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Autore: _Kalika_    15/11/2020    1 recensioni
Non avrebbe potuto vedere mai più il manto color perla prima delle nevicate, che confondeva cielo e terra? E i violenti temporali estivi? E la grandine, le tormente, e le burrasche che facevano sollevare la nave e che a loro tempo lo avevano tanto spaventato?
Le risate dei bambini si introdussero nei suoi pensieri a mo’ di risposta. No, non le avrebbe più rivissute. Non le avrebbe più sentite sulla pelle né ascoltate, ammirate, temute. Non finché sarebbe rimasto sull’isola di Sphinx, dove era sempre primavera.
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*La storia partecipa al Yuri&Yaoi's Day indetta dal Forum Fairy Piece*
Genere: Generale, Introspettivo, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Shonen-ai | Personaggi: Izou, Marco
Note: What if? | Avvertimenti: Spoiler!
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*La storia partecipa al Yuri&Yaoi's Day indetta dal Forum Fairy Piece*


 
Born to travel
 
 
 “Non importa quanto lontano io mi spinga in questo vasto oceano… sento di non aver mai visto abbastanza! Non ho idea di come porre fine a questa avventura!” [Estratto del diario di Kozuki Oden]
 
I bambini si schizzavano allegri tra le onde, rincorrendosi lungo tutto il bagnasciuga. Una grossa sfinge da compagnia partecipava ai giochi, inzuppandosi d’acqua l’immenso pelo e lasciando che i ragazzi gli salissero in groppa.
I nonni iniziavano a chiamare bonariamente i nipoti per la merenda, spuntini e gelati già pronti per essere mangiati. Alcuni ragazzi più grandicelli si divertivano a scalare le rocce al limite dell’insenatura per raggiungere la piccola scogliera a picco sul mare, senza sapere che era già occupata.
A prima vista sembrava tanto immobile da ricordare una statua, le braccia a circondare le gambe piegate e la testa dolcemente poggiata sulle ginocchia. Sospirò.
Il vento soffiava deciso ma non troppo, quel tanto che bastava a coprire le voci troppo acute dei bambini senza nasconderne la gioia, il divertimento, la leggerezza. Ma le protagoniste erano le onde, che si infrangevano sugli scogli rimbombando all’infinito con il loro lento e ipnotico sciabordio, insinuandosi con naturalezza nel puzzle di versi e voci e passi proveniente dalla spiaggia e finendo con il cullare al loro ritmo anche i pensieri dell’uomo.
Un gabbiano gli passò proprio accanto lasciandosi trasportare da un improvviso aumentare della brezza. Alzò gli occhi verso l’animale e sentì un’invidia fortissima divorargli l’animo. Seguì il suo volo trattenendo quasi il fiato, e intanto si portò una mano alla testa: trovò l’elastico, che manteneva i capelli legati in un chignon, e lo tirò per liberarli. La chioma corvina si adagiò sulle sue spalle prima che un nuovo alito di vento la scompigliasse all’indietro.
Sospirò per la seconda volta, piano, uno sbuffo quasi impercettibile ma non per questo privo di enfasi, e perso di vista il gabbiano riportò gli occhi sul mare. Il mare enorme, sconfinato, di cui riusciva a vedere solo una piccolissima frazione. Il mare dai mille colori, azzurro, blu, verde, aveva visto il mare cambiare colore così tante volte eppure sapeva che non l’aveva ancora visto tutto, che gli sarebbe sempre mancata la tonalità della notte più scura, o l’acquamarina di qualche candida spiaggia o il grigio della più tremenda tempesta.
E le nuvole, le nuvole cambiavano sempre forma anche su quella piccola spiaggia, era vero, ma sull’isola di Sphinx era sempre primavera. Non avrebbe potuto vedere mai più il manto color perla prima delle nevicate, che confondeva cielo e terra? E i violenti temporali estivi? E la grandine, le tormente, e le burrasche che facevano sollevare la nave e che a loro tempo lo avevano tanto spaventato?
 
Freddo e caldo come non ne avevo mai trovati! Piante e animali! Razze, forze, pensieri, tutti differenti!
 
