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Autore: ryuji01    24/10/2020    0 recensioni
Forse il caso, forse Archeus ci aveva condotti su quelle isole disperse in mezzo all’oceano, dove parve per un giorno arrivare la fine del mondo. Tuttavia sapemmo presto che nessuno si sarebbe ricordato di quello che avvenne in quel luogo.
In qualche modo, benché quello sia il destino di ogni umana cosa, ne fummo tristi. Non perché volessimo essere ricordati come eroi, anzi sarebbe sbagliato ricordarci come tali: dopotutto eravamo semplicemente degli esseri umani. Però, il fatto che i posteri non avrebbero mai potuto imparare dalle nostre esperienze, dai nostri pianti, in fondo in fondo velò di sconsolazione i nostri spiriti. Non che, comunque, per noi umani sia così facile apprendere.
Ma avevamo una, una sola certezza: che pace sarebbe stata, fintanto che tutti si fossero ricordati che ad illuminarci, è la stessa luce.
Genere: Avventura, Introspettivo, Mistero | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het, Yaoi | Personaggi: Altri
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Anime
Capitoli:
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Nel caso vi troviate proprio persi, anche se vi consiglio di continuare la lettura fino in fondo ad ogni capitoletto, alla fine di tutto trovate un glossario con le traduzioni.
 
Maluhia
Quiete
 
L’aurora si avvicinava, portando con sé i colori del mondo assopito.
« Sei sicuro che si trovi qui? » Chiese una ragazza dai lunghi capelli mossi allo stoutland, che la stava conducendo tra le case di una cittadina.
In risposta, il possente manana le abbaiò convinto, e riprese a fiutare l’aria.
La ragazza avanzava piano, senza fare rumore, e ogni tanto si sistemava un fagotto legato al busto, dove un neonato dondolava in riposo.
Qualche ora prima, il piccolo si era addormentato tenendo stretto tra le sue manine un morelull luminescente, come fosse stato un sonaglio. Quando poi era ormai caduto in un sonno profondo, attenta a non svegliarlo, la ragazza gliel’aveva preso di mano, così da essere certa che le spore soporifere che il manana rilascia per natura non lo ledessero.
Man mano che si allontanava dal centro dell’abitato, dove erano accesi dei grandi bracieri, il paesaggio si faceva sempre più indistinto, e in mezzo a quel nulla lo stoutland si fermò.
Alla cieca, la ragazza avanzò nella direzione in cui puntava il muso del manana, un’abitazione tradizionale alolense.
Perché mai si sarebbe fermato in un posto simile? Fermarsi presso un centro abitato era un rischio enorme per un ricercato come lui. Ciononostante, una speranza le alleggerì il petto, e il passo le si affrettò. Se Huali fosse stato veramente lì, allora avrebbe finalmente rincontrato l’amico, che per primo era riuscito a soffiarle una nuova aria, un vento che l’aveva sospinta così lontano, da permetterle di credere in orizzonti altri.
Si fermò di fronte alla porta, e prese un profondo respiro. Poi guardò il bambino che teneva in braccio. Sorrise, e con sicurezza bussò.
« Scusate! C’è qualcuno? » Chiamò con cautela, continuando a picchiettare sulla porta. Nessuna risposta.
Si convinse a provare con un po’ più di forza. Per nulla al mondo si sarebbe data per vinta, avrebbe anche iniziato ad urlare se necessario. La flebile speranza nella presenza di Huali, quel desiderio da solo, non l’avrebbe lasciata arrendersi.
Scattò a quel punto la serratura, e dietro la porta un ragazzo smilzo si svelò dell’ombra, un sorriso genuino sulle labbra.
« Alola » Sussurrò il ragazzo « Pono ʻoe i kōkua? »
« Ecco, vede, lo so che può sembrare, come dire, alquanto peculiare, ed è altrettanto difficile da spiegare, ma… » La ragazza scoppiò in un rauco sospiro, spalmandosi una mano in faccia, arresa a quel suo modo. Poi si ricompose. « Vede, io starei cercando un ragazzo, che dovrebbe essere passato da queste parti. È abbastanza atletico, ha gli occhi celesti ed è alto più o meno così » Fece un segno con la mano per indicare le misure. « Ha i capelli rosa, ma probabilmente se li è tinti. E poi penso che… »
Una mano a stropicciarsi gli occhi, il ragazzo le mise l’altra su una spalla per placarla.
« Intendi Huali? » Domandò quello, sbadigliando vistosamente, troppo stanco anche solo per considerare l’idea di mettersi la mano davanti alla bocca.
All’annuire energico della ragazza, il giovane la fece entrare nella stanza assieme ai suoi manana, invitandola a sedersi dove preferiva.
« ‘O wai kou inoa? » Le chiese il ragazzo.
« ‘O Kamomi. »

