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Autore: AleeraRedwoods    06/12/2020    2 recensioni
Dal testo:
“Tu sei nata per una ragione e il tuo cammino non può cambiare.
Ma un destino scritto è anche una maledizione.
Il tuo compito è salvare la Terra di Mezzo,
riunirai i Popoli Liberi e scenderai in battaglia.
Una prova ti attende e dovrai affrontarla per vincere il Male.
Perché la Stella dei Valar si è svegliata.
La Stella dei Valar porterà la pace.
A caro prezzo.”
(Revisionata e corretta)
Genere: Avventura, Fantasy, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het, Slash | Personaggi: Altri, Aragorn, Nuovo personaggio, Thranduil
Note: Lime, OOC | Avvertimenti: Contenuti forti
Capitoli:
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-L'ultimo giorno-



    -“Myrtle Bracegirdle da Mezzabottiglia: le miglior ricette della cucina Hobbit del Decumano Ovest”…?- L’unico suono che arrivò in risposta alla stella fu il violento tossire di Gimli, strozzato dal fumo inspirato dalla lunga pipa.
    Dopo diversi secondi di costernato silenzio, Sillen interrogò Elessar con sguardo esasperato, sperando in una sua reazione:
-Che cosa vorrebbe dire, è forse uno scherzo?- L’altro, la pipa ferma a mezz’aria, aprì e chiuse le labbra, troppo confuso per azzardare una qualsiasi ipotesi.
    Legolas si massaggiò le tempie, arrovellandosi per comprendere le reali intenzioni dello Stregone Bianco: -No, Gandalf non avrebbe mai agito in questo modo per un futile motivo. Di certo non è uno scherzo, garantisco per lui.-
    Thranduil, chiaramente spazientito, allungò una mano verso la stella, pretendendo il foglio: -Questi stregoni non hanno mai portato niente di buono. E ovviamente non mi aspettavo lo facessero ora. Tanto rumore, nulla di più.- Sillen storse la bocca ma lasciò che l’elfo prendesse il foglio, stando ben attenta a non sfiorare la sua mano.
    Il Re degli Elfi scrutò la carta e l’inchiostro bruno con estrema attenzione, piegando il biglietto in modo che la luce delle candele ne illuminasse ogni fibra. -Niente, non c’è altro. Né una runa nascosta, né un indizio che possa far intendere qualcosa. Tutto questo è ridicolo.-
    Faramir si grattò il mento, storcendo il naso: -Forse non è lì quello che stiamo cercando.- Tutti si voltarono verso di lui, sorpresi. Il Sovrintendente, colto alla sprovvista, si schiarì la voce: -Intendo dire che quello è un… indizio. Ecco, seguendo l’indizio forse troveremo le vere risposte.-
    Legolas prese malamente il foglio dalle mani del padre, senza degnarlo di uno sguardo. Thranduil lo lasciò fare, abbassando gli occhi: dopotutto, era dalla fine della battaglia che suo figlio non provava nemmeno a rivolgergli la parola.
    -Faramir potrebbe avere ragione. Forse Gandalf non si fidava a lasciare per iscritto tutte le informazioni su un semplice foglio…-
    Gimli incrociò le braccia sulla barba rossiccia, trattenendo un nostalgico sorriso: -Non mi stupirebbe, quello strano stregone ha sempre parlato per enigmi.- Poi alzò la voce ruvida, deciso: -Beh, da dove cominciare? Chiaramente questo titolo fa riferimento alla Contea, precisamente al Decumano Ovest. Credo proprio che dovremmo partire da lì.-
    A quelle parole, Sillen sentì i battiti del suo cuore accelerare per l’emozione ma un gelo che conosceva molto bene le scivolò lungo la schiena, facendola rabbrividire: -Ma possiamo davvero permetterci di lasciare la città? Proprio ora che siamo più deboli…- Non poteva fare a meno di avere paura. Aveva affrontato solo uno degli elfi oscuri, senza mai incontrare Pallando, e ne era uscita viva per miracolo.
    Senza il suo potere, cosa avrebbe potuto contro di loro?
    E i suoi compagni? Lasciare la sicurezza della città fortificata voleva dire essere vulnerabili.
    Una volta lontani, anche Gondor, ultima frontiera protetta dalle terre di Mordor, sarebbe rimasta scoperta.
    Glorfindel le sfiorò il braccio, comprensivo: -In realtà non sappiamo quando Pallando deciderà di attaccare nuovamente. Forse domani ma se fosse tra un anno? Potremmo lasciarci scappare l’occasione che Mithrandir ci ha donato barricandoci qui dentro?- Thorin gli fece eco, lanciandogli occhiate poco amichevoli: -Mi rode ammetterlo ma il folletto ha ragione. Troppe vite abbiamo perso e ora non abbiamo nemmeno un piano. Inutile dire che non ne usciremmo vivi, senza provare.- Sillen annuì, elaborando quella possibilità.
    Meglio un’azione avventata, piuttosto che la rassegnata attesa della fine.
    Elessar sorrise, guardando i compagni con rinnovato ottimismo: -C’è solo un posto, nel Decumano Ovest, dove Gandalf avrebbe voluto condurci. Se ci sono delle risposte, si trovano a Sottocolle.-
    Sillen sbatté le palpebre: -Sotto quale colle?- Elessar, Legolas e Gimli si scambiarono uno sguardo d’intesa. Coloro che avevano fatto parte della Compagnia dell’Anello conoscevano bene quel luogo, tanto ne avevano sentito parlare.
