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Autore: kakashina93    20/08/2009    6 recensioni
Una serata come tante e improvvisamente Lupin decide di cambiare locale. Così i tre ragazzi si trovano catapultati al "Moonlight Shadow" un pub di periferia gestito dalla cantante Yume, una ragazza affascinante vittima di un passato triste e costretta contro la sua volontà a darsi da fare per ridare vita al suo locale. Un incontro casuale che segnerà una svolta nella vita di Yume e in quella di un membro della banda di Lupin.
attenzione, titolo modificato da: "Sulle note di un sogno" a "Crystal Gun" per esigenze di copione
Genere: Romantico, Malinconico, Azione | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato
Note: What if? (E se ...) | Avvertimenti: nessuno
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Capitolo 20 – Epilogue

___

Tokyo, 13 marzo, 22.35.

Due mesi dopo l’intervento

 

“Tanti auguri a te, tanti auguri a te, tanti auguri Daisuke… tanti auguri a teeeee!”

“Yuppie!”
“Vai Jigen!”
“Un bacio al festeggiato!”
“Lupin levati che mi fa schifo solo il pensiero!”

“In effetti è una cosa deplorevole e alquanto deprecabile!”

“Finiscila di fare il sottuttoio!”
“Basta litigare, su! Mangiamo la torta!”

 

Le luci erano basse e la musica dello stereo arrivava alle orecchie ovattata e confusa. L’aria era quella tranquilla di una serata in famiglia… sì, famiglia. Yume sorrise involontariamente mentre quel pensiero le solleticava la mente e le faceva formicolare le dita. Spinse piano la sedia a rotelle in avanti e si avvicinò al frigo, tirando fuori altre birre. Si guardò intorno. Il Moonlight Shadow era chiuso e loro erano dentro… per festeggiare un compleanno.

 

Era una tranquilla serata d’aprile e finalmente si cominciava a respirare calmi in città, anche se sotto la pioggia.

“Qualcuno sa dove sia Taneda?” chiese nervoso Goemon osservando l’orologio sul muro.

“Ohoh! A Isihikawa piace l’infermiera! A Ishikawa piace l’infermiera!” lo canzonò Lupin mentre gli puntava il dito contro.

“Mi ha chiamata poco fa – si intromise Yume per evitare litigi inutili – è andata a prendermi una cosa a casa sua e poi veniva qui. Ha detto che potevamo cominciare a mangiare la torta… io non ho osato contraddirla!” scherzò, mentre si infilava un grosso boccone di crema e panna in bocca. Rise e poi guardò il soffitto.

 

“E tutta questa fame?” le chiese ridacchiando Fujiko.

“Oh beh… dopo tutto quel tempo ad acqua e flebo mi devo ritirare un po’ su!” rispose lei facendo il bis.

“Ma se è successo tre mesi fa!” si stupì Lupin bevendo una birra.

“Oh sì, ma se non mangia come riempirà quel buco che ha nel cervello?” disse Jigen sarcastico e dopo due secondi gli arrivò in faccia una fetta di torta.

“Yume! Come hai potuto!?” domandò alzandosi mentre gli altri si rotolavano dalle risate.

“Non oserai colpire una povera invalida!?”fece lei scandalizzata quando lui gli si parò davanti; l’uomo alzò lo sguardo al cielo.

 

“Taneda ha detto che tempo altri due mesi e ricomincerai a camminare come prima, se non meglio.” La voce sfumò. Sapeva che non era vero. Prese una salvietta e si pulì la giacca e il viso.

“Oh, non vedo l’ora di darti un bel calcio sul sedere Daisuke. I miei piedi fremono all’idea!” gli rispose lei assumendo la sua faccia da schiaffi meglio riuscita. Lupin continuò a sganasciarsi tanto da cadere dalla sedia e sbattere i pugni sul parquet. In quel momento entrò Taneda.

“È meglio se ripasso più tardi…” sentenziò facendo un passo indietro.

“Finiscila e vieni a sederti qui!” disse Yume indicando una poltroncina e un pezzo di torta dove era già infilata una forchetta.

 

“Ti vedo bene Yume!” scherzò l’infermiera sedendosi.

“Oh sì, ho promesso una pedata sul sedere a Daisuke quando mi rialzo. L’idea mi alletta e il pensiero mi aiuta con la terapia!”

