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Autore: moira78    08/11/2020    7 recensioni
Ormai alle soglie del nuovo millennio, Candy racconta a sua figlia e sua nipote la storia della sua vita. Ho cercato di riempire il vuoto lasciato dal finale sibillino dei romanzi dell'autrice originale, tentando di cogliere lo spirito dei personaggi e scrivendo in modo più dettagliato ciò che è accaduto dalla scoperta dell'identità del Principe della Collina in poi.
Genere: Commedia, Drammatico, Introspettivo | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Candice White Andrew (Candy), Terrence Granchester, William Albert Andrew
Note: Missing Moments | Avvertimenti: nessuno
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"Non è possibile che la zia abbia lasciato tutte quelle cose allo zio William e a Candy, non ci credo, secondo me si sta sbagliando!", strillò Eliza in preda a una specie di attacco isterico. 

Le occhiate che ricevette da parte di Albert e del notaio la fecero tacere. Sarah Lagan stringeva convulsamente un fazzoletto, come se si stesse trattenendo e Neil era accigliato ma non mancava di scoccarmi occhiate che mi fecero venire la nausea.

Archie, invece, aveva aperto la bocca come per dire qualcosa, ma la richiuse non appena il notaio riprese a parlare.

"Il signorino Cornwell riceverà la residenza di Chicago e c'è un ultimo appunto per la signora Candy Ardlay".

Spalancai gli occhi, incredula, e persino Albert mi parve stupito.

"Si tratta di un portagioie che potrete rinvenire nella stanza che era della signora Elroy, nel primo cassetto del suo comodino. Era sua volontà che andaste quanto prima a recuperarlo".

Così facemmo, comunicando ad Archie che saremmo andati a casa sua a riprendere Eleanor subito dopo. Lui ci sorrise e ci invitò a cena. Da lontano, i Lagan ci fissavano con cattiveria e fu sempre Eliza a decidere di rivolgerci la parola. Marciò a passo deciso verso di noi e mi si parò proprio davanti. I due uomini che erano con me mi si misero subito al lato, ma li bloccai: "Ciao, Eliza, ti trovo bene", le dissi quanto più sinceramente ed educatamente potevo.

"Maledetta Candy", sputò lei come un veleno, "ti sei presa il mio Terry, lo hai usato, ci hai fatto un figlio e poi, non contenta, ti sei accaparrata lo zio William perché sapevi che la zia Elroy avrebbe lasciato tutto a lui, riservandoci solo qualche inutile gioiello! Sei una bastarda orfana e anche tua figlia è una bastarda!".

Lo schiaffo che le rifilai fu pieno di cattiveria. Io, Candice White Ardlay, non lo avevo fatto con semplice rabbia ma proprio con l'intenzione di ferirla. E, infatti, il suo labbro sanguinava. Non ero pentita, neanche un po', e questo a dire il vero mi spaventò un poco.

"Insultami quanto ti pare, brutta vipera velenosa, ma non azzardarti più, MAI più a nominare mia figlia! Se solo ci riprovi ti taglierò quella lingua biforcuta che hai con il bisturi più affilato che mi capiti di trovare nella sala medici. Ci siamo capite?!". Dovevo avere un'espressione terribile e gli occhi fuori dalle orbite, perché persino Albert e Archie, che si erano irrigiditi alle mie spalle alle sue male parole, mi si allontanarono di un passo, forse capendo che me la cavavo a meraviglia.

"Mi fai schifo, capito? Chi te la tocca tua figlia!", strillò come una bambina capricciosa prima di allontanarsi con il resto dei suoi familiari.

