Anime & Manga > L'Attacco dei Giganti
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Autore: JulKat_5384    01/12/2020    3 recensioni
IN FASE DI REVISIONE
[Modern!AU] ||Mini-long|| |Ereri|
Trovare l’anima gemella è difficile quanto cercare un ago in un pagliaio, specie se il pagliaio è il mondo intero. In pochi hanno il coraggio di abbracciare il proprio destino, preferendo invece ignorare quella sensazione di mancanza che affligge il petto di ogni essere umano; e così ha fatto Eren. Ha vissuto, evitando di non pensare che da qualche parte sulla Terra ci fosse qualcuno che lo stesse cercando, che stesse aspettando solo il loro incontro. Ma Eren si era reso conto che quella era solo una scusa per sopravvivere, che adesso è più che deciso a vivere appieno la propria vita, e con ritrovato coraggio, decide di imbarcarsi in quella ardua ed estenuante ricerca.
[dal testo]
Eren non sapeva come ribattere. In fondo Jean aveva ragione: perché aveva continuato a frequentare quel ragazzo per un anno intero, mettendo da parte le paure e i timori ed affidandosi a lui completamente se non era la sua anima gemella? E poi Eren credeva davvero che un giorno avrebbe incontrato questa suddetta persona?
Genere: Introspettivo, Romantico, Triste | Stato: completa
Tipo di coppia: Shonen-ai, Yaoi | Personaggi: Eren Jaeger, Levi Ackerman
Note: AU, Soulmate!AU | Avvertimenti: nessuno
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- Questa storia fa parte della serie 'Across Time'
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Finding-COVER

Need you now but I don't know you yet



Buon compleanno Ren.

Buongiorno Ren.

Ren.


Aveva sentito più di una volta il corvino pronunciare quel soprannome durante la sua visione, ma sentirlo di persona, mozzò il respiro del giovane. Quelle tre semplici lettere provocarono in Eren una serie di brividi che gli percorsero tutta la colonna vertebrale, fino ad arrivare alle gambe.
Le ginocchia tremarono tanto da fargli credere di non riuscire a reggere il proprio peso; poi quella scossa rifece quel percorso a ritroso – risalendo – fino a tornare alla nuca.

Eren era rimasto immobile – così statico da far invidia ad una statua –, con le immagini che ancora gli passavano veloci davanti agli occhi spalancati, mentre tentava di regolarizzare il respiro.
Era sconvolto dal fatto che lo sconosciuto lo avesse chiamato per nome. Perché era vero che i due erano predestinati, ma fino ad allora non si conoscevano. Non potevano conoscersi.
Tuttavia, l’espressione sconcertata che quell’uomo gli aveva rivolto – carica di tristezza e sofferenza – dimostrava al castano l’esatto opposto. Il corvino dagli occhi magnetici lo conosceva, sapeva chi era ed Eren voleva sapere come era possibile. Ma quando lo studente uscì da quel tunnel di pensieri sconnessi e mise a fuoco davanti a sé, dello sconosciuto non c’era più traccia: era sparito in mezzo alla folla.

Si guardò veloce intorno, scrutando ogni persona che lo superava, indugiando su ogni volto nel tentativo di ritrovare quelle due iridi grigio-azzurre fredde come il ghiaccio, ma capaci di incenerire qualunque cosa su cui esse di posassero.
Eren imprecò mentalmente, stringendo i pugni così forte da sbiancare le nocche e sentire il pungente dolore delle unghie nei palmi.
Com’era possibile che avesse perso la sua anima gemella nell’esatto momento in cui l’aveva incontrata?
Quell’uomo era lì, davanti a lui, eppure gli era sfuggito; aveva finalmente la felicità a portata di mano e lui – troppo preso dalla sua mente che cercava di dare un ordine ai pensieri – se l’era fatta scivolare dalle mani, così come un bambino perde la presa del suo aquilone e sente il filo scivolargli inesorabilmente dalle dita.
No! Non poteva finire così. Non lo avrebbe permesso.