 

Taneda rise mentre assaggiava la torta e Lupin le infilava in mano una birra. Era incredibile come potessero scherzare tutti così anche in una situazione come quella. Taneda guardò la sedia a rotelle dove stava Yume. Probabilmente sarebbe scesa da lì entro pochi mesi ma non avrebbe mai più potuto usare la gamba destra… una vita passata con le stampelle non avrebbe allettato nessuno eppure lei, durante le terapie a cui partecipava, continuava a ripetere incostantemente:

“Sono viva… e il mio cervello ancora funziona, è questo che conta.” Poi, inspiegabilmente cominciava a ridere. Lei non se ne capacitava ma c’era qualcosa in quella risata che le regalava serenità e voglia di aiutarla. Tutti gli altri interventi sul suo corpo erano andati a buon fine. Solo quel proiettile era riuscito ad intaccare quello che sarebbe potuta essere un’operazione perfetta. E lei rideva…

 

 

Tokyo, 11 maggio, 18.23.

Cinque mesi dopo l’intervento

 

“Sei… pronta?” chiese Taneda sorridendo insicura.

“Vogliamo fare una gara a chi corre più veloce?” scherzò Yume guardando in avanti mentre si alzava, sorretta dal braccio dell’ormai amica.

“Finiscila.” disse l’infermiera mentre la voce le sfumava.

 

Con le stampelle arrancava un po’ ma avrebbe dovuto farci l’abitudine.

L’abitudine…

 

 

Tokyo, 20 maggio, 19.38,

Cinque mesi e una settimana dopo l’intervento

 

Taneda guardava incredula la lettera aperta sul tavolino della sua sala da pranzo. Scuoteva la testa piano, e teneva la bocca semiaperta. C’era qualcosa di sadico in quelle parole, una pugnalata a cuore aperto. Si costrinse a rileggerla ancora una volta, pur sapendola ormai a memoria.

 

Cara Taneda,

No, non sono impazzita e… no, non sono neanche tanto sana di mente, ma è giunto il momento delle tanto agognate rivelazioni.

Il mio vero nome è Angelica e non Yumeki. L’unico piccolo problema è che la mia vera identità è morta con me tanto tempo fa, quando il mio fidanzato ha ucciso i miei genitori. Non lo ha mai confessato apertamente ma credo che sia proprio andata così. Il mio ragazzo, che credevo morto, è la stessa persona che mi ha mandato in ospedale in fin di vita. L’ha ucciso Jigen che, tra parentesi, è un ladro professionista, proprio come il resto della banda. Ho sempre detto che il lavoro rende ciechi e tu un televisore per sentire le notizie del mondo dovresti proprio comprartelo. 

Ma non perdiamoci in chiacchiere inutili.

Sono una scienziata, come i miei genitori. Oserei definirmi un’inventrice. Il mio ragazzo cercava la pistola che mio padre mi ha lasciato in eredità. Jigen e Lupin mi hanno detto che vi era allegato un file, e questo spiegava quale fosse il vero utilizzo dell’arma ma è tutto andato perduto in un’esplosione. Non saprò mai cosa volesse lasciarmi in realtà papà, ma so che il materiale con cui è costruita la pistola mi salverà la vita. Posso ricrearlo e plasmarlo come voglio.

Mi sono già informata da un mio amico medico, ed è disposto ad operarmi. Posso costruirmi una protesi per la caviglia destra con quella sostanza e ricominciare a camminare come prima. Non più stampelle e sedie a rotelle. Ci vorrà del tempo e altra terapia, ma a me il tempo di certo non manca. Devo farlo Taneda, non credo di essere molto utile a Lupin zoppicando e arrancando. Sarei un rallentamento e probabilmente la causa della sua rovina. Sarò in grado di correre di nuovo e non chiedo altro perché mi unirò alla loro banda. E poi voglio montare ancora sulla mia Honda, mi manca tanto la mia moto!

Grazie di tutto quello che hai fatto per me… per noi. Non ti sarò mai abbastanza riconoscente.

Ti prego solo di non fare parola con nessuno di questa lettera, se puoi bruciala (anche se, conoscendoti, non credo che lo farai). Probabilmente non ci rivedremo mai di persona ma, se tutto dovesse andare come ipotizzo, vedrai la mia foto sorridente sui notiziari o sui giornali distribuiti dalla polizia. Sotto la mia testa ci sarà una taglia, e suppongo anche molto alta. Ho fregato tanto tempo fa i governi di mezzo mondo, cercavano mio padre per una serie di cose che ora non posso e non voglio spiegarti, ti ho già detto troppo.

