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Autore: Bloody Wolf    01/11/2020    4 recensioni
Questa storia è nata per una sfida della pagina FB "Hurt/Comfort Italia", il mio prompt era "la misteriosa foresta di Hoia" che si trova vicino alla Transilvania, in Romania; la sfida consisteva nello scrivere una storia che fosse sia horror che H/C... spero di esserci riuscita!
Il titolo è scritto in latino perché in rumeno era illeggibile, interpretatelo come preferite :3
Questa storia parla di Klaus, un giovane tedesco che si ritrova a fuggire dalla propria vita puntando un dito sulla cartina, ritrovandosi a Cluj-Napoca a cercare di ricostruirsi una vita, inutilmente.
Dovrà fare i conti con un destino che lo trascinerà di fronte al suo destino, di fronte al luogo a cui è sempre appartenuto.
Antiche tribù cercheranno di sacrificarlo ad una divinità superiore ma un'antica popolazione gli aprirà gli occhi.
PS: con le introduzioni faccio altamente schifo ma spero che vi abbia incuriosito e spero che la storia crei un po' di suspance e un poco di horror, buona lettura (?)
Genere: Dark, Horror, Hurt/Comfort | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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“Grazie infinite per il passaggio.”

Il camionista guardò il giovane in maniera quasi incredula, forse per tutta quella cortesia o forse semplicemente per il luogo in cui aveva chiesto di poter scendere.

“Sei sicuro ragazzo? Questo è un posto frequentato solo da persone non del tutto sane mentalmente, fossi in te mi allontanerei il più possibile da qui, dicono che ci sia una foresta maledetta nei dintorni, luogo in cui si racconta di strane sparizioni, di fantasmi e di attività magnetiche…”

Klaus ridacchiò di fronte alla voce insicura che l’uomo aveva usato per raccontargli della presenza di quel luogo infestato. Non era una persona facilmente impressionabile ed era certo che fossero tutte le solite dicerie di paese. 

Non aveva nemmeno deciso dove andare, aveva semplicemente aperto la cartina e aveva puntato il dito, esattamente come facevano nei film quando le persone cercavano di sparire. Aveva abbandonato il cellulare comprandone un altro insieme alla sim, aveva tagliato i capelli, rasandoli, per poi fuggire con una borsa piena di vestiti, allontanandosi il più possibile dalla Germania, ma soprattutto lontano dalla donna che era stato obbligato a sposare.

Erano ormai sei mesi da quando aveva preso a vagare senza sosta, cambiando città ogni mese, muovendosi solo per riuscire a raggiungere la cittadina di Cluj-Napoca, in Romania, lì dove il suo dito si era puntato.

Si issò la borsa di stoffa sulla spalla sinistra e salutò il camionista ringraziandolo educatamente, chiudendo la portiera ed incamminandosi alla ricerca di un luogo in cui dormire senza essere disturbato.

 

Alcune settimane dopo.

“Hai detto di chiamarti Klaus, giusto ragazzo?”

Il giovane annuì, afferrando un bicchiere in birra e tracannando il restante liquido con avidità, aveva fatto richiesta di poter lavorare come lavapiatti in cinque ristoranti ma nessuno di loro era stato disposto a prendere uno “străin”, ovvero uno straniero di cui non conoscevano nulla se non il nome.

Si era fermato a bere in un bar che, anche solo per il forte odore di erba bruciata, non doveva essere dei migliori da frequentare. La voce di quello sconosciuto lo portò a girare la testa, scocciato ma educato.

“Io sono Mihai, piacere di conoscerti, straniero.”

Klaus ridacchiò, voltandosi del tutto sullo sgabello, puntando gli occhi in quelli piccoli e scuri dell’uomo che gli stava parlando, deridendolo con quel nomignolo, come se essere stranieri da quelle parti fosse quasi una maledizione.

“Senti, Mihai, che problemi avete con la gente che viene da fuori? Mi hanno tutti additato come uno straniero trattandomi come merda...”

