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Autore: NPC_Stories    27/10/2020    2 recensioni
L'anno scorso ho fatto l'inktober con Erika, quest'anno lei ha trovato questo fantastico promptober chiaramente a tema drow.
Non so se riuscirò a scrivere tutti i giorni, probabilmente saranno storie brevissime, non so se ci saranno dei disegni, ma so che i prompt sono troppo belli e cercherò di tirarne fuori qualcosa, probabilmente missing moments di altre mie storie.
Genere: Dark, Fantasy | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna | Personaggi: Nuovo personaggio
Note: Missing Moments, Raccolta | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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- Questa storia fa parte della serie 'Forgotten stories of the Forgotten Realms'
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27. Trauma


1324 DR, Buio Profondo vicino a Eryndlyn

Tek’ryn non sapeva dove il mago lo stesse portando, ma erano usciti dalla città. Questo era un gran passo avanti, dal suo punto di vista, ma aveva sperato che S’lolath lo portasse lontano usando un teletrasporto, un portale, o qualche altro mezzo magico simile. Non perché fosse pigro, anzi tutt’altro, ma perché la magia avrebbe potuto portarli più lontano e più velocemente.
Per di più, non poteva esserne certo perché non aveva mai messo alla prova il suo senso dell'orientamento fino ad allora, ma aveva quasi la sensazione che stessero girando in tondo. Camminarono per ore, il mago con passo dritto e spedito per quanto possibile sulla superficie accidentata delle gallerie, il ragazzino faticando un sacco per stargli dietro a causa delle sue gambe più corte e della sua andatura claudicante. Quando aveva permesso al mago della sua Casa di tagliargli un dito del piede, per poter creare magicamente un corpo che potesse apparire come il suo cadavere e depistare le indagini, non aveva pensato che la mancanza di un dito si sarebbe sentita così tanto. All'epoca era abituato a camminare su pavimenti perfettamente dritti e tirati a lucido.
Dopo un tempo che gli parve infinito il mago si fermò permettendogli di riposare per qualche minuto. Gli diede anche un po' di carne secca e funghi secchi da mangiare. Il pranzo al sacco fece sospettare a Tek'ryn che avessero ancora molto cammino davanti a loro, e quell'intuizione si rivelò giusta. Presto ricominciarono a camminare, in cunicoli che sembravano tutti uguali. Tek'ryn era stanco, ma non preoccupato: sapeva che il mago era perfettamente in grado di polverizzare qualunque mostro del Buio Profondo che si fosse parato davanti a loro.

Dopo altre ore di cammino sfiancante, S’lolath si fermò in una zona apparentemente non diversa dalle altre. Tek'ryn sentì un rumore schioccante provenire da una caverna laterale e un brivido gli attraversò la schiena, incontrollato. Il rumore si ripeté, ma da un altro punto della caverna. Poi, come un eco incontrollato, il rumore rimbalzò e venne ripreso da altri cunicoli laterali, molti cunicoli laterali. Tek’ryn capì all’istante che l’eco non c’entrava niente.
“È una colonia di orrori uncinati” spiegò il mago, perfettamente padrone di sé. “Forse una trentina. Spero di più.”
Tek’ryn non fece nemmeno in tempo a chiedersi cosa volesse dire l’adulto con ‘spero di più’, perché un istante dopo quello gli afferrò una spalla e recitò velocemente una formula magica.
Il bambino si sentì come afferrare e trascinare in avanti per una lunghissima distanza, ma in appena una frazione di secondo. Un attimo dopo era di nuovo perfettamente fermo, in piedi, con un leggero senso di nausea. Intorno a loro il panorama era cambiato.
“Se devi vomitare, voltati dall’altra parte” commentò S’lolath senza fare una piega.
Tek’ryn scosse la testa debolmente. L’incantesimo l’aveva colto di sorpresa, ma non stava male fino a quel punto. In realtà, dopo quel momento straniamento iniziale, la sensazione aveva un che di familiare.
“Siamo arrivati?”
“No. Se qualcuno da Eryndlyn provasse a seguire le mie tracce, arriverebbe nel bel mezzo del territorio di un branco di orrori uncinati e avrebbe ben poco tempo per rintracciare la destinazione del mio teletrasporto, con quelle bestiacce pronte a saltargli alla gola. Ma non giudico che sia sufficiente. Avanziamo ancora, c’è una caverna infestata da uno pseudosoffitto[1]. Sarà divertente.”
Il ragazzino non aveva idea di cosa fosse uno pseudosoffitto, ma qualcosa gli suggeriva che S’lolath avesse un’idea molto deviata di divertimento.

