IL
TAGLIO DI UN NARCISO
DI
SOKEW86
Quando
una
persona pensa alla frase “la prima volta” spesso la
associa a esperienze felici
o considerate speciali come può essere per esempio la prima
volta che si è
fatto sesso. Qualche volta si può immaginare qualcosa di
negativo come per
esempio rubare o provare una dose ma questo legandolo probabilmente al
sentimento
di rimorso. Altre volte la prima volta è concetto
più complesso. Magari una
realizzazione costruita da una serie di prime volte. Per me questo
è una prima
volta. Mi passo una mano sulla nuca rasata e la sensazione mi piace e
penso che
tutto è partito da lì, da quei peli troppo lunghi
nominati capelli. Quando
metto piede nell’aeroporto, ho fiducia in che cosa
accadrà, guardo il tabellone
delle partenze e ovviamente il mio gate
non è aperto, troppo presto per il personale di volo e
troppo tardi per me. Mi
siedo e chiudo gli occhi e so per certo che ricorderò tutto,
tutte le prime
volte che poi mi hanno portato a realizzare l’amara ma
necessaria verità “Mia madre
non mi ama e non l’ha mai fatto”.
Ho capito che c’era qualcosa di
sbagliato in mia mamma parlando con una conoscente, si era finiti a
discutere
della relazione con i propri genitori e avevo detto la
verità: a mia mamma
raccontavo tutto, era la mia migliore amica.
-Le racconti
anche di chi scopi?- una domanda posta per sfida ma con una genuina
curiosità
di fondo, avevo arrossito e balbettato e infine confermato. La
conoscente in
questione mi aveva guardato stupita
– Tua madre
non rispetta la tua privacy, questa è una violazione grave.
Immagino che ci
siano altri limiti personali che non rispetta-. Quel tono saccente non
mi ero
piaciuto e avevo controbattuto dicendo che anche lei non rispettava la
mia
privacy e che mia mamma ed io avevamo solo un bel rapporto. Ripenso a
quell’episodio
con imbarazzo: ero chiaramente in negazione e che continuavo ad
accarezzare i
miei lunghi capelli sciolti. I
miei
capelli erano il simbolo del legame tra me e mia mamma,
l’ossessione del suo controllo.
Nonostante la mia fiera opposizione, quell’episodio si era
radicato nella mia
mente ma forse è meglio dire nel subconscio,
perché allora non sapevo che
farmene della verità sugli abusi che subivo.
Io
ho una sorella, lei e mia mamma non si parlano da anni e ho sempre
pensato che
mia sorella fosse matta, che facesse soffrire inutilmente nostra madre.
In
realtà mia sorella non voleva semplicemente ubbidire
ciecamente. Ricordo un
giorno in cui aveva fatto cadere un piatto, nulla di grave …
non era nulla di
costoso o di unico. Era solo un piatto di un prodotto di serie ma mia
sorella
aveva iniziato a piangere.
-Mamma mi
uccide!-
-Non è
vero! Stai tranquilla!-
- Non
capisci!Non mi tratta come te!-
Parole che
non avevo capito ma messo a disagio, mentre lei ripuliva tutto. Dopo
una rapida
ricerca al cellulare, aveva visto dove comprare l’intero set
dello stesso
piatto. Entro sera aveva aggiunto il nuovo piatto e nascosto il resto,
in caso
di emergenza.
Poi erano
iniziati i litigi, mia sorella aveva incontrato qualcuno ed era
innamorata e a
mia mamma non piaceva e se non le piaceva ci doveva essere una ragione.
Allora
credevo che a mia sorella piacesse creare inutili drammi. Mia sorella
andò
infine via di casa. Un giorno io e mia mamma l’avevamo
incontrata per strada,
mia sorella era imbarazzata e l’aveva salutata esitando ma
nostra madre l’aveva
ignorata.
-Mamma, non
l’hai vista ?- le avevo domandato ma lei non aveva risposto
ed era andata
avanti, mi ero voltata per vedere mia sorella, che era ormai
sull’orlo delle
lacrime. Le feci segno che l’avrei chiamata e fu
così, parlammo le chiesi di
venire incontro a nostra mamma ma lei mi zittì.