La visiera del cappello che portava era stata alzata leggermente in modo che non gli desse fastidio per bere, i suoi occhi chiari si puntarono sull’uomo che aveva di fronte, per nulla intimorito dalle dicerie su quel popolo.

Mihai incrociò le braccia al petto e scoppiò in una fragorosa risata, seguita da alcune frasi nella sua lingua madre, parole indirizzate ad alcuni suoi amici e alla barista che, teneramente, parlò in modo che anche lui potesse capire, toccandogli delicatamente un braccio.

“Questa tua noncuranza verso i rumeni o verso la tua stessa salute fisica piace molto al nostro Mihai, sentiti fortunato. Volendo tradurre, parola per parola, ha detto: questo biondino ha le palle.”

Klaus si ritrovò a sorridere forzatamente di fronte alle parole della donna, si schiarì la voce rabbrividendo per un fremito di freddo che sembrava essere apparso dal niente, lo aveva distintamente sentito mente si srotolava lungo la sua colonna vertebrale, portandolo d’istinto a raddrizzare la schiena.

Mihai smise di ridere parlando con tono pacato e amichevole.

“Mi piaci, bevi insieme a me e io ti troverò un lavoro nella mia officina. Che ne dici?”

Klaus annuì con il cuore in gola e il sospetto che qualcosa non andasse, osservò ogni singolo movimento che compì mentre l’uomo ordinava alla barista con tono pimpante e soddisfatto.

Non sapeva se poteva fidarsi di quelle persone, ma dopo aver ingoiato il groppo d’ansia che sembrava avergli serrato le viscere, afferrò il bicchiere che gli era stato allungato con dita incerte.

“Cosa è?”

Il ghigno che aveva deformato il volto di Mihai non gli piaceva, c’era qualcosa di ambiguo in tutta la situazione ma sembrava che il suo cervello non riuscisse a pensare con lucidità, non a cento per cento, quasi che l’odore d’erba che permeava il locale lo avesse stordito, facendogli abbassare le difese.

“E’ una grappa speciale fatta con le nostre erbe, lo chiamiamo iarba sfântă ovvero l’erba santa, è forte e qui solo i veri uomini lo bevono come se fosse acqua.”

Il vetro sembrava trasparente e il liquido al suo interno era di un colore simile al verdognolo, sembrava avere alcuni riflessi giallognoli mentre sul fondo pareva diventare più scuro.

Fece per portarsi il bicchiere alle labbra, ma la mano delicata della donna lo fermò gentilmente.

“Devi berlo alla goccia o alla russa, come preferisci chiamarlo, l’importante è che tu lo beva tutto d’un fiato.”

Klaus sorrise alla giovane, annuendo per poi far cozzare il proprio bicchiere con quello di Mihai e buttare giù tutto d’un sorso il liquido.

Era un liquore forte ed amaro, lo aveva sentito scendergli per la gola come se la stesse graffiando, come se ne stesse prendendo possesso centimetro dopo centimetro in una macabra rappresentazione.

Tossì istintivamente spalancando gli occhi e annaspando mentre le risate divertite di Mihai e dei suoi amici risuonavano nella sua testa, rimbombando e riecheggiando.

“Ti avevo detto che era forte.”

La voce raggiunse le sue orecchie in modo ovattato, le sue gambe tremarono leggermente ed i suoi occhi si chiusero, improvvisamente stanchi ed incapaci di mettere a fuoco. 

Si sentiva senza forza, senza volontà, senza più nessun genere di difesa. 

L’ultima cosa che il suo cervello registrò prima di collassare furono le parole entusiaste della barista.

“Abbiamo il sacrificio umano per quest’anno.”

 

Sentiva la testa pesante e, il solo pensiero di aprire le palpebre, gli sembrava un'impresa titanica. Nelle orecchie sentiva un continuo e fisso fischio odioso, era un sibilo che sembrava fracassargli le meningi facendolo soffrire.