Molte ore dopo Tek’ryn si era ricreduto: S’lolath non aveva solo un pessimo senso dell’umorismo, aveva di sicuro anche qualche rotella fuori posto. Prima si erano diretti verso una grotta dove l’intero soffitto aveva cercato di calare su di loro e mangiarli. Poi il teletrasporto istantaneo del mago li aveva portati appena sotto la volta di pietra di un’altra caverna, solo che al posto del pavimento c’era un burrone. Tek’ryn sapeva che in teoria i nobili drow possono levitare, ma purtroppo nessuno glielo aveva ancora insegnato, quindi si ritrovò a cadere a capofitto. S’lolath, anche se sicuramente aveva i mezzi magici per salvarsi, si lasciò cadere accanto a lui.
A poche decine di metri dal fondo, il mago lo attirò a sé con un incantesimo e teletrasportò entrambi, di nuovo. La forza cinetica della loro caduta venne fermata da qualcosa di morbido, accogliente. Soffocante. Una gigantesca ragnatela. Tek’ryn ne rimase invischiato senza speranza, intrappolato in quei fili collosi. Immediatamente cadde nel panico, sentendosi mancare l’aria: la sensazione di non poter muovere le braccia e le gambe, di essere incatenato, lo paralizzava sempre come se ne avesse la fobia. S’lolath invece non sembrava essere limitato nei movimenti, doveva essersi protetto con la magia. L’incantatore non perse il suo sangue freddo nemmeno quando un mostruoso ragno gigante cominciò a zampettare verso di loro.
S’lolath sfoderò il suo sorriso più affascinante.
“Ciao, bellezza. Non resterò a giocare con te, oggi” annunciò, in tono di scuse.
Tek’ryn si accorse in quel momento che il ragno aveva una testa da drow, anzi, da femmina drow. Era l’incarnazione di un incubo. Una diretta emanazione di Lolth? Oppure un mostro creato da lei?
Per fortuna S’lolath non gli lasciò il tempo di indulgere in quelle paranoie. Il provvidenziale teletrasporto li salvò ancora una volta.
Tek’ryn fu assurdamente felice di ritrovarsi ancora una volta sulla fredda roccia, anche se ci era caduto di schiena. Non gli importava del dolore, finché significava che era ancora vivo.
“Teletrasporti infiniti?” Riuscì a mormorare, pallido per la nausea.
“No. Ma ho un oggetto magico che me ne regala cinque al giorno. Non è male, vero?” Rispose il mago, tutto garulo.
“Penso che accetterò quell’offerta di vomitare.”
S’lolath lo lasciò fare, con calma. Ora che aveva messo molte miglia e molti pericoli letali fra sé e la città di Eryndlyn, si sentiva di animo più generoso. Soprattutto perché, dopo un lungo e inutile giro, stavano finalmente per arrivare a destinazione.
“È davvero necessaria tutta questa paranoia? Non c’era già un incantesimo contro le divinazioni, a proteggerci? Avevi detto che c’era.” Recriminò Tek’ryn, rialzandosi finalmente in piedi.
“Sì, ma potrebbe non essere sufficiente se qualcuno decidesse di seguirmi con mezzi mondani, anziché con la chiaroveggenza.”
“Davvero i nostri concittadini sono più pericolosi di tutti quei mostri?”
“Sì” ribatté il mago con assoluta sicurezza. “E poi non è solo noi due che sto proteggendo. Il posto dove stiamo andando, non voglio che nessun altro lo trovi.”
È mio, pensò l’arcanista, sentendo una fitta di gelosia e preoccupazione. È solo mio.

