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Autore: Jist    23/10/2020    0 recensioni
Dal capitolo uno:
"Ma quello scenario non avrà facile continuazione, poiché la fine è solo un’illusione, un miraggio che cela un infinito susseguirsi di eventi altrettanto oscuri."
Si lo so, è una vita che non mi faccio viva, ma dopo la delusione della terza serie, ho "abbandonato" temporaneamente il mondo di Huntik. Circa un mese fa mi è capitato di rivederlo tutto e la mia passione è tornata in auge. Ho dunque deciso di proporvi una mia visione sul futuro che attende i cercatori, inoltre ho notato che questo fandom si sta un po' spegnendo purtroppo. Non nascondo che mi piacerebbe ricevere vostri pareri, perciò fatevi sentire! Buona lettura.
Genere: Avventura, Introspettivo, Poesia | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Un po' tutti
Note: What if? | Avvertimenti: Spoiler!
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Era mattino presto, le luci ancora spente, mentre il sole riposava dietro le montagne.
Era mattino presto, ma i due dovevano partire, non potevano rimandare ancora.
Dopo l’incidente sul jet non erano più stati gli stessi.
Zhalia si sentiva ogni giorno più debole e nessuna medicina, nessun potere sembravano in alcun modo efficaci. E al contempo, Dante era sempre più nervoso, preoccupato, vulnerabile.
Si sentiva impotente, esattamente come quando era Metz quello costretto a letto e non guariva.
Ora però era lei a non guarire.
Dante aveva perso le speranze nei miracoli. Aveva già avuto troppa fortuna in passato ed era convinto che con il suo ultimo, miracoloso salvataggio, avesse esaurito ogni grazia.
Al contempo però era ostinato. Si ostinava a credere che qualcosa sarebbe successo, che qualcosa si sarebbe sbloccato, che lui l’avrebbe salvata. Di nuovo. Salvata da un destino tanto incerto, quanto nitido.
Se non fosse stato lui a fare la prima mossa, per lei forse sarebbe stata veramente la fine.
Decise quindi che dovevano partire. Partire per andare a trovare l’unica persona in grado di aiutarli.
Forse. Si ostinava anche a credere in quello, in quel forse, in quell’incerto.
Zhalia era coricata a letto da una settimana. Il simbolo le pulsava ogni ora, a frequenze diverse, a volte piano, altre intensamente.
Troppo intensamente per non gridare di dolore.
Le era persino venuto un livido intorno. Aveva cercato di eliminarlo da sola, quando, ovviamente, nessuno vedeva. Si era graffiata, tagliata, ma con poco successo e molto sangue. Già ne aveva poco in circolo.
La medicina classica era stata scartata al secondo giorno, si provava con i poteri. Inutili.
Ma quella mattina stava inspiegabilmente meglio, come se la speranza di uscire da quel limbo di dolore le avesse dato conforto più di tutto il resto.
Si era persino alzata da sola. Allora Dante la accompagnò nei bagni dell’ospedale, in modo che potesse farsi una doccia, per levarle un po’ di stanchezza, un po’ di dolore.
Avrebbe voluto rimanere lì sotto per tutta la vita. L’acqua calda era come un’amica che ti abbraccia dopo tanto tempo separate. La prima sensazione di sollievo l’aveva provata sotto quel getto d’acqua. Voleva non finisse.
Avrebbe voluto davvero, ma non poteva. Dovevano partire.
E partirono in quella mattina fredda, che però scaldava, di speranza.
Non avrebbero preso un jet della Fondazione, ma un aereo.
Dante non voleva ritrovarsi solo se lei fosse stata male. Avrebbe avuto bisogno di tutto l’aiuto possibile per un eventuale soccorso.
Zhalia non si era nemmeno chiesta dove stessero andando. Le bastava sapere che c’era lui.
Salirono su un aereo molto capiente e si diressero verso la prima classe. Dante non voleva farle mancare nulla.
Avevano due poltrone a disposizione e Dante la fece sedere in quella che dava sul finestrino, così che si distraesse con il paesaggio sotto di lei, così da evitare sguardi indesiderati.
Era evidente che fosse malata, ma non doveva necessariamente saperlo tutto l’aereo.
S’addormentò come una bambina. Era stremata, nonostante avesse camminato per poco, giusto il tempo di raggiungere l’aeroporto e fare i controlli.
Lui la avvolse con una coperta e le accarezzò la guancia.
Anche se il malessere le aveva lasciato segni evidenti sul corpo, come occhiaie e volto scavato, lui la trovava comunque bellissima.
Dopo qualche istante crollò anche lui. Cadde in un sonno molto profondo e rilassato, un sonno pieno di speranza.
Dormendo ammazzava il tempo e non era costretto a pensare. E avevano bisogno di ammazzare il tempo quel giorno, perché il viaggio che li attendeva era tutt’altro che breve. Note: Buonasera. Lo so, non so nemmeno più io quanto tempo sia passato dall'ultima pubblicazione. Però ora sono qui. Vi porto un nuovo capitolo a cui spero ne seguiranno altri in tempi meno titanici. Per ora fatemi sapere come lo trovate. Buona lettura! Jist
   
 
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