Anime & Manga > Haikyu!!
Segui la storia  |       
Autore: Gaia Bessie    17/11/2020    2 recensioni
What if?:Asahi non è mai tornato in squadra.
[Epilogo: Quando si smussano gli scogli]
Io ti aspetto, te lo prometto.
[Long-fic di 15 capitoli | AsaNoya, Suga/Shimizu, accenni di KageHina | Angst, Hurt/Comfort, Romantico | Seconda classificata al contest "Canon compliant? I think not!" indetto da Maiko_chan sul forum di EFP | Partecipa al "Gioco di scrittura" del Gruppo FB Caffé e Calderotti]
Genere: Angst, Hurt/Comfort, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het, Yaoi, Slash | Personaggi: Asahi Azumane, Daichi Sawamura, Kiyoko Shimizu, Koushi Sugawara, Yuu Nishinoya
Note: Lime, OOC, What if? | Avvertimenti: Tematiche delicate
Capitoli:
 <<    >>
Per recensire esegui il login o registrati.
Dimensione del testo A A A
9. Il silenzio dei fuochi fatui

 
Per tutte le donne è follia lasciare che in loro si accenda un amore segreto che, se non ricambiato e sconosciuto, divora la vita di cui si nutre; se scoperto e ricambiato, come un fuoco fatuo conduce in terre paludose da cui non è possibile liberarsi.
(Charlotte Brönte)

 
Se correremo dietro ai diritti senza avere assolto i doveri, ci sfuggiranno come fuochi fatui. Più li inseguiremo, più voleranno lontano.
(Mohandas Gandhi)
 
 
Hinata è inquieto. Nessuno ha chiaro come mai lo sia, dato che quel giorno è solamente un’insolita giornata di sole, ma Shōyō continua ad agitarsi e a saltellare sul posto come una piccola e irritantissima molla.
Ogni tanto, osserva la porta della palestra quasi come si aspettasse di vederla spalancata di fronte al ritorno di qualcuno – ma Asahi è in cortile, come ogni pomeriggio, in attesa di Nishinoya.
«Vuoi agitarti un altro po’?» gli domanda Tsukishima, ironico. «Sei calmo da far paura, Hinata».
Hinata lo guarda ma, sorprendentemente, non risponde né smette di agitarsi, irritando ancora di più il proprio compagno di squadra.
Daichi li osserva, poco distante, ma anch’egli è perso in quel pensiero insensato e persistente: Asahi ha scelto di non tornare in squadra. Per quanto sia sereno e felice, in quei giorni, lo schiacciatore s’è ancora rifiutato anche solamente di posare lo sguardo sull’edificio della palestra.
Noya prova a convincerlo ogni giorno, ma lui è irremovibile: non starà mai più così male per la pallavolo, questa è una delle poche certezze che Asahi pensa di avere. Mai più.
L’ha scottato, quella partita, lasciandogli un’inguaribile bruciatura tra gli organi interni: potrà dimenticarla ma, a ogni movimento, quella riprenderà inevitabilmente a dolere, deformandogli ossa e cuore. Come la scintilla solitaria nella brughiera, ogni notte essa s’accende per ricordargli il senso di colpa, la delusione e, infine, il sentire di aver perso Noya.
«Perché non gli parli?» propone Daichi, avvicinandosi speranzoso. «Forse, parlare con te potrebbe motivarlo».
«Io non credo che Hinata possa davvero motivare qualcuno» interviene Tsukishima, atono. «Al massimo, potrebbe irritarlo a morte, ma non penso che sia quello che cerchi di ottenere».
Il capitano sospira, pronto ad arginare la rabbia del rosso, ma Shōyō non si muove né da segno di aver sentito il discorso dei propri compagni di squadra. Dalla porta s’intravede Asahi, intento a leggere un libro, la fronte aggrottata su una frase un po’ ostica.
«Pensi che potrei davvero?» domanda a Daichi, scrutandolo con perplessità. «Dirgli che se non ritornasse, potrei superarlo e diventare io il nuovo asso? E allora lui potrebbe voler tornare».
Tsukishima si sistema gli occhiali, con fare divertito, ma un’occhiata impenetrabile di Daichi gli impedisce di proferir verbo.
«Certo che puoi» dice, convinto, il capitano della squadra. «Tentare non costa niente, no? Ed Asahi è proprio qui fuori, credo stia aspettando la fine dell’allenamento per tornare a casa con Nishinoya. Perché non lo raggiungi?».
Hinata fa per correre fuori, felice, ma Daichi lo prende per la collottola e indica con un cenno del capo il campo. «Lo farai dopo, Hinata» lo rimprovera, bonariamente. «Prima il dovere, poi tutto il resto. D’accordo?».
Il rosso annuisce senza convinzione, dirigendosi velocemente verso Kageyama. Fa attenzione a misurare i passi ma, dentro, continua a scalpitare.
«Ti vuoi concentrare?» gli sibila l’alzatore, nel vederlo così svagato. «Sei troppo distratto».
Ma Shōyō lo guarda e non risponde: alle sue spalle, dalla porta semiaperta, si scorge ancora Asahi e il suo libro. Lo schiacciatore non ha mai ceduto alla tentazione di sbirciare l’allenamento in corso, nemmeno quando sente la voce del ragazzo che ama chiamare un rolling thunder, tra le risate dei compagni di squadra per quel nome totalmente ridicolo.
Non alza gli occhi dal proprio libro. Chissà se lo sta leggendo per davvero, si domanda Shōyō distrattamente, o fa semplicemente finta.
 
