-non ti credo!»
Lui inarcò un sopracciglio, agghiacciante nella sua espressione beffarda. Allargò le braccia, facendo frusciare la seta nera della tunica. Sospirò accomodante.
«Puoi constatarlo da sola, trarre le tue conclusioni e comunicarmele a piacimento. Cercami attraverso il tuo Kalah, il dono che io ho riservato alle genti del deserto. Ti risponderò senza esitazioni.»
Dionissa impallidì, ma non permise alla contaminazione demoniaca di intaccare la sua limpidezza, la sua irreprensibilità.
«Se anche fosse, non sosterrei mai il male che sento fluire in te. Preferisco morire, piuttosto che appoggiare l’oscurità!»
«Neppure per salvare il frutto del tuo grembo?» rincarò Ishkur, sottile.
La ragazza non raccolse la provocazione, forte nella sua fragilità di essere umano.
«Anche tu hai una sorella. Dal poco che ho letto di voi nei testi antichi, la celeste Amathira ti ama molto. Forse troppo, lo sostengo con il devoto rispetto che le porto. Proprio come io amo Shion: come lei con te, ho sbagliato nei suoi riguardi per eccesso d’affetto. Possibile che tu non senta niente per lei? Niente attraverso il filo che, seppur gracile, mi unisce al mio adorato fratello?»
Le iridi borgogna del Nemico si incendiarono come fiamme sfuggite al controllo. Il Diadema sulla sua fronte brillò metallico e prezioso.
«Oh sì, lo avverto con chiarezza! È immane disprezzo!»
«Non hai risposto quanto più temevo. Cioè che non provi nulla.»
Ishkur strinse torvo le palpebre, allentando il legame spirituale che condividevano.
«Non costringermi a fornirti le prove, sacerdotessa. Non ti conviene.»
Si allontanò, retrocedendo dal contatto e liberando l’etere dal suo veleno nefasto. L’atmosfera greve si alleggerì.
«Shion!» gridò Dionissa «Ti voglio bene, Shion!»
L’essere oscuro parve esitare per un infinitesimo. Poi svanì.
La principessa boccheggiò, tergendosi il sudore dalla fronte, cercando di calmare il respiro accelerato e le pulsazioni che le rintoccavano nelle vene. Rabbrividì. Aveva incontrato il male allo stato puro. Un’essenza priva di positività e luce. Un grumo di odio e rancore senza appigli, che l’aveva svuotata di ogni energia in pochi rivoltanti secondi. Eppure, nonostante l’energia deamhan che trasudava da ogni fibra, nonostante le parole cariche di risentimento, il dio del Nulla aveva indugiato al suo accorato richiamo. Una scintilla di lui era necessariamente umana o non avrebbe potuto indossare il gioiello del Sud: quella favilla debole e fioca era Shion. C’era ancora speranza.
Scostò le coperte e fece per raggiungere la stola posata sul bordo del letto. Il Kalah riesplose con prepotenza, stordendola con un vigore al quale non era più avvezza. Dionissa si aggrappò ai drappi del baldacchino, estenuata dal nuovo sforzo cui era costretta. Tentò di dominarlo e ne riprese a stento il controllo.
Le torri slanciate di Iomhar apparvero nella visione, prive di neve e stagliate grigie contro un cielo insolitamente sereno. La maggiore, rivestita di un lieve bagliore dorato, entrò nella sua prospettiva, che prese a scorrere alla velocità di un galoppo sfrenato. La visione scese, certa della strada da percorrere, e la giovane la assecondò, raggiungendo una stanza remota del palazzo reale di Jarlath. Nella penombra incerta scorse due mani, intrecciate l’una all’altra, unite da una forza superiore invincibile. Il principe del Nord, che stringeva Adara tra le pieghe brune del mantello, sollevò il viso, come se si fosse accorto dell’intrusione, ma non fosse intenzionato a ostacolarla. Sulla sua fronte, tra le ciocche bionde, risplendeva il segno inconfondibile del Distruttore.
Dionissa trasecolò, percossa da un’energia mille volte più potente della sua: per un istante gli occhi d’ambra di Anthos si schiusero e si infissero nei suoi, consapevoli, privi di sospetto e di qualsiasi intento difensivo. In quello sguardo feroce, addirittura insostenibile, non esisteva disagio o rabbia nei confronti di lei che aveva violato uno spazio proibito. C’era solo una fierezza estrema, quasi arrogante per ciò che era: Irkalla, il dio punito portatore di distruzione.
La visione si interruppe di colpo, dopo averle mostrato quanto desiderava. La ragazza si accasciò sul materasso, prendendosi la testa tra le mani.
