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Autore: moira78    29/10/2020    7 recensioni
Ormai alle soglie del nuovo millennio, Candy racconta a sua figlia e sua nipote la storia della sua vita. Ho cercato di riempire il vuoto lasciato dal finale sibillino dei romanzi dell'autrice originale, tentando di cogliere lo spirito dei personaggi e scrivendo in modo più dettagliato ciò che è accaduto dalla scoperta dell'identità del Principe della Collina in poi.
Genere: Commedia, Drammatico, Introspettivo | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Candice White Andrew (Candy), Terrence Granchester, William Albert Andrew
Note: Missing Moments | Avvertimenti: nessuno
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Sorpresa! Aggiornamento infrasettimanale! Enjoy.


Albert venne da me il giorno dopo, ma apparve freddo e scostante, seppure non mancò di commuoversi alla vista della bambina: "È bellissima. Come la vuoi chiamare?".

"Eleanor Lane". Il suo sguardo si fece duro, mentre rivolgeva un'ultima carezza alla piccola e la riponeva nella culla, ormai addormentata. Andò alla finestra ed ebbi un dejà-vu della sera prima, quando a guardare fuori c'era Terence.

"Voglio parlarti di quello che è successo ieri", cominciai.

"Non mi devi alcuna spiegazione", ribatté freddamente, "il nome che hai deciso di darle e quelle parole che ho sentito... immagino che vorrai sposarti di nuovo con lui, vero? Ci hai pensato bene? Non voglio che questa bambina abbia di che soffrire".

Ero senza parole: Albert si stava comportando in maniera infantile e illogica, chiaramente accecato da una gelosia che lo stava obnubilando.

Un'infermiera bussò e venne a prendere Eleanor per il bagnetto: "Faccia piano, si è appena addormentata!", mi raccomandai.

Avevo appena partorito ed ero presa da mia figlia, ma già dovevo sistemare questioni urgenti. Mi sentivo anche un po' irritata, perché mi aspettavo sostegno da Albert e invece dovetti fare la voce grossa con lui perché mi ascoltasse: "Adesso ascoltami, William Albert Ardlay". La mia voce stentorea, che voleva essere quasi una parodia della vecchia suor Grey o della zia Elroy, lo fece sobbalzare e mi guardò stupito.

Mi schiarii la voce con fare autoritario e dissi: "Terence è il padre della bambina ma non la riconoscerà lui, per sua stessa decisione: la amiamo più di ogni altra cosa al mondo e vogliamo fare la scelta migliore per lei. Tantomeno tornerò con lui perché è con te che voglio restare. Ma gli ho promesso che le diremo sempre la verità sui suoi due padri e che potrà vederla ogni volta...", m'interruppi, perché mi aveva raggiunta a grandi falcate e stretta in un abbraccio.

"Vuoi... vuoi veramente restare con me?", mi chiese con voce malferma.

Era il momento di dirglielo, di saltare finalmente quel precipizio e lasciarmi trasportare dal vento dei miei sentimenti. E dai suoi meravigliosi occhi: "A un certo punto mi ha chiesto se fossi innamorata di te", cominciai e li ebbi finalmente davanti, quegli specchi azzurro cielo che adoravo, assieme a tutta la sua attenzione.

Avevo un nodo in gola e mi resi conto che anche lui era preda di un'emozione violenta, anche se differente da quella di Terence il giorno prima. Quella stanza d'ospedale avrebbe dovuto essere ribattezzata: 'la stanza delle grandi emozioni', e non solo per la gioia dei neogenitori che l'avrebbero sempre occupata.

 "E tu che cosa gli hai risposto?", mi domandò asciugandomi per l'appunto una lacrima birichina sfuggita al mio controllo.

"Gli ho risposto di sì. Perché sei tu, mio dolce Bert, mio caro e adorato principe, l'unico amore del mio cuore. Definitivamente e senza più dubbio alcuno. Ti amo, ti amo da morire", gli aprii la mia anima piangendo apertamente.