Dopo un giorno di cammino estenuante, questa era la stima di Tek’ryn, finalmente S’lolath gli fece cenno di fermarsi. Davanti a loro c’era una parete di roccia uguale a tutte le altre. Tek’ryn avrebbe potuto cercare di capirci qualcosa usando i suoi poteri di veggenza, ma era così stanco, gli facevano male tutte le ossa, l’adrenalina dei pericoli della giornata stava lasciando il passo alla spossatezza.
Quasi non si accorse quando S’lolath lo afferrò per l’ennesima volta e se lo trascinò dietro, attraversando la parete come se fosse fatta di nebbia.
Dall’altra parte, in una grotta invasa di muschio luminescente, c’era una creatura che fece immediatamente raggelare il sangue a Tek’ryn: una femmina drow.
Dopo tutta quella strada, stava per finire tra le mani di un’altra femmina drow, una come sua madre?

“Krystel, Daren, sono felice di vedervi” cominciò S’lolath rivolgendosi alla strega e a suo fratello, che come sempre l’accompagnava per proteggerla. Con una mossa studiata da grande attore, ammorbidì la sua espressione lasciando calare un pochino la maschera, per far vedere alla sua amante quanto fosse stanco fisicamente ed emotivamente. “Mia cara, ho un favore enorme da chiederti.”
La donna si protese subito verso di lui, incuriosita non tanto da S’lolath - si aspettava una sua visita da un giorno all’altro - quanto dal suo giovanissimo compagno di viaggio.
“Questo ragazzino si chiama Tek’ryn, ed è… mio figlio.” Il mago occhieggiò con prudenza l’espressione della strega, ma lei non si scompose di una virgola. “Spero non ti dia fastidio che io l’abbia portato qui.”
Krystel continuò a guardarlo come se non capisse il punto.
“Sì? Voglio dire, no. Perché dovrebbe darmi fastidio? Anche io ho dei figli che non sono tuoi” gli ricordò, molto pragmatica.
“In realtà… è questo il favore.” S’lolath si asciugò le mani sui pantaloni, fingendo che fossero sudate, come se avesse dei dubbi sulla reazione di Krystel. “Come ogni altra persona a Eryndlyn, Tek’ryn non ha una famiglia amorevole. Chiariamoci: me ne frega il giusto, è solo normale, ma purtroppo per lui ha ereditato la mia maledizione, e di questo mi sento un po’ responsabile. Il ragazzo sente le intenzioni di chi gli sta intorno, ed è troppo piccolo per poter gestire tutto questo. La brama, la corruzione e la spregiudicatezza sono ottime qualità, perfino negli altri, rendono le persone prevedibili, ma la società drow è qualcosa a cui si dev’essere educati… no, addestrati, un po’ alla volta. Lui ha sbirciato dietro le quinte un po’ troppo presto, per così dire, quindi dovevo portarlo via da Eryndlyn o ne sarebbe stato schiacciato. Ha bisogno di un ambiente più blando, più molle.”
“Più sano?” Lo aiutò Krystel, imboccandolo con le parole giuste.
S’lolath agitò una mano come per scacciare quell’obiezione.
“Più infantile. Questo cosetto non sarà mai un buon giocatore di Sava.” Spiegò, usando il nome di un gioco drow simile agli scacchi come metafora dei giochi di potere e di morte.
“E mi stai chiedendo di adottarlo, in pratica?”
S’lolath sfoderò il suo miglior sguardo da drow malvagio ma con un pizzico di cuore, che funzionava sempre con Krystel perché lei era bella e potente e brava a letto, ma era anche tanto ingenua e manipolabile.
“So che ti chiedo molto, ma tu sei l’unica persona al mondo di cui sia giunto a fidarmi almeno un poco” sganciò la bomba.
Come previsto, lo sguardo di Krystel si addolcì all’istante. Alle spalle di lei, suo fratello Daren strinse le labbra e oscillò in avanti come se stesse trattenendo a fatica una risata, poi fece il gesto di voler vomitare. Per S’lolath fu difficilissimo rimanere serio. Il guerriero aveva un modo irresistibile di suscitare cameratismo, quando voleva farlo.
“Non devi neanche chiederlo, nella mia casa c’è sempre spazio per un bambino in più. E anche nel mio cuore.”
La dichiarazione era così sdolcinata che S’lolath si sentì quasi preso in giro, se fosse stata una vera drow a dire una cosa del genere avrebbe pensato che fosse sarcasmo, pazzia o pessimo umorismo. Krystel però era seria, quelle cose le pensava davvero. Con pazienza, S’lolath ricordò a se stesso che lei aveva anche un sacco di qualità.
La sua diversità è una cosa utile, pensò, valutando il vantaggio tattico in quella situazione perché concentrarsi su pensieri utilitaristici l’avrebbe aiutato a riportare la glicemia nel suo animo a livelli tollerabili; è un bene che io conosca qualcuno come lei. Altrimenti a chi avrei potuto affidare Tek’ryn?