«Adara…» mormorò tremando.
 
Il porto di Thyda si animava presto, per accogliere le ormai rare navi che vi facevano scalo o per accompagnare la partenza di quelle che salpavano. Le carovane dei mercanti provenienti dal vicino deserto erano schierate nella piazza principale, in attesa di acquistare i prodotti d’oltremare o di vendere quelli locali ai velieri del Nord. Le informazioni sui luoghi più lontani passavano di bocca in bocca nella lingua comune in un tamtam inarrestabile: nessuna rassicurante, nessuna certa.
Tsambika buttò un’occhiata in tralice al molo, dove fino alla settimana prima erano ancorate la Karadocc e la Violine. Una scossa allo stomaco le comunicò la nostalgia dovuta alla lontananza dai propri compagni. La Orie era ancora alla fonda per le riparazioni: la capitana evitò di soffermarsi con eccessivo rimpianto sul suo scafo, scacciando il desiderio di salire a bordo. Aveva scelto, ma le capitava di domandarsi se avesse preso la decisione corretta. Era solita rispondersi che i primi tempi erano i più duri, ma la risoluzione iniziava a vacillare con frequenza sempre maggiore. Sbuffò, girandosi verso le bancarelle colorate.
Accanto a lei Imear sceglieva con cura la frutta, intavolando discorsi futili con il commerciante di turno: la iomharese era felice di parlare del prezzo di questo o quel prodotto, del tempo, delle marachelle dei figli, di ciò che le passava per la testa. Felice di essere al mondo, insomma. Un po’ la invidiava, a ben considerare.
Un rumore improvviso la distrasse dalle riflessioni. Il manico della cesta si era staccato e il suo contenuto stava rotolando disordinato lungo la strada. Tsambika aiutò la compagna a raccogliere le verdure sparse, prendendo il canestro sotto braccio e sorreggendolo senza sforzo.
«Siete molto buona, Sharen.»
«Tsk, figuriamoci…»
Imear sorrise, avendo imparato a riconoscere il carattere brusco della donna.
«Beh, l’altro giorno avete medicato la ferita di Drhem.»
«Ha fatto una scenata isterica per quella sciocchezza, che diamine!»
«E avete regalato a Garten un rimedio contro la febbre.»
«Si sarebbe lamentato fino all’alba, togliendo il sonno a tutti.»
«E la mia amica Rianor dice che…»
«Va bene, Imear, avete ragione! Potrei sfidare gli angeli e vincere senza sforzo!»
La donna rise, coprendosi la bocca con la mano alla reazione impacciata.
«Per un attimo mi avete spaventato, signora” intervenne un anziano, strofinandosi un fazzoletto sgargiante sulla fronte rugosa «Parlare di Angeli da queste parti può confondere le idee.»
Tsambika lo fissò con un certo fastidio, sperando che si levasse di torno, ma Imear chiese delucidazioni, incuriosita.
«Per riferirsi agli spiriti della luce è meglio dire Yoimar» continuò affabile il vecchio «A Elestorya, angeli generico è il soprannome degli Anskelisia e…»
Spiegò le caratteristiche della temuta tribù dei reietti, senza risparmiare i dettagli raccapriccianti e scabrosi. Imear si strinse al braccio dell’amica, terrorizzata dal racconto cruento.
«Oh, Sharen, hai sentito? Speriamo che non giungano a Thyda!»
«Fino a qualche mese fa avrei potuto rassicurarvi» asserì l’uomo «Ma adesso… come vedete i nostri soldati e con essi molti volontari sono partiti per difendere la capitale in risposta all’appello della regina. Anche mio figlio è andato e, credetemi, nessuno di noi pensa che i nostri cari possano tornare a casa. Soprattutto dopo la notizia del recente massacro avvenuto sotto le mura di Erinna.»
«Cosa?» sbottò Tsambika.
L’anziano scosse la testa addolorato.
«Chiunque cerchi di avvicinarsi alla città è destinato a una fine ingrata. Gli Anskelisia sbarrano la via durante il giorno, mentre di notte cedono il passo ai daimar. Il generale Kendeas ha cercato di sfondare le linee degli assedianti, ma la sortita si è risolta in una carneficina. Non si conta il numero dei morti e…» inalò l’aria con angoscia crescente «Penso di poter affermare, da quanto mi è stato riferito dai fortunati che l’hanno scampata, che la fine immediata sia un toccasana.»
La ex capitana impallidì, rischiando di far cadere a terra il paniere.
«Sharen?» mormorò Imear, preoccupata «Vi sentite bene?»
«Io non posso restare qui» replicò Tsambika «Io devo andare.»
   
 
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