Le risate dei bambini si introdussero nei suoi pensieri a mo’ di risposta. No, non le avrebbe più rivissute. Non le avrebbe più sentite sulla pelle né ascoltate, ammirate, temute. Non finché sarebbe rimasto sull’isola di Sphinx, dove era sempre primavera.
E allora puntava gli occhi verso l’orizzonte. Guardava con insistenza il punto in cui il mare entrava a contatto col cielo, lo guardava nella speranza che a un tratto potesse vedere oltre. Che pur restando seduto sulla scogliera di quella piccola isola, pur avendo sempre lo stesso vento a muovergli i capelli e le stesse onde a solleticargli il viso con le loro gocce, a un certo punto i suoi occhi gli avrebbero mostrato qualcosa di nuovo.
Eppure non cambiava mai niente, e perdeva un po’ di speranza ogni volta che si sedeva su quella scogliera. Perché il cuore di Izou aveva tanti motivi per restare sull’isola di Sphinx, ma la sua anima non poteva permettersi di vivere per sempre nello stesso luogo. Non un'altra volta.
E continuò a fissare l’orizzonte perdendosi nel rumore del vento mentre sentiva dei passi familiari avvicinarsi, rallentare appena, fermarsi accanto a lui. Eccolo, uno dei motivi per cui non poteva andarsene. Il motivo per cui, nonostante tutto, riusciva a sorridere mentre camminava sulla piccola isola in cui era sempre primavera.
«Izou» Marco lo chiamò piano, in piedi alla sua sinistra, mille esili emozioni nella voce. Gli carezzò con affetto la testa, guardò il mare, poi abbassò lo sguardo verso di lui. Izou allungò la sua mano per intrecciarla con quella del compagno mentre alzava la testa. Sorrise con calore e si portò la mano di Marco accanto alla guancia. Sorrideva ma non tentò di nascondere o anche solo camuffare lo sguardo spento. E Marco lo notò, come aveva notato tutti gli altri sguardi, i sospiri, i sorrisi velati di malinconia.
Si trovava a fissare quell’espressione così controversa, così amorevole eppure apertamente triste, e sapeva che non c’era più modo di rimandare. Accennò un sorriso, ammorbidendo lo sguardo. Strinse la presa sulle loro mani. Riportò lo sguardo sul mare, prese un gran respiro. «Dobbiamo parlare, eh?»
Izou sorrise ancora, questa volta amaramente. Rimase in silenzio mentre Marco si sedeva al suo fianco. Girò il viso per poterlo guardare di profilo, lo ammirò senza dire una parola. Poi lui si voltò, e i loro sguardi si incrociarono di nuovo. Izou mosse un po’ le labbra, come a voler trovare il modo migliore di rispondere. Si arrese. «..Sì.»
Gli carezzò il dorso della mano con il pollice, Izou gli si avvicinò ancora, fino a poter poggiare la testa sulla sua spalla. Sentì che Marco poggiava il mento sulla sua testa, si beò del contatto. Il vento si insinuò in quei pochi anfratti lasciati tra i loro corpi. I bambini continuavano a giocare, i gabbiano continuavano a volare in cerchio. Si portò la mano di Marco all’altezza del viso, vi posò sopra le labbra in un gesto delicato. Come poteva anche solo pensare di lasciarlo?
 
 
Kozuki Oden aveva un’abitudine. Kozuki Oden aveva tante e strane abitudini, in realtà, ma Izou ne aveva notata una in particolare.
Scelto il luogo in cui accendere il fuoco e passare la notte, Oden faceva un giro di ricognizione e cercava il luogo più alto. Che fosse un albero, una scogliera o qualche roccia ammassata l’una sull’altra, Oden ci si arrampicava sopra e osservava l’orizzonte.
«Onii chan, che sta facendo?» Kiku si rigirò sotto la coperta che divideva con il fratello, aguzzando la vista per scorgere la figura di Oden nell’aria tersa della notte.
«Fa così tutte le sere.» Izou imitò la sorella puntellandosi sui gomiti. «Forse controlla che non ci siano persone nei paraggi.»
«Mh…»
Oden si girò e sorrise, rivelando di aver spiato il breve scambio di domande. «Venite a vedere voi stessi!» E senza aspettare risposta, saltò giù e afferrò i due fratelli, uno per braccio. «Quanto siete gracilini! Chiudete gli occhi, eh!» Tre secondi dopo era già sulla cima dell’ammasso di pietre che aveva designato come postazione.
«Fa freddo» brontolò Izou già accomodato insieme a Kiku sulle gambe dell’uomo, gli occhi ancora serrati.
«È vero, ma ne vale la pena! Aprite!»
Izou e Kiku vivevano in strada. Sempre sulla stessa strada della stessa città.
Non avevano neanche mai sognato di potersene andare. E non avevano mai osato guardare oltre quella strada, oltre quella città. Perché provarci? Cambiando marciapiede su cui ballare non ne avrebbero guadagnato niente.
Oden aveva sempre guardato tutto ciò che c’era da guardare. E sapeva cosa si stavano perdendo quei due fratellini. I loro sospiri increduli non fecero altro che confermare la sua ipotesi.
«È bello… Ci sono tante… tante città…» E non solo. Ovunque gli cadesse l'occhio, Izou vedeva strade, foreste, spiagge, laghi… Più di quanto fossero mai riusciti a scorgere in dieci anni di vita. Qualcosa gli appannò la vista.
«E se continuerete a vivere con noi, potrete viaggiare in lungo e in largo. E un giorno andremo anche oltre i confini di questo paese!»
Izou sbuffò una risata. «Adesso esageri. Lo so anche io che non si può uscire da Wano.» Ma qualcosa nel tono convinto di Oden gli diceva che ci sarebbe riuscito. Li aveva liberati dalla prigionia delle strade di Kuri, perché non liberare sé stesso dai confini del Wanokuni?
«Ma un giorno lo farò! Riuscite a capire cosa ci stiamo perdendo? Chissà quante cose ci sono da scoprire! Non smetterò mai di viaggiare!»
 