    Legolas le abbracciò le spalle, con l’espressione più felice che Sillen gli avesse visto indossare da molto tempo: -Casa Baggins, Sillen. Dove tutto è cominciato.- E l’immagine dei piccoli mezz’uomini protagonisti della Guerra dell’Anello si delineò come un bagliore nella mente della stella. Rise, quasi commossa: -L’ultimo popolo libero.- La profezia che la sua visione le aveva lasciato si stava rivelando nella sua interezza e finalmente, sulla scacchiera del suo destino, le pedine si stavano muovendo.
    Glorfindel srotolò la mappa sulla scrivania, attirando l’attenzione su di sé: -Passando dalla Breccia di Rohan e volgendo verso Isengard, saremo riparati dagli Ered Nimrais e viaggeremo sicuri.- Tracciò il percorso con l’indice, aiutando la stella ad orientarsi: -Da qui si procede nell’Eriador, verso Nord-Ovest, sempre dritti. Dovremmo raggiungere la Contea in tre settimane, forse poco di più.-
    Sillen si sporse sulla mappa, ripetendo il percorso nella mente. Nord-Ovest… era dal suo risveglio, dopo la battaglia, che non avvertiva più quell’eco lontana chiamarla, da laggiù. Scacciò in fretta il pensiero, mordendosi le labbra: -Tre settimane sono troppe, contandone ulteriori tre per il viaggio di ritorno.-
    Thranduil, con fare noncurante, si sporse a sua volta sulla scrivania, frapponendosi tra Sillen e l’elfo dorato. La stella, impegnata a memorizzare la dettagliata mappa, nemmeno se ne accorse ma il povero Glorifindel si ritrovò a sputacchiare i capelli d’argento del Re degli Elfi, dissimulando il sorriso che gli era sorto sulle labbra con un colpo di tosse. Fece due passi indietro, con l’intento di accendere qualche altra candela: -Hai ragione, Sillen. Ma sei l’unica che può chiedere alle Aquile di portarci sul posto. Ci hanno concesso questo onore solo in casi di estremo bisogno: ci staccherebbero la testa se osassimo pretendere di cavalcarle come ronzini.-
    La stella si voltò verso di lui per ribattere ma sbatté malamente contro la spalla solida del Re degli Elfi, colta di sorpresa. Si massaggiò il naso, lanciando all’elfo in questione un’occhiata oltremodo infastidita e lo superò velocemente: -Proverò a parlare con Landroval. Sono certa che capirà. Comunque si tratterà di mobilitare pochi di noi, la forza maggiore deve rimanere qui in città.- Precisò, rivolgendo un’occhiata tagliente in direzione del Re elfico.
    Ovviamente, quando se ne accorse, Thranduil non perse l’occasione di contrariarla, prendendo la parola per primo: -Qualsiasi cosa sia, non tollererò che qualcuno d’indegno tocchi un manufatto antico e molto probabilmente appartenente al mio popolo.- E lanciò uno sguardo indignato verso i Nani e gli Uomini presenti nello studio: -Dunque, accompagnerò personalmente Glorfindel in questa spedizione.-
    Elessar sollevò lo sguardo su di lui, alzando un sopracciglio: -Nessuno di noi lo aveva messo in dubbio, mio signore Thranduil.- Il suo tono al limite del rispettoso gli procurò un’occhiataccia da parte dell’elfo regale. E provocò anche qualche risatina, troppo bassa e dissimulata per intenderne gli artefici.
    Thorin III Elminpietra si batté orgogliosamente un pugno sul cuore, alzando la voce: -Ovunque la mia signora mi condurrà, io la seguirò senza indugio. -Sillen chinò il capo con gratitudine, ignorando l’ilarità che quelle parole avevano acceso negli uomini presenti: -Grazie, mio signore Thorin. Ne sono onorata.-
    E mentre il Re nanico si prodigava nel narrare le sue gesta in campo di spedizioni, Legolas posò una mano sulla spalla del Re degli Uomini, lo sguardo addolcito: -Aragorn, se vuoi andare- Ma l’altro scrollò la testa, ricambiando il suo gesto. Il suo volto si distese, allietato da vecchi ricordi: -Mi fido di Sillen, lascerò che sia lei a compiere questo viaggio. Il mio posto è qui, adesso. Visiterò i vecchi amici in tempi migliori.- L’elfo annuì e Gimli tirò due boccate dalla lunga pipa, concorde: -Allora resteremo con te, ragazzo. Proprio come in passato.-
    La compagnia era dunque così stabilita: Glorfindel, il Portatore del Messaggio, avrebbe guidato la spedizione, seguito dal Re degli Elfi, dalla Stella dei Valar e dal Re sotto la Montagna.
    La partenza venne saggiamente fissata per il dopodomani, all’alba. Avevano bisogno di prepararsi, riposarsi ma non un giorno in più sarebbe dovuto passare: il tempo correva contro di loro.

 
**

    Sillen si avviò nel corridoio buio, passandosi una mano tra i capelli, esausta. Come aveva sperato, Landroval si era dimostrato deciso a sostenere la misteriosa spedizione e per questo avrebbe ceduto loro i suoi figli più veloci. Era stato talmente facile convincerlo che un intervento divino, forse, stava favorendo lei e i suoi compagni, pensò la stella.
