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Autore: girlinadarkroom    04/12/2020    0 recensioni
Sull'inevitabile distruzione delle certezze, il trovarsi, il cercarsi, il fuggire.
Genere: Introspettivo, Malinconico, Sentimentale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Nessuna
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Rylan

Quel che contraddistingueva Rylan da tanti uomini della sua età non era la pelle, chiara e cosparsa di lentiggini, e neanche l’altezza - era tanto alto quanto gentile, gli dicevano. Era l’animo: puro. Era come se la sua mente fosse permeata da una patina di innocenza che scacciava i pensieri negativi, tutti quelli subdoli e maligni, e lo induceva a trovare qualcosa di buono in ogni persona che incontrava lungo il proprio cammino, fatto che lo rendeva pericolosamente vulnerabile. Ma quel che rischiava maggiormente di spezzare quell’animo dolce era la spada di Damocle che gli pendeva sulla testa dal momento che era venuto al mondo, poiché tutto era già stato deciso, ancor prima della sua nascita: non era padrone del proprio avvenire. In quanto figlio di un pastore, era obbligato a sottostare a ferree regole e destinato a grandi cose.  Ben istruito e cresciuto a contatto con ideologie tanto caritatevoli quanto opprimenti, si era sposato con la prima ragazza che aveva baciato ed era stato sin da subito pronto a dar vita con lei ad una numerosa famiglia, seguendo le orme del padre e fiero di poterne portare avanti il nome. Passava gran parte della giornata con costui e il fratello poco più piccolo, all’interno della comunità, apprendendo tutti gli insegnamenti che quell’uomo austero poteva offrirgli. Ma nei momenti di quiete, quando il vivere si placava, sgattaiolava nella biblioteca del paesino vicino, alla ricerca di libri proibiti – di filosofia, storia, letteratura -, libero di tanto in tanto di sfuggire a quella quotidianità, ma facendovi sempre ritorno, seguito da un perenne sentimento di vergogna.
Ad un certo punto, qualche anno dopo il diploma e il matrimonio, qualcosa aveva iniziato ad andare storto. I figli non arrivavano e le aspettative si facevano ogni giorno più enormi e pressanti. Eredi, eredi, eredi, eredi. Non facevano altro che chiedergli quello. Non figli, ma eredi. Ci pensava durante il giorno, li sognava di notte. I non nati gli stavano avvelenando l’animo. Ma se la sua forza gli aveva impedito di non cedere e crollare, lo stesso non poteva dire della moglie. A poco a poco aveva iniziato a bere: in principio solo alla sera, prima di andare a dormire, poi anche a pranzo. Un bicchiere era sempre seguito da un altro. Un altro ancora. E allora le parole le uscivano dalla bocca sempre più amare, più taglienti. Puntava il dito, lontano da sé, verso chi rimaneva. E chi se non lui? E mentre quella guerriglia sgretolava le mura domestiche, le speranze della famiglia avevano preso a dirigersi altrove, verso il fratello più giovane, sicuramente più pronto per quel ruolo di uomo perfetto e tanto desideroso di esserlo. La sua parlantina era notevole. Sapeva sempre cosa dire e come dirlo. Dotato di ingegno, poteva uscire indenne da qualsiasi situazione spiacevole. Ed era bravo a nascondere i propri difetti e a depistare i curiosi. Divenne sempre più attivo all’interno della collettività, affiancando il padre tanto nelle occasioni importanti quanto nei compiti quotidiani. Si prese lo spazio di Rylan, gli rubò il tempo e lo privò del proprio destino. Improvvisamente, si trovò libero di divenire chi voleva essere, ma totalmente impreparato e spaesato. Ovunque rivolgesse gli occhi, scorgeva oscurità, come se le tenebre fossero calate attorno a lui. Allungava le mani, per cercare di diradarle, ma non trovava nulla se non infinite domande prive di risposte. Non era più qualcuno, ma nessuno. Nessuno che avrebbe voluto essere qualcuno, qualcuno di cui essere fiero. Ma si sentiva solo un fallito.
Trascorse un anno durissimo. Le giornate erano interminabili, ma terribili erano le nottate, sempre insonni. Una di queste, mentre fissava un punto indistinto sul soffitto biancastro, avvertì un peso all’altezza del petto che, con ogni tramonto, si fece sempre più opprimente. Nell’immobilità del letto, gli occhi spalancati gli bruciavano e una sensazione sconosciuta gli rendeva la bocca amara. Per la prima volta in vita sua, provò paura.
E proprio quel sentire gli fece comprendere che era sul punto di non sentire più. Si trovò a temere la piattezza, l’assenza di proporzioni e di profondità. Lo attanagliò il terrore di quel che risiede nel fondo grigiastro del fondo stesso, il punto dove non arrivano né la luce né le tenebre, dove domina il nulla e il sentimento è annientamento.

   
 
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