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Autore: Nike90Wyatt    23/10/2020    2 recensioni
Una lettera da Milano sconvolge la vita di Marinette Dupain-Cheng, paladina di Parigi nei panni di Ladybug e neo Guardiana della Miracle Box; una serie di circostanze, insieme ai suggerimenti dell’inseparabile Tikki e dei suoi genitori, la spingeranno a prendere una decisione che stravolgerà il suo futuro e le sue relazioni.
Intanto, Gabriel Agreste, ossessionato dalla vendetta nel nome di sua moglie Emilie, vola in Tibet, accompagnato dalla sua fedele assistente, nonché amica e complice, Nathalie Sancoeur, con un unico obiettivo: scoprire i segreti dei Miraculous che si celano tra le mura del Tempio dei Guardiani.
Genere: Azione, Sovrannaturale, Thriller | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna | Personaggi: Adrien Agreste/Chat Noir, Gabriel Agreste, Marinette Dupain-Cheng/Ladybug, Nuovo personaggio
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Parigi, Settembre 2018

Il servizio fotografico terminò dopo quattro ore di pose, scatti, rimproveri. Adrien non ne poteva più. L’abito che indossava, un completo bianco con cravattino e panciotto rossi, era ormai parte integrante della sua pelle. Gli occhi gli bruciavano a causa dei fari puntati sulla faccia. Mancava poco che esplodesse se qualche altra truccatrice si fosse avvicinata per asciugargli il sudore che gli scendeva copioso dalle tempie e dalla nuca.

“Meno male che hanno usato il gel per i capelli.” Si passò una mano sulla fronte. “Non avrei retto ai colpi di phon.”

La sfilata per la nuova collezione autunnale del marchio Agreste era stata un successo. Gabriel non aveva perso tempo e aveva dato disposizione per un servizio fotografico con protagonista il figlio in modo da pubblicizzare i capi. La dedizione maniacale al lavoro era uno degli aspetti più iconici dello stilista, da quando la sua presenza agli eventi mondani era costante. L’efficienza di Nathalie Sancoeur nell’organizzazione faceva il resto. Nel giro di una settimana, era sempre tutto pronto nei minimi dettagli.

«Ancora un ultimo scatto, raggio di sole.» Il fotografo Vincent puntò la macchina fotografica.

Adrien roteò gli occhi al cielo, sbuffando. «Mi prometti che è l’ultima?»

«Te lo giuro sulle sfogliatelle di mammà. Fammi un bel sorriso.»

Le labbra di Adrien si incurvarono verso l’alto. Gli parve di avere i muscoli paralizzati e dovette sforzarsi per riuscire ad apparire naturale.

Vincent, con l’occhio penetrato nell’obiettivo, schioccò la lingua sotto al palato. «Non ci siamo. Pensa a una bella pizza con salsicce e friarielli.»

“Questo funzionerebbe più con Plagg che con me.” Il risultato rimase il medesimo.

Lo sconforto si disegnò sul volto di Vincent. «No, no, ragazzo mio.» Si massaggiò con due dita il naso adunco. Schioccò le dita ed alzò il capo come se fosse stato colpito da un fulmine. «Ci sono!» Un bagliore gli illuminò gli occhi color ambra. «Pensa a una bella figliola. La più bella che tu conosca.»

Adrien sollevò un sopracciglio, quindi annuì. Chiuse gli occhi e si concentrò. Immaginò la sagoma di una ragazza: più si concentrava, più l’immagine diventava nitida. Occhi come l’oceano, capelli corvini legati in due codini da elastici rossi, tuta rossa a pois neri. Fu un pensiero agrodolce. Ormai erano tre anni che non la vedeva, ma la sua presenza era sempre vivida. Riaprì gli occhi e sorrise.

Il ticchettio della macchina fotografica di Vincent sembrava un metronomo. «Così, bello mio! Questo è il mio raggio di sole!» ripeteva il fotografo.

Quando il faro che gli illuminava il volto si spense, Adrien sbatté le palpebre, come risvegliato da un sogno.

«Pensavo di dover minacciare il signor Vincent perché ti lasciasse andare.» Katami Tsurugi passò accanto al fotografo, che stava mettendo da parte l’attrezzatura, ed ammiccò. «Tutto bene?»

