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Autore: VigilanzaCostante    02/11/2020    0 recensioni
Qualche anno fa ho letto Mr Gwyn di Alessandro Baricco, e mi sono chiesta: come deve essere dipingere delle persone con le parole? E da lì ho iniziato a comporre dei ritratti di alcune persone della mia vita. Le ho guardate, osservate, poi ho iniziato a intingere il pennello nel colore e accanirmi sulla tela.
Questi ritratti sono diventati dei regali, per compleanni, partenze, ricorrenze. Ho eliminato i doni materiali e ho detto così alle persone che le vedevo, che le capivo, che c’ero.
Decido di pubblicarle, mettendole in mano a un pubblico che non conosce nessuno di loro, per vedere se i ritratti che ho scritto suscitano qualcosa anche a uno spettatore casuale. Ecco qui un piccolo museo di persone, potete guardarle, conoscerle, affezionarvi, criticarle. Vediamo se in qualche modo, con questi colori, riesco a raggiungere anche voi.
[I ritratti non sono legati tra loro, si possono leggere nell’ordine che preferite!]
Genere: Angst, Introspettivo, Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Nessuna
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Michela

Le luci improvvisamente si spengono, e le urla del pubblico sovrastano i pensieri, i dolori, gli amori. È magico quel momento di sospensione, in cui l’attesa ti crea una fibrillazione e un’energia tale che spaccheresti il mondo con la tua luce. Però è buio. E tutto quello che si vede è la sagoma del palco ancora vuoto, in attesa del cantante, dell’artista, dell’attore.
Spietato e calcolatore sa calibrare il suo ritardo, per lasciare un minimo di stupore, di folle emozione. E poi la musica, oh la musica che annulla le urla, le acclamazioni, i cori. La musica che non importa quale sia, ti sconvolge.
Michela è un po’ come un concerto che aspetti da mesi, per cui ti svegli presto la mattina e sotto il sole fai una fila infinita. Michela è la fatica incomprensibile di aspettare tutte quelle ore, e poi la chiara e limpida consapevolezza che sì, ne valeva la pena. Michela è il boato, l’eccitazione palpabile di mille voci che si innalzano al cielo, e Michela è la calma scottante dell’unica voce che grazie al microfono abbraccia e conforta tutto lo stadio.
Michela è ancora piccola, ma a piedi pari sta facendo un salto nell’età adulta; o forse piccola ha smesso di esserlo da tempo, ed io, con un solo anno in più di lei, mi sono talmente affezionata all’immagine della lei bambina che trovo impossibile sostituirla.
Eppure, Michela è cresciuta e di esperienze ne ha fatte tante, sempre con una valigia in mano ha viaggiato per il mondo, partendo dalla sua cameretta che forse ora non è più rosa, che forse ora è cresciuta con lei. Michela è l’insicurezza palpabile, mista a una capacità innata di sapersi valorizzare. Di sapersi non-calpestare. Di essere in grado di brillare, di urlare, di farsi notare e di non passare inosservata di fronte agli occhi acquosi di chi la circonda.
Michela è brava a parlare, ma mai delle sue emozioni negative, sembra non voler ammettere ad alta voce che sì, quella cosa là, le fa male. Inizia a parlare solo quando sa calibrare, spiegare, dare. Mai una parola di troppo, mai una richiesta d’aiuto troppo palese, solo taciti sguardi.
E, quando finalmente capisce e comprende, che la vita è una e va vissuta, si lascia andare, si lascia abbracciare, stringere, amare. Lascia che gli altri le vogliano bene, per la sua spontaneità, per i suoi sorrisi a 360 gradi, per le sue mani calde e gli occhi luminosi, anche se stanchi.
Michela è il non-fallimento, è le aspettative enormi che ha creato intorno a sé e la paura di deludere. Di far crollare il castello. Di non essere abbastanza per gli obiettivi che si è prefissata.
Io, stupidamente, per anni ho creduto che lei di problemi non ne avesse mai, in quella perfezione che pensavo incarnasse, perennemente messa a nudo contrasto con le mie velleità. Invece, poi, con il tempo ho capito che Michela non ha nessuna voglia di essere quella “perfetta”, di essere la più brava, la migliore. Michela vuole solo non far crollare la pila di piatti che ha in mano, perché sa che il frantumarsi letale della ceramica, la distruggerebbe molto di più della fatica per tenerli su.
E così, ambizione dopo ambizione, non ha mai mollato, non ha mai deluso, tentennato.
Michela, che da bambina nel corridoio di casa della nonna giocava insieme a me ad inventare delle storie: come delle piccole regine convincevamo i nostri cugini maschi a giocare con noi, costringendoli in ruoli che non capivano e alla fine, grazie alle nostre risate, si divertivano anche loro. Michela che, nel periodo delle medie, si definiva la mia migliore amica e che poi mi ha visto voltarle le spalle quando l’affetto non riusciva a colmare la distanza di km e di età. Michela che, anche quando le chiudevo porte in faccia, mi ha sempre citofonato di nuovo, mai solo una misera volta. Michela che poi si è anche arrabbiata, si è fatta sentire, perché la mia assenza era ingiustificata, imperdonabile. Michela poi, mi ha saputo perdonare.
La prima canzone dei concerti è quella che ti fa saltare, gioire, urlare. Ma l’ultima, quella che chiude una serata fantastica, è la più triste e malinconica: le torce dei cellulari si accendono, le luci del palco si affievoliscono, e tutto sembra essere un’unica voce, un unico coro, composto dal pubblico e dal cantante stesso. Michela, tu che vuoi sempre essere la prima canzone di ogni concerto, concediti di essere anche l’ultima, cantata più bassa a voce, con una malinconia dolce nel cuore. Se vuoi essere il boato iniziale, devi accettare di essere anche la tristezza del dopo concerto, quando quelle mille voci che sono state, per un secondo, amiche, tornano ognuna alla loro vita di sempre.
E, se vuoi, puoi essere anche il cantante su quel palco, perché di talento ne hai sempre avuto, con quel pianoforte e la tua voce limpida. Sii padrona di te stessa, ma accetta anche di crollare, di abbassarti, di piangere, di essere solo una delle tante voci stonate nel pubblico.
Mi hanno detto mille volte che dopo i 18 anni il tempo vola: frase paternalistica, che ho sempre ignorato. Ma alla fine, se ci pensi bene, è così. Ora sei al massimo della tua vita, poi piano piano tutto diventerà più frenetico, meno tangibile, tutto più veloce. Goditi passo dopo passo questi 18 anni, perché te li meriti tutti.
   
 
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