Sono in debito con te e ti allego in busta un piccolo regalo. Quella è la famosa lega di cui ti parlavo. È inutile farla analizzare, ti avverto. Purtroppo ci sono componenti che i computer non riconoscono, te lo dice una che di meccanismi elettronici ci capisce anche troppo.

Un bacio, con affetto tua

 

Yumeki, Angelica Narako

 

P.S. – Lupin ringrazia sentitamente per le cure che gli hai prestato mentre ero svenuta e Goemon annuisce nel mentre. Credo che si sia preso una cotta per te! Jigen chiede inoltre se puoi portare ogni tanto i suoi personali saluti alla tomba del dottor Kengo. Ancora grazie.

 

 Taneda guardò ancora una volta il piccolo anello trasparente nella busta. Finalmente lo tirò fuori e lo guardò curiosa; era grazioso e brillava come il diamante. Se lo infilò e scoprì con sua somma sorpresa che era caldo, non freddo come si aspettava. Sorrise a mezza bocca e rimise la lettera nella busta, poi la infilò tra le pagine di un libro. No, non l’avrebbe buttata.

 

 

Luogo imprecisato della Svizzera, 29 maggio, 11.22,

Cinque mesi e tre settimane dopo l’intervento

 

Yume stava guardando il cielo, quello spesso strato di azzurro che le copriva la testa l’aveva sempre affascinata. Cercò di portare lo sguardo al di là delle montagne, oltre le vette, ma smise subito e portò gli occhi sulla grande distesa verde dei prati. Erano giochi da bambina piccola e immatura quelli ma a lei piacevano da impazzire. Prese le stampelle ed entrò in clinica dove il Grande Damian la guardava torva, anche se sorridente.

 

“Tutto bene Zuccona?” chiese l’uomo quando le si fu affiancata.

“Ho sempre detto che tu e il mio ragazzo sareste una bellissima coppia. Se vuoi te lo regalo.” Scherzò prontamente lei seguendolo piano.

“Potresti limitarti a presentarmelo innanzitutto, magari ci faccio un pensierino.”
“Sì, certo. Poi a Nora lo racconto io che eri omosessuale e i tuoi due splendidi angioletti con i riccioletti dorati sono frutto di puro e sano sesso.” Ribatté Yume sarcastica, mentre sbuffava sonoramente. Il Grande Damian rise forte, di una risata cristallina e potente.

 

Il Grande Damian, al secolo Damian Crow. Andava all’università con Yume, indirizzo differente, famiglia Svizzera. Si erano conosciuti per caso, ma avevano scoperto la passione per le moto che li accumunava e si erano divertiti a coltivarla insieme. A lei il “Grande” non interessava, e poi era fidanzata con Nobuo… Damian era un figlio e studente modello, senza contare che era bello da togliere il fiato. Yume aveva subito stretto amicizia anche con Dora, la sua ragazza-ora-moglie, una stanga bionda con il vitino stretto e gli occhi verdi come i prati d’estate. Anche lei brava a scuola e brava ragazza. Sembravano tanto una Barbie e un Ken con il cervello, usciti da quel romanzo per teenager… come si chiamava… Twilight, sì. Yume si era sempre chiesta se fossero due vampiri con dei figli vampirini, naturalmente belli anche loro. Emma e Dean erano la copia dei genitori  in piccolo, e neanche a farlo apposta, avevano preso solo il meglio dai loro creatori.

 

Pensò immediatamente a Jigen e gli venne da ridere mentre saliva sull’ascensore.

 

“Perché ridi?” chiese Damian incuriosito.
“Oh no, pensavo a quanto sia strano…”
“Cosa?”
“Tutto Damian – si poggiò alla parete metallica – Tutto. Ogni cosa è buona per stupirsi e farci sopra due risate.”
“Qui quello stupito sono io. Mi telefoni alle tre di notte, perché le tre erano, e mi dici delle cose senza senso. Nobuo è un assassino, ho una gamba che non funziona, mi presti la Kawasaki per farci un giro, come sta Dora… oh a proposito sono appena uscita dal coma! Vabè. Lo so che sei scema, ma il mio povero cuore non potrebbe reggere ancora ad una tua morte!” Sì, Yume si era dimenticata anche di pensare che Damian avesse un eccellente senso dell’umorismo. Si fidava di lui. Per quanto li dividessero kilometri di mare e terra era sempre rimasto un buon amico, uno dei pochi a cui confidare un inscenata morte per sfuggire da ‘un po’ di gente’.

