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Autore: pippobaudo_    13/11/2020    2 recensioni
Courtney 'Wallis', eccezionale tirocinante presso il migliore studio legale del Canada e moglie di uno degli uomini più potenti della città... se solo se lo ricordasse.
Aiutata da un'acida coinquilina, un'artista gotica e un criminale con un'indecente cresta verde, riuscirà a ricostruire la propria vita passata tassello dopo tassello e a colmare il vuoto lasciato da uno spiacevole trauma?
Genere: Mistero, Thriller | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Alejandro, Courtney, Duncan, Gwen, Heather | Coppie: Alejandro/Heather, Bridgette/Geoff, Duncan/Courtney, Duncan/Gwen
Note: AU | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Contesto generale
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VENERDI’ 13 NOVEMBRE 2020
 
COURTNEY
Stava cercando di rialzarsi, nonostante le gambe tremassero e il pavimento fosse più scivoloso che mai. Lentamente, ricominciò a camminare, seguendo le tracce di sangue e lo strano odore che aleggiava nell’aria, il cuore che le batteva a mille, lo stomaco in subbuglio.
Alzò lo sguardo e lo vide, il corpo di una donna a terra, il vestito bianco macchiato di rosso.


 
Courtney si svegliò di nuovo nel cuore della notte.
Era diventata parte della sua routine: quasi ogni notte dall’inizio di novembre quel maledetto incubo le veniva a far visita... immagini di lei in ginocchio sul pavimento sporco di sangue e il volto di una donna mai vista prima erano marchiati nella sua mente. Inutile dire che nei giorni precedenti aveva fatto le sue ricerche (in internet, nei libri presso lo studio del padre…) per cercare di dare un significato a tutto quello, ma zero. Era addirittura arrivata ridicolmente ad ipotizzare che quei sogni fossero il simbolo di qualcosa di nefasto che da lì a breve sarebbe potuto accadere data la situazione che tutti loro stavano vivendo.
Sospirando, accese la lampada alla sua sinistra e dovette sbattere le palpebre più e più volte per abituarsi alla luce.
Non era più nell’appartamento. La stanza in cui si trovava era nella casa dei genitori. Ancora non credeva di aver acconsentito a tutto quello, certo stando con il padre avrebbe potuto scoprire altre cose interessanti ma dopo quasi una decina di giorni nulla era accaduto e non vi era traccia da nessuna parte del registratore, nemmeno nello studio del genitore.
Non avendo più sonno, si portò alla scrivania e cominciò a sfogliare alcuni documenti: ormai si era ridotta a fare quello nella maggior parte del tempo, non a caso riusciva a trovare le soluzioni più adatte ad ogni problema; ma la cosa più frustrante avveniva quando doveva proporle in ufficio davanti ai suoi colleghi, per poi finire per non essere ascoltata affatto se non dalla Chang, che, riproponendole a sua volta parola per parola, riceveva consensi e lodi. Perché nessuno si prendeva la briga di ascoltarla pur sapendo che quanto diceva era corretto? Che avesse ragione quella bisbetica e c’entrasse qualcosa suo padre, dato che questi era amico del suo capo? Quindi, alla fine, era una raccomandata. Ecco perché tutti la odiavano. Ottimo. Veramente ottimo.
Passò più di un’ora quando la sveglia sul comodino suonò. Aveva scritto più di due pagine di osservazioni e questa volta giurò a se stessa che alle riunioni avrebbe tenuto la bocca chiusa.