Adrien allargò le braccia con espressione rassegnata. «Non vedevo l’ora che finisse.» Si avviò verso il tendone bianco allestito per il servizio fotografico. Intorno allo spiazzale di Place de la Fontaine-aux-Lions, gli addetti avevano disposto una fila di transenne per tenere lontani eventuali paparazzi, curiosi e fan schizzati. Adrien scomparve dietro un separé bianco. Un unico faretto illuminava l’ambiente, l’aria era a tratti irrespirabile.

«Come hai fatto a superare la sicurezza?» Adrien si sfilò il completo, non senza qualche difficoltà.

«Nathalie mi ha fatta passare. Speravo finissi prima così da poter andare insieme da André, prima di raggiungere la stazione.»

«Credevo tenessi alla linea da schermidrice.»

«Tanto ti batto lo stesso. Sempre.»

«Touchè.» Adrien prese la sua sacca e uscì dal tendone affiancato da Katami. «Credo sia meglio che vada a casa a farmi una doccia.» Fece un segno a Nathalie, la quale assentì col capo. «Ci vediamo alla stazione?»

«Ti lancio una sfida per domani.» C’era l’accenno di un sorriso sui lineamenti spigolosi di Katami. E lei sorrideva molto di rado. «Sempre che il signorino Agreste non abbia troppa paura di perdere.»

Adrien socchiuse gli occhi, con una smorfia di disappunto. «Ci sarò. E vincerò.»

«Lo vedremo.» Katami si alzò sulle punte e gli diede un bacio a fior di labbra. Si incamminò verso la berlina rossa che la attendeva a bordo della strada.

Adrien si massaggiò la nuca, imbarazzato da quel gesto inatteso. Non era da Katami fare manifestazioni d’affetto in pubblico. Ma forse era il momento di far evolvere la loro relazione.

Seguì Nathalie e si infilò nella Mercedes guidata dal Gorilla.

 

Giunti a villa Agreste, si ritirò nella sua camera. Aveva evitato di aprire discorsi imbarazzanti con Nathalie, né lei aveva fatto commenti riguardo ciò che aveva assistito. Meglio così.

Posò la sacca sulla sedia davanti alla scrivania, la aprì e prese un contenitore metallico dalla forma cilindrica. L’odore pungente di Camembert gli salì alle narici, nonostante fosse sigillato. Lo adagiò sulla scrivania. «Plagg?» Non ci fu risposta. Sbirciò nella borsa. «Plagg, ci sei?»

Di nuovo, nessuna risposta.

Rovistò nella borsa tirando fuori ogni oggetto. Data la quantità di oggetti che si era portato dietro, la rovesciò sulla scrivania, svuotandola del tutto. «Dove si è cacciato?» disse in tono tra lo stizzito ed il preoccupato. «Plagg! Dove sei?»

Resto in silenzio per un attimo. C’era un leggero ronzio, proveniente dal contenitore metallico. Adrien alzò le braccia al cielo, implorando. Aprì il contenitore. Il Kwami del Gatto Nero dormiva rannicchiato accanto ad una forma di Camembert mangiucchiata. Erano come pezzi complementari, uno nero, l’altro bianco.

Adrien prese tra le mani il pezzo di formaggio, chiudendo le narici con due dita per proteggersi dal tanfo, lo sventolò davanti al musetto di Plagg e lo allontanò di scatto.

Plagg, continuando a ronfare, si sollevò in volo, col naso sporto in avanti. Seguiva l’odore del suo amato formaggio. A tratti, la sua lingua inumidiva i baffetti.

«Se non ti svegli all’istante te lo butto nell’immondizia.»

«No!» Plagg scattò in avanti, gli occhi smeraldini spalancati per il terrore, ed abbracciò il pezzo di formaggio.

«Finalmente.» Adrien incrociò le braccia al petto. «Per un attimo, ho pensato di averti lasciato lì.» Si guardò la mano disgustato. «Ora la dovrò lavare almeno sei volte per far andare via la puzza.»

Plagg strofinò la guancia sulla superficie del formaggio, con un mugolio di piacere. Lo lanciò in aria e lo divorò in un solo boccone. «Questa è vita.» Ruttò con piacere.

