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Autore: Picci_picci    08/11/2020    4 recensioni
Sono passati mesi da quando Ladybug e Chat Noir non si vedono più. Solo una muta promessa li unisce: non scordarsi mai l’uno dell’altra. Vanno avanti nel loro presente, ma continuano a vivere nel passato e nel loro ricordo. Marinette, ormai, è a tutti gli effetti la stagista personale di Gabriel Agreste, praticamente il Diavolo veste Agreste nella realtà, e Adrien sta tornando da Londra per imparare a gestire l’azienda di famiglia.
Cosa mai può andare storto?
Tutto, se ci troviamo alla maison Agreste.
Mettetevi comodi e preparatevi a leggere una storia basata sulle tre cose indispensabili di Parigi: Amore, Tacchi alti e...là Tour Eiffel.
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"Perché l'amore è il peggiore dei mostri: ferisce, abbandona, ti rende pazzo, triste ed euforico allo stesso tempo. Ma è anche l'unica cosa bella che abbiamo in questa vita."
Genere: Commedia, Malinconico, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Adrien Agreste/Chat Noir, Gabriel Agreste, Marinette Dupain-Cheng/Ladybug, Plagg, Tikki
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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- Questa storia fa parte della serie 'L’amour'
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Andrè non aveva voluto sentire storie e per “quella meravigliosa coppia di piccioncini” aveva realizzato una sola ed enorme coppa gelato. Adesso stavano passeggiando lungo la Senna, vicini, con Adrien che teneva la coppa gelato e Marinette che, con la paletta alla mano, stava mangiando il gelato alla vaniglia. Plagg, ovviamente, si stava mangiando tutto il cioccolato.

Andrè non aveva previsto il cioccolato nella coppa dei due innamorati, ma una voce che il gelataio aveva interpretato come quella di Adrien aveva richiesto il gelato al camembert. Quando Andrè, inarcando un sopracciglio, aveva risposto che non aveva un gusto così bizzarro, sempre quella voce, aveva preteso il gelato al cioccolato.

Se era stata una scena divertente? Cavolo, Marinette l’avrebbe ricordata anche in punto di morte! Era strano aver visto un Adrien Agreste impacciato e arrossito.

“Questo gelato è proprio buono, ma mai quanto il mio camembert.”

“Vorrei vedere, con la figuraccia che mi ha fatto fare”, disse Adrien al suo kwami, stando attento che nessuno li vedesse.

“Plagg non è mai stato un tipo sottile”, commentò Tikki dalla spalla della sua portatrice su cui era seduta.

“Non l’avrei mai detto.”

“La vaniglia è buona?”, chiese Adrien.

“Spettacolare”, rispose lei.

Lui, senza dire nulla, prese la paletta di Marinette colma di gelato alla vaniglia e se la mise in bocca. Marinette si ritrovò ad arrossire; era un gesto così intimo e famigliare che le fece battere più forte il cuore. 

Cavolo, gli faceva sempre lo stesso effetto.

“Sì, è proprio buona”, disse con voce roca, ridandole la paletta.

“Te lo avevo detto”, rispose, quasi senza voce.

Poi continuarono a camminare in silenzio, finendo in breve tempo la coppa gelato.

Quando Marinette sentì le note della “Vie en rose” si girò verso Adrien.

“L’hai organizzato tu?”

“Fidati, non sarei mai stato tanto fortunato. Ricordi? Io sono la sfortuna.”

“E io la fortuna.”

“Allora, forse è per questo che sono felice da quando ti ho incontrata.”

La voglia che aveva di baciarlo era troppa, ma non poteva. Non poteva cascare nella trappola dagli occhi verdi.

Si girò di scatto verso la balaustra del Pont Neuf per evitare di fare un meraviglioso errore del quale, poi, si sarebbe pentita, e guardò l’acqua della Senna scorrere placida.

Lui si mise accanto a lei, con gli avambracci in avanti, posati sulla struttura del ponte.

In sottofondo, continuava a scorrere lenta la “Vie en Rose”.

“Dovrei tornare a casa”, disse lei sottovoce, temendo di spezzare l’incantesimo.

“Va bene.”

Ma nessuno dei due voleva andarsene, nessuno dei due voleva lasciare l’altro.

Rimasero lì un altro po’.

Adrien prese la mano di Marinette fra le sue e se la portò alla labbra: un baciamano che voleva dire molto, almeno per loro due.

Lei sorrise e, per la prima volta da quando si erano veramente rivisti, gli sfiorò il volto con le dita tremanti, “chaton..”

“Temevo che non l’avrei più sentito dire.”

Plagg stava per aprire bocca, ma la gomitata di Tikki fu un chiaro segnale.

Adrien avvicinò il suo volto a quello della sua lady e lei non si tirò indietro.