Un avvenimento a Kuri: abbiamo incontrato due bambini sporchi e affamati. Cercavano di guadagnarsi da vivere danzando per strada, ma la gente si è dimostrata fredda.
 
«Cosa scrivi?»
Izou sollevò la testa. La sua compagna di vedetta fissava curiosa il foglio che stava cercando di riempire alla tenue luce della candela.

Ho trovato un piccolo equipaggio che è stato felice di acquisire per un po’ di tempo un nuovo membro. Sono tutti un po’ inesperti ma è divertente!
Non hanno uno scopo preciso, si limitano a viaggiare qua e là in cerca di luoghi interessanti. Mi ricorda com’era la Moby Dick ai primi anni.
«Una lettera.»
«Alla tua famiglia?»
Sorrise. «Sì»

Vorrei che fossi qui con me. Ho tante cose da raccontarti, tante nuove avventure da vivere. Penso che tra qualche mese passerò a trovarti. Ma poi partirò di nuovo.
«Ti manca?»
«Sì» Si alzò in piedi per scambiare posto con la ragazza e iniziare l’attività di controllo con il binocolo. «Ma sono felice di essere in viaggio»
L’altra rise. «Vorrei ben vedere! Chi non sarebbe felice di viaggiare in queste acque cristalline?»
«Voglio vedere anche quelle più scure. Le tempeste più forti. E gli animali più strani.»
«E dopo tanto tempo che viaggi in mare, ancora non li hai visti?»
Si girò. «Le cose da scoprire non finiscono mai. Me l’ha insegnato un grande uomo che ha passato metà della sua vita intrappolato su un’isola.»

Non posso fare a meno di pensare ai giorni che abbiamo passato insieme, ai nemici che abbiamo combattuto. Sono felice di aver passato la mia vita con te. Tornerò a farlo.
Ti amo.
«E la tua famiglia?»
«Lo capisce. Non l’ho abbandonata.»
«Devono amarti tanto.»
«Già.»
 

