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Autore: Mercurionos    09/11/2020    4 recensioni
Sors inmanis
et inanis
rota tu volubilis.
Deum de deo,
Lumen de lumine
Rubrum inter atros
Vincitur
Necatur
Relinquitur
Iam heri mythus

Tanto, tanto tempo fa, su un pianeta ben lontano dalla Terra, viveva un popolo fiero e indomito. Quel pianeta era Sadala: la casa dei saiyan, la casata più nobile da tempo immemore, nome e fregio ineguagliabile di tutti i regnanti. Prestanti per natura, sempre pronti a mostrare la propria forza con audacia, i saiyan s'assomigliavano tutti in un particolare ben noto, nell'Universo: i capelli. Una corona d'ebano, tinta di pura tenebra, cingeva le loro fronti e i loro sguardi saldi e feroci. Yamoshi invece, unico della sua specie, li aveva rossi, i capelli.
I suoi capelli si agitavano nel vento, riflettevano ovunque le prime luci del giorno tinte del proprio colore, quel rosso ultraterreno, così perfetto e inimmaginabile che non avrebbe potuto portarlo nessuno, se non Yamoshi, il dio dei saiyan.
1) Rosso
2) Oro
3) Grigio
4) Nero
5) Blu
Genere: Angst, Drammatico, Malinconico | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna | Personaggi: Altri
Note: Missing Moments | Avvertimenti: Tematiche delicate
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- Questa storia fa parte della serie 'Dragon Ball - Sottozero'
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Nero

Il dibattito proseguì acceso per ore.
 
Ad un tratto, Yamoshi sentì un grido: si voltò, ma nessuno aveva parlato. Fiaccato dalla lunga controversia, si ritirò allora a sedere, e così fece re Sadala. Uno dopo l’altro i seguaci di ciascuno fecero a turno per parlare, fino a quando calò la sera.
 
Il re dichiarò terminato il congresso, e tutti lasciarono il grande palazzo. I discepoli di Yamoshi si avvicinarono dunque al loro maestro e vollero sentire un commento riguardo la lunga discussione.
 
“Non temete, non abbiamo perso tempo. Certo non siamo giunti ad un accordo, né abbiamo ufficializzato un cambiamento, ma abbiamo smosso le acque. Non avete visto i volti dei ministri del re? Loro erano i primi a rilevare le contraddizioni presenti nelle parole di sua maestà. Molti di loro non avevano nulla da dirci, altri invece non hanno voluto esternare il loro favore alla nostra causa. Insistiamo, e insistiamo ancora, perché siamo i primi a farlo, ma siamo dalla parte del giusto e quindi, alla fine, la verità avrà la meglio. E la verità sarà adatta a tutti, non solo ad una manciata di oligarchi. Ora però s’è fatto tardi. Radunate la vostra gente e torniamo a casa.”
 
Si alzarono tutti in volo, seguendo svigoriti ma tranquilli il tenue brillio rosso della sua chioma; superarono colli e pianure, oltrepassarono le valli e raggiunsero di nuovo i monti dove abitavano.
 
Il cielo era nero. E non per le nuvole di tempesta, ma per il fumo. Un tetro miasma, caldo e rivoltante, saliva verso l’alto, oscurando le prime stelle della sera.
 
Yamoshi inorridì. Fermo, immobile in mezzo al cielo, si atterrì allo sguardo del fuoco che danzava per le pendici dei monti. Alte fiammate si lanciavano sempre più numerose verso la cima delle montagne, spargevano ceneri e braci tutt’intorno, annerendo i prati turchesi che lui tanto amava.
 
Qualcuno alle sue spalle strillò in preda alla disperazione. Questa volta, come anche quella precedente, ora lo aveva compreso, si era trattato di un urlo vero.
 
Il suo seguito si sparpagliò nel mezzo del muro di fumo e anche lui decise di scendere in terra. Incredulo, barcollò per quello che quella mattina era un paese brulicante di vita, ora ridotto ad un cumolo di carboni.
 
Il respiro gli risultò difficile, e sentì i suoi compagni tossire, allora riacquisì una certa dose di raziocinio. Incrociò le braccia davanti al petto. Tremavano incontrollate. Gridò, gridò con il petto gonfio, gridò tanto forte da sentire il sapore del proprio sangue in bocca e cacciò tutt’attorno un vento infernale, gelido e pieno di fiamme, alzando le braccia al cielo. Il boato viaggiò oltre i monti attraverso le valli vicine: il fumo si levò, e il fuoco si spense. Ovunque ora regnava il silenzio.
 
Si voltò spaventato. Vide i propri compagni, coloro che chiamava con orgoglio amici suoi, inginocchiarsi a terra col panico negli occhi, rovistare tra quello che prima era la loro casa alla ricerca dei figli, sollevare e stringere nelle mani il corpo esanime di una creatura che era loro simile, e poi piangere.
 
Non riuscì più a prender fiato. Singhiozzava, confuso, inorridito, nauseato, tutto oltre ogni limite che gli potesse parere umano. Il cuore parve esplodergli nel petto gonfio, la sua schiena si piegò, sempre più curva e bassa, schiacciata da un peso invisibile, un’opprimente colpa che si sentiva circolare nelle vene.
 
Alzò ancora lo sguardo. Non era l’unico: chino a terra vedeva i volti sfregiati dallo sconforto dei suoi compagni, piegati in terra come lui.
Il dolore si fece largo nelle sue interiora, si sentì stramazzare; lo stomaco si contorse, i polmoni sussultarono ancora e ancora, con sempre più violenza; il sangue ribolliva, i suoi tendini scalpitavano incontrollati.
 
Il vento era cessato ormai, ma i suoi capelli rossi non avevano smesso di ondeggiare. Presero a danzare sempre più forte, sempre più sconvolti come il suo animo. Il fuoco divampò sulla sua pelle, denso e caldo, brillante si fece largo nell’aria accanto a lui, strisciò per terra sollevando le pietre lì attorno.
 
I cinque a lui più fedeli accorsero in suo aiuto. Mai avrebbero immaginato di vedere il loro maestro in tale stato: tremava, emetteva deboli grida, sobbalzava di tanto in tanto, e l’aura fiammeggiante intorno al suo corpo si faceva di secondo in secondo più furiosa. Le sue spalle gemettero di dolore, la schiena s’inarcò tormentata come sotto tortura.
 
Si lanciarono su di lui, affondarono le mani in quell’incendio corposo che bruciava e si scuoteva. Una mano poi un’altra, lo chiamarono, lo chiamarono per nome, si gettarono su di lui come se avessero voluto placare le sue fiamme.
 
Sentì le loro mani, provò le carezze, le strette di quei palmi tanto familiari, ma il suo dolore non volle acquietarsi. Anzi si rinvigorì, sempre più violento, alimentato dal timore che forse aveva perduto la propria famiglia, terrorizzato dall’idea che avrebbe potuto perdere i compagni di una vita.
 
E così provò rabbia.
 
Urlò, a lungo, fendendo l’aria.
 
Il fuoco attorno a lui si fece più brioso, una fiamma fervida e sfolgorante si innalzò da lui, più intensa, più luminosa, gettò luce su coloro che gli stavano vicino, li sbalzò lontani, rischiarandoli di luce ialina, chiara e più chiara, fin quando non cambiò colore.
 
La fiamma si concentrò attorno a lui, sempre violenta e densa, ma ancor più coesa e solida.
 
Brillava di un nuovo colore, i suoi capelli mutarono aspetto, i suoi occhi si trasformarono in lumi splendenti, e illuminò tutto il suo mondo d’azzurro.


   
 
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