***
 
«Asahi-san».
Azumane alza lo sguardo, sorridendo, ma non è Nishinoya il ragazzo che si ritrova davanti: è leggermente più alto e ha dei curiosi capelli color carota. Sembra scalpitare per dire qualcosa ma, forse, non trova le parole.
«Mi chiamo Hinata Shōyō» si presenta, orgoglioso. «E sono un centrale ma, un giorno, vorrei diventare l’asso della squadra».
«Oh» risponde Asahi, senza scomporsi. «Buona fortuna, sono sicuro che farai del tuo meglio».
«Non potremmo fare del nostro meglio insieme?13» domanda il ragazzo, speranzoso. «Non posso rubarti il posto o anche soltanto diventare più bravo di te, se tu non giochi più».
Lo schiacciatore serra i denti, di fronte a quelle parole, ma non si scompone né perde il sorriso cortese che gli decora il volto. «Sei forte abbastanza» risponde, gentilmente. «E lo avete già dimostrato, avete giocato diverse partite con la formazione attuale ed è sempre andata bene».
«Ma, se non riprenderai a giocare» continua Shōyō, con un’ombra di delusione nello sguardo. «Nishinoya non tornerà mai in campo e, allora, non sarà mai completamente felice. E Suga-san continuerà a sentirsi responsabile per tutto questo».
Asahi china il capo. «Lo so» ammette, triste. «Ma non posso nemmeno tornare. Io… non mi aspetto che capiate, però…».
Ma cosa c’è da capire, si domanda Asahi, riflettendo sul significato delle proprie parole. Lui sta ferendo deliberatamente Noya, ed è una consapevolezza talmente annichilente da fargli venire voglia di incidersi la pelle con le unghie, lì, davanti a quel buffo centrale.
Siamo tutti feriti ma, lui, negli squarci sul cuore di Nishinoya ci sta gettando sale e fuoco, impedendo loro di rimarginarsi.
E ha ferito anche Sugawara, forse persino più profondamente di quanto non abbia fatto da solo Suga stesso o di quanto abbia permesso a Shimizu di farlo. Perché Suga si sente responsabile, di quella sua crisi interiore, se ne sente il primo e unico colpevole – ma, a lui, non l’ha mai detto. Come potrebbe?
«Però non tornerai» lo interrompe Hinata, rassegnato. «Non capisco perché, comunque. Se odiassi per davvero la pallavolo, non aspetteresti qui ogni giorno».
Forse, ama più Noya di quanto non detesti la pallavolo. Forse. Ma il rumore della palla che impatta il terreno culla incubi e sogni a parimerito e, lui, non riesce a ignorare quel suono talmente familiare.
«No» conferma Asahi, piano. «Io… non sono ancora pronto. Se mai potrò esserlo».
«Essere murati sempre è molto brutto» commenta Shōyō, che proprio non riesce ad arrendersi. «Ma… continui a giocare per tutte le volte in cui sei libero di guardare dall’altra parte, no?».
Asahi sorride e, questa volta, sceglie di essere sincero con sé stesso. «Non deluderò mai più Suga, Daichi e gli altri» risponde. «Non deluderò di nuovo Noya».
Ma Hinata ha lo sguardo affilato come una lama e i pugni serrati, nel sentire quelle parole così piene di rimpianto. «Ma lo stai facendo già ora» commenta. «Non tornare è solamente l’ennesima delusione che potresti dargli».
Asahi scuote il capo, senza riuscire a guarda quel ragazzino negli occhi: Hinata Shōyō non può avere ragione, non può.
Lui non ferirà né deluderà Nishinoya mai più.
 