 

Aveva deciso di non chiamarlo durante il periodo di recupero della Crystal Gun, non gli andava di ammorbarlo con storie di truffe e di mafiosi sadici e porci. Però, alla fine, un aiuto gli era servito lo stesso. Era vero, lo aveva chiamato alle 3 di notte, ma non è che si ricordasse molto bene quanto fosse il fuso orario tra Svizzera e Giappone. Ed era anche vero che tra duemila frasi senza senso aveva anche infilato in sintesi il discorso: Sono fidanzata con un ladro-non posso dirti il nome per la tua incolumità-Nobuo mi ha quasi ucciso-mi operi per favore?, ma da lei c’era da aspettarsi questo e altro.

 

In quel momento le squillò il cellulare. Lesse il mittente e alzò gli occhi al cielo.

 

“Sììì?” chiese esasperata, anche se sulla lingua aveva una nota di divertimento.

“Ripetimi ancora per quale motivo non posso essere lì.” Chiese Jigen dall’altra parte della cornetta.

“Perché sei un ladro ricercato da mezzo mondo e perché non mi va di mettere nei casini un mio amico.”
“Ma il tuo amico sa che tra poco tempo sarai una ladra ricercata da mezzo mondo anche tu?”

“Sì che lo sa.” Rispose pronta lei.
“E non si è spaventato?”
“Mi conosce bene, sa che questo per me è il minimo sindacale.”

Damian sorrise e sbuffò sonoramente.

 

“Yume – disse dolcemente il medico – una soluzione per farlo entrare c’è. Non deve necessariamente fare un ingresso trionfale dall’entrata principale. E poi io non mi metto nei casini per così poco.”

 

La ragazza si girò indignata verso l’amico.

 

“E tu che aspettavi a dirmelo?”

“Ma perché tu me lo hai mai chiesto?!”

“Io sono ancora qui!” Urlò Jigen dall’altra parte della cornetta e Yume scosse la testa esausta.

 

“Ma io ho l’intervento tra mezz’ora!” sbottò confusa, senza sapere se parlava con se stessa o con gli altri due.

“E chi ti dice che io sia così lontano.” Rispose l’uomo in un sussurro, mentre riagganciava e, seguito da Lupin e company, entrava nella clinica passando per un carrello dei panni sporchi. Yume sorrise a Damian.

 

“Loro non posso entrare in sala operatoria vero? Beh, considerando il fatto che tu sari dentro con me e Dora sarà fuori, credo che toccherà a lei tenerli a bada.”
“Ma li riconoscerà?” chiese il medico aprendo l’ascensore.

“Oh sì che li riconoscerà. Basta solo che sventoli in modo molto accentuato la fede al dito altrimenti chi so io gli si appiccicherà come una piovra.

 

Luogo imprecisato della Svizzera, 29 maggio, 12.03

 

Sentiva il freddo del tavolo di metallo sotto la schiena, ma si costrinse a non pensarci. Alla fine dei conti non aveva neanche rivisto Jigen, ma si costrinse a non pensare neanche a quello.

 

“Ora respira forte e chiudi gli occhi.” La voce potente dell’amico era strana in quell’ambiente

“Farà male Damian?”

“No, non farà male.”

“Dove sono loro?” chiese Yume mentre l’anestetico cominciava ad entrare in circolo.
“Sono fuori, Dora li sta ‘tenendo a bada’”

“Non passerei dei guai per questo?”
“Io, dei guai con te? Non sia mai! In fondo ho solo chiuso nella mia clinica i quattro ladri più famosi di mezzo mondo.”

“Te li presenterò quando mi sveglio…” disse in un sussurro, mentre il mondo diventava sempre più nero, sempre più scuro, sempre più freddo, sempre più irreale.