Le loro labbra stavano per sfiorarsi, erano così vicini che Adrien poteva sentire l’odore del gelato alla vaniglia che Marinette aveva mangiato.

Un suono forte e insistente, ruppe la magia: il telefono di Marinette.

Lei si allontanò imbarazzata e pescò il cellulare fuori dalla borsa. Lampeggiava ‘Monsieur’ a caratteri cubitali ed erano le dieci e mezzo.

“Allo?”

“Ammetti che sto migliorando, sono solo le dieci e mezza.”

“Sì, ma non è normale che mi chiami a quest’ora.”

“Sei o non sei la mia stagista?”

Marinette sospirò, “lo sono.”

“Bene, domani voglio delle brioches con la glassa argentata dalla pasticceria di tuo padre.”

Marinette allontanò il telefono dall’orecchio e lo guardò, pensando di aver sentito male.

“Altro?”, chiese dopo aver riportato il telefono al suo posto.

“Sì.”

“Cosa?”

“Lasciati i capelli sciolti, truccati solo con il correttore e il mascara e indossa l’abito a vestaglia rosa cipria.”

Ma si era drogato?!

“Da quando decide come mi vesto?”
“Da quando sono il tuo capo.”

Marinette annuì anche se lui non potè vederla.

“Bene, non scordarti niente di quello che ti ho detto. Buona serata e dì a mio figlio che lo voglio a casa prima dell’una di notte.”

Cosa, cosa, cosa? Spalancò gli occhi e disse ciò che tutti avrebbero detto in quel momento, “io non sono con Adrien.”

“Sì, e io sono Ladybug e vado a giro con una tuta rossa a pois.”

E con questa massima, attaccò.

“Cosa è successo?”, domandò Adrien con un sorriso sul volto, segno che aveva ascoltato tutta la conversazione.

“Vedo sempre di più le somiglianze con tuo padre.”

Mise il telefono nella borsa e fece cenno anche a Tikki di entrare, “credo che sia l’ora di andare a casa.”

“Sai”, iniziò Adrien mentre si stavano avviando verso la macchina, “dovrei portarti a casa per mezzanotte, come le principesse.”

“Allora è una fortuna che io non sia Cenerentola.”

“No, tu, invece che graziose scarpette di cristallo, indossi tacchi killer.”

“Vogliamo vedere se uccidono veramente qualcuno, gattino?”

***

Adrien accostò la corvette nera davanti alla pasticceria dei Dupain-Cheng.

“Marinette”, disse lui prima che lei scendesse.

“Sì?”

“Rispetto al discorso che facevamo prima-”

“Se i miei tacchi possono veramente uccidere?”

Lui rise, “in parte. Forse non sarai Cenerentola, ma fidati: sei una principessa.”

Lei sorrise, “un po’ mi mancava il tuo atteggiamento da ruffiano.”

“Sono serio.”

“E ruffiano.”

Scese dalla macchina e con un “buonanotte chaton”, si incamminò verso casa.

Poi, come se le fosse scattato qualcosa, corse verso la macchina e si chinò dal lato del guidatore. Lui abbassò subito il finestrino, “cosa c’è?”

“Puoi controllare che tu padre non si sia drogato?”

***

Marinette stava camminando nei corridoi della maison, vestita esattamente come le era stato richiesto da monsieur. L’abito a vestaglia in seta rosa, per quanto bello potesse essere, lo riteneva inadatto per stare in ufficio, i capelli oggi erano più in disordine che mai -non ne volevano sapere di stare in piega- e le decolleté nude che aveva indossato le stavano uccidendo il piede. Ritirò da Lorraine i nuovi bozzetti della sartoria, ma, mentre stava tornando nel suo ufficio, una mano la agguantò per un braccio, trascinandola dentro lo sgabuzzino del personale delle pulizie.

“Ma che cavolo?”, esclamò accendendo la luce.

Tra scaffali di prodotti per le pulizie e scope, gli occhi celesti di Paul la stavano trafiggendo.

“Pensavo di essere tuo amico.”

“Lo sei”, rispose Marinette non capendo l’assurda situazione.

“E mi tradisci così?!”

“Quando mai ti ho tradito?”

“Perché non mi hai detto nulla?!”

Okay, non stava capendo e, soprattutto, il suo orecchio stava sanguinando dalle urla di Paul.

“Puoi spiegarmi di cosa stiamo parlando, per favore?”

“Oh”, disse lui incrociando le braccia al petto, “ora fai finta di non capire?”

“Paul. Ti prego.”

Lui alzò gli occhi e, lasciando cadere le braccia lungo i fianchi facendo cadere tre scope, si arrese, “mi avevi detto che alla fine non c’era stato nessun appuntamento con Adrien Agreste.”