 
JASMINE
Come ogni mattina, alle sei in punto, uscì di casa per percorrere la solita stradina. Cuffiette alle orecchie, asciugamano al collo e borraccia alla mano, cominciò a correre.
Tredici giorni. Tredici fottuti giorni senza alcuna notizia da parte del boss o degli altri membri, e a quanto pareva l’unica nella sua stessa posizione sembrava essere Anne Maria, la quale, come lei, aveva cercato più e più volte di mettersi in contatto con il resto della squadra invano. Infatti, le poche informazioni di cui disponevano entrambe erano quelle fatte passare alla televisione: la sparatoria a casa della gotica e la morte dell’infiltrato di Mal nella polizia, per non parlare dell’arresto di Duncan. Era evidente che qualcosa quella sera era andato storto, se solo uno di loro si fosse deciso una buona volta a rispondere al telefono…
Fece una piccola pausa per riprendere fiato e dedicarsi allo stretching, e in quel momento la vide: l’auto di Geoff era parcheggiata a pochi metri da dove si trovava. Finalmente si erano decisi a contattarla. Alzò il braccio in aria salutando i due sui sedili anteriori, i quali sembravano piuttosto sorpresi. Strano, dopotutto erano lì per lei. Jasmine si avvicinò e bussò al finestrino, dall’altra parte del quale stava Geoff, le mani ancora sul volante.
'Ho sempre fatto una gran paura agli uomini corpulenti, anche a quelli magrolini, e anche alle ragazze… ora che ci penso faccio paura a tutti' iniziò lei. 'Ma non pensavo che ciò comprendesse anche voi due'.

'Noi, paura? Tse! Quando mai!' esclamò il biondo non troppo convinto.
 
'Noi non abbiamo mica paura di una ragazza!' aggiunse Brody nervoso.

Jasmine alzò un sopracciglio. 'Dunque, ragazzi, vedo che Scott si è deciso a riprendere i contatti. Mi dite che cosa è successo la sera del trentuno dopo che me ne sono andata? E le ragazze, stanno bene?'.

'Beh, ecco' cominciò Geoff cercando le parole giuste. 'Come sai noi non c’eravamo e… ehm… le uniche cose che sappiamo sono quelle dette al telegiornale'.

'Esatto. Non che Topher abbia provato a contattarci, no, no!' disse il moro grondando sudore. Faceva davvero così paura?

'Comunque pensiamo che dietro ci sia Mal' proseguì Geoff lanciando un’occhiataccia all’amico. 'Per quanto riguarda le ragazze, loro stanno bene, ma la squadra al momento è divisa. Il capo ha cercato di capirci qualcosa prima di contattare il resto di noi… soprattutto dopo, beh, l’arresto di Duncan'.

'Sì, ho sentito le notizie… avete in mente qualcosa per tirarlo fuori di lì?' chiese Jasmine sinceramente curiosa. I due si scambiarono un’occhiata. Okay, si stavano comportando in modo strano e non capiva il perché. 'State bene? C’è qualcosa che dovrei sapere?'.

'Oh, ehm, no' rispose Geoff con un sorriso tirato. 'S-solo che al momento è meglio non dare nell’occhio. Appena avremo un piano ti contatteremo noi, come oggi per esempio'.

Decisamente molto strano.




 
HEATHER
Sfogliò velocemente il giornale fino ad arrivare alla sezione che più interessava ai disoccupati come lei, alla ricerca di qualche lavoretto.
Da quando Courtney se ne era andata, lei era diventata l’unica donna di casa costretta ad occuparsi di quei due bambini fin troppo cresciuti del suo ragazzo e del boss, sicché, portata al suo estremo, aveva deciso di trovarsi qualcosa da fare per uscire da quell’inferno di appartamento e mettere una certa distanza tra lei e quegli idioti.
'Che fai?' chiese Alejandro curiosando da sopra la sua spalla.

'Cerco un lavoro'.

'Perché non riprendi gli studi, invece?'.

'E con quali soldi?' ribatté lei continuando la sua ricerca, cerchiando di tanto in tanto le proposte che le sembravano le più appetibili.

'Adesso che abbiamo formato l’alleanza Scott e Damien pagheranno bene'.

'Primo: “abbiamo” chi? Io non ho formato alcuna alleanza. Secondo: io non voglio i soldi di mio fratello' replicò lei lanciandogli una stilettata. Alejandro si sedette al suo fianco, il braccio le circondò la vita. 'Non voglio parlarne'.