Gemette di dolore.

Aveva la gola in fiamme e il naso pizzicava ogni volta che inspirava ed espirava; c'era qualcosa nell'aria che assomigliava ad incenso, qualcosa che lo stava rendendo debole.

Ad ogni respiro sentiva i polmoni bruciare come se la sostanza riuscisse ad alimentare il fuoco che sembrava ardere dentro di lui.

Riuscì, dopo alcuni tentativi, ad aprire le palpebre, trovandosi circondato da alte torce che emanavano uno spesso fumo nero.

I suoi occhi lacrimavano, ricoperti da una sorta di patina nebbiosa e la sua visuale era ridotta a pochi metri.

Intorno a sé vedeva solo vecchi alberi secchi, sembrava avere dei volti incisi nella corteccia, facce cariche di una sofferenza di cui lui non sapeva nulla ma che poteva avvertire nelle proprie vene insieme alle loro silenziose urla. 

Il terreno era ricoperto da radici che, a differenza dei tronchi, avevano una colorazione scura.

L’aria che lo circondava era spettrale e la zona era satura di una nebbiolina biancastra che impediva a Klaus di vedere oltre la prima fila di arbusti.

Il rumore tetro che sembrava essere prodotto del legno secco che si muoveva rendeva il tutto avvolto in un alone di follia, si sentiva osservato nonostante non avvertisse la presenza di qualcuno, era come se quel luogo avesse una propria volontà e una propria personalità.

Si mise seduto guardandosi nuovamente intorno, intimorito ed improvvisamente spaventato, avvertiva la propria paura come una potente oppressione a livello del petto, la sentiva come se fosse parte dei tamburi da guerra che udiva nelle orecchie. Doveva riuscire a muoversi, doveva trovare un modo per sfuggire da quel luogo e da quell’intera situazione, si sentiva braccato da qualcosa che non sapeva nemmeno da che parte sarebbe arrivato.

Cercò di alzarsi in piedi, inciampando pochi passi dopo; le sue gambe sembravano immerse nel cemento, le sentiva pesanti ed impacciate mente il cuore iniziava a pompare più velocemente il sangue che gli scorreva nelle vene.

Picchiò un pugno a terra, sentendo le nocche spaccarsi per via dell’impatto violento con il terreno freddo. Si rialzò con determinazione ringhiando e combattendo contro i propri muscoli che non erano pronti ad ubbidire. Aveva una sorta di brutta sensazione che gli ottenebrava i pensieri, questa sorta di oscuro presagio che lo portava a lottare e a voler fuggire da lì ad ogni costo, sapeva di dover scappare se voleva vivere.

Il profondo e acuto suono di un corno gli fece raggelare il sangue, obbligandolo a raddrizzare la schiena e ad impedirsi di tremare. Strinse i denti fino a farsi male, conficcandosi le unghie nel palmo della mano prima di iniziare a correre, cercando un sentiero o qualsiasi cosa che lo conducesse verso la salvezza, verso la civiltà, ricercando la fine della foresta.

Dietro di lui profondi rantoli e canti sembravano elevarsi al cielo, un mantra profondo e spettrale, forse un’ode dedicata ad un'antica divinità a lui sconosciuta.

Klaus sentiva i rami secchi che lo ostacolavano, li sentiva come piccole frustate che gli strappavano i vestiti e gli incidevano la pelle come se il legno si fosse trasformato in fini lame quando entravano in contatto con la sua epidermide.

Il suo respiro diventava vapore nell’aria fredda di quel luogo spettrale.

"Că vânătoarea sălbatică este pe ...."      (Che la caccia selvaggia sia aperta…)

Le parole, in quella lingua a lui sconosciuta, iniziarono a rimbombare tuonanti nei meandri più impervi della foresta, rintoccarono da un tronco all’altro come appiglio, diventando sempre più sottili, più minatorie, più impellenti e bisognose di un sacrificio.