S’lolath e la donna continuarono per un po’ a confabulare fra loro, ma Tek’ryn non riusciva a distinguere le parole. Tutto quello che udiva era il rimbombo del sangue che gli scorreva nelle orecchie, che creava un fruscio assordante simile allo scroscio di una cascata.
Poi il mago lo richiamò all’ordine, scuotendogli una spalla con malagrazia.
“Ehi, mi ascolti? Questa donna ha accettato di diventare tua madre. Ora starai con lei e ti porterà lontano da Eryndlyn” gli spiegò, forse non per la prima volta.
Lontano da Eryndlyn, si ripeté il ragazzino, e nella sua mente quelle parole stridevano come se fosse tutto uno scherzo crudele. A lui importa solo di mandarmi lontano da Eryndlyn, per non far scoprire che è coinvolto nella mia sparizione. Ma non sarò lontano da Lolth, o dalla cultura drow. Mi aspetta lo stesso destino, ma in una città diversa? Non c’è proprio scampo per me?
Il piccolo drow sentì la presenza della donna che si avvicinava e cadde in ginocchio, un po’ per la disperazione e un po’ per evitare punizioni. I suoi occhi erano colmi di lacrime ma sapeva di non doversi far vedere mentre piangeva. Dopo tutto quello che aveva affrontato quel giorno, dopo che aveva trovato la forza di mettere un passo davanti all’altro solo grazie alla promessa della libertà, l’ultima cosa che ci mancava era solo di essere frustato per comportamento irrispettoso verso la sua nuova madre.
Avrebbe voluto continuare a fissare il suolo della grotta per il resto della sua vita, per non dover mai guardare quella donna, per non essere costretto a prendere coscienza della realtà. Lei però fece qualcosa che non si sarebbe aspettato: si chinò al suo livello, una cosa che nessun adulto aveva mai fatto, e inclinò la testa fino a incrociare il suo sguardo.
Questa fu la prima immagine che Tek’ryn colse della sua nuova madre, la persona che sarebbe diventata il suo punto di riferimento nei prossimi decenni. Una drow quasi prostrata a terra e con il volto girato in un’angolazione strana per poterlo guardare in faccia.
“Buongiorno, giovanotto” lo salutò, con un sorriso dolce e confortante.
Solo che Tek’ryn non aveva idea di cosa fosse un sorriso dolce e confortante, qualsiasi sorriso nella sua esperienza era un’espressione di minaccia. Questa era solo una minaccia più strana, più indiretta.
Per quanto aveva capito Tek'ryn c’era una sorta di codice non scritto, fra i maschi e le femmine drow, nella società lolthiana: i maschi si inchinavano, e le femmine in cambio non pretendevano di guardarli in faccia. C’era una sorta di confortante privacy nel tenere il volto girato verso terra. C’era la libertà di poter considerare per un momento i propri sentimenti, di dolore o di disappunto o di paura, una sorta di momento catartico in cui si poteva maledire il mondo in una conversazione silenziosa con sé stessi. Di solito le femmine davano per scontati quei sentimenti negativi e non se ne curavano, finché i maschi continuavano a mostrarsi sottomessi. Al contrario, le donne dovevano sempre camminare a testa alta, quindi i loro sentimenti non potevano mostrarli proprio mai, né esitazione né paura, né dubbi né pensieri eretici; era il prezzo da pagare per essere al centro del potere.
Il fatto che la sua nuova madre avesse voluto guardarlo in faccia dopo che lui si era già inchinato e sottomesso a lei, per Tek’ryn fu come un pugno nello stomaco. Cominciò a tremare violentemente, senza controllo.