'Non ho aperto bocca' rispose lui.

'No ma posso leggerti nella mente ormai' fece Heather scorrendo velocemente la penna sul giornale.
 
'Pensa a che livello è arrivata la nostra relazione allora!' gongolò lui rifilandole un sorrisetto compiaciuto. Lei, nascondendo il rossore al viso con l’aiuto del quotidiano, si limitò a scrollarselo di dosso e a sdraiarsi sul divano. 'Scherzi a parte, pensaci, a riprendere gli studi dico. Parli il giapponese, con una laurea potresti fare da interprete'. La ragazza lo squadrò un attimo. 'Quella sera, al locale dei Kobra, hai discusso con tuo fratello, e lo parlavate entrambi'.

'Alejandro, non dirmi che conosci il giapponese… C’è qualcosa che non sai fare?' chiese lei retoricamente riportando lo sguardo sulla rivista e cerchiando l’ennesima offerta di lavoro. Meno male che la sera del trentuno si era limitata ad insultare pesantemente il fratello e a non dire altro, non che avesse qualcosa da nascondere al latino, anzi. Quando era stata prigioniera, infatti, avevano fatto diverse ricerche su di lei e il breve racconto che gli aveva rifilato Carlos ne era la prova; era solo che si vergognava del suo passato e di quello che lei e il fratello avevano combinato per sopravvivere, per non parlare dei diversi epiteti con cui l’avevano chiamata. Ergo, non avrebbe mai menzionato nulla al riguardo, nemmeno ad Alejandro.
Quest’ultimo le sorrise intenerito e le schioccò un dolce bacio sulla fronte prima di dirigersi sul terrazzo a fare compagnia al rosso, al telefono con Geoff per gli ultimi aggiornamenti.
 
 



 
DUNCAN
Forse il carcere non era così male.
Almeno in confronto a quello che stava passando ora, costretto a seguire come un bravo cagnolino al guinzaglio quel palo nel sedere del capitano Brick McArthur, perché questi non poteva lasciarlo andare, no, doveva per forza tenerlo sotto controllo. Ed eccolo lì, in centrale, a fargli da collaboratore, anzi da partner.
La cosa positiva era che aveva scoperto di avere un’alleata lì dentro.
 
 
 
MERCOLEDI’ 04 NOVEMBRE 2020
Era in sala conferenze, circondato da numerosi poliziotti, ognuno dei quali lo stava silenziosamente giudicando. Aveva sbadigliato più volte, disinteressato al resoconto della giornata.
Finito quel supplizio, i poliziotti si erano recati verso l’uscita, ad eccezione di quelli di pattuglia per la notte, tra cui Sanders e MacArthur. 'Allora, sei ancora sveglio?!' gli aveva chiesto quest’ultima tirandogli una pacca sulla spalla facendolo scivolare dalla sedia. 'Il capitano vuole che ti facciamo da babysitter'.
 
'No' aveva risposto lui lanciandole un’occhiataccia. 'Sono stanco, voglio solo dormire'.
 
'Puoi sempre farlo in auto sui sedili posteriori' aveva aggiunto Sanders. 'Vado a prendere le chiavi' e si era diretta verso l’entrata della stazione.
 
Aveva sbuffato rumorosamente: se avesse potuto tornare indietro nel tempo col cazzo che avrebbe accettato la proposta di McArthur a diventare suo collaboratore. Gli erano toccate due ragazze come babysitter e una di queste, la grassona, si stava guardando intorno con circospezione.
'Senti, Nelson, non so quanto tempo abbiamo ma cercherò di spiegarti l’essenziale' e aveva iniziato a fargli il quadro della situazione a partire da quanto avvenuto durante la notte di Halloween: gli aveva parlato dell’incontro tra Scott e i Kobra e di una probabile alleanza tra le due squadre, ed altre cose ancora tra cui la triste morte di Cameron. Per tutto il tempo l’aveva fissata incredulo, non sapendo sinceramente se crederle o meno. 'Ora, tu puoi scegliere se credermi o no, ma non sei solo: in me hai… ehm… un’amica?' aveva concluso lei con aria quasi disgustata. 'Non pensavo che dirlo ad alta voce mi avrebbe fatto così impressione'.
 