Klaus non ne conosceva il significato e una parte di sé non voleva nemmeno saperlo ma c’era qualcosa dentro di lui che sembrava sussurrarglielo, che sembrava intimargli di fermarsi per accogliere il proprio destino infame.

Inciampò cadendo a terra, avvertendo il ginocchio impattare contro il terreno, sentì distintamente la roccia lacerargli le carni portandolo a ringhiare di sofferenza, cercando in ogni modo possibile di non emettere alcun suono, se qualcosa lo stava davvero braccando, doveva trovare un modo per nascondersi e per andarsene.

Cercò di rialzarsi ma si bloccò notando che si era aperto un profondo taglio dal quale fuoriusciva un fiotto di sangue. Si guardò intorno con il cuore in gola con la paura che si stava impossessando di lui, si trascinò arrancando fino ad arrivare in una sorta di spiazzo, gli alberi secchi contornavano la zona con precisione e le loro radici sembravano essersi ritirate lasciando solo terra bruciata.

L'intera zona era tassellata da sassi bianchi che sembravano creare una serie di spirali che andavano a raggiungere l'arbusto al centro, circondandolo con la loro purezza.

L'unico enorme albero che stanziava nel centro era una grossa quercia che, a differenza degli altri arbusti, era vivo, con foglie che variavano dal giallo al rosso, alcune erano arancioni e cadevano a terra con lentezza.

Non aveva mai creduto in alcun Dio, non aveva mai ritenuto possibile che qualcuno lo salvasse ma lì, in quel preciso istante, desiderò fortemente avere qualcuno a cui aggrapparsi e a cui rivolgere le proprie preghiere.

I suoi occhi si erano fissati sull’imponenza dell’arbusto, di fronte alla sua bellezza e alla sua imponenza si sentì immensamente piccolo ed indifeso.

Non aveva più niente con sé, gli era stato tolto tutto: lo zaino, il cellulare, il coltellino svizzero e persino la giacca.

Sentiva il freddo delle lande rumene entrargli sotto le ossa, forse non se ne era accorto prima per via dell'adrenalina che sembrava non voler smettere di fluire in lui, ma ora era certo che se quelle creature non lo uccidevano, sarebbe morto comunque per ipotermia.

Rabbrividì, portandosi le mani sulle proprie spalle incrociando le braccia di fronte al petto, aveva gli occhi carichi di lacrime e i denti che battevano, incapace di reagire o di fare altro in quella situazione che mai avrebbe immaginato.

Nella sua testa le immagini della vita che aveva abbandonato riecheggiavano, accomodanti e accoglienti, come a volersi fare beffa di lui.

Dalla direzione in cui aveva raggiunto la quercia alcune figure si fecero spazio tra la nebbia, i cinque uomini si stagliarono, posizionandosi al limitare di quella sorta di prateria, portandolo a strisciare terrorizzato fino alle radici di quell'immenso albero.

“Andatevene!”

La sua voce non fu che un sussurro, un flebile sibilo atto a compiacere i suoi aguzzini, le loro risate furono come sangue fresco per le iene, un suono demoniaco e quasi surreale che accarezzò l’intero corpo dell’uomo, facendolo urlare di sofferenza.

Non voleva morire.

Non voleva essere braccato da quelle persone.

Non voleva trovarsi lì.

Voleva vivere.

Uno di quegli uomini fece alcuni passi in avanti alzando le braccia al cielo prima di parlare.

“Sei giunto fin qui per morire, per permettere al nostro Dio di donarci un’annata prosperosa con donne fertili e campi ricchi di frutti. Il tuo sangue sfamerà intere famiglie.”

La voce di quel folle apparteneva a Mihai, la riconosceva nonostante lo spesso strato di fango e di poltiglia bianca che portava in volto.

“Lasciami andare, ti prego.”

La sua lingua si inciampò più volte in queste sue quattro parole, fu come una supplica incapace di venire alla luce, un profondo dolore capace di bloccare la sua voglia di restare in vita.