La porta chiusa, le finestre accostate per far passare un po’ di brezza marina. Entrambi seduti, ma tanto tesi da esser pronti a saltare in piedi al primo sussulto.
«Abbiamo vissuto per più di vent’anni insieme» iniziò piano, fermandosi per trovare le parole giuste. «sulla stessa barca. Abbiamo vissuto le stesse avventure, visto gli stessi luoghi. Abbiamo condiviso l’amore per il mare e ricambiato il nostro.» Sul suo volto apparve l’ombra di un sorriso, ma scomparve subito. Alzò lo sguardo duro e straziato. «Adesso siamo nella stessa situazione, su questa isola, insieme. E io me ne voglio andare.» La voce si ridusse a un sussurro, ma prese un gran respiro quando si accorse che Marco lo stava per interrompere. «Che cosa devo pensare di me stesso? Che amo più il mare di…»
«Non ti sto chiedendo di comparare le due-»
«Ma è così!» Esplose subito Izou, i pugni serrati e il busto reclinato verso il compagno. «Dovrei essere in grado di fare un compromesso, no? Se non posso avere sia te che il mare, devo scegliere una delle due cose.» Iniziò a muovere il ginocchio con nervosismo, gli occhi fissi puntati su Marco. «Ma su quest’isola non ce la faccio a vivere. Non ci riesco.»
«Lo so.» Un mormorio più che una risposta, a colmare il brevissimo silenzio tra una frase e l’altra. Più di quello non riusciva a dire. Qualcosa gli si era fermato in gola e non lo faceva parlare.
«Marco…» Si passò le mani tra i capelli, sul viso, le stropicciò tra di loro. «Ti amo. E lo sai. Ma adesso, ciò che vorrei fare è andarmene da qui.»
«Lo so.» Gli prese una mano e ripeté dolcemente. «E lo farai.»
«No! Non è così semplice! Non è…» Si alzò un piedi, macinò qualche passo, si prese le spalle. «Non è giusto nei tuoi confronti. Non posso farlo. Non è giusto per te, e neanche per Ace, e per papà. Così sto abbandonando tutti.»
Fu il turno del biondo alzarsi, avvicinarsi. «Non li stai abbandonando. Stai seguendo i tuoi desideri. Non potrebbero essere più fieri.»
«Se non sto abbandonando loro, allora sto abbandonando te.» Detta con un qualsiasi altro tono la frase sarebbe risultata acida, ma Izou non riusciva a esprimere altro che dolore. «Non è giusto.» Ripeté. «Vorrei partire con te. Ma non possiamo. Allora non è giusto che parta solo io. Tu che cosa ci guadagneresti?» Alzò di nuovo lo sguardo verso di lui, scrutò nei suoi occhi. «Non ti fa male?»
Marco li chiuse. Li riaprì, e cercò con la mano quella del compagno prima di guardarlo in volto. Avrebbe voluto sorridere ma non ci riusciva. «Sì. Certo che mi fa male.» Ammise infine. Sentì la mano di Izou muoversi ma la trattenne nella sua. «Ma non sono un bambino, Izou. So che a volte una relazione sentimentale non basta per sentirsi completi. O felici.» Abbassò lo sguardo sulle loro mani, carezzò quella di Izou. «Io sto bene su quest’isola. Chiaramente…» rialzò lo sguardo «…vorrei che tu stessi con me. Ma ti stai spegnendo a forza di camminare sempre negli stessi sentieri.» Riuscì a sorridere appena mentre il compagno sbatteva le palpebre e le sue labbra si aprivano senza emettere suono. «Non puoi vivere qui, Izou, lo vedo. Non ora, perlomeno. Non posso chiederti di restare.»
Izou rimase a testa china. Non sapeva più come controbattere, né voleva farlo. Lo abbracciò, e sentì il suo respiro spezzato vicino all’orecchio. Le sue carezze lungo la schiena. La voce gli tremò mentre sussurrava distrutto: «Non voglio lasciarti…»
Marco lasciò che il silenzio rispondesse al posto suo. Posò una mano sul volto di Izou, lo spostò piano davanti al suo. Si guardarono negli occhi per qualche istante ma era troppo, era troppo pesante, e allora si avvicinò ancora e lo baciò piano. Le mani di Izou si stesero piano a saggiargli la schiena in una lenta quanto straziante ricerca di contatto. Appoggiò la fronte su quella del compagno. Chiuse gli occhi. «Promettimi una cosa.» Mormorò senza avere il coraggio di guardarlo. «Torna da me, ogni tanto.»
 
 
«Ecco fatto. Eviti di sforzarlo troppo per qualche giorno e sarà come nuovo.»
L’anziana signora si massaggiò il polso e sorrise: «Grazie, Marco-chan. Ma dovresti smetterla di darmi del lei. Ormai ci conosciamo da più di un anno, ragazzo!»
Lo sguardo di Marco volò per un lungo istante alla pila di lettere sulla sua scrivania. «Già un anno, eh?»
«Ricordo bene quando siete arrivati tu e Izou. Siete stati una piccola benedizione! Stavamo bene grazie alle donazioni di Edward, ma un medico è stato un toccasana. È un peccato che Izou se ne sia andato… Stavate così bene insieme!»
Marco sospirò. Gli mancava. Più di quanto avesse immaginato. «Un giorno tornerà.» Lo sapeva, glielo aveva detto nelle sue lettere. Non era una bugia. «E poi forse partirà di nuovo, ma tornerà.» Allungò lo sguardo oltre la finestra, sul mare, mentre con la mano indicava la stanza. «Questa è anche la sua casa.»
«Ma è nato per viaggiare, non ci si può far niente!» Si alzò in piedi, la gola improvvisamente secca. Non c’era molto altro da dire, in fondo. E non sarebbe riuscito a dire molto altro.
«Lo rivedrai sicuramente, Marco chan.»
 