 

Luogo non reperibile, 18 settembre, 23.46

 

La voce di Yume assunse quella tenera sfumatura che rasentava l’incazzatura andante. Ebbe un non so che di affascinante anche quando sbraitò e agitò le mani al vento come se volesse prendere a schiaffi il suo interlocutore. Parlava in un italiano fitto e veloce e le uniche parole che Jigen riuscì ad afferrare furono ‘arma, frega, qualcosa che finiva in “…one”, mausoleo e microchip’, per altro, lemma anglofono. La ragazza si passò una mano nei capelli, ormai portati corti e lisci. Diceva che così le stavano più comodi. Quando riagganciò aveva una faccia da funerale, quelle che significano chiaramente : “Non mi va di parlare in questo momento, potrei vomitarti addosso ogni genere di accusa.”

 

A Jigen non gliene fregò niente e si andò a sedere lo stesso vicino a lei. Come da manuale ricevette l’occhiataccia, il grugnito, la voce esasperata e anche una serie di improponibili scuse.

 

“Hai finito?” chiese infine lui mentre lei lo guardava accigliata.

“Ma come – esclamò inacidita – ti dico che mi girano le palle a trottola e tu mi fai un’uscita del genere? Ti facevo più intelligente sai?”

 

Si alzò dal divano e batté il piede destro con insistenza sul pavimento. Evidentemente esigeva delle scuse. In quel momento Jigen tirò fuori tutto il sex appeal che aveva su di lei e con un gesto scenico accavallò le gambe, le afferrò un polso e la trascinò con se su divano.

 

“Sono arrabbiata io!” sbottò Yume e lui le tappò la bocca con un bacio.

“Auguri Yume. Buon anniversario.”

“…”

 

“Ma come, – si alzò da divano – sei la prima ragazza che si fa rinfacciare una cosa di questo tipo. In genere non sono le donne che si divertono a torturare psicologicamente gli uomini?”

 

Yume guardò confusa l’orologio. 18 settembre. Che era successo il 18 settembre?
Oltre alla morte di Nobuo non le venne in mente niente. Poi l’illuminazione.

 

“Ci sei arrivata?” domandò il pistolero con una sana punta di vendetta nella voce.

“È un anno che ci conosciamo vero? – chiese lei per confermare e lui annuì convinto – Ma da quando è che ti interessi di queste cacchiate?”

“Così, mi sono addolcito.” Le rispose convinto l’uomo, sogghignando.

“Se, come no. E io sono la fata turchina!”la ragazza fece un leggero sorriso.

C’era riuscito. Ora l’umore le era risalito quel poco che sarebbe bastato per vederla sorridere ancora un po’. Squillò ancora il telefono. Tra un “che palle” e un “non rispondere” Yume prese la telefonata e si alzò, giusto per dare più enfasi. Ancora la stessa solfa, ancora lo stesso italiano incomprensibile. Quando riagganciò guardò Jigen, che già si aspettava di essersi rovinato il resto della giornata, e con un agile e inaspettato saltello gli piombò tra le braccia.

 

“Lo sai che sei davvero sexi quando parli italiano?” un sorriso trionfante, esule da rimproveri.

“Mh… pensa quando lo canto” un bacio. Poi un altro.

“Sì – si alzò e la prese in braccio – anche lì è molto sexi.” Yume fece una smorfia e poi mosse la testa a ritmo con le parole che le uscivano melodiose dalla bocca.

 

“Non mi piace la poesia… ti voglio contro il muro!” canticchiò felice.

Jigen la fissò confuso.

 

“Cosa vuol dire?”
“Che se mi porti in camera da letto te lo dimostro subito…”

 

E con un altro sorriso trionfante e un altro agile salto, si catapultarono nella stanza, consci di poter essere liberi dai pensieri di due ladri professionisti almeno per una notte intera. Sul divano rimasero solo una Smith Wesson dall’aria consunta, e una pistola trasparente, di innata bellezza. Non seppero mai per quale motivo venne lasciata in eredità a Yume e neanche si scervellarono per trovarlo. Solo per un momento ebbero l’impulso di partire per il mondo in cerca di qualcosa che gli fosse sfuggito.

 

Ma questa signori, è un’altra storia.

 

 

Io non so davvero da dove cominciare. Posso iniziare con il dire che mi vien da piangere. Sì, perché questa è la prima long fiction che riesco a terminare. Mai mi sarei aspettata una simile impresa titanica, non da me, eterna pigrona e scansafatiche. Ma che dire, io a scriverla mi sono proprio divertita. Non sapete quale emozione da a una persona barrare la casella di "Completa" del sito... XD

Un po’ di chiarimenti che non vi ho fatto, e un po’ che non farò:

-Sfaldiamo questo mito che Yume mi somiglia. No. Yume non mi somiglia, Yume è semplicemente la Cristiana che vorrei essere. È anche vero che con me ha alcune analogie (occhi, voce, l’amore per Jigen, l’insicurezza…) ma ha anche tante punti no (il fisico, i capelli, il sarcasmo pungente…).