Aveva paura, una sensazione che si amplificò quando i suoi occhi scivolarono sulle armi che le cinque figure tenevano fra le mani, portandone il peso come se fossero abituati. Erano antiche lame fatte con denti o mascelle limate, portavano ancora del sangue incrostato su di esse, sangue che doveva appartenere alle precedenti vittime sacrificali.

“Dopo anni in cui il nostro Dio si accontenta di sangue di pecora o di capra, quest’anno potrà banchettare con sangue umano. Ritieniti fortunato e gioisci per ciò che sei destinato a compiere!”

Klaus premette il palmo della mano sulla propria ferita per poi passarsi il dorso sotto agli occhi, in cerca di lacrime che il suo corpo sembrava impossibilitato a rilasciare, incapace di reagire veramente all’intera situazione.

Mihai avanzò verso di lui, passo dopo passo mentre un sorriso malato gli deformava il volto con una smorfia folle.

Era a pochi passi da lui quando un ululato distrusse ogni singola atmosfera, ogni genere di rito si sgretolò e i suoi aguzzini fissarono gli occhi su una figura che avanzava silenziosa ed imponente dalla foresta morta.

Gli occhi di Klaus si riempirono dell’essenza che quella bestia emanava, incredulo di ciò che stava guardando.

Un grosso lupo nero apriva la strada a ciò che lui analizzò essere una creatura antropomorfa, aveva il corpo di un uomo, un uomo alto almeno un metro e novanta ma al posto della sua testa c’era un cranio di cervo dal quale si diramava un palco che assomigliava vagamente alla quercia che aveva sopra la propria testa.

Indossava delle pelli a coprirgli la zona lombare mentre sul petto nudo simboli antichi erano stati incisi, marchiandone la pelle con tre spirali concentriche che confluivano nello stesso punto.

Il respiro gli si bloccò in gola, quella figura mitologica era riuscita con la sua sola presenza a calmarlo, a fargli provare una sorta di pace interiore, una sensazione che erano anni che non provava ed improvvisamente la paura di morire sembrava sparita, se doveva morire con quell’ultima figura dietro le retine l’avrebbe fatto rimanendo in pace.

Il lupo camminò pacato fino all’albero, si sedette a pochi metri da lui, puntando gli occhi su Mihai, mostrando i denti in attesa che la figura dicesse o facesse qualcosa.

“E’ nostro! Fatti da parte Druido.”

Klaus si chiese come fosse possibile che le corna di quel cranio fossero passate attraverso gli alberi secchi e morti che avevano ferito il suo corpo.

Distolse lo sguardo per puntarlo sui suoi aguzzini: che erano arretrati, negli occhi si poteva leggere la loro paura verso quella creatura.

Il lupo aveva profondi occhi rossi e, di fronte alle parole degli uomini, digrignò i denti facendoli sbattere tra loro producendo un forte rumore, un suono che fece volare via alcuni corvi gracchiando intimoriti.

Klaus vibrò di terrore, non sapere cosa avesse in mente la gente intorno a sé era terrificante.

I suoi occhi iniziavano a cedere, stanchi come la sua mente per via dell’elevata quantità di sangue che stava perdendo.

Il druido camminò con passo silenzioso, aiutandosi con un bastone. Lo raggiunse fermandosi di fianco alla quercia che, come animata dalla sola sua presenza, emise alcuni ambigui suoni, sembrava quasi che il legno si fosse mosso, stiracchiando i propri rami e portando alcune foglie a cadere in un leggero turbinio fatto dai colori dell'autunno.

La voce del druido colpì l'intera zona come una lenta litania, una voce che sembrava essere antica ma giovane, saggia ed imponente, un suono che portò i presenti ad abbassare il capo rispettosi ed intimoriti.

"Nessuno macchierà il Nemeton di sangue innocente. La grande quercia mi ha chiamato qui chiedendomi di salvare quest'uomo quindi andate, allontanatevi da questo santuario se non volete che la furia si abbatta su di voi."