Non potersene mai andare? È la regola che odio di più! Un ambiente del genere non è adatto gli umani!
 
 
«Hai detto che state andando a Wano, giusto?»
Nekomamushi annuì, il muso arricciato in un sorriso: «Che ricordi, eh?»
«Non pensavo ci sarei mai tornato. Ero solo un ragazzino…» Accennò un sorriso facendo volare la mente ai tanti lievi avvenimenti di quel tempo. Quando erano tutti vivi, erano tutti insieme, e sembrava tutto possibile.
«Il mozzo che non aveva neanche il permesso di andare alla ricerca di provviste» ricordò con una risata «e io ero poco più di un cucciolo!»
D’improvviso si fece serio. Marco si girò giusto in tempo per vederlo perdere lo sguardo nel vuoto, oscurarsi in viso e trarre un grosso respiro. «Ho tergiversato abbastanza.»  
Il mutamento di espressione era stato così rapido che Marco non era riuscito neanche a capire di cosa stesse parlando. Ma la paura di una brutta notizia si dissipò il secondo dopo. «Forse non siete rimasti in contatto, ma facevate pur sempre parte della stessa ciurma. Izou è ancora vivo?»
Qualcosa gli riscaldò il petto. Qualcosa delle dimensioni di una lettera piegata nella sua tasca, qualcosa di rovinato dal mare e dal viaggio ma prolissamente pieno di dolci parole e inequivocabilmente suo. Sorrise, e bastò come risposta.
Quello che Nekomamushi non sapeva, era quanto amore ci fosse dietro quel sorriso. Quanta voglia di abbracciarlo. Quanta eccitazione al sapere che l’avrebbe rivisto. Non importava se si stavano cacciando nelle grinfie del diavolo. Un imperatore!
Chissà se ne sarebbero usciti vivi.
Izou aveva sempre avuto ragione e non poteva negarlo in alcun modo. La loro avventura non era ancora finita.





***Angolo dell'Autrice***
Penso di dover spiegare cosa volevo comunicare con questa storia, perché ho l'impressione di non averlo illustrato abbastanza bene nel testo. Beh, il motivo è che l'ho finito oggi in fretta e furia; perciò probabilmente prima o poi lo rivisiterò.
Dal punto di vista della trama vera e propria, è una what if? nata dallo scoprire, qualche capitolo di manga fa, che Marco è arrivato a Wano insieme ad Izou, e nello specifico che Izou non era su Sphinx ma che Marco sapeva dove stava. Così, se prima la mia mente aveva fantasticato su Marco e Izou che vivevano insieme su Sphinx (che è l'isola di BB), ho dovuto riadattare l'idea alle informazioni canon e ne ho approfittato per esprimere un'idea che avevo in testa da un po'.
Nelle storie che leggo/scrivo, Izou è spesso visto in coppia con Marco, e il suo amore per lui sembra l'unica cosa a tenerlo in piedi. Per quanto adori leggere cose del genere, nella vita reale questo concetto non mi piace per niente e quindi mi son detta, perché non provare a rendere Izou più reale, più vivo e unico ai miei occhi? Perché non dargli uno spessore che vada oltre l'aspetto romantico del personaggio? (Non che in tutte le storie che ho letto sia così, eh. Sto facendo una generalizzazione molto poco precisa per far capire il concetto)

Quindi ecco qua. Izou non è un personaggio che nasce in funzione della sua relazione con Marco. È capacissimo di vivere da solo, ha altre passioni, altri desideri, e nonostante ciò non abbandona Marco.
Però se costretto a scegliere, non ragiona sempre e solo in base alla sua dolce metà.
Poi le motivazioni e tutti i vari sentimenti che la cosa fa nascere sono ampiamente spiegati nella Fanfiction, quindi non mi dilungo!
Non so se mi sono spiegata o se condividete questo mio punto di vista, spero in ogni caso che accetterete questa storia un po' particolare. E naturalmente, se vi è piaciuta, vi invito a farmelo sapere! Inoltre mi sono accorta che è la terza what if con Marco e Izou che scrivo, anche se le prime due sono decisamente più angst ('tll abyss tear us apart sta quasi superando Vermilion Snow in quanto a storia che preferisco!)... Ci sto prendendo gusto, Wano dà proprio tanta ispirazione!

Kalika
   
 
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