"Oh, Candy, mia dolce, piccola Candy, amore...", proruppe tra le lacrime che non riuscì più a trattenere. Mi prese il viso e mi baciò ovunque: sulla fronte, sugli occhi, sulle guance e io feci altrettanto, reclamando la sua bocca  e mescolando il sapore salato del nostro pianto liberatorio.

Piangevamo e ridevamo, dandoci baci che divennero sempre più appassionati. Alla fine, eravamo entrambi a corto di fiato: "Ti amo tanto, Albert", gli sussurrai all'orecchio.
"Anche io, Candy, ti ho aspettata così tanto che ora non mi pare vero", soffiò sulle mie labbra.

"È tutto vero, invece", ribattei posando la mia fronte sulla sua e intrecciando le nostre mani. "Ora siamo una famiglia".

Le prime settimane furono gioiose ma anche faticose: come ogni neonato che si rispetti, anche Eleanor piangeva spesso di notte e io dovevo allattarla tutte le volte che lo richiedeva. Dopo circa un mese imparammo a riconoscere il suo sonno e a poco a poco capimmo che, dopo una buona poppata serale, poteva dormire anche quattro o cinque ore di fila prima che dovessimo cambiarla o farla mangiare di nuovo.

Albert, con gli occhi cerchiati dal sonno come i miei ma il sorriso sempre immutabile, mi aiutava come poteva e me la portava a letto per farla attaccare al seno quando ero troppo stanca persino per alzarmi. Durante le poche ore di sonno che riuscivamo a concederci, la sua culla era vicina al nostro letto così che potessimo sempre vegliare su di lei.

Ormai condividevamo la stessa stanza e adoravo il calore sprigionato dal corpo di mio marito, spesso abbracciato al mio. Mi cullavo in un limbo tra sonno e veglia godendo della serenità di quella stretta così dolce che mi aveva sempre trasmesso una gran pace.

La stessa stretta che mi riservava quando ero triste e piangevo sul suo petto. La stessa di quando lo incontravo dopo tanto tempo. La stessa, eppure a volte così diversa. Avvertivo chiaramente il suo amore in ogni gesto e in ogni sussurro, quando mi induceva a dormire e riposare un po', ma capivo anche che mi desiderava tanto, anche se non l'aveva mai detto o dimostrato apertamente. L'unica volta che lo avevo visto vacillare era stato sulla nostra collina, quando mi aveva baciata con tanta passione.

Sorrisi, guardandolo dormire: i suoi lineamenti, nel sonno, sembravano ancora più giovani e i capelli biondi ricadevano scomposti sulla fronte. Li scostai dolcemente, non resistendo alla tentazione di sfiorare le sue labbra con le mie. Lui aprì gli occhi e mi persi in quelle pozze azzurro cielo.

"Sc.. scusami, pensavo che dormissi".

Sorrise, accarezzandomi i capelli a sua volta: "Come posso dormire mentre un angelo mi sta baciando?".

La sua mano mi sfiorò la guancia, delicata, e io istintivamente chiusi gli occhi: "Albert...", cominciai con voce tremante.

"Ssst, non dire nulla, Candy", avvicinò il suo volto al mio, ma prima che potesse anche solo toccarmi con le labbra, Eleanor cominciò a piangere.

"La bambina ha bisogno di me", dissi sottraendomi al suo tocco gentile.

Mentre la prendevo in braccio per allattarla, lo vidi passarsi una mano tra i capelli, in un gesto di frustrazione. Un momento dopo stava sorridendo, invitandomi a mettermi comoda accanto a lui per nutrirla da sdraiata.

"Albert, io... non è che non voglio, ma...", non sapevo come continuare. Era come se il mio istinto di madre mi tirasse in due direzioni diverse. Cercai di spiegarglielo e lui mi ascoltò pazientemente.

"Lo capisco perfettamente, piccola, non devi darmi spiegazioni. Succederà quando ti sentirai pronta, abbiamo tutta la vita davanti".

Ero commossa dalle sue parole, ma soprattutto di essere compresa così profondamente: quell'uomo mi aveva aspettata così a lungo eppure mostrava una pazienza e una dedizione infinite.

Lo amai ancora di più per questo.

Nel mio cuore, sperai di non doverlo far attendere ancora a lungo per essere totalmente sua. 
   
 
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