Krystel sentì una stretta al cuore vedendo quella reazione. Suo fratello Daren le sfiorò un braccio per attirare la sua attenzione e poi la tirò leggermente per aiutarla a sollevarsi. I due si scambiarono uno sguardo e lui scosse la testa, rispondendo alla muta domanda della strega. Era chiaro che lei non capiva cosa avesse fatto di sbagliato.
“Perdonami sorella, ma questo non è un ragazzino umano. È un drow. È abituato a ricevere solo dolore dalle femmine. In questo momento per lui sei la cosa più spaventosa nel raggio di cinquanta miglia.”
La donna sussultò e spalancò gli occhi con evidente orrore.
“Non ho alcuna intenzione di fargli del male!”
“Lo so, ma non ti crederebbe. Volerti prendere cura di lui ti fa onore, ma per ora siete su due mondi diversi. Qualunque gesto gentile da parte tua sarebbe interpretato come un inganno o un test. Ti prego, lasciagli i suoi spazi e i suoi tempi. Lascia che lo avvicini prima io. Non posso promettere nulla, ma è più facile stringere un legame fra maschi.”
“Santo cielo, questo bambino è traumatizzato fino al midollo” sussurrò Krystel, sopprimendo un brivido.
“È un bambino drow” intervenne S’lolath, senza alcuna inflessione. “Si è preso le sue frustate, come tutti. Ma se perfino io mi sono abituato al tuo modo di fare, penso che un bambino traumatizzato nel giro di qualche mese si appiccicherà a te come un lichene alla roccia.”
Krystel si concentrò di nuovo sulla figuretta tremante del suo nuovo figlio adottivo. Vederlo in quello stato le faceva una tale pena. Avrebbe voluto abbracciarlo, ma non osava immaginare le conseguenze.
“Io… non so come comportarmi, con lui.” Ammise. “Posso dargli spazio, posso dargli tempo, ma che cosa devo fare?
“Secondo me devi solo essere te stessa” suggerì Daren. “Sii una buona madre per Amber, lascia che lui vi veda interagire e ne tragga le sue considerazioni. Le madri drow sono meno crudeli con le figlie femmine, ma non sono certo amorevoli. E poi, credo che capirà molto di te anche dal modo in cui ti comporti con me, che sono un maschio, tuo fratello, quindi ai suoi occhi un tuo sottoposto.”
Krystel ci rifletté per un lungo momento, infine annuì.
“Allora vado a controllare Amber, spero che i nostri discorsi non l’abbiano svegliata. Vi lascio da soli con il piccolo, penso che si sentirà più a suo agio se… la creatura più terrificante nel raggio di cinquanta miglia andrà a dedicare la sua attenzione altrove.”