« Kamomi? Bel nome » Commentò lui, ancora sonnolente. « Io invece sono Kōnane. Comunque, Kamomi, Huali è stato qui l’altro ieri, si è fermato da me solo un giorno e per ragioni un po’ complicate. Beh, anche spiegarti come ci siamo conosciuti sarebbe complicato. »
« L’altro ieri!? »
« Sì, e se vuoi so anche dove si sta dirigendo. Ha detto di voler andare a Poni, così da poter provare a vivere una vita tranquilla. »
« Una vita tranquilla, eh? » Gli occhi di Kamomi, ricaduti verso il fagotto che teneva al petto, si fecero dolci.« Auē, ʻo wai kēlā pēpē liʻiliʻi? » Chiese Kōnane incuriosito, non appena scrutò nella penombra le fasce avvolte intorno al torso della ragazza.
« ‘O ia ku‘u keiki. ‘O Malu kona inoa. »
« Maopopo iaʻu » Sorrise Kōnane. « Ō moe ‘olua ma ʻaneʻi i kēia pō. ʻĀpōpō e wehewehe ana maikaʻi a'e wau iā ʻoe. »
Sedutolesi accanto, il ragazzo la invitò a seguirlo in una camera, dove c’era un grande letto su cui avrebbe potuto dormire col piccolo. Avrebbero parlato meglio l’indomani.
La quiete ridiscese su quell’anfratto di mondo, con una tale naturalezza da illudere anche il più disperato che quella pace potesse essere l’essenza della realtà.