“Ed è la verità.”

“Bè, non secondo mezzo ufficio che vi ha visto baciarvi davanti all’ascensore.”

Marinette arrossì, “anch’ io bacio te.”

“Fidati, mon amour, non in quel modo. E poi, Josephine ha detto che ieri eravate ad un appuntamento, una passeggiata romantica lungo la Senna.”

Non può essere, pensò Marinette. Sbiancò e con voce tremante chiese, “ci ha visto?”

Lui la guardò accigliato, “al Pont Neuf. Ha detto che sembravate intimi.”

Lei si portò le mani nei capelli, “in quanti lo sanno?”

“Lo sapevo, mi hai mentito!”

Marinette lo guardò con occhi sgranati e, quando lui cercò di aprire la porta, lo fermò, “non è come pensi.”

“Allora spiegami.”

Marinette sospirò.

“Quando Adrien è partito tra noi c’era.., come posso dire?, qualcosa? Sì, diciamo che c’era qualcosa. Poi è partito e tutto è scivolato via. Però…”

“Però è tornato”, disse lui guardandola.

“Sì e quei sentimenti sono tornati con lui. Ma non voglio mettermi con Adrien, non voglio che pensino che io sia una raccomandata o peggio…”
“Nessuno lo penserebbe”, disse lui schiaffeggiandole un braccio, “sappiamo quanto sei brava.”

“Sappiamo anche quanto il mondo della moda sia spietato”, disse lei con un sorriso triste.

“Oh, zuccherino”, esclamò lui, abbracciandola.

Marinette si rannicchiò nel petto di Paul aspirando il suo profumo dolciastro.

“Facciamo così”, disse lui mentre ancora la stringeva a sè, “a quelle malelingue ci penso io. Tu vedi di fare chiarezza tra il tuo cuore e la tua testa e rifletti se ne vale la pena.”

Lei si allontanò da lui, “secondo te, vale la pena?”

“Per quel pezzo di manzo di Adrien Agreste? Sempre.”

Lei, incredibilmente, scoppiò a ridere, “idiota.”

“Sono di parte, che ci vuoi fare.”

Paul aprì la porta, pronto per tornare al suo lavoro, ma prima di uscire da quel confessionale, lasciò un ultimo consiglio a Marinette, “prima di tornare da monsieur, rifatti il poco trucco che indossi. Hai il mascara colato.”

“Paul”, disse lei, “grazie.”

***

Dopo essere passata dal bagno, Marinette entrò dentro l’ufficio di monsieur trovando Adrien seduto accanto alla scrivania del padre.

“Che ci fai tu qui?”

Lui ghignò, “è il mio futuro ufficio. Tu, invece?”

“Tuo padre”, disse a denti stretti.

Lo sguardo di Adrien cambiò in un attimo: da giocoso e allegro a serio e dispiaciuto.

“Che è successo? Ieri sera ci siamo lasciati-”

“Quello è successo.”

Si alzò in piedi e si piazzò davanti a lei, “spiegati.”

“Ci hanno visto ieri sera e adesso tutto l’ufficio ne parla! Se lo sommiamo poi al bacio che mi hai dato..”

“Per mia sfortuna, mancato bacio.”

All’occhiata eloquente della sua lady, si zittì.

Adrien scosse la testa, “vado fuori e-”

“E niente, peggioreresti la situazione. Quello che ti chiedo è di essere più attento e discreto.”

Adrien sorrise e il cuore di Marinette saltò un battito.

“Quindi mi chiedi di essere più discreto, ma non mi chiedi di smettere.”

Cavolo. Arrossì sotto quella constatazione e sotto quello sguardo, ma non abbassò i suoi occhi. Era vero: quelle attenzioni la facevano andare in bestia, ma avrebbe mentito a se stessa a dire che non le piacevano.

“Bene, siete tutti e due qui”, esclamò Gabriel facendo il suo ingresso.

“I cornetti?”, continuò rivolgendosi a Marinette.

“Sulla sua scrivania, sono ancora caldi. Questi sono gli appunti della sartoria.”

Prese i fogli porti da Marinette, leggendoli attentamente.

“Okay, possiamo andare?”

“Dove?”, chiese Adrien al padre.

“Sul set fotografico.”

Marinette lo guardò stralunata, “che set?”

“Il tuo set”, rispose lui impassibile.

“Cosa?!”, esclamò lei.

Adrien ghignò: sarebbe stata una giornata divertente, ne era sicuro.



Angolo autrice
Buongiorno a tutti e buona domenica! Eccomi con il secondo aggiornamento, come promesso. Rigrazio ancora tutte le persone che seguono, leggono e commentano questa storia, mi spronate a fare sempre di più e a scrivere con tutta me stessa!
Un bacio,
Cassie
   
 
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