Le sue iridi tornarono a saettare da un passante all’altro, pochi secondi per ogni individuo, perché Eren sapeva che se lo avesse trovato tra quella fiumana di gente, sarebbe stato solo grazie al suo istinto.
I suoi occhi furono attirati da una figura di spalle non molto distante da lui, avvolta da un cappotto nero, e una testa corvina – con lo stesso taglio undercut della sua visione – allontanarsi a passo svelto, evitando le persone.
Il castano, però voleva risposte, e soprattutto non aveva nessuna intenzione di lascarsi sfuggire la sua anima gemella, non ora che – per puro caso, o per volere del destino stesso – l’aveva trovata.
Si diede quindi all’inseguimento, facendosi largo con spintoni e gomitate tra i pedoni che affollavano il marciapiede, ricevendo imprecazioni in risposta a quei modo poco gentili. Quando finalmente lo raggiunse, Eren gli afferrò prontamente un braccio, arrestando così la fuga dell’uomo.

«Ehi! perché sei scappato?»
«Lasciami» rispose secco il corvino, continuando a dare le spalle al ragazzo.
«C-cosa? No! Ci siamo appena incontrati, non posso… non voglio lascarti andare! Ti rendi conto della fortuna che abbiamo appena avuto? Di quanto sia raro e prezioso tutto questo? Non dico che dovresti lanciarti tra le mie braccia come nelle commedie romantiche, ma dovresti almeno esserne felice» riprese il giovane come se l’uomo non avesse detto nulla e mantenendo la presa salda sull’avambraccio dell’altro.
«Felice, dici?» chiese retoricamente il corvino, per poi girarsi verso il ragazzo.
I loro sguardi si incatenarono l’uno all’altro: smeraldo nella jeremejevite; tuttavia, quel colore, che nella sua visione era così simile al ghiaccio puro e cristallino, ora era scuro e torbido come le nubi in tempesta.
Le sue iridi tremavano, la pupilla ridotta ad un mero puntino, come se guardarlo negli occhi procurasse al maggiore una rabbia sofferta, tuttavia Eren comprese che fosse un tipo troppo orgoglioso per dargliela vinta e distogliere lo sguardo.
«Io non posso essere felice, non potrò più esserlo. Non importa quante volte io ci abbia provato. I-io… con il destino non voglio più averci niente a che fare. Ora lasciami il braccio moccioso» sputò ogni parola con rabbia, ogni lettera era una pugnalata allo stomaco, ma se a Eren fecero male, quelle parole erano molto più dolorose per chi le aveva appena pronunciate.
«Beh, si vede che ci hai sempre provato con la persona sbagliata… anch’io fino ad ora non ero del tutto felice, ma adesso è diverso! Ti ho trovato e… e tu hai me… e non ci credo che non potrai essere più felice, perché possiamo esserlo insieme» rispose conciliante lo studente, credeva fermamente nelle parole appena pronunciate. Gli davano speranza e sperava potessero dare speranza anche all’altro.
Sofferenza, incredulità e confusione.
Erano questi i sentimenti che si susseguirono veloci nell’espressione disorientata dell’uomo, quando udì quella frase, un po’ sconnessa, eppure così chiara. Emozioni totalmente contrastanti alla rabbia con cui lo sconosciuto colpì Eren un istante dopo.
«Ma come ti permetti di giudicare la mia vita? Tu… tu non mi conosci! Non sai quello che ho passato. Credi che basti l’aiuto del destino perché ci sia un lieto fine come nelle favole? Lascia che ti dica una cosa: a me il destino ha dato solo sofferenza! E se continui ad inseguirlo ne darà anche e te» urlò il maggiore, attirando l’attenzione di alcuni passanti.
«Ora chi è che giudica senza conoscere?» rispose Eren alterato.