-Non
importa quanto puoi aver litigato con una persona ma ignorare la mia
esistenza
in quel modo … è ben oltre la maleducazione,
è crudeltà. Nessuno merita
crudeltà, non mi merito questo- .Presi le difese di mamma a
spada tratta e ci
andai pesante con mia sorella che si limitò a dirmi
– Nostra madre è una
narcisista patologica, spero che rimarrai sempre nel suo buon lato ma
se così
non fosse puoi contare su di me- …
… No, non
chiusi i ponti con mia sorella ma cocciutamente ero dalla parte di
nostra mamma.
Iniziavo però ad avere dubbi, mia mamma era stata
effettivamente crudele a
ignorare mia sorella e ne parlai con mio padre.
-Non
preoccuparti, i genitori vanno sempre incontro ai figli, faranno pace
presto
quelle due: le madri amano troppo i figli per farsi dominare
dall’orgoglio-,
furono le parole di mio padre.
Invece
non fu così. Il tempo passava e miei capelli crescevano
ancora più lunghi, mia mamma
mi aiutava a tenerli belli. Non parlava con mia sorella e non ne
parlava mai,
quando la citavo i suoi occhi si facevano gelidi e mi abituai a non
vedere mia
sorella, che nel frattempo si era trasferita in un’altra
città: con il partner
si era lasciata ma erano rimasti in buoni rapporti. Quando
l’avevo detto a mia mamma
lei mi aveva risposto- Ben le sta, ha scelto di
tradirmi con qualcun
altro-
-Ma sta
bene-
-Non m’interessa,
mi stai facendo innervosire- e aveva iniziato a ignorarmi. Da quando
mia
sorella era andata via, il nostro rapporto era diventato diverso
… si arrabbiava
spesso con me e come punizione m’ignorava per giorni, ma in
altri momenti
sembrava ricordarsi della nostra amicizia e tornava ad amarmi. Tutto
ciò mi
destabilizzava e ne parlavo con mio padre che la giustificava, quanto
empatia
malriposta le mostrava, e alla fine mi convinceva sempre a chiedere
scusa a mia
mamma per “quieto vivere”.
Un giorno un mio amico, aspirante parrucchiere,
mi chiese se poteva giocare con i miei capelli. La domanda mi
provocò un moto
d’ansia.
-Capisco
... sei gelosa dei tuoi capelli-
-Non io,
mia madre!- avevo spiegato velocemente-
Il mio
amico era stranito.
-In che
senso? –
-Le piace
curarli personalmente e … non le piacciono le tinture-
-Ma sono i
tuoi capelli, perché ha potere su una cosa non sua?-
-È mia
madre-
-Sì. Ma il
corpo è tuo e ci fa quello che vuoi tu, non te
l’hanno mai detto?-
Non avevo
risposto, era così strano l’atteggiamento di mia
mamma?
-Ascolta,
non voglio metterti in difficoltà. Volevo solo provare a
fare qualche acconciatura-
Ero rimasta
in silenzio e avevo preso il cellulare e mi ero specchiata sullo
schermo nero.
I miei capelli erano lunghi e sciolti e li avevo sempre portarti
così, perché
mi piacevano?
Il mio
amico mi guardava preoccupato, la sua espressione mi ricordava la
conoscente
impicciona e sentì di dover dimostrare la
normalità del rapporto di mia mamma.
-Fa quello
che vuoi, anzi … - avevo cercato sul cellulare
un’immagine nella galleria di un
personaggio di una webtoon e glie
la
mostrai-
-Riesci a
farla?-
Lui aveva
ridacchiato- Assolutamente sì-
Quando
tornai a casa con la mia pettinatura, mia mamma mi guardò
con un disgusto tale
che non so ancora a che cosa paragonare.
-Che hai
fatto?-
La mia voce
si era fatta debole e esitante, quasi non usciva dalla gola,
perché avevo
paura? Non era supposto che avessi paura,non avevo fatto nulla di male,
in
teoria.