    Con un peso in meno sul cuore, Sillen aveva passato l’ora successiva in compagnia degli Ent che, sotto la luce della luna, piantavano metodicamente nuovi alberi e favorivano la ricrescita dall’erba, nei Campi del Pelennor. A nulla era servito il monito della stella, che già prevedeva un’altra imminente battaglia: tanta cura era sprecata, in quel momento.
    Nonostante i lenti e cocciuti Ent non si degnassero di ascoltarla, parlarono molto e la giovane apprese che il misterioso quanto strano biglietto di Gandalf era stato consegnato ai Pastori di Alberi in seguito alla sua rinascita come Stregone Bianco.
    Barbalbero lo incontrò proprio mentre era di ritorno dalle montagne che sovrastavano le immense Miniere di Moria, laddove era caduto come Grigio. In seguito, non appena scorsero la Stella dei Valar cadere dal firmamento, gli Ent si erano messi in marcia verso il vicino Regno degli Uomini, spinti da quell’avvenimento che, dopo tre decenni di pace, aveva scosso la terra. E per due lunghi mesi avevano camminato, finendo colpiti dai fumi dell’incendio e dal clangore della battaglia poco prima di raggiungere Minas Tirith. Barbalbero si era convinto di star agendo nel modo migliore solo in quel momento, “di estremo bisogno” come aveva detto lo Stregone.
    Rimuginando su quelle informazioni, Sillen raggiunse la propria stanza, bisognosa di un lungo sonno ristoratore. Una volta aperta la porta però, la stella s’immobilizzò, colta da una sorda angoscia.
    Nell’oscurità della stanza, vide lo specchio rotto riflettere la falce sottile della luna, il bicchiere ancora a terra e non poté fare a meno di indietreggiare.
    Serrò gli occhi e strinse i pugni, respirando a fondo: era stata la sua immaginazione, quella mattina, niente di più.
    Non doveva pensarci.
    Dopo qualche minuto, riuscì a convincersi ad entrare, a passi lenti e misurati. Si guardò attorno, dietro la porta, sotto il letto: era completamente sola.
    Non sapeva nemmeno se esserne sollevata o meno.
    Convenne solo che era davvero troppo tesa per dormire.
    Raggiunse le guardie infondo al corridoio e chiese dell’acqua calda: un bagno le avrebbe fatto decisamente bene, soprattutto ai suoi poveri capelli annodati. Inoltre, i suoi muscoli chiedevano pietà dallo scontro con il Re degli Elfi, nei Campi. Trattenne un sospiro, ripensandoci ma non provava alcuna sorta di pentimento: era sicura di aver agito nel modo giusto. Se non si fosse difesa, lui avrebbe continuato a crederla un peso e le avrebbe impedito di seguire la propria strada degnamente. Non aveva bisogno di una balia, tantomeno se la balia era lui.
    Accese qualche candela per rischiarare la stanza, mentre due uomini della Cittadella si affrettarono a portarle una vasca ovale, in legno e ferro. La riempirono d’acqua calda, efficientemente:
-Abbiamo aggiunto dei sali da bagno, speriamo ti siano graditi mia signora. Torneremo a prendere la vasca domani mattina.- Le assicurarono. Sillen li ringraziò con un cenno, notando i loro sguardi dubbiosi che si soffermavano sulla specchiera in frantumi.
    Aspettò con impazienza di rimanere sola, poi chiuse la porta con un tonfo. Con gesti secchi, slacciò gli stivali, calciò i pantaloni in un angolo e gettò la camicia sul letto. Faceva caldo, quella notte ma Sillen non riusciva a sentirlo. La sua pelle era ancora fredda come il ghiaccio.
    S’immerse nell’acqua con un sospiro liberatorio: l’ultima volta che si era concessa un bagno del genere era ancora nel Reame Boscoso, in compagnia della dolce Emlinel.
    Alcune lacrime solitarie le scivolarono sulle guance, cadendo poi nell’acqua profumata e tirò le ginocchia al petto, mordendosi il labbro inferiore. Il silenzio era quasi assordante e Sillen riusciva a sentire ogni increspatura dell’acqua morire contro le pareti di legno della vasca. Avrebbe voluto fare la stessa cosa, esaurendosi onda dopo onda dentro quella conca accogliente.
    Le fiammelle tremolanti delle candele si riflettevano nello specchio rotto, moltiplicandosi decine di volte, come un cielo pieno di stelle.
    Sillen chiuse gli occhi e regolò il respiro, concentrandosi sulle sensazioni che stava provando: era tesa, frustrata, i muscoli contratti. E per la prima volta dal suo risveglio, fu assalita dalla consapevolezza di essere completamente vuota: il suo potere non esisteva più, la sua luce e il suo calore erano perduti per sempre. Il suo corpo era diventato stranamente pesante, come fosse fatto di pietra e la collana ciondolava su di esso, altrettanto pesante.
    Era come se una parte di lei, le sue radici, la sua identità, l’avessero abbandonata a sé stessa, indifesa. Inconsciamente, Sillen aveva passato la giornata divorata da quella verità, ma aveva tentato di mantenersi salda e forte, davanti ai suoi compagni. Adesso, sola nell’intimità della sua stanza, desiderava soltanto di poter tornare indietro, di poter ricominciare da capo e correggere tutti gli errori che aveva commesso. Voleva svegliarsi e trovare Emlinel sulla porta; voleva passeggiare con Felon lungo i corridoi che la portavano alla Sala del Trono; voleva che Thranduil la guardasse in quel modo speciale, mentre le raccontava lunghe storie su guerre ormai passate; voleva che la baciasse come aveva fatto nella Sala delle Udienze e, questa volta, non voleva fuggire.