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Un mare sereno si estendeva fino all’orizzonte, rispecchiando nel suo indaco una luce giallognola. I tori si posavano su uno stretto lembo di sabbia, confine tra mare e terra. Per posare le ali, si direbbe, ma forse la verità era che volessero imprimere le sottili orme nella rena, a rimostra del proprio passaggio, della propria esistenza. Ma marea ormai le sciacquava via, annichilendo ogni potenziale memoria.
Le nubi correvano, si stiravano in cielo, per poi avvolgersi di nuovo su sé stesse; la luce filtrava tra le fronde per danzare sulle foglie del sottobosco; il muschio sulle rocce scandiva il tempo.
Una figura immobile poggiava su un tronco rugoso, il respiro in comunione con quello della natura, alito di vento. Un’esistenza solta nella vegetazione.
« Hane-chan! Yatto mitsuketa yo. Dai vieni, ché il torneo sta per cominciare! » La chiamò un ragazzo non tanto alto e con la testa rasata.
La giovane ragazza si districò lentamente da quel mondo, per poi girarsi verso l’amico.
« Ikou. » Le sussurrò di nuovo il ragazzo, avvicinatosi.
I due giovani seguirono un angusto sentiero in terra battuta, ormai quasi del tutto nascosto sotto la bassa ramaglia incontrollata. Ogni loro passo era cauto: fra i bassi arbusti di quei percorsi gli arbo solevano costruire le proprie tane, ed è sempre meglio non avere a che fare con un loro morso.
D’un tratto, gli alberi lasciarono spazio ad un ampio spiazzo in terra battuta, interrotto solo in qualche punto da delle zolle d’erba moribonda. Dall’altro lato della spianata polverosa si ergevano degli spalti, dove sedevano alcuni spettatori, pronti a guardare le gare che a breve avrebbero avuto inizio.
Davanti a quelle strutture si potevano scorgere i partecipanti al torneo. C’erano degli omoni corpulenti che indossavano soltanto delle mawashi, delle figure più longilinee, ognuno con addosso la propria candida dōgi, con giusto l’orlo degli zubon inzaccherato.
Quel giorno si sarebbero tenuti i duelli di budō, secondo programma e, nell’attesa che finissero le estrazioni e fossero declamate le coppie per ogni combattimento, c’era chi si esercitava pacato, chi cercava di distrarsi, e chi dissimulava la propria agitazione, nascondendola dietro una roboante trepidanza o una calma meccanica.
« Non capisco proprio a cosa gli serva nascondere la propria ansia? Lo so che la gente si aspetta che, in quanto budōka, siano impavidi e imperturbabili, ma se proprio ci tengono a dimostrarsi tali, magari seppellire le proprie insicurezze non è un metodo ottimale, visto che tanto appena inizia il combattimento ritornano subito a galla, se non le hai affrontate in primo luogo.
« Poi, certo che alcuni di loro non si aiutano proprio, eh. Sempre a cantare la loro bravura e i loro traguardi, e alla fine per non tradire le aspettative che loro stessi hanno istillato nella gente, oltre a quelle che questa ha già di per sé, preferiscono affrontare la tensione nel peggiore dei modi: tenendosi tutto dentro.
« Ci arriveranno da soli che, dopo anni che tirano avanti questa farsa, non ci crede più nessuno. E invece no; solo da ubriachi riescono ad essere autoconsapevoli.
« Sai quella volta che sono rimasto qua dopo il torneo, no? Ecco, quella volta mi sono fermato ad una sakaba e c’ho parlato tutta una nottata con alcuni di quelli. Si erano già trangugiati abbastanza sake da non distinguere la destra dalla sinistra, ma almeno così non c’avevano su tutta quell’inutile facciata che c’hanno su ora. E sai che ti dico: erano molto più simpatici così, e in qualche maniera anche più lungimiranti.
« Ma anche lì, bello il loro modo di processare la sconfitta: lasciarla nelle mani del sake. Perché ovviamente facendo così il giorno dopo non ricomincerai tutto da capo, non ricordandoti niente di quello che hai pensato, no!?
« Vabbé, inutile accanirmi. Cazzi loro, che si arrangino. » Si sfogò il ragazzo con la silente Hahami.
« Soredemo, spero proprio che non mi mettano contro uno figo. » Continuò imperterrito, mentre si mischiavano con la folla di lottatori. « Perché sennò, chi ci si concentra più, sul combattimento? »
 