-È una
pettinatura di un mio amico-
-Legare i capelli
è dannoso, li spezza li rovina. Li rende una steppa in testa-
-È solo una
pettinatura-
-Bene,
avrai la steppa in testa-
-Mi sembra
eccessivo mamma-
Mia mamma
mi fissò con uno sguardo che mi gelò
l’anima e poi andò via.
-Non venire
a piangere da me quando i capelli cadranno a pezzi-, queste furano le
sue
ultime parole
Avevo una
sensazione amara che partiva dalle mie labbra e scendeva fino alla
bocca dello
stomaco. Sapevo che era arrabbiata e sapevo che era tutta colpa mia e
sapevo
che mi spettava ogni suo risentimento. Avevo sciolto i capelli e
chiesto a mia mamma
di aiutarmi ma nei giorni avvenire lei mi esprimeva il suo rancore, al
mio
ennesimo tentativo di contatto, ci fu la dichiarazione.
-I capelli
fateli asciugare dal tuo amico-
Al mio
ribattere ci fu subito- Vedi i figli sono tutti ingrati, sei come tua
sorella!-
Il fatto
che mia mamma citasse mia sorella, mi destabilizzò, di lei
ormai non parlava
mai, lei era impronunciabile e questo mi aiutò a ricordarmi
delle parole “Narcisista
patologica”. Che cosa voleva dire? Conoscevo ovviamente il
mito di Narciso
certo, l’avevo visto anche parodiato in Pollon ma non avevo
idea cosa
effettivamente descrivesse. Per me era un aggettivo ombrello, era usata
così
tanto per descrivere chi faceva i selfie,
che l’avevo ormai affibbiata al concetto di
vanità.
Quella
notte, ho scoperto per la prima volta il significato di narcisismo
patologico,
ho letto la definizione sui siti di psicologia, i consigli contro i
narcisisti
e poi vidi il video di un ragazzo che parlava della sua storia,
dell’orrenda
vita familiare che aveva avuto a causa di un genitore narcisista. Il
video fu
difficile, più parlava il sopravvissuto, così si
era definito, e più trattenevo
le lacrime,: quei comportamenti che avevo sempre visto come giuste
punizioni … erano
chiamati abusi e non mi piaceva, non avevo mai odiato una parola:
suppongo che
anche questa è da considerarsi una prima volta. Il
sopravvissuto dichiarò che i
narcisisti non amano i loro figli e questo per me era intollerabile, io
amavo
mia mamma … com’era possibile che non fosse il
contrario? Il video m’incasinò
il cervello, avevo bisogno di risposte e adesso sembravo in grado di
cogliere
ogni minimo comportamento scorretto da parte di mia mamma e legarla
alla parola
abuso. Era uno schifo, stavo odiando la mia vita e continuavo a negare
perché
era tutto troppo orribile per poterlo accettare.
Così
parlai con mio padre, quella figura che nella mia vita era stata quasi
un’evanescenza.
Cercai di parlare con lui ma non capiva o meglio negava con tutto se
stesso e
nulla poteva cambiare la situazione.
Era
intrappolato anche lui in ruolo che mia madre gli aveva cucito addosso,
il
giustificatore. Mio padre negò, negò e mi
convinse per un attimo che fosse
tutta un’esagerazione. Uscì da quella
conversazione con la certezza di avere
sbagliato: mia madre mi amava incondizionatamente come avrebbe dovuto
fare
qualsiasi genitore. Potrei mentire adesso, dire che nonostante le
parole di mio
padre avessi volontariamente deciso di mettere alla prova mia madre,
non fu
così accade.
Il
mio amico si stava esercitando sulle tinture, era affascinante vederlo
destreggiarsi tra i colori e miscele: sembrava un incrocio tra un
chimico e un
pittore. Quella volta non eravamo soli, c’era qualche amico
in comune che aveva
accettato di fare da cavia e si stavano tutti divertendo, io no
… mi
accarezzavo i capelli in continuazione.
-Non vuoi
provare?- domandò qualcuno ma intervenne il mio amico in
soccorso.