    Un singolo singhiozzo le sfuggì dalle labbra tremanti e s’immerse completamente nell’acqua, trattenendo il respiro. L’ovattato silenzio sotto la superficie placò per un attimo i suoi pensieri e si sentì quasi leggera.
Solo per un momento.
    Una sensazione di pericolo le attanagliò le viscere e spalancò gli occhi, fissando la superficie davanti a lei: attraverso le sottili increspature dell’acqua, due grandi occhi luminosi come stelle ricambiarono il suo sguardo.
    Sillen sentì il sangue gelarsi nelle vene e avvertì l’immediato bisogno di urlare ma, non appena aprì la bocca, un fiotto d’acqua la invase. Fece per riemergere e prendere fiato ma due mani le trattennero la testa, spingendola con violenza contro il fondo della vasca. Sillen sentì il panico invaderla.
    Era di nuovo lì, era quell’altra.
    E la stava annegando.
    L’acqua era bassa e solo una spanna la separava dall’aria: il bisogno di respirare le fece andare il sangue alla testa.
    Aveva paura, come mai prima di allora. Questa volta, nessun potere avrebbe preso il suo posto per combattere, per proteggerla, nessuno l’avrebbe salvata. Sentì il proprio urlo muto rimbombare nelle orecchie, ovattato, soffocato dall’acqua.
    Afferrò con forza i bordi della vasca, in un disperato tentativo di contrastare quella forza ma fu come spingere contro due colonne di granito.
    Dimenando le braccia e le gambe, Sillen non poté fare altro che fissare attraverso l’acqua agitata quegli spietati occhi di luce, incastonati nel suo stesso volto martoriato.
    Finché le mani non divennero improvvisamente quattro.
    Sillen si aggrappò con forza a quelle nuove mani, divincolandosi come un pesce nella rete. Finalmente, com’erano arrivate, le mani di quell’altra sparirono, permettendole di riemergere. Subito, l’aria calda della sera non riuscì ad arrivarle nei polmoni e dovette tossire a lungo per tirare su tutta l’acqua che aveva ingoiato. Il fatto che stesse urlando e piangendo poi, non migliorava certo le cose.
    Si passò una mano sugli occhi, ansimando per la paura e la fatica, stretta spasmodicamente all’individuo che l’aveva tirata fuori dalla vasca. -Sillen?!- La stava chiamando da un po’ ma lei ancora non aveva trovato le forze per rispondere.
    La stella si guardò attorno, a scatti, cercando quell’altra.
    Ma non c’era più, era di nuovo sparita.
    Allora sollevò gli occhi arrossati dall’acqua e dal pianto e incontrò quelli dorati di Glorfindel, che la fissavano con evidente preoccupazione. La stella singhiozzò, aggrappandosi alla sua camicia, senza riuscire ad articolare una parola. Lo sentì imprecare per parecchie volte, e in più di una lingua, mentre tentava di aiutarla a riprendersi.
    Le scostò i capelli bagnati dalla faccia, guardandosi attorno a sua volta: nemmeno lui aveva idea di cosa fosse appena successo ma ciò che aveva percepito entrando nella stanza lo aveva allarmato, e non poco. Le avvolse un grosso panno attorno alle spalle, sfregandole le braccia per asciugarla.
    -L’hai v-v-isto a-anche tu?- Batté i denti lei, tremando per il terrore, il freddo e la tensione muscolare. Glorfindel scrollò la testa ma si affretto a sollevarla, adagiandola sul letto. La ricoprì di coperte, cercando di riscaldarla, invano: -Cosa è successo? Ti sei sentita male?- Domandò, con un tono d’urgenza che lasciava trasparire lo spavento appena provato. Sillen scosse la testa, rifiutandosi però di allentare la presa delle sue dita sulla sua camicia.
    Glorfindel, ancora irrigidito da ciò che avevano appena vissuto, sedette sul bordo del letto, respirando a fondo: -Non posso allontanarmi un secondo che subito ti vai a cacciare nel guaio successivo. Ho perso mille anni di vita.- Commentò, sfinito.
    La stella si chiuse su sé stessa, tra le coperte, e posò la fronte sulla spalla dell’elfo, assorbendone involontariamente calore ed energia come un’assetata: -E-era lei. Era l-lei.- Biascicò, tremando. Glorfindel le sfregò la schiena con la mano calda e, fingendo di non accorgersene, lasciò che prendesse più energia possibile dal suo corpo: -Shh, è passato, Sillen. è tutto finito, va tutto bene.- E cercò di autoconvincersene allo stesso modo.
    -Davvero non hai visto niente?- Chiese lei, una volta stabilizzata la voce. Glorfindel strinse le labbra: non aveva visto niente nella stanza ma come spiegarle ciò che aveva provato? Era come se un’immensa energia oscura e antica si fosse raggrumata in quella stanza e avesse inghiottito tutti i pensieri felici, le emozioni positive e la luce del mondo.