Daren e S’lolath rimasero soli, insieme a un ragazzino terrorizzato che stava appena ricominciando a respirare normalmente.
“Lo sai che sei proprio un pezzo di merda?” Cominciò Daren in tono colloquiale, parlando sottovoce e in lingua drow. “Krystel avrebbe accettato di adottarlo comunque, non serviva tutta quella messinscena.”
“Che posso dirti, la manipolazione è la mia seconda natura” S’lolath si strinse nelle spalle, come per scusarsi, cosa che ovviamente non intendeva fare davvero.
“Ah sì? E qual è la tua prima natura?” Ribatté il guerriero, sinceramente curioso.
S’lolath ne fu preso in contropiede, per un momento. Ci dovette pensare per qualche secondo.
“Lo studio, direi. Sono prima di tutto un mago, e solo in secondo luogo un manipolatore. E in terzo luogo un assassino.”
“La tua scala di priorità è ammirevole, sei un esempio di virtù” scherzò il guerriero. In realtà, un pochino lo pensava anche. S’lolath era un bastardo, ma non era il bastardo peggiore che avesse conosciuto. “Provi almeno un po’ di rispetto per mia sorella?”
“La rispetto come strega. Non dubito del suo potere. E in un certo modo la rispetto come madre, le sto affidando mio figlio, no?”
“Ma se non te ne frega niente” sbuffò in tono esasperato.
“Me ne frega quanto basta da portarlo qui anziché lasciarlo morire” il mago sentiva di doverlo puntualizzare. “La rispetto come madre, ma non come madre drow. O come drow in generale.”
Daren si strinse nelle spalle, perché non poteva davvero obiettare a questo. Anche secondo lui Krystel non era una vera drow. Anzi, il fatto stesso che S’lolath la rispettasse per qualcosa nonostante non la considerasse drow, deponeva decisamente a favore del mago. Era di vedute meno ristrette, rispetto ai suoi simili.
“Vedo i suoi pregi, credimi” continuò S’lolath “e vedo anche i tuoi. Dimmi, saresti interessato a una collaborazione?”
“Non vivo a Eryndlyn e non ci vivrò mai” gli ricordò l’altro. “Che puoi mai volere da me? E perché dovrei fare qualcosa per te?”
“Ma come, ti ho appena donato un nuovo nipote.” S’lolath incrociò lo sguardo di Daren e lo guidò verso Tek’ryn, che in assenza della pericolosa madre adottiva era andato a rannicchiarsi in una alcova nella roccia.
“Sì. Carino. Ma non ti devo niente per questo.”
A Daren, in realtà, non piacevano molto i bambini. Ma purtroppo per lui, se ne affezionava molto in fretta. Non aveva intenzione di ammetterlo, però.
S’lolath gli rivolse uno dei suoi soliti sorrisi affilati, quelli che non lasciava mai vedere a Krystel.
Sta manipolando solo lei?, si chiese Daren all’improvviso, O sta manipolando anche me? Sa che la furbizia drow è quello che mi aspetto da lui, e quindi mi sta dando quello che sa che posso gestire?
“Mi fregio di essere bravo a riconoscere i talenti delle persone. Apprezzo tua sorella come strega e come madre, ma apprezzo te come drow. Ho intenzione di uccidere un mago, e pensavo che potessi sentire la mancanza di un po’ di azione.”
Daren stava ancora fissando il piccolo Tek’ryn, rannicchiato per terra e stretto nel suo piccolo mantello; sembrava sulla soglia del sonno a causa delle emozioni e delle fatiche del giorno. La proposta di S’lolath però ribaltò immediatamente la sua scala di priorità.
“Scusami? Vuoi che io faccia cosa?” Sollevò un sopracciglio, guardandolo come se avesse perso il senno.
S’lolath sorrise. Era venuto il momento di fare qualcosa che lo divertiva sempre molto: contrattare.



********************
Nota orientativa: la storia continua, per quanto riguarda Daren e S'lolath, con Redemption Demotion e nella storia immediatamente dopo, Three is the magic number. Tek'ryn invece ricompare qualche mese dopo in Fey Day e poi in Punishment.


[1] Pseudosoffitto è un'arcaica traduzione in italiano del lurker above. Le prime edizioni di D&D lo traducevano così. D&D 3.5 in Sottosuolo di Faerûn lo traduce come ascoso e Pathfinder e D&D 5 lo chiamano appostato, un tipo di razza predatrice. Ho deciso di mantenere la traduzione vecchia perché secondo me il lurker above delle prime edizioni spaccava di più rispetto al misero GS 3 di D&D 3.5, o GS 7 di Pathdinder e di D&D 5: era un mostro del tutto diverso, l'ascoso ricorda un pesce raiforme, l'appostato sembra una stalattite con denti e tentacoli, lo pseudosoffitto era un mostro "a lenzuolo" che copriva un intero soffitto mimetizzandosi con esso ed era più grande e più inevitabile.
   
 
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