Le ultime parole dell’uomo con il teschio da cervo risultarono ovattate nelle orecchie di Klaus, gli occhi del lupo si posarono su di lui mentre i suoi, lentamente, si chiudevano assorbendo in sé quanta più oscura tranquillità potesse. 

 

Il leggero pizzicore di uno strumento a corde riportò in parte la coscienza di Klaus al mondo terreno, alcuni uccellini cinguettavano e una strana pace sembrava averlo avvolto.

Sentiva la testa leggera, avvertiva il proprio corpo fluttuare senza avere una vera e propria consistenza.

Doveva essere morto per sentirsi così in pace con sé stesso.

Non aveva il coraggio di aprire gli occhi, non voleva svegliarsi da quella sorta di dolce sensazione, stava bene per la prima volta in tanti anni, si sentiva a casa.

Si decise ad aprire gli occhi quando il suono dello strumento musicale si fermò, aprì gli occhi ritrovandosi ad osservare un cielo limpido, senza alcuna nuvola a sporcarne l’essenza. Si mosse trovandosi immerso nell’acqua, solo il suo volto rimaneva a galla.

Un leggero dolore lo colpì alla gamba portandolo ad annaspare, muovendo sia le braccia che le gambe, ingerendo anche del liquido prima di accorgersi che il fondo di quella sorta di piccolo lago era lì, a pochi centimetri dai suoi piedi.

“Non annegare in un metro di acqua, te ne prego.”

La voce che lo raggiunse era la stessa che aveva ascoltato prima, era uguale a quella dell'uomo che indossava il palco del cervo. Insieme alla sua voce anche la leggera litania dello strumento riprese ad aleggiare nell’aria fresca.

Gli occhi di Klaus vagarono terrorizzati sulla zona circostante. 

L’uomo era seduto su un sasso, l’arpa era appoggiata ad una spalla e lasciava che le dita pizzicassero le corde con armonia. Il grosso lupo era sdraiato vicino alla piccola cascata che accerchiava una zona del lago in cui lui si ritrovava immerso.

Vicino all’animale c’era il teschio che la creatura aveva indossato per salvarlo, era perfetto in ogni suo singolo osso, era di un bianco quasi splendente e alcuni strani intrecci erano stati pitturati con del nero; le grosse corna erano nere ed erano state incise con simboli che ricordava di aver visto da giovane, simboli che ricordavano le rune antiche. 

Non sapeva se stava sognando o se era morto per davvero ma era tutto strano.

Allungò una mano, andando ad accarezzarsi la gamba lesa, trovando una sorta di fasciatura liscia.

“La quercia ti ha salvato la vita donandoti la sua linfa ma la ferita continuerà a sanguinare, l’acqua la lenisce e l’unguento che ti ho applicato aiuta la tua carne debole a rigenerarsi.”

Klaus camminò zoppicando per uscire dalla pozza, riscoprendosi nudo, tranne per quella fasciatura fatta con delle foglie.

Arrossì leggermente coprendosi i genitali, imbarazzato.

“Voglio tornare a casa…”

Le dita dell’uomo si fermarono dal pizzicare le corde, interrompendosi in modo da poter sospirare prima di parlare con tono pacato.

“Non puoi farlo, hai impresso il tuo sangue sul nemeton, hai sacrificato la tua vita in nome della salvezza. Anche se tu te ne andassi resteresti ancorato qui, vagheresti senza alcuna meta e vedresti cose che son precluse ad altri uomini, il mondo al di là del velo ti tormenterebbe...”

Klaus avvertì un leggero brivido di terrore invadergli nuovamente le membra, era una paura diversa da quella che aveva provato prima, era più contenuta, più accettabile.

Negò con la testa permettendo ai propri occhi di riempirsi di lacrime, lasciando che le proprie mani corressero ai capelli, afferrandoli con forza ma continuando ad ascoltare quella voce che sembrava melodica quanto il suono dello strumento.