Le iridi fredde del corvino furono per la seconda volta attraversate dalla sorpresa, per quella domanda fatta a bruciapelo, subito rimpiazzata da una maschera dura di falsa indifferenza. Lo sconosciuto distolse lo sguardo, sembrava essere consapevole che se lo avesse tenuto ancora fisso negli occhi del più giovane, quest’ultimo avrebbe capito la moltitudine di pensieri che affollavano la mente del corvino.
Il castano, scosso da quell’ennesima – e repentina – reazione del maggiore alle sue parole, usufruì di quel momento di impasse per osservarlo con attenzione.
Era molto più basso di lui, con una corporatura minuta, nascosta sotto quel cappotto nero e lungo fino alle ginocchia. Eppure qualcosa nella sua postura – ma soprattutto dai muscoli dell’avambraccio che sentiva sotto la sua presa – gli suggeriva che non fosse del tutto indifeso.
I lineamenti del volto erano delicati, ma mascolini; le sopracciglia fini, gli occhi sottili incorniciati da lunghe ciglia nere, la pelle pallida priva di imperfezioni, la mascella spigolosa e le labbra piccole. Tutto era come lo aveva visto, ma se nella sua visione, l’uomo era estremamente felice e sereno, quello davanti a sé era mangiato vivo dal dolore e dalla sofferenza, tanto da sembrare un’altra persona.
Eren abbassò lo sguardo sulla sua mano ancora stretta attorno alla manica del cappotto. Fece un respiro profondo per cercare di calmarsi, «Ti lascio andare se mi dici il tuo nome. Io sono Eren Jaeger» pronunciò lentamente e con un tono decisamente più calmo di prima, accennando anche un debole sorriso.
Il corvino sgranò gli occhi, o così parve al castano, perché un attimo dopo la solita espressione dura e accigliata era di nuovo lì.

«Levi Ackerman» rispose – la voce bassa e strozzata dal dolore – dopo quelli che a Eren parvero minuti interminabili.
«Come fai a conoscermi Levi? Voglio dire, se ti avessi conosciuto prima avremmo già avuto la visione del nostro futuro…»
«Non avevi promesso che mi avresti lasciato il braccio moccioso che non sei altro?» rispose invece l’uomo serrando subito dopo la mascella, come a volersi impedire di dire altro, di rispondere alla domanda posta dal castano.
«Primo, non sono un moccioso. Ho ventiquattro anni, e secondo credo che tu mi debba almeno una spiegazione.»
«Io non ti devo proprio nulla e comunque ti sbagli! Non ho pronunciato alcun nome!»
«Non ho mai detto di aver sentito pronunciare il mio nome» lo inchiodò Eren.
Levi fissò per un attimo il volto del giovane, puntando lo sguardo sulle sue labbra carnose dove stava spuntando un sorrisetto compiaciuto.
La cosa però, fece indispettire ancora di più il maggiore che tornò con sguardo ancora più duro a fissare le iridi verdi e brillanti del castano, il quale poté giurare di aver sentito quell’occhiata, arrivargli fin dentro l’anima, tanto era profonda e indagatrice.
«Vuoi che parli? Ti accontento subito testardo di un moccioso. Non ho idea di che cosa tu abbia visto o sentito, ma ti posso garantire che io non ho visto né detto nulla. Quella stronzata del destino l’hai avuta soltanto tu, perché io ci sono già passato tanto tempo fa. E se tu ci credi così fermamente, allora saprai meglio di me che se capita, capita una sola volta nella vita. Quindi adesso mollami il braccio prima che ti tiri un pugno, e lasciami andare perché a differenza tua, io lavoro, non me ne vado certo in giro a importunare gli sconosciuti!»
Detto questo, con uno scatto felino, si liberò dalla presa del minore, si sistemò il cappotto, per poi allontanarsi da Eren quasi correndo e sparendo tra la folla, come a voler mettere – nel minor tempo – quanta più distanza possibile tra se stesso e il ragazzo.

Eren rimase, per la seconda volta in meno di un’ora, immobile. Gli occhi sbarrati, puntati davanti a sé, ma incapaci di vedere, il respiro mozzato e la mano – che prima teneva la manica del cappotto – era ancora sollevata a mezz’aria a stringere l’aria fredda.
Le parole di Levi gli martellavano ripetutamente nelle orecchie, ogni sillaba – pronunciata con estrema e calcolata calma – tuonava nel petto, colpendo con precisione, il cuore del giovane.
Ma c’era qualcosa che Eren non riusciva a capire. Quelle parole lo avevano ferito, avevano dilaniato la sua anima, strappandola in tanti piccoli pezzi, eppure credeva – anzi sapeva con estrema precisione – che quella stessa sensazione di dolore lancinante, l’avesse provata anche il corvino nel pronunciarle.
Sapeva nel profondo, che Levi aveva ostentato una pacatezza che in realtà non gli apparteneva, che quella era solo una maschera – mal indossata – che nascondeva invece una dolorosa sofferenza.
Ogni lettera era stata messa insieme dal maggiore col solo fine di ferire il ragazzo, ogni parola doveva essere una precisa pugnalata al cuore, all’anima; un mezzo per arrivare allo scopo ultimo, quello di allontanare il giovane, di allontanarsi da quell’incontro che Eren voleva, ma che invece, Levi sembrava volersi negare.