    Scosse la testa, accarezzando i capelli fradici della stella. Il suo tremore stava via via diminuendo e l’elfo lanciò uno sguardo alla porta d’ingresso: aveva lasciato cadere il vassoio con la cena, che disastro.
    Decise d’impulso di non spaventarla ulteriormente, convinto che, se avesse voluto, sarebbe stata lei a parlarne per prima: -Ho visto soltanto te che annegavi nelle due spanne d’acqua della vasca, Sillen. Puoi spiegarti? Che cosa è successo esattamente?-
    La stella cercò le parole adatte per spiegare ciò che era davvero successo ma, ripensandoci, chiuse gli occhi, allontanandosi leggermente dall’elfo. Era certa che, se avesse raccontato una cosa simile, l’avrebbero presa per pazza e non le avrebbero permesso di partire: perché quella era una cosa folle e assurda, non esisteva nessun’altra lei.
    -Sono scivolata.- Mentì. E, ovviamente, l’elfo dorato non le credette nemmeno per un istante: -Mhm.- Non commentò oltre, temendo di farla innervosire nuovamente.
    Sillen tirò su con il naso, raddrizzandosi e riprendendo fiato:
-Devo vestirmi.- Convenne, passandosi una mano tra i capelli bagnati per scostarli dalle coperte pulite. Glorfindel sollevò le mani: -Aspetta, prima fammi uscire, è meglio. Non che ci sia qualcosa che io non abbia già visto, ormai.- Commentò, cercando di non rendere troppo evidente il tono malizioso che aveva spontaneamente tinto le sue parole.
    In realtà, ci teneva davvero a mantenere un certo contegno: ne aveva decisamente abbastanza di vedere la stella senza vestiti, per una sera.
    Lei annuì, senza cogliere il suo disagio: che differenza faceva averla vista o meno? Certe volte quell’elfo faceva commenti davvero strani.
    E lui non se ne sorprese affatto: era probabile che la Stella nemmeno avesse mai indagato su cosa volesse effettivamente dire essere maschio o femmina. Tantomeno le avrebbe sfiorato la mente l’ampio registro delle possibili relazioni tra i due.
    Thranduil aveva fatto un pessimo lavoro, pensò tra sé e sé.
    -Faccio presto.- Lo rassicurò. L’elfo, prima di muoversi, abbassò lo sguardo sulle mani di lei, ancora serrate sulla sua camicia: -Sì, se mi lasci andare.- L’altra seguì il suo sguardo e schiuse le labbra, mortificata. Staccò le dita intorpidite e rigide una ad una, liberandolo. Lui sorrise, strizzandosi i lembi delle maniche fradice: -Hannon le (grazie).-
    Si avviò fuori dalla stanza ma lei lo richiamò appena prima di vederlo varcare la porta: -Glorfindel?- Questo si voltò a guardarla e, tristemente, lesse ancora paura nei suoi occhi violetti. -Non ti allontanare, per favore.- Lui annuì, serio: -Resto qui davanti. Chiama, se hai bisogno.- E richiuse la porta dietro di sé.
    La stella respirò a fondo, sentendo il cuore martellarle nel petto. Azzardò, a bassa voce: -Sei ancora qui? Chi sei?-
    Nessun fiato, nessun rumore la raggiunse. Forse stava davvero diventando pazza: che fosse il caso di rinunciare al viaggio da sé?
    Scosse la testa, stringendo le lenzuola: no, non avrebbe osato.
    Si affrettò a infilare la veste da notte, strizzando l’acqua dai capelli: -Glorfindel, puoi entrare.- Alzò la voce, impaziente di annullare quell’opprimente solitudine.
    L’elfo spinse la porta con una mano, intento a raccogliere i cocci rotti da terra. Lo sguardo della stella vagò dispiaciuto sulla loro cena, sparsa sul marmo: -Mi dispiace tanto.- Lui scosse una mano, sorridendo: -Non importa, ho mandato le due guardie vicine a prendere qualcos’altro.- Posò il vassoio e ciò che aveva raccolto sulla panca e spolverò la camicia bianca, ancora bagnata. -Tu hai la faccia di chi deve dormire per una settimana di fila, sai?- Le fece, incontrando i suoi occhi violetti cerchiati da occhiaie profonde e lei sorrise, mesta: -In effetti, credo che crollerò.-
    -Non così in fretta. Prima devo cambiarti le medicazioni.- La avvertì, indicando una borsa di cuoio gettata con poca cura vicino al letto: -Di solito è Aragorn ad occuparsene ma non ti ha trovata, prima. Quindi mi ha chiesto di passare, mentre andava a riposare.-
    Sillen annuì, lasciando che l’elfo la sospingesse verso il letto. -Tieni su i capelli.- Chiese lui, arrotolando le maniche.
    S’inginocchiò davanti a lei e dispose metodicamente le boccette di medicinali affianco a sé. Con movimenti sicuri, cominciò a srotolare le bende candide del collo e Sillen sussultò quando l’ultimo strato di esse si distaccò dalla carne ancora tremendamente infiammata. Glorfindel strinse le labbra, dispiaciuto e cominciò a medicarla con delicatezza, estremamente concentrato.
    Per distrarsi dal crescente dolore, la stella osservò il viso familiare dell’elfo dorato, così spontaneamente vicino al suo. Non aveva mai fatto caso a quanta naturalezza riuscissero a interagire, sia nella mente che nel corpo. Ne gioì, tra sé e sé.