'Ecco le chiavi!' aveva esclamato Sanders di ritorno. 'Ancora a terra?'. Solo in quel momento si era accorto di stare ancora seduto sul pavimento, tanto era preso dal racconto della poliziotta più in carne. 'Avanti, alzati!'.
 
'Posso avere anch’io una pistola?' aveva domandato lui, invano date le occhiate che aveva ricevuto dalle due. 'Neanche il mio cellulare? Lì ho tutti i miei giochi!'.
 
'Soprattutto il tuo cellulare' aveva commentato MacArthur facendogli strada verso la volante. 'Non so se lo sai, ma sembra che il tuo telefono sia sorvegliato da qualcuno e stiamo cercando di capire chi possa essere'. Il punk aveva smesso di camminare. Qualcuno gli aveva hackerato il cellulare? Come, e perché? Lui non era così interessante, non come il resto dei suoi compagni di squadra. 'Quindi, per sicurezza, meglio far credere a queste persone che sei chiuso in cella, no?' e lo avevano invitato a salire in auto.
 
 
 
Da quel giorno in poi aveva passato del tempo in compagnia delle due agenti, e - odiava ammetterlo – MacArthur gli stava pure simpatica. Al contrario, i momenti più noiosi erano stati quelli con il capitano nel suo ufficio, a fargli la paternale su “quanto il suo aiuto avrebbe potuto aiutarli”, che addirittura “avrebbe potuto mettere una buona parola nei suoi confronti” e che “ormai era diventato un membro effettivo nel dipartimento”, bla bla bla, e tante altre parole ancora con cui riempirsi la bocca.
Tuttavia, dal momento che era diventato un nuovo “membro” del corpo di polizia tanto valeva adattarsi, no? Ecco che si era ritrovato più spesso a frugare nella scatola delle ciambelle, e quel giorno non era stato da meno: ne prese una colma di zuccherini e l’addentò, prendendo posto a capotavola incurante del fatto che quello spettasse al “suo” superiore: che cosa poteva fargli il capitano, licenziarlo?
Parlando del diavolo, questi entrò seguito da Sanders e MacArthur e vedendolo seduto sulla propria sedia a rotelle lo spinse via energicamente puntando il piede sulla sua gamba, poco ci mancava che cascasse a terra. Permaloso.
Il resto degli agenti prese posto attorno al tavolo e aspettò che il capitano parlasse. 'Dunque, vediamo di avere un quadro più o meno chiaro della situazione. Abbiamo delle novità sul caso “Mamabolo”: pensiamo che l’assassino possa essere il fidanzato, Mike Doran, ma che noi chiameremo d’ora in poi “Mal” ' e cominciò a scrivere sulla lavagna dietro di lui. Quasi sorrise pensando a quanto tutto ciò gli fosse familiare, dato che qualche settimana prima quelle stesse azioni le compieva Courtney sotto i suoi occhi. 'Sappiamo che Mal ha passato del tempo in riformatorio, precisamente nello stesso periodo del nostro nuovo acquisto – e indicò il punk. Abbiamo interrogato il personale e sembra che il nostro sospettato soffra di un disturbo della personalità multipla. Infatti, nella primavera di quest’anno, ha cominciato a vedere uno specialista, il signor Barlow' e riprese a scrivere alle sue spalle, appiccicando diverse foto.
 
'Quindi questo individuo ha più di una personalità?' chiese un poliziotto in fondo alla stanza. 'Anche se lo catturiamo difficilmente rimarrà dietro le sbarre, sfrutterebbe l’incapacità di intendere e volere'.
 
'Per questo dobbiamo interrogare il signor Barlow, per capire qualcosa in più su questa… ehm… malattia'.
 