Adrien scosse il capo. «Sei fortunato che non ho il tempo di mettermi a discutere con te.» Lanciò uno sguardo all’orologio. Aveva poco più di venti minuti per farsi una doccia, mangiare uno spuntino e fiondarsi alla Gare de Lyon.

«Ah già. Oggi ritorna la tua splendida amica» commentò Plagg con una nota di sarcasmo.

Adrien lo ignorò e si avviò in bagno. Non vedeva l’ora di togliersi di dosso cerone, gel e sudore.

 

Katami lo aspettava davanti all’ingresso della stazione ferroviaria. Non si era cambiata d’abito e Adrien si chiedeva come facesse a sopportare quella camicetta attillata a maniche lunghe con quel caldo. A pensarci bene, non l’aveva mai vista sudata nemmeno dopo ore e ore di allenamento. Molte qualità della nipponica restavano ancora un segreto per lui, nonostante fossero più di quattro anni che la conosceva.

L’interno della stazione era caldo, ma offriva un riparo dal cocente sole pomeridiano, e tanto bastava per dare sollievo. Passarono davanti a negozi di scarpe, vestiti, bar e fast food, che emanavano odori di brace e frittura. Adrien aveva consumato un misero tramezzino senza sapore e adesso aveva lo stomaco che brontolava. Da quando aveva affiancato agli allenamenti di scherma percorsi di cross-fit, aveva dovuto variare la sua dieta ordinaria, ma a volte gli capitava di saltare i pasti e trovarsi con una fame da lupi.

Accanto alla banchina, i suoi compagni di classe erano già schierati, pronti a dare il bentornato alla loro splendida amica. C’erano proprio tutti: Nino e Alya, Max e il suo inseparabile robottino Marcoff, Alix che sfoggiava il suo nuovo anello al naso, Kim insieme alla fidanzata Ondine, Nathaniel e Marc e i loro fumetti, gli inseparabili Mylene e Ivan, Juleka con la sua chioma viola e rosa, Rose con la sua aria sognante ed infine Luka con la sua inseparabile chitarra. Mancavano solo Chloè, Sabrina e Lila, ma questo era scontato.

“Peggio per loro”, pensò Adrien mentre si apprestava a salutare ognuno di loro. Quando Marinette era partita, tre anni prima, i ragazzi avevano preparato delle magliette per formare la frase We Love Marinette; stavolta, avevano cucito le medesime magliette su un largo striscione su cui Alix, Juleka e Rose avevano dato libero sfogo alle nozioni apprese al corso d’arte, creando un mosaico armonioso di colori e disegni.

Il treno apparve in lontananza, curvando stretto in direzione della banchina, un lungo serpente argentato a strisce rosse che fluttuava sui binari. Lo StarTrain era un gioiello, l’orgoglio di Parigi, inaugurato da André Bourgeois in persona.

I ragazzi si sparpagliarono davanti alle numerose porte scorrevoli, in modo da intercettare subito Marinette non appena fosse scesa dal treno.

Adrien, Alya, Nino e Katami erano accanto alla prima carrozza.

«Alya!» Un ragazzo con occhiali da sole scuri e folti capelli ricci e neri poggiò due voluminosi bagagli a terra e circondò la ragazza occhialuta con le sue braccia, scoccandole poi due sonori baci sulle guance. Aveva uno zaino rosa e bianco sulle spalle. «Finalmente ti incontro di persona.» L’ampio pettorale e le spalle larghe mettevano a dura prova la resistenza della camicia bianca. Sul volto c’era un accenno di barba.

Adrien si scambiò un’occhiata confusa con Nino e Katami. Gli altri ragazzi si raggrupparono in fretta.

«Dal vivo sei anche più alto di quanto immaginassi.» Alya sembrava conoscere piuttosto bene quel ragazzo. Gli arrivava al petto.

«Tu lo conosci?» Adrien si voltò verso Nino, il quale era paonazzo in volto.

Credette che da un momento all’altro si fiondasse su quel ragazzo e gli intimasse di tornare sul treno e stare lontano dalla sua fidanzata. Aveva la fronte corrugata, gli occhi ridotti a due fessure e le mani serrate a pugno. Si avvicinò ad Alya e le cinse la vita con un braccio.

Alya, senza scomporsi, lo presentò al ragazzo: «Lui è Nino, è-»

«Il suo fidanzato» disse Nino ad alta voce. «Nino Lahiffe» ribadì in tono tagliente.