    -Non volevo caricarti di questa responsabilità, Glorfindel.- Sussurrò. Lui sorrise, senza distogliere l’attenzione dalle ferite:
-Non avevi scelta. So che trovi questa situazione insostenibile, sai? Nemmeno posso immaginare come dev’essere ritrovarsi privi del proprio potere.- E infierì: -Inoltre, comprendo la tua rabbia. Dopotutto, non poter guidare la spedizione e non essere più degna di scoprire il segreto di Mithrandir non è certo onorevole per la Stella dei Valar.- Il suo sorriso si allargò ulteriormente e la stella, ignorando il dolore al collo, lo colpì al petto con un debole pugno: -Fai silenzio, elfo fastidioso. Sono ancora perfettamente in grado di metterti al tappeto.- Lo avvertì, falsamente minacciosa, provocando la melodiosa risata dell’amico. -Chiedo scusa, che impudente.-
    Scherzarono a lungo, fino a che il dolore non divenne più sopportabile. La presenza dell’elfo dorato, come sempre, scacciò tutta la negatività che circondava la stella, rilassandola gradualmente più di quanto avrebbe potuto fare il bagno caldo.
    Quando Glorfindel cominciò a riporre le medicine, Sillen si stiracchiò con un grande sbadiglio poco aggraziato, sollevata. Incrociò le gambe sul materasso, innocentemente: -Dormi con me, Glorfindel.-
    Un considerevole numero di boccette caddero a terra, in uno scroscio tintinnante. L’elfo spostò lo sguardo da lei alle medicine sparse a terra e poi viceversa, le sopracciglia contratte e le labbra schiuse in un’espressione confusa. Sillen ricambiò lo sguardo, sorpresa e confusa quanto lui. -Io vado a vedere se arriva la cena.- Concluse questi, volgendosi verso la porta e allontanandosi a lunghi passi nel corridoio. La stella non fece in tempo a fermarlo e si guardò attorno, di nuovo angosciata: -Che cosa ho detto di male?-

 
**

    Glorfindel si passò una mano sul viso, cercando di trattenere le risate. Quella stella era davvero un pozzo di sorprese.
    Si scrollò la tensione di dosso, cercando di togliersi dalla testa qualsiasi pensiero poco consono gli fosse sorto spontaneo alle parole della stella: di solito non apprezzava così tanto il gentil sesso e non voleva fare eccezioni proprio ora.
    Dopotutto, aveva altri piani per lei.
    Come se non bastasse, finì quasi per sbattere contro il Re degli Elfi, che marciava a testa bassa verso di lui. -Parli del diavolo.- Commentò. Thranduil, colto di sorpresa, fissò prima l’elfo dorato, poi il corridoio alle sue spalle. E, evidentemente, quello che dedusse non lo rese per niente allegro.
    Glorfindel gli sorrise, intuendo al volo i suoi pensieri: -Cerchi qualcosa, heru en amin (mio signore)?- L’altro lo fulminò con uno sguardo, contraendo la mascella: -Che cosa ci fai tu qui?- Chiese, con falsa noncuranza.
    Glorfindel si passò una mano affusolata tra i capelli ancora umidi, senza smettere di sorridere: -Sillen aveva voglia di fare un bagno.-
    Per un secondo, Thranduil non riuscì né a dire, né a fare niente. Cercò di elaborare quell’informazione, come se gli fosse assolutamente incomprensibile. Glorfindel però, vide chiaramente la sua sorpresa tramutarsi in rabbia e ne fu segretamente compiaciuto.
    In un secondo, si trovò premuto contro il muro del corridoio semibuio, la temibile spada affilata del Re degli Elfi troppo vicino alla sua gola. Thranduil cercò di regolare il respiro, impedendo alla propria mano di sventrare l’elfo davanti a lui: -So che stai mentendo.- Ringhiò. Glorfindel strinse gli occhi a due fessure, serafico: -Allora perché ti scaldi tanto?-
    Stava giocando con lui come il gatto con il topo e solo allora Thranduil capì che non era affatto lui ad avere il coltello dalla parte del manico. Glorfindel continuava a provocarlo, a metterlo alla prova e ora aveva avuto modo di vedere i suoi sentimenti e le sue emozioni tanto chiaramente che pareva quasi li avesse urlati.
    Sì, perché anche se Thranduil aveva inteso da subito che il Vanyar stesse mentendo, il solo pensiero di lei in quella circostanza lo aveva destabilizzato oltre ogni razionale limite.
    E doveva ammetterlo prima di tutto a sé stesso, se voleva contrastare il gioco di Glorfindel.
    -Che tu sia dannato.- Lo lasciò con uno scatto nervoso, facendo sibilare la lama elfica. L’altro si massaggiò il collo, fissandolo negli occhi: -Non ti conviene metterti contro di me, giovane Re degli Elfi.- In quel momento, un giovane si avvicinò, reggendo un vassoio stracolmo di cibo. Glorfindel sorrise, facendogli segno di avvicinarsi.
    Thranduil seguì il vassoio con lo sguardo e lo vide passare dalle tozze mani dell’uomo a quelle grandi e affusolate dell’elfo dorato.
    Questo, prendendo tra le dita un chicco d’uva, si rivolse per l’ultima volta a lui, alzando leggermente la voce: -Se non ti decidi a impegnarti per avere ciò che desideri, mio signore- e piantò gli occhi dorati in quelli di ghiaccio dell’altro, senza velare la sottile minaccia -lo farò io.- E si avviò nel corridoio, voltandogli le spalle.