Sostenni lo sguardo di tutti loro mentre si voltavano, ma poco prima che salissero in macchina udii la voce di Albert, forte e stentorea: "Ehi, famiglia Lagan!", li apostrofò guadagnandosi un'occhiata compiaciuta di Archie, che pareva faticasse a tacere. 
Sarah, Eliza e Neal si voltarono, palesemente stupefatti. Albert fece un passo in avanti, circondandomi le spalle con una braccio: "Quest'oggi sono stato molto paziente con voi, soprattutto con te, Eliza, specie considerando che avete continuato a sparlare di me e di mia moglie. Ma credetemi se vi dico che anche la mia pazienza ha un limite. Da oggi in poi non voglio avere più niente a che fare con voi. E tu, piccola serpe: mia moglie è stata molto esaustiva e anche se non approvo la violenza in nessuna delle sue forme sappi che ti ha salvata solo il fatto che sei una donna e che Candy se l'è cavata benissimo. Altrimenti ti avrei colpito anche io. Vergognati, spero che tu non abbia mai un figlio, perché non conosci né l'amore né l'empatia. Addio". Si voltò, trascinandomi con sé e io colsi un ultimo barlume di odio lampeggiare nei loro occhi.

Per fortuna, fu l'ultima volta che li vedemmo.

Arrivati alla residenza dove viveva la zia, ci facemmo accompagnare nella sua stanza dalla sua cameriera personale, ancora molto scossa. S'inchinò leggermente e ci lasciò soli.

Mi voltai verso Albert, incapace di fare un passo nell'intimità di quella camera, aspettandomi quasi di sentire la voce tonante della zia Elroy che m'intimava di allontanarmi. Lui mi fece un sorriso e si avvicinò personalmente al comodino, quindi mi fece cenno di avvicinarmi. Quando aprì il cassetto, entrambi trattenemmo un ansito di stupore: c'era uno scrigno, finemente intarsiato, che occhieggiava dal fondo del cassetto.

"Ma questo è...", Albert lo sollevò con mani leggermente tremanti e lo guardò attentamente.

"Lo riconosci?", gli domandai reclinando il capo.

"Questo era di mia madre, successivamente è passato a mia sorella Rose Mary. Si tramanda nella mia famiglia da generazioni e va a tutte le donne di famiglia. Non avevo idea che ce l'avesse la zia Elroy, ne avevo dimenticato persino l'esistenza".

"Allora devi tenerlo tu!", gli dissi decisa, "se fa parte della tua famiglia da tempo è giusto che lo conservi tu. Inoltre è un oggetto troppo prezioso perché io possa tenerlo, non...".

Lui me lo mise tra le mani senza che potessi ribattere nulla: lo presi perché non cadesse, ma mi sembrava scottare.

"Candy, tu SEI la mia famiglia. Tu sei una Ardlay al pari di mia madre e di mia sorella. Sei stata la mia figlioccia e ora sei mia moglie. Inoltre la zia l'ha lasciata a te, vogliamo farla infuriare solo poche ore dopo il suo funerale?", mi chiese.

"Io... ma io, io...".

"Tu, inoltre, sei una donna. Non ti ho forse detto che è sempre stato in possesso delle donne della famiglia? Per quanto io possa portare i capelli lunghi ti assicuro che non sono una donna...". Ridacchiammo insieme, stemperando la tensione che si era creata.

Mossi le dita sullo scrigno, ammaliata da quanto fosse prezioso e luminoso: "Io sono cresciuta alla Casa di Pony e mi sono sempre circondata da oggetti semplici, gli stessi che abbiamo a casa. Una cosa così bella è...". Inspiegabilmente avevo le lacrime agli occhi. Ero commossa dal gesto della zia.

Le mani di Albert arrivarono sulle mie spalle: "Ascoltami, Candy, so che non ti piacciono i fasti e non t'interessano gli oggetti di valore, a meno che non sia affettivo. Questo oggetto è sì, prezioso, ma ha soprattutto un valore affettivo enorme perché è passato nelle mani di mia madre, di mia sorella e prima ancora forse di mia nonna. Non vuoi custodirlo tu, che sei la luce della mia vita? O preferisci che vada a finire a Sarah o ad Eliza?", concluse asciugandomi gli occhi.

Scossi la testa e sorrisi: "No, non voglio che accada questo. E va bene, Albert, lo terrò io come se fosse la cosa più preziosa del mondo, come se dentro ci fossero il cuore e l'anima della tua mamma e di Rose Mary.

Lui ricambiò il mio sorriso con sguardo commosso: "Grazie, e te l'ho mai detto che sei più carina quando ridi che quando piangi?".

Lo abbracciai e lo baciai teneramente.
   
 
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