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L’aria in giardino era ancora fresca, sicché le luci dell’alba non l’avevano ancora toccato, al riparo della montagna.
Kōnane si stava inginocchiando lentamente di fronte ad uno degli alberi di pīʻai. Una volta che i suoi stinchi furono a terra, porse la fronte all’albero, allargando le braccia con i palmi rivolti ad accarezzare l’erba.
« Ē ʻāina, mahalo nui loa no ka hānai ʻai iā mākou i kēia lā pū kekahi. »
Dopo aver recitato questa formula, iniziò a cogliere da quelle fronde alcune bacche e riporle in una cesta. Il suo occhio, ormai avvezzo, si spostava veloce di frutto in frutto, in cerca di quelli più maturi. I suoi movimenti erano lenti, ma avevano una loro cadenza, come un’elegante danza in omaggio alla natura.
Infine, raccolte pīʻai a sufficienza, rinnovò la sua gratitudine per i doni che la natura gli offriva, e tornò a lavorare con tranquillità.
« Ehi, mamma, papà, sono qui! Apritemi, sono tornato! »
Un vuoto al cuore, il ragazzo si sentì mancare per un attimo, come prosciugato dalla sua linfa vitale. Prima o poi, quel giorno sarebbe arrivato, Kōnane lo sapeva, ma ciononostante era altrettanto conscio di non essere ancora pronto ad affrontare la realtà fuori da quella pace, forse falsa in parte, in cui si era costretto a vivere. Quella voce familiare, però, non gli lasciava scampo: doveva accettare quelle parole pesanti.
« Holokai, sono in giardino! » Lo chiamò Kōnane, con un tono piatto.
« Ah, Kōnane! Ciao, come stai? » Domandò tutto euforico quell’uomo, mentre scavalcava la staccionata. « Dai, entriamo, ché ho un mucchio di cose da raccontarvi. Non puoi neanche immaginarti cosa mi è successo; non crederai mai alle tue orecchie. »
« Holokai » Prese coraggio Kōnane. « ‘O Pauahi ame Keanu… »
Inspirò piano, ma espirando emise una sottile nota traballante, che fece crollare la recita. L’uomo sbarrò gli occhi, stringendo con le mani le spalle di Kōnane, nei due occhi s’ingrossavano due lucciconi.
« E così che va la vita, no? » Una risata amara. « Alla fine si muore. »
Holokai abbandonò impotente la presa, e si accasciò a terra, la schiena contro il recinto. Se ne stava là, come un guscio deprivato di ogni carne, illuminato dalla luce che trapelava da dietro il Monte Lanakila.
« Ma che cazzo mi è saltato per la testa? » La faccia contrita. « Sapevo benissimo che non dovevo partire per viaggi troppo lunghi, ché sennò sarebbe successo proprio questo. Ma io che ho fatto? » Holokai strinse i pugni, in un estremo atto di energia. « Che cazzo! »
Con la stessa violenza con cui era arrivata alle sue membra, la rabbia scemò, schiudendogli le mani, privandolo di forze. Tuttavia, nel fondo della gola, in un luogo remoto e antico, un lamento iniziava a gorgogliare di diverso impeto. Nel vano tentativo di sciogliere il nodo che gli stringeva la gola, l’uomo deglutì più saliva che poté, ma quel pianto già iniziava a sgorgare. Un battito bastò: si corrugò la fronte, si tesero i muscoli del volto, e dagli occhi iniziarono a rotolargli giù copiose le lacrime, innegabile riprova della morte dei suoi genitori.
Kōnane si avvicinò carponi all’uomo deformato dal pianto, e lo abbracciò leggero, ma saldo, e dopo qualche istante quello ricambiò la stretta, così come il ragazzo aveva iniziato a intonare il suo stesso canto.
Il sole aveva finalmente scavalcato la montagna, sciogliendo bene e male nella propria luce, e su tutto il mondo con i suoi raggi gettava come un senso di perfezione, di fine. Non fu, però, che illusione d’un baleno, perché la luce aveva svegliato il piccolo Malu, che a modo suo dimostrava la propria tristezza per quel lutto con la richiesta egoista della propria sopravvivenza.
« Uuueeeeh uuueeeeeh! »
 