Il ragazzo tese la mano amichevolmente. «Piacere Nino. Ho sentito spesso parlare di te.»

I ragazzi, eccetto Luka, sembravano tutti spaesati e perplessi. Nessuno aveva idea di chi fosse quel tipo. Le ragazze, invece, sembravano tutte affascinate dalla sua avvenenza. Dal canto suo, Adrien aveva la sensazione di conoscerlo già, di averlo già visto in passato.

Alya gli fece cenno di avvicinarsi a loro. «Alessio, credo che tu conosca già la nostra celebrità.»

Il ragazzo annuì con entusiasmo. «Adrien Agreste. È un onore per me conoscere un collega.»

Si tolse gli occhiali, scoprendo occhi scuri come la notte, e Adrien lo riconobbe: Alessio Tancredi, un modello italiano di ventitré anni che in passato aveva sfilato con abiti della collezione estiva Agreste. Non l’aveva mai incontrato di persona, ma il padre gli aveva spesso raccontato di quanto fosse orgoglioso di avere una superstar a rappresentare la sua casa di moda in Italia.

«Il piacere è tutto mio» disse Adrien, sorridendo. «Come mai qui a Parigi?»

Alessio aprì la bocca per rispondere, ma fu interrotto da una tonante ovazione proveniente dal folto gruppo di ragazzi.

Marinette Dupain-Cheng stava scendendo le scalette del treno, spalleggiata dai suoi genitori.

Adrien sentì le orecchie e il volto farsi roventi. Aveva rivisto poche volte Marinette in occasionali videochiamate di gruppo. La qualità dell’immagine e l’inquadratura a primo piano non gli avevano dato mai l’impressione che fosse diversa dall’immagine di lei che ricordava. Si rese conto che si sbagliava: della ragazzina timida, riservata e, a tratti, combattiva con la quale aveva litigato per una cicca restavano pochi dettagli. Si muoveva con eleganza, irradiando energia e padronanza di sé. Il volto era dominato dai suoi brillanti occhi azzurri e incorniciato da capelli corvini ondulati che le scendevano oltre le spalle. Le guance erano imporporate per l’emozione di ritrovare i suoi vecchi amici. Indossava un top con spalline che le lasciava scoperto il ventre e degli shorts di jeans. Adrien si chiese se il corso che aveva seguito era per diventare stilista o modella, perché lei la modella l’avrebbe potuta fare ad occhi chiusi.

Fu Alya, come prevedibile, ad avvinghiarla per prima, tenendola stretta per due minuti buoni, tant’è che Ivan, con il suo tono da orso, le disse: «Lasciala respirare.»

A turno, ognuno di loro l’abbracciò, mentre Luka suonava una melodia di bentornato, una composizione originale sua. Katami non era mai stata così raggiante in volto. Marinette aveva davvero il superpotere di portare luce e felicità ovunque andasse.

Quando arrivò il suo turno, Adrien sollevò il polso e fece tintinnare le pietruzze del suo braccialetto rosso, il braccialetto che Marinette gli aveva regalato per il torneo di videogiochi. «Lo porto sempre con me nelle occasioni che contano.»

Marinette prese il suo dalla pochette che aveva in spalla; Adrien glielo aveva regalato il giorno del suo quattordicesimo compleanno. «Io non mi sono mai separata dal mio.» Ammiccò e Adrien avvertì di nuovo un forte calore alle guance. Lei si rivolse al gruppo: «Grazie a tutti, di cuore. Non mi aspettavo che replicaste la sorpresa del giorno della mia partenza.»

«Bugiarda.» Alya agitò l’indice in segno di diniego. «Tu già sapevi tutto ma hai comunque finto di essere sorpresa. È impossibile coglierti impreparata.»

Marinette alzò le spalle e le fece una linguaccia. «Dovrete sforzarvi di più la prossima volta.»

«Ti sei portata il lavoro da Milano?» domandò Kim in modo dirompente.

Marinette inarcò un sopracciglio. Guardò Alessio e rise. «Oh no. Lui non è qui per lavoro.» Gli passò un braccio in vita, lui la strinse a sé e la baciò sul collo. «Lui è il mio ragazzo.»

   
 
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