'Aspettate, “Barlow” come la ragazza che ho interrogato allo studio?' s’intromise un secondo ragazzo ricevendo un “sì” come risposta. 'Non so voi ma non mi sembra una coincidenza questa. Sia il padre che la figlia devono nascondere qualcosa'. Per un attimo, giurò di aver visto il capitano lanciargli un’occhiata: se pensava di ottenere da lui qualche reazione davanti a quelle affermazioni, sbagliava di grosso. D’altra parte c’era un motivo se lo aveva fatto suo partner: Brick McArthur non si fidava di lui, e, sveglio qual era, non si era bevuto la storia inventata di sana pianta dal punk.
 
'A proposito' aggiunse Sanders. 'Una delle due avvocatesse sappiamo essere, con altissima probabilità, la signorina Barlow, ma l’altra? Vedete, io continuo a chiedermi perché, tra tutte le persone, scegliere proprio Lindsay Mills e Elizabeth Gadon… penso che con queste avvocatesse avessero un contatto diretto, potremmo vedere tra le loro conoscenze se c’è un profilo che corrisponde…'. Merda. In quel momento cercò di rimanere davvero impassibile, nonostante il fugace scambio di sguardi con MacArthur, in piedi accanto alla porta.
 
'Affido a te e MacArthur questo compito, allora' concluse il capitano. 'Per quanto riguarda l’esplosione all’“All Stars” c’è qualche progresso?'.
 
'Tutte le telecamere sono andate distrutte, nessuna si è salvata' rispose una ragazza alla sua destra. 'Per quanto riguarda le bombe, beh… non è un lavoro da principianti. Questi ci sanno davvero fare'. Già, Lorenzo e Chet erano i migliori in circolazione e Mal glieli aveva soffiati da sotto il naso.
 
'Nelson!' lo chiamò il capitano facendogli fare un mezzo infarto. 'È il momento di rendersi utile. Conosce qualcuno nel mondo criminale avente queste “abilità”?'.
 
'In effetti conosco un paio di persone in grado di costruire bombe' rispose lui. 'I fratelli Frost'.
 
'Agente Friday, può occuparsi lei di rintracciare questi individui sul database della polizia? Grazie' e la poliziotta con gli occhiali e i capelli rossi, che di solito occupava la reception, uscì dalla porta.
 
'Continuiamo' fece McArthur controllando alcuni fogli scritti a mano sul tavolo. Non gli era sfuggita la maniacale tendenza del capitano ad appuntarsi qualsiasi cosa, e scommetteva tutto quello che aveva – che continuava ad essere zero - che buona parte di quelle note se le leggeva la sera prima di andare a dormire, una sorta di “favola della buonanotte”. 'Novità sulla sparatoria a casa Fahlenbock?'.
 
'La scientifica ha analizzato il sangue trovato sulla scena: abbiamo il DNA di ben quattro persone, tra cui la vittima e Lightning Jackson, il ragazzo che i medici hanno soccorso sul posto e che abbiamo già interrogato' rispose una bionda sul lato opposto del tavolo. 'Gli altri due campioni sono di Chet Frost e Jo Elliott, i presunti aggressori'. Dovette fare un enorme sforzo per non ridere. Jo, una dei “presunti aggressori”? Il solo pensiero della sua foto sui notiziari lo faceva sghignazzare, immaginare poi la reazione di questa di fronte alla televisione… era oro.
 
' “Frost”? ' chiese conferma il capitano. La bionda annuì. 'Mi state dicendo che è probabile che uno degli aggressori abbia preso parte anche all’esplosione del locale?!' e guardò il punk, il quale gli mostrò un’espressione scioccata (e falsa) tanto quanto quella degli agenti lì presenti. McArthur, prima di ritornare a scrivere sulla lavagna, lo squadrò in cerca di un qualsiasi indizio, che però non arrivò. 'D’accordo, se non c’è altro questo è tutto. A parte le mansioni affidate ad alcuni, tutti gli altri possono andare, eccetto chi ha il turno di notte s’intende. Mi raccomando: non una parola con la stampa'.