-
Preferisce i capelli naturali-
Non era
vero, mi piacevano i colori della tintura, dai colori folli da anime ai colpi di sole e mi ritrovai a
dire- Se vuoi fare dei colpi di sole, ci sono io-.
Alla fine
però non feci dei semplici colpi di sole, feci qualcosa di
più estremo e più
notabile ma bello e di classe, speravo così di non irrompere
l’ira di mia mamma.
Una volta finito mi resi conto di che cosa avevo fatto ma mi piacevo
tantissimo,
mi sentivo a mio agio con quella nuova immagine.
Andai
a casa pensando che tutto sarebbe andato bene, le sarebbero piaciuti.
Non fu
così, alla mia vista fece cadere la pentola che reggeva e
inizio a piangere.
-Cosa hai
fatto?Perché mi disubbidisci?-
-Non ti ho disubbidito,
non mi hai mai detto che non potevo tingermi i capelli-
Alzò il suo
sguardo e c’era solo rabbia, come se si fosse messa
rapidamente un’altra
maschera: non c’era transizione tra le due espressioni.
-Era
implicito, ho sempre pensato che non fossi abbastanza intelligente-
Si era avvicinata
e aveva toccato i capelli con un’espressione disgustata
-Sono
crespi-
Non era
vero, il mio amico aveva fatto un buon lavoro ed erano morbidi.
-Resta qui-
mi aveva ordinato e avevo ubbidito nonostante che in quel momento
avessi
veramente paura di lei. Era tornata e mi aveva ordinato di chiudere gli
occhi,
lo feci.
Prese una
ciocca dei miei capelli alla radice e la tagliò.
Riaprii gli
occhi e la spinsi via, una lunga ciocca di capelli era a terra.
-Mi hai
rovinato i capelli-, il sussurro della mia voce era flebile mentre le
lacrime
mi solcavano gli occhi. Mia madre non aveva risposto, mi aveva lasciato
le
forbici in mano -Li avevi già rovinati … erano
l’unica cosa bella di te-
concluse.
Mi lasciò
sola con le forbici in mano e la sensazione di terrore che non voleva
andare
via, insieme alla delusione e il dolore.
Chiamai mia
sorella.
Mi disse di
andare via di lì e stare in casa di un amico per un paio di
giorni mentre lei
organizzava il mio arrivo, scelsi il parrucchiere, naturalmente. Mia
madre non
mi ostacolò durante i preparativi e non mi parlò.
Mio padre era nel mezzo,
disse che capiva come mi sentivo, ma sapevamo tutti che la mamma era
una
persona gelosa ma non cattiva.
Lo
abbracciai perché lo stavo lasciando lì con quel
mostro che per anni mi aveva
fatto credere che mi avrebbe amato sempre, ma al più piccolo
segno di devianza,
immagino che così considerasse il mio comportamento, mi
aveva fatto capire che
non avrebbe tollerato nulla.
Il mio amico tentò di salvare i miei
capelli ma alla fine gli chiesi di rasarli tutti perché non
volevo che rimanessero
tracce di mia mamma e delle sue cure condizionate. Lui capì
e non fece troppe
domande, credo che potrebbe rimanere mio amico per lungo tempo. Un paio
di
giorni dopo mi accompagnò all’aeroporto e mi disse
di avvertirlo quando arrivava,
lo abbracciai forte ed entrai dentro.
Questa è
anche la prima volta che viaggio senza i miei genitori.
Nota
dell’autrice.
Questa storia è molto personale ed è ben lontana
dal mio solito stile.
Il flusso di coscienza è stato utilizzato per dare
un aspetto surreale agli avvenimenti ma purtroppo queste cose accadono
sul
serio. La scelta di
utilizzare termini
più o meno neutrali è voluta, anche se ho dovuto
forzare la grammatica in
alcuni punti, perché non volevo assegnare un genere al
personaggio principale.
Per tutti coloro che si trovano in una situazione
di abuso genitoriale, voglio dirvi non è colpa vostra e che
vi meritate di più
anche se non siete perfetti.
Francesca