“Hai iniziato senza volerlo un lungo percorso che ti porterà a restare tra i vivi per molti secoli ancora, imparerai a rapportarti con la natura e a leggerne i segnali. Il tuo corpo ora appartiene alla foresta ...”

Appoggiò l’arpa a terra e si alzò, raccogliendo due piccoli recipienti da terra, insieme ad altre foglie, simili a quelle che aveva legato intorno alla gamba.

“Non temere…”

Klaus si era spostato inconsapevolmente verso l’acqua, arretrando intimorito.

L'uomo si prodigò nel farlo sedere sul prato, evitò di toccarlo lasciandogli un rispettoso spazio, inginocchiandosi di fianco a lui per rimuovere la fasciatura facendo scivolare le mani sulla sua carne.

Klaus si ritrovò a guardare il volto dello sconosciuto, le sue parole lo avevano colpito ma non ne aveva colto completamente il senso, non sapeva se averne paura o se gioire di esse.

Si ritrovò a guardare colui che lo stava medicando, aveva dei tatuaggi di un blu tenue che ricoprivano le sue guance, risalivano fino alla fronte intrecciandosi con maestria e donando allo sconosciuto un aspetto più antico e magico.

Il druido aveva occhi azzurri e capelli neri dove, intrecciate con maestria, c'erano alcune piccole liane verdi.

Si stava fidando perché qualcosa, dentro di lui, sembrava fidarsi ma si ritrovò a trattenere un gemito di sofferenza quando l’ultimo strato di foglie venne rimosso.

"Il mio nome è Mael e sono il druido di questa piccola comunità. Gli uomini che ti hanno dato la caccia fanno parte di una tribù cannibale che venerano divinità spietate che hanno bisogno di sangue per poter sopravvivere."

Le mani fresche del druido andarono a ripulire la ferita, afferrando una delle due bacinelle e riempiendola d’acqua fresca per poi lasciarla cadere sulla ferita, facendolo ringhiare di dolore. Mael alzò gli occhi puntandoli nei suoi, ci trovò l’infinità dimenticandosi per alcuni secondi il dolore fisico per perdersi in quel pozzo che pareva fatto di conoscenza. 

"Quando verserò questo composto sulla ferita, sentirai bruciare ma stringi i denti."

Klaus ebbe il coraggio di abbassare lo sguardo, ritrovandosi ad arginare un conato di vomito di fronte al taglio.

Le labbra della ferita erano biancastre, molto probabilmente per via dell'effetto ammorbidente che l'acqua aveva svolto, si era infettata e il colore giallognolo indicava anche la presenza di pus sotto la sottile crosticina che sembrava essersi formata.

Quando aveva dormito immerso nell’acqua per permettere alla ferita di ridursi in quello stato?

Il taglio non era profondissimo e, il sangue che ancora ne usciva, colava lentamente lungo il ginocchio per poi gocciolare sul terreno in un misto di rosso e giallo.

Guardò il druido inclinare la bacinella, seguendo il liquido denso trasparente colare fin sul taglio, ritrovandosi ad urlare senza quasi accorgersene.

Il liquido gli stava bruciando letteralmente la ferita, sembrava gli stesse divorando la carne e le ossa, strappandoglieli come un animale affamato che non vedeva cibo da mesi.

Le lacrime riempirono i suoi occhi e la sua testa scattò all'indietro scontrandosi con il muschio che ricopriva la zona intorno al laghetto. Era un dolore sordo e lacerante che andava a svanire man mano che la sostanza veniva assorbita dalla sua pelle.

La voce del druido lo calmò, riportandolo al presente con tutta la sua calma e la sua sapienza.

"Ciò che ho appena versato sul tuo dolore, è un'antica pozione a base di resina di quercia ed erbe medicinali, ricostruirà i tessuti che il veleno delle piante morte ti stavano mangiando..."

Klaus si passò una mano sul volto, asciugando il sudore che lo aveva ricoperto. Negò con la testa ridendo nervoso.