***
 
«Non te la prendere, Hinata» cerca di consolarlo Suga, nel vederlo dirigersi a casa tristemente. «Asahi… sta passando un brutto periodo. È molto difficile, cercare di farlo essere ragionevole».
Ma, in realtà, non è completamente vero: perché Asahi si sta ricostruendo, sta mettendo delle bende sulle ferite e, finalmente, sta ritornando a respirare. Non basta, però, respirare per permettergli di superare le proprie paure e tornare a giocare.
«Ha mollato» risponde Shōyō, atono. «E, se molli, non sei un vero asso».
 
***
 
Shimizu gli accarezza i capelli come fa con il cuore, cercando di massaggiargli via i pensieri. Ma Suga continua a guardare il cielo, da sopra le gambe di lei, cercandovi una risposta che non gli riesce di trovare.
«Non puoi trovare una soluzione a tutto» lo rimprovera bonariamente. «Permetti a Nishinoya di occuparsene».
Ma Hinata ha detto bene, perché Sugawara vive ancora nel senso di colpa: ha contato troppo su Asahi, pesando così tanto su di lui che, alla fine, l’ha spezzato. Qualche frammento è scivolato via, come pioggia, rendendo quasi impossibile ricostruirlo – ma Noya non demorderà mai, e questo lo sanno tutti loro.
«Potrei fare qualcosa» risponde, stropicciandosi gli occhi. «Io… non so bene cosa, ma deve esserci un modo per tornare indietro, per riportarlo qui».
Shimizu gli sfiora il petto con la mano, come per strappargli via il cuore. «Non addossarti sempre tutte le responsabilità» mormora. «Non è stata colpa tua».
Suga vorrebbe crederle, lo vorrebbe per davvero. Ma il suo senso di colpa è un fiore di fuoco che sboccia nella brughiera, la bruciante manifestazione del suo Akh14 che vola via tra le tombe prive di nome. Potrebbe sfiorarlo, e morire bruciato.
«Ho fatto troppo affidamento su di lui» sussurra, posando la propria mano su quella di lei. «L’ho sovraccaricato io, Kiyoko».
Lei sospira, senza smettere di carezzargli il capo. «No» ripete, ferma. «Azumane si è ferito da solo, Suga. E tu non puoi ricucirgli ferite che continuerebbe ad aprirsi da solo».
Suga pensa che, se lasciato solo con sé stesso, Asahi potrebbe non riuscire a tornare indietro: probabilmente, è quello che pensa Noya, che è diventato la divinità guardiana del ragazzo. Sugawara non lo dice mai, ma li vede e comprende – comprende perché Noya scruti ansioso ogni passo di Asahi, come se lo schiacciatore dovesse reimparare a camminare.
In un certo senso, è esattamente così: Azumane zoppica e inciampa lungo la strada della vita, da mesi, e solamente Nishinoya riesce a costringerlo a rialzarsi dopo ogni caduta.
Siamo tutti feriti¸ ha detto a Kageyama. Ma, forse, esiste qualcuno con ferite più profonde degli altri.
«Non posso continuare a “dargli tempo”» mormora Suga, piano. «Se non torna, forse, è perché non vuole farlo e basta».
Kiyoko lo guarda, sorpresa, ma non dice niente. Come potrebbe contraddire una frase talmente veritiera?
 
***
 
«Asahi-san?» Noya lo chiama, seduto per terra con aria pensosa. «Ormai è ora di cena. Non dovresti prendere le tue medicine?».
Azumane lo guarda e tace, imbarazzato. «Non ancora» ammette. «Non… io…».
«Non devi vergognartene» commenta Nishinoya, battendo la mano sul proprio petto. «Io voglio che tu le prenda, perché so che possono aiutarti. Voglio che tu ti riprenda e non puoi volerlo fare da solo».
Ad Asahi si ferma il cuore. A Noya non ha il coraggio di dirlo ma, lui, quelle pillole non vuole più prenderle. Adesso, sente proprio di poter farcela da solo – da solo con lui – e, quindi, ogni medicamento ha perso di senso.
«Non posso prenderle davanti a te» mormora, imbarazzato. «Penso che andrò in cucina, se non ti dispiace».
Nishinoya non lo ferma, né il dubbio lo assale: rimane a guardarlo scendere le scale, con il blister di pillole perso tra le mani troppo grandi. Asahi scende le scale a passi pesanti, fino ad arrivare in cucina, dove si versa un bicchiere d’acqua.
Ma, quando la pillola gli cade in mano, qualcosa gli urla no, non farlo. Così, rovescia la mano davanti a sé.
Il Remeron cade nel lavandino, giù per lo scarico, scomparendo in un vortice.
 