 
GWEN
Non l’avrebbe mai ammesso, nemmeno sotto tortura, ma stare con suo fratello e la sua banda di amici - incasinati tanto quanto i suoi - le piaceva immensamente: erano davvero come una grande famiglia lì dentro, certo c’erano alcune persone strane (come Leonard che indossava ventiquattr’ore su ventiquattro il costume da mago) ma insieme funzionavano, ed ora che a loro si erano uniti pure i “Vultures” la cosa la gasava a mille.
I primi tre giorni aveva passato la maggior parte del tempo con Kitty, una ragazzina cinese amante dei selfie e dei videogiochi (tanto più che aveva un proprio canale social con milioni di follower), nonché sorella minore di Emma Chang, l’acerrima nemica di Courtney. Era davvero piccolo il mondo. Ovviamente Emma non sapeva nulla di quello che lei combinava al di fuori dei suoi due hobby, altrimenti Dio solo sapeva cosa le avrebbe fatto.
Successivamente, verso il quinto giorno, aveva addirittura fatto una scoperta sconvolgente: Shawn, ex compagno di squadra di Duncan e uno dei sopravvissuti all’attacco di Mal al motel, era stato preso sotto la protezione di Damien in cambio di qualche informazione circa i suoi amici. Non lo biasimava, e come avrebbe potuto dal momento che anche lei era fuggita e aveva chiesto aiuto a uno di loro, più precisamente al fratello? Avevano conversato civilmente, come vecchi amici, e aveva potuto constatare che la sua ossessione per gli zombie non era sparita affatto: proprio per questo ogni tanto, per passare il tempo, si divertiva a spaventarlo nascondendosi dietro gli angoli più bui del locale, aiutata nientepopodimeno che da Cole.
Con il fratello era come se tutto fosse tornato com’era prima (o quasi): le aveva parlato della mamma, di come si fosse trovata un hobby e di come se la stesse passando a casa, addirittura era riuscito a fornirle qualche informazione circa il padre. Fino a quel momento non si era mai resa conto di quanto lui e le loro conversazioni a notte fonda le fossero mancati.
'A parte Duncan non hai avuto nessun altro?!' chiese Cole curioso.
 
'Nessun altro' confermò Gwen con una tazza di the tra le mani, l’ideale per serate fredde come quella.
 
'E io che pensavo facessi conquiste'.
 
'Forse ti sarà sfuggito ma non sono facilmente gestibile' replicò lei con sarcasmo, sistemandosi successivamente sotto le coperte alla ricerca di calore.
 
'Hai freddo, vuoi altre coperte?'.
 
'Sto bene. In realtà era da tanto tempo che non mi sentivo così' fece Gwen abbozzando un piccolo sorriso. 'Ti chiedo scusa per come mi sono comportata in questi anni. Non sono stata una brava sorella maggiore per te, e dovrei essere io ad occuparmi e risolvere i tuoi problemi, non il contrario'.
 
Il fratello la abbracciò forte lasciandola in un primo momento sbigottita. Era stato davvero così semplice, l’aveva già perdonata?
'Non cantar vittoria' ruppe Cole il flusso dei suoi pensieri. 'Hai degli anni da recuperare ma questo è un buon inizio' e le sorrise teneramente. Poi, controllando l’orologio al polso, aggiunse: 'È tardi, Damien mi aspetta'.
 
'Mi raccomando, non finire nei guai'.
 
'Tranquilla, non sono come te' la schernì guadagnandosi una cuscinata in faccia. 'Buonanotte, Gwen'.
 
'Buonanotte'.
Stanca, si acciambellò sotto le coperte portandosi alle orecchie le cuffiette nere di Cole. Mise la prima canzone della playlist e, svuotandosi di tutti i pensieri, si addormentò profondamente.
   
 
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