"Non prendermi per il culo, che diavolo succede? Come è possibile che la mia pelle abbia assorbito tanto in fretta questo schifo che mi hai buttato addosso?!"

La sua voce era diventata acuta e il terrore e l'angoscia avevano preso a scorrergli nuovamente nelle vene, andando a ritmo del proprio cuore che sembrava impazzito.

Improvvisamente non gli interessava più nulla dell'essere nudo o dell'essere ferito, voleva andarsene da quel luogo e dalla Romania. Arretrò, sctrisciando a terra, impedendo all’uomo di fasciarlo. Cercò di alzarsi, zoppicando e gemendo di dolore, provando in tutti i modi di andarsene, guardandosi intorno non sapendo dove andare.

La voce di Mael sembrava essere l’unica costante in quel luogo sconosciuto, era pace per ogni suo senso.

"So che ora sei confuso, ma so anche che dentro di te qualcosa ora ti spinge a farti domande su tutto ciò che è successo."

Un grosso cervo camminò passando di fianco a Klaus, i loro sguardi si incrociarono facendogli bloccare il respiro, la maestosità di quella creatura era spettacolare e, il semplice vederlo camminare di fianco a sé, gli aveva portato una gioia incommensurabile nel petto.

Il druido aveva allungato una mano e la grossa bestia si avvicinò a lui, facendosi accarezzare prima di alzare la testa al cielo e rilasciare un profondo bramito, un suono che fece vibrare di ammirazione il petto di Klaus.

Che stava accadendo, cosa era successo e come era possibile che un cervo si avvicinasse tanto ad un uomo? 

"Cosa?"

Il druido camminò, passando di fianco all’ungulato per poi allungargli una mano ed iniziando a parlargli con un tono pacato, incantandolo con la sua voce che sembrava avere in sé una conoscenza antica, quasi arcaica.

"Sei giunto qui e sei stato salvato dalla grande quercia perché gli spiriti ti hanno scelto. Il luogo dove sei stato salvato, il nemeton, non può essere trovato da tutti, così come questa prateria in cui io ti ho condotto. Chiamala pure magia o stregoneria ma qui l’uomo è solo una variante ed è la natura a comandare."

Klaus guardò la mano che gli era stata tesa con affanno, forse stava sognando eppure il dolore che aveva sentito prima era reale, era un dolore sordo ma abbassando lo sguardo notò che la ferita si stava rigenerando velocemente, assorbendosi come acqua su un terreno arido.

"Cosa sei di preciso?"

"Te l'ho detto, sono un druido ed è mio dovere accogliere le persone che vengono scelte dai grandi spiriti. Questo posto sarà la tua nuova casa."

La sensazione di appartenenza si rifece viva in lui, lo abbracciò scaldandolo come se fosse avvolto da una coperta calda. Si voltò a guardare il lupo che, silenzioso e pacifico, era rimasto accucciato di fianco alla pozza di acqua cristallina, i suoi occhi passarono al cervo che, esattamente come il lupo, lo stavano guardando, sentiva le loro essenze su di sé ed incredibilmente era una sensazione di pace, di quiete interiore.

Klaus guardò Mael ingoiando a vuoto per poi spostare gli occhi lungo la prateria notando come essi si annebbiassero mostrando un piccolo villaggio dal quale alcune persone stavano uscnedo, come per avvicinarsi.

"Ehi, prima non c'erano delle case lì!"

Un leggero sorriso si fece spazio sul volto di Mael mentre Klaus spalancava la bocca incredulo ma felice.

"Siamo celtici, siamo un antico popolo pacifico che vive in simbiosi con la natura e il fattore stesso che tu stia vedendo il villaggio dimostra il fatto che tu sia degno di restare qui, che questo era il tuo destino. Benvenuto a casa."

Fine





 
Potete lanciarmi tutto ciò che volete ma, anche in privato, ditemi cosa ne pensate che è la prima cosa horror che scrivo e oddio se è strano!
 
   
 
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