***
 
Asahi non dorme più.
La notte, la passa guardando Noya dormire al suo fianco o, nelle sere in cui lui è costretto a tornare a casa, a fissare il soffitto contando i minuti che lo separano dall’alba. È fredda, l’aria notturna, ma ormai non riesce nemmeno a tremare – non ne ha più la forza, né la voglia.
Perché non dorme più e, lentamente, il suo mondo si sta riducendo a una matassa informe e sonnolenta, scandita solamente dai respiri di Nishinoya – e, per questo, metà delle sue notti sono solamente vuote e inutili.
Asahi non dorme più, ma Noya non lo sa: Yū pensa che si sia miracolosamente ripreso, perché Azumane è pieno di energie, di voglia di fare, ed è persino tornato a mangiare normalmente. Non è più graffiato ma, dentro di sé, ha ancora qualcosa che ruota a destra quando, invece, dovrebbe farlo a sinistra.
Asahi non dorme più e Noya non si è ancora reso conto che è perché ha smesso di prendere le proprie pillole. O, almeno, così crede.
«Stai bene?» sussurra assonnato, Noya, nel buio della stanza. «Continui a rigirarti e sono le quattro di mattina».
«Non riesco a dormire» risponde Asahi, stropicciandosi gli occhi. «Non preoccuparti per me, tu cerca di riposare. Domani hai l’allenamento».
Ma Nishinoya si tira su a sedere e lo guarda, freddo. «Pensi che non abbia capito, Asahi?» domanda, calmo. «Forse non sarò bravo a scuola come Suga o Daichi, ma non sono nemmeno così stupido come pensi».
Azumane non riesce nemmeno a rispondere, perché Yū alza una mano, per dirgli di non dire niente. «Io lo so, che hai smesso di prendere le medicine» sussurra. «Stavo aspettando che tu me lo dicessi, ma adesso mi è chiaro che non lo farai mai di tua spontanea volontà».
Si alza, mettendo la giacca della divisa scolastica sopra il pigiama. «Scusami» sussurra. «Ma è meglio che io torni a casa».
Quella sera, Asahi non dormirà e desidererà non doverlo fare mai più – perché sognerebbe e sognerebbe Noya.
 
***
 
«Come?» domanda, Suga, spalancando gli occhi. «Cosa vuol dire che non hai più intenzione di avere niente a che fare con Asahi?».
Daichi si massaggia le tempie, cercando di non perdere la pazienza, anche se l’espressione turbata di Noya da sola basterebbe. «Aspetta» borbotta. «Non dirlo subito, dammi cinque minuti».
Daichi respira profondamente, mentre si trattiene dal domandare a Yū cosa ci sia di sbagliato in lui – così come s’era trattenuto dal farlo con Sugawara – per voler lasciare andar via la persona che ama.
Perché è evidente che Yū si sia asportato il cuore a unghiate, per trovare la forza e la voglia di lasciar scivolare via i propri sentimenti di Asahi, di lasciarli bruciare nel silenzio afoso di un cimitero in una notte di agosto.
È davvero fuoco, quello che arde nel suo petto, o è semplicemente una magica e orribile illusione? Forse è autocombustione, l’incontro tra due elementi – lui e l’assenza di Asahi – che non dovrebbero mai coesistere e, allora, infuocano la nottata come spiriti mai sopiti.
«Si sta facendo del male per causa mia» sussurra Noya, abbassando lo sguardo. «Per stare con me».
Istintivamente, sia Suga sia Daichi si sporgono per controllare che non abbia le lacrime agli occhi ma, in verità, Nishinoya è solamente furioso. Stringe i pugni come potessero sfuggire dal suo controllo, e ha i denti serrati tra di loro.
«Sei arrabbiato» constata Suga, con ovvietà. «Ci credo, che hai agito con impulsività».
«Non sono arrabbiato» urla Noya, concitato. «Vorrei solamente capire! Come ha potuto pensare che fosse una buona idea?».
Sugawara gli lancia uno sguardo pieno di scuse. «Perché credeva di stare bene» risponde, cautamente. «Perché tu lo facevi stare bene».
Yū china il capo, passa una mano tra i capelli rigidi di gel. «Quindi è colpa mia» mormora, esausto. «Ho fatto bene, ad andare via».
Daichi gli mette una mano sulla spalla, con dolcezza. «Non fraintendere» lo ammonisce. «Suga non intendeva dire che hai fatto bene, solo… cerca di comprendere Asahi: deve essergli sembrato un miracolo. Devi essergli sembrato un miracolo».
Ma Noya scuote il capo e si scrolla di dosso la mano del capitano. «Peccato» sussurra, affilando lo sguardo. «Che i miracoli non esistano: starà peggio per colpa mia e io non posso farci niente, se ne sono la causa».
«Non puoi semplicemente lasciarlo andare» cerca di farlo ragionare Daichi. «Suga ci ha ampiamento dimostrato come sia un metodo fallimentare».
Suga scocca un’occhiata offesa al suo compagno di squadra, ma non dice niente: Yū li sta osservando e ha un’espressione che inquieta.
«Non per me» risponde. «Io, a differenza di Sugawara, so perfettamente come fare a lasciare andare».
Nessuno dei suoi due interlocutori riesce a rispondere, di fronte a tanta cieca e bruciante determinazione, così Noya abbassa lo sguardo e si allontana velocemente.
Ha le mani in tasca, a contatto con il telefono che vibra l’ennesima chiamata di Asahi. Ma Yū non risponde mai.
 