Riprese lentamente a respirare, nonostante il dolore al petto rendesse quel semplice e involontario movimento, molto doloroso.
Eren cercò di mettere da parte le emozioni negative che provava in quel momento, per cercare di analizzare con mente lucida tutto il discorso che era stato costretto ad ascoltare.
Non metteva in dubbio la sofferenza dell’uomo – chiaramente espressa attraverso quegli occhi metallici – tuttavia stentava a credere che tutto quello che gli avesse detto corrispondesse a verità.
Perché nonostante la madre e i suoi amici gli presagissero una sordità precoce – vista la sua abitudine di ascoltare la musica a tutto volume – Eren poteva affermare con assoluta franchezza di sentirci ancora benissimo.
Ed era più che sicuro di aver udito Levi pronunciare il suo nome, così come l’uomo della sua visione lo chiamava, e carico di quell’intimità e affetto che solo due persone che si conoscono da tento tempo possiedono.
L’espressione poi che Levi gli aveva rivolto – totalmente opposta al significato di quel discorso campato in aria – valeva più di mille parole; perché il corvino lo aveva riconosciuto come il ragazzo della sua visione, perché – in un modo ancora ignoto al castano – sapeva che Levi lo conosceva.
C’erano mille altri modi in cui l’uomo poteva scrollarsi di dosso un ragazzino troppo cresciuto come Eren, ed uscire da quella situazione a testa alta, da persona adulta quale era, o almeno poteva inventarsi una scusa migliore.
Poteva inventarsi di essere già sposato, o di aver sentito quel nomignolo nella sua visione nonostante Levi si fosse ostinato nell’affermare di non averla avuta.
Di certo non si aspettava quella bugia dalla costruzione all’apparenza stabile, ma in realtà debole come un castello di carte.
Perché Eren era convito che quella fosse una menzogna, se non tutta, almeno in parte.

In definitiva, la sua – la loro – visione era reale, Levi era e sarebbe stato il suo futuro, qualunque verità e sofferenza il corvino nascondesse, Eren era pronto ad affrontarle. Lo avrebbe aiutato a credere di nuovo nel futuro, in un loro futuro insieme, perché il castano credeva nel destino, e c’era solo una cosa in tutto quel discorso senza senso di Levi, in cui entrambi erano d’accordo: Eren era testardo.
Il ragazzo dagli occhi verdi come due smeraldi, quel giorno si era fatto una promessa ed era deciso a mantenerla: avrebbe lottato per la sua felicità, anche se questo significava andare contro la sua stessa anima gemella.

Quella battaglia intrapresa contro il destino, aveva subito una svolta decisamente propizia per il giovane: aveva appreso il suo nome, conosceva il suo aspetto e, grazie alle visioni del futuro, sapeva che era un architetto.
Quanto mai poteva essere difficile rintracciare il suo Levi Ackerman?







  N/A
Eccoci qui con l’ultimo capitolo di questa mini-long.
Come dite? Non può finire così? Invece è tutto vero, ma prima che tiriate fuori torce e forconi o che mi sotterriate viva, vi ricordo che questa storia farà parte di una serie.
Come avrete notato il perno centrale è il tempo: questa storia è incentrata sul futuro (o per lo meno sul pensiero del futuro *hehehe*).
Vi anticipo quindi che la prossima storia (a cui sto già lavorando) invece avrà come tema il passato *tan ta taaaaa*, ma non vi dico altro. (sono aperte le scommesse!)
Ma se il tema principale è il tempo e tu hai scritto del futuro e scrivi del passato, scriverai anche del presente? Vi chiederete….
Ebbene *rullo di tamburi* sì! E vi dico anche che seguirò il detto/perla di saggezza di Oogway. Ecco ho finito per dire anche troppo… mannaggia a me.
Un saluto a tutti i lettori!
A presto!
Julz
  
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