    Thranduil lo guardò, stringendo l’arma in pugno.
    Quello che lo aspettava, pensò, sarebbe stato davvero un lungo viaggio.

 
**

    Quella mattina, stranamente, cominciò a piovere all’alba. La luce entrò grigia e soffusa nella stanza della stella ma la Stella dei Valar mugolò, comunque infastidita. Nessuno aveva tirato le tende, la sera prima.
    Sospirò forte e mugolò ancora tutto il suo scontento. Aveva bisogno di dormire altre dieci ore, come minimo. E faceva di nuovo freddo.
    Freddo?
    Si rigirò velocemente nel letto, avvertendo subito il vuoto al suo fianco e capì: aveva freddo perché Glorfindel se n’era andato. Si tirò a sedere di scatto, agitata, guardandosi intorno con movimenti nervosi.
    Come aveva potuto lasciarla sola, quel traditore?
    Tuttavia, si ritrovò a fissare proprio il viso perplesso di Glorfindel, seduto comodamente sulla sedia ben sistemata affianco al letto. -Beh, ti svegli tutte le volte così tu?- Commentò lui.
    Lei sentì il peso che le era piombato sul petto svanire e i suoi occhi si riempirono di lacrime: -Oh Glorfindel…- Questi sollevò le sopracciglia, a disagio: -Non metterti a piangere, adesso.-
    Sillen rise, abbracciandolo con slancio: -Pensavo te ne fossi andato.- Singhiozzò, felice, commossa e spaventata allo stesso tempo. L’elfo si lasciò abbracciare, un sorrisetto divertito sul viso d’alabastro: -Che grande considerazione hai di me. Ti avevo promesso che sarei rimasto fino al tuo risveglio.- Certo, aveva saggiamente optato per la più distante, innocente e sicura sedia non appena lei aveva preso sonno, ma Glorfindel di Gondolin mantiene sempre le sue promesse.
    Lei si asciugò le lacrime di nascosto, dietro la sua spalla: -Lo so. Però, non so quanto tu sia affidabile, in realtà.-
-Ma pensa, prima mi obbliga a diventare capo della spedizione e poi mi dà dell’inaffidabile.- Lei si staccò, sorridendo.
    Gli prese la mano, piena di gratitudine: -Grazie, mellonamin.- Lui le accarezzò il dorso delle mani con il pollice, addolcendo lo sguardo. -Vedrai che andrà tutto bene.-
    Poi si alzò, invitandola a fare lo stesso: -Adesso andiamo, i preparativi ci aspettano.-

 
**

    Legolas rientrò nella Cittadella con discrezione, diretto alla propria stanza. Per fortuna, nessuno parve notarlo.
    Non sarebbe stato facile dare spiegazioni sul perché si fosse dileguato nella notte per far visita a quello che di certo non era il suo accampamento.
    Attraversò in fretta il Cortile ma dovette rallentare all’istante quando, sotto il grande portico, la sagoma imponente di suo padre avanzò verso di lui. Legolas strinse i pugni, scocciato e, per un secondo, l’idea di ignorarlo ancora s’impose prepotente nella sua mente.
    Tuttavia, forse era arrivato il tempo di chiarire alcune faccende: dopotutto, nessuno dei due sapeva se si sarebbero rivisti, dopo quel giorno.
    -Adar (padre).- Lo chiamò, con voce dura. Thranduil sollevò lo sguardo su di lui e, per un attimo, a Legolas parve di scorgere una strana espressione sul viso di suo padre.
Qualcosa che somigliava vagamente alla preoccupazione.
Scosse la testa, ignorando quegli assurdi pensieri.
    -Legolas. Dove sei stato? Ti ho cercato stanotte, devo conferire con te per la disposizione dell’esercito.- Lo riprese l’altro, arrestandosi di fronte a lui. Lo sovrastava di quasi una testa e l’elfo biondo si sentì oppresso dal suo sguardo freddo e severo:
-Certo.- Acconsentì, a denti stretti. Drizzò le spalle e, automaticamente, adattò i tratti del viso a quella che Aragorn chiamava “l’espressione del Principe di Bosco Atro”, che tanto lo rendeva simile a suo padre.
    Giunsero insieme nell’ala Est della Cittadella e Legolas fissò con evidente disappunto le sale che Thranduil aveva scelto come zona privata. Quello si diresse nella stanza adibita a studio, accompagnato da un frusciare delicato di vesti. -Qui troverai le informazioni necessarie: viveri, armi, materia prima, tutto ciò che può servire. I generali sono ai tuoi ordini, disponine come meglio credi.- Allungò sulla scrivania di legno scuro una pila di fogli, rilegata da una striscia di cuoio: -Sempre che scomodarti ad interpretare il ruolo di Principe del tuo Regno non ti infastidisca troppo.- Aggiunse il Re, storcendo le labbra in un’espressione d’ironico disprezzo.
    Legolas lo guardò a lungo, sentendo un groviglio di emozioni serrargli la gola: era ferito, arrabbiato, imbarazzato. Voleva allontanarsi dal suo stesso padre, da colui che lo aveva cresciuto con la freddezza del generale e la severità del Re; quello che nemmeno immaginava il dolore che le sue sole parole gli procuravano.