***
 
Non chiede aiuto: d’altronde, non saprebbe a chi chiederlo, né chi vorrebbe poterglielo dare. Eppure, quando arriva a scuola, Daichi e Suga lo guardano come se si aspettassero delle parole – che non arrivano.
«Asahi» lo chiama Daichi, con tono fermo. «Dicci cosa possiamo fare per te: noi sappiamo che Noya ti ha…».
«Lasciato» completa Azumane, atono. «Sì, immaginavo».
L’ha lasciato, buttato via come spazzatura, abbandonandolo da solo in un letto di lacrime amarissime e sparendo nella notte. Il buio s’è inghiottito Noya e, da quel momento, lui ha cercato in ogni modo possibile di nascondersi da Asahi.
«Forse, se tu gli parlassi» osserva Daichi, cauto. «Se ti scusassi, forse Nishinoya tornerebbe indietro: non è una persona in grado di portare rancore».
Ma, dietro quella calma che lo caratterizza, nemmeno lui ne è totalmente sicuro: in questo momento, nascosto chissà dove, Noya sta bruciando. In lui arde una rabbia assetata, che non riesce a saziarsi della sua anima soltanto.
«Lo sai anche tu, che non basterebbe» risponde Asahi, placidamente. «Non è solamente arrabbiato, è deluso».
E, allora, la delusione di Noya è combustibile in una notte d’agosto, sotto le stelle meno scintillanti dei fuochi fatui: se lo toccasse, Asahi si brucerebbe le mani. Non che gli possa importare – a lui, quelle mani non servono più.
 
***
 
Dentro Yū c’è silenzio.
È come se i pensieri rimbalzassero in una stanza sempre vuota, dissolvendosi ogni volta che ne toccano le pareti. Lì dentro, è al sicuro: non vedrà Asahi smagrire e divenire sempre più stanco, non di nuovo, non vedrà il tremore che gli divora le ossa giorno dopo giorno. Non lo vedrà più.
Nelle pareti bianche della sua mente, vi è uno schizzo di sangue che vi s’apre sopra come l’ennesima ferita, e suona come il nome di Asahi. Ma Noya ha promesso a sé stesso che non sarà lui, la causa della malattia del ragazzo che ama: così, con più coraggio di quanto non ne abbia avuto Suga, semplicemente lo lascerà andare.
Ne è convinto ma, allora, perché c’è così silenzio dentro di lui?
Una scintilla brilla tra quelle pareti, illuminandolo. Ma, quando prova ad avvicinarvici le mani per riscaldarsi, scopre che rimarrà solo, al freddo e in silenzio: è solamente un fuoco fatuo in una stanza vuota e muta.


 
Buongiorno e buona colazione a tutti!
Vi lascio il capitolo in tutta fretta, dato che devo mettermi a lavorare, ricordandovi che il prossimo sarà fuori il 21 novembre e conterrà dosi massicce di filosofia.
Ho dimenticato una nota del precedente cap che provvisoriamente aggiungo qui e che sistemerò appena potrò (a contest terminato, dato che prima non posso modificare i capitoli postati):

12Frase ripresa dal manga (Vol. 3, cap. 19, p. 6)
13Frase ripresa dal manga (Vol. 3, cap. 18, p. 6)
14Manifestazione dell’anima, tramite i fuochi fatui, secondo gli egizi

Grazie per avermi letta!
Gaia
   
 
Leggi le 2 recensioni
Segui la storia  |        |  Torna su
Cosa pensi della storia?
Per recensire esegui il login oppure registrati.
Capitoli:
 <<    >>
Torna indietro / Vai alla categoria: Anime & Manga > Haikyu!! / Vai alla pagina dell'autore: Gaia Bessie