-Nel capitolo precedente mi è stato fatto notare, giustamente, che Yume si è svegliata un po’ prestino. Beh, è vero, non lo nego. Il problema è che in Giappone dopo 4 giorni senza risveglio da coma viene dichiarata la morte celebrale e ZAC, si stacca la spina a meno che i genitori non firmino consensi contrari. La cara ragazza i genitori non ce li ha più, e questo spiega molto.

-È vero che questa storia è nata con l’idea di far morire Yume ma, cavoli, ho fatto un grande sbaglio. Mi sono affezionata un po’ troppo a lei e non bisogna mai affezionarsi ai personaggi, altrimenti loro manipolano te e non il contrario!

-Sì, Yume ora porta i capelli corti e sì, ora cammina grazie alla protesi di cristallo e sì, si è unita alla banda di Lupin.

-I dialoghi all’inizio del capitolo sono in ordine detti da : Tutti/Fujiko/Yume/Lupin/Jigen/Goemon/Jigen/Yume

-La canzone che canticchia Yume esiste davvero, si intitola: “Io e te”, dell’artista Juliette Jolie

-E ora la domanda più importante. La storia avrà un seguito? Beh, non lo so neanche io. Vi dico NI. No perché non so se ce la farei a scrivere quest’anno visto che ho duplicato gli impegni e SI perché in fondo non mi dispiacerebbe continuare a scrivere su Lupin.

-Probabilmente ci sono altre domande che vorrete farmi e io sarà lieta di rispondervi via e-mail o MSN (il contatto in fondo alla pagina autore)

 

 

Ringrazio tutte quante voi, dolci ragazze, che avete letto e recensito questa storia. Non ci saranno mai parole abbastanza belle per voi. Solo poche, che riassumono tutto. Vi voglio bene e GRAZIE.

 

Ed ora a noi.

 

A Marta – perché con la sua forza, il suo carattere e la sua puntigliosità non mi ha mai fatto mancare di sorridere, disperarmi e voler ucciderla. Solo con il suo pungente sarcasmo e la sua forza d’animo mi sono risollevata in momenti difficili e solo grazie a lei ho scritto alcuni capitoli che non volevano uscire fuori.

A Cha, Aiko – perché con la sua innata dolcezza e la sua tenerezza mi ha fatto capire che mi vuole bene. La conosco da quasi due anni ormai e posso dire di conoscerla abbastanza bene per considerarla quell’amica di penna che non ho mai avuto e ora ho trovato.

A Ire, la mia Kitsu – che nel suo essere piccola mi ha fatto capire quanto sia grande la donna che si cela dentro di lei. A lei devo parecchi sfoghi e tante raccomandazioni. Sono sicura che sarai una persona splendida nell’immediato futuro che ti aspetta, e tanta, tanta gente se ne renderà conto tardi.

A Tania, la mia Nijina – con cui ormai condivido metà della giornata e metà della mia vita. Devo ringraziarla perché con lei scrivere è diventato un piacere assoluto, e mi ha aiutata tanto anche con questa fan fiction. Porre l’idea su carta è sempre titanica impresa, ma se c’è un bicottino della Misura e una Galatina con lei è tutto più facile.

A Giulia – la mia disegnatrice. Ho ricevuto un disegno di Yume soprendente, con il collo giraffino ma con un’aria estremamente azzeccata. A te grazie per essere una lettrice affezionata oltre che alla fidanzata del mio migliore amico.  Sorridi sempre come fai adesso, e non smettere mai di sorprendermi. BUM!

A Fabiola – Fabi, che con la sua estrema semplicità mi ha fatto capire che scrivere è soprattutto il donare emozioni. Un grazie per i consigli e per tutto ciò che non ci siamo mai dette.

 

A voi, bellezze mie, dedico questa fan fiction, con l’augurio che sia per voi ciò che è stata per me. Sfogo, lacrime, dolore, gioia e sorrisi.

 

Non si è mai troppo cresciuti per sognare ancora, con un po’ di carta e inchiostro.

 

Vostra, kakashina93

  
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