    Invece, Legolas non riuscì a muoversi e i suoi occhi cercarono quelli del padre come una muta necessità: -Perché non mi hai fermato, quando sono partito per ripopolare l’Ithilien? Perché mi hai dato il tuo consenso?- Chiese in un soffio.
    Sarebbe voluto sprofondare, girare i tacchi e correre il più lontano possibile da lì, ma si limitò a osservare la reazione del Re degli Elfi, dinanzi a lui.
    Thranduil si voltò lentamente, una maschera di freddo distacco sul viso. Dal canto suo, non aveva alcuna intenzione di affrontare una simile discussione: -Non era più mio compito prendere decisioni al posto tuo.- Sibilò, facendo ondeggiare le lunghe maniche della veste argentea con un gesto spazientito.
    Legolas strinse i pugni: -Credevo avessi capito. Volevo dimostrarti di essere in grado di costruire qualcosa di grande. Se solo avessi visitato l’Ithilien una singola volta-
    -Tu hai scelto di andartene per servire il Re degli Uomini. Ora, cosa vorresti che ti dicessi? Dovrei forse gioire per l’incredibile altruismo dimostrato dal mio unico figlio?- Finì per alzare la voce, il Sindar, ma si affrettò a chiudere gli occhi, respirando a fondo.
    Dopo un po’, ritrovato il contegno, sollevò il mento, cercando di moderare i toni: -Dovrei gioire del fatto che il sangue del mio sangue abbia volutamente abbandonato il suo regno?-
    Legolas non aveva intenzione di sentirsi in colpa ancora una volta: la sua causa era giusta, le sue azioni erano nobili e l’egoismo di suo padre non doveva macchiare oltre le sue intenzioni. -Dovresti. Perché mi è stato insegnato che combattere per i propri ideali è giusto e legittimo. Che aiutare i compagni è un dovere!- Esclamò, puntandogli il dito contro.
    -Aiutare la tua gente, invece? Oh, non è abbastanza nobilitante secondo il tuo alto parere?- Thranduil si era avvicinato al figlio con un bagliore sinistro negli occhi, oscurando la luce nella stanza, deciso a farlo indietreggiare una volta per tutte.
    Legolas sentì la tensione mozzargli il respiro: suo padre voleva che ricordasse chi aveva di fronte. Come se potesse dimenticarlo.
    Ma l’elfo biondo si rifiutò di abbassare la testa, sopportando la pressione psichica del Re e sostenendo il suo sguardo di ghiaccio: -Non ti sei mai chiesto perché!?- Lo accusò, la voce carica di risentimento. Il volto di Thranduil si contrasse, a una spanna dal suo. Sì, si era posto molte volte quella domanda.
    E conosceva già la risposta.
    Sentì una fitta al petto, tanto forte da fargli perdere le forze.
-Fuori di qui, Legolas.- Ordinò, la voce profonda. L’altro strinse i pugni, troppo infervorato per notare il suo cambiamento: -è colpa tua, padre. Volevo renderti orgoglioso e invece me ne sono andato, sono scappato da te. E mai più ti permetterò di accusarmi di aver tradito il mio popolo. Io ho portato qualcosa di buono, di giusto, su questa Terra. Tu invece, non hai fatto niente per secoli. Resterai solo sul tuo Trono e io-
    Le parole gli morirono in gola quando, inaspettatamente, si ritrovò con il volto premuto contro la spalla del Re degli Elfi. Sentì le braccia di suo padre stringergli le spalle con forza, quasi tentasse di assorbirlo tutto intero.
    Non si sarebbe mai aspettato quella reazione.
    Tornò bambino, quando ancora poteva accadere che Thranduil lo sorprendesse con un gesto gentile, a volte affettuoso ma, per quanto scavasse nella sua lunga memoria, Legolas non ricordava di aver mai ricevuto un abbraccio. Non così, almeno.
    Rimase immobile, incapace di reagire. Non riuscì nemmeno a ricambiare l’abbraccio, troppo imbarazzato e orgoglioso.
    La voce di Thranduil lo raggiunse da sopra la sua testa e poté sentire ogni parola del padre vibrargli nel petto: -Volevo fermarti. Volevo che restassi. E certo che sono orgoglioso di te.-
    Legolas trattenne il respiro: -Perché non me l’hai mai detto?- Thranduil chiuse gli occhi, sfinito: -Forse non ne sono capace.-
Ricordava chiaramente le parole che la stella gli aveva rivolto, quando Legolas si ripresentò al Reame Boscoso dopo la lunga assenza: “Non ti ho mai immaginato come un padre amorevole, Thranduil. Ma credo di conoscerti almeno un po’ oramai e posso intuire quello che hai provato nel rivederlo. E sono certa che anche a lui sarebbe piaciuto saperlo.”
    Non si era reso conto di quanto quella donna l’avesse cambiato.
    Né di quanto gli fosse mancata la presenza di suo figlio. Quel continuo evitarsi, ignorarsi, lo stava logorando dentro.
    -Sono geloso, arrabbiato e questo non puoi cambiarlo, Legolas. Non perdonerò facilmente il tuo interesse verso le faccende del Regno degli Uomini. Vorrei che il tuo impegno fosse rivolto solo alla nostra gente, al nostro Regno. Perché è questo che dovrebbe fare un buon Re. Certo, so bene cosa questo può implicare: rinunciare ai legami di amicizia, sacrificare i propri successi. Vorrei che