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Il fuoco crepuscolare, portati con sé i colori dell’iride, stava estinguendosi in favore del blu profondo della notte.
« Volete sbrigarvi con quella katsura, voi due?! » Chiese un po’ snervato il ragazzo dalla testa rasata, che continuava a fare avanti e indietro nella sala in preda all’ansia, smuovendo ad ogni passo la mo del pesante jikitotsu che aveva appena finito di infilarsi.
« Quieto, Hinodzune-kun, ho quasi finito. » Sospirò il cugino, mentre finiva di acconciare la parrucca per Hahami, senza neanche badare all’irrequietezza del ragazzo, abituatoci com’era.
« Caro cugino, forse non te ne sei reso conto, ma il sole sta tramontando! » Continuò il ragazzo, indicando il sole al di fuori della porta. « Se non partiamo subito i carri partiranno senza di noi, e allora ci troveremo nella merda fino al collo! »
« Ti rovinerai la salute a preoccuparti a quel modo, Hinodzune. » Gli rispose il giovane uomo pacatamente, con le mani impegnate a estrarre da una custodia uno spillone per capelli decorato con tante pietruzze e fiorellini colorati. « Inoltre, ti ricordo che siamo quasi allo shuubun: a questa data, il sole tramonta prima. Se proprio vogliamo esagerare saranno le sette, e i vostri carri partono fra un’ora. »
Il ragazzo tacque e, rassegnatosi, si lasciò cadere sul tatami, sbuffando.
« Innanzitutto » Lo riprese il giovane uomo. « A fare così mi rovini il tatami. In secondo luogo: quando dicevo che avevo quasi finito, non stavo ciarlando. » Disse, lasciando che Hahami si portasse avanti verso Hinodzune, vestita del suo sgargiante kimono verde con ricamate delle calde piume. Fissàti da un fermaglio a pettine fiorito, i capelli corvini erano raccolti sulla nuca in un’intricata pettinatura. Una volta Hinodzune aveva provato a acconciarle la parrucca, ma con risultati penosi.
« Mi fa sempre una certa impressione vederti conciata da maiko. » Affermò il ragazzo, alzandosi in piedi.
« A me fa più strano vedere te con gli abiti da monaco, che lei vestita così. » Gli disse il cugino, bisbigliando come fosse un’informazione confidenziale. « Sei proprio l’ultima persona che mi aspetterei nei panni di un monaco. Non ne hai per niente il carattere. »
« Ma sta’ zitto! » Gli urlò, per poi sospirare. « Lo sai benissimo, il motivo per cui sono diventato monaco. Mica l’ho fatto per vocazione. »
« Dai » Disse il cugino dopo un attimo, senza aggiungere altro se non un sorriso amorevole, mentre Hinodzune si era abbassato per mettersi i waraji ai piedi.
« Jaa, mata ne. » Si salutarono, scambiandosi dei piccoli inchini.
Hinodzune e Hahami se ne partirono, allora, verso la stazione dei carri a nord della machi, percorrendo le vie illuminate dalla calda luce delle lanterne di carta, appese agli ingressi di ogni abitazione.
Quella notte, la quiete regnava sovrana, spodestata solamente a tratti dal distante babolare degli hoohoo, e dalle roboanti voci dei partecipanti al torneo, ormai ebbri per festeggiare il trionfo o per dimenticare la sconfitta.
« Anzenna tabi wo. » Le augurò Hinodzune con una voce fraterna, quando alla stazione si dovettero separare.
Il silenzio rispose per la ragazza.

 

Glossario:

‘O ia ku‘u keiki. ‘O Malu kona inoa: È mio figlio. Si chiama Malu.
‘O wai kou inoa?: Come ti chiami?
Alola, pono ʻoe i kōkua?: Ciao, come posso aiutarti?
Auē, ʻo wai kēlā pēpē liʻiliʻi?: Oh, ma chi è questo piccolino?
Ē ʻĀina, mahalo nui loa no ka hānai ʻai iā mākou i kēia lā pū kekahi: O Terra, grazie per nutrirci anche oggi.
Holokai, ‘o Pauahi ame Keanu…: Holokai, Pauahi e Keanu…
manana: libero adattamento della parola pokémon
Maopopo iaʻu. Ō moe ‘olua ma ʻaneʻi i kēia pō. ʻĀpōpō e wehewehe ana maikaʻi a'e wau iā ʻoe.: Capisco. Per questa notte dormi qui. Domani ti spiegherò meglio.
pīʻai: bacche
Anzenna tabi wo: Buon viaggio.
arbo: ekans in giapponese
budō: arte marziale
budōka: artista marziale
dōgi: uniforme per le arti marziali
Hane-chan! Yatto mitsuketa yo: Hane! Finalmente ti ho trovato.
hoohoo: hoothoot in giapponese
Ikou: andiamo (esortativo).
Jaa, mata ne: Beh, allora alla prossima.
jikitotsu: stile di veste monacale buddista sviluppata in Cina
katsura: parrucca
machi: paese, cittadina o città (non metropoli, né villaggio)
maiko: apprendista gēsha
mawashi: mutande tradizionali giapponesi
mo: gonna del jikitotsu
sakaba: taverna, pub, locanda
shuubun: equinozio d’autunno
soredemo: comunque, ciononostante
tori: pokémon ornitomorfi
waraji: sandali di corda di paglia

zubon: pantaloni


Spazio autore:
Finalmente aggiorno!! Ci ho messo una vita!! Perché continuo a costatare l’ovvio!!?? Spero che vi piaccia: ho voluto sperimentare un po’ con il lessico e vorrei continuare su questa strada, cercando di abbandonare il mio spirito da grammarnazi, syntaxnazi e quant’altro. Speriamo in bene. Se avete letto fin qua, come sempre, vi ringrazio moltissimo e alla prossima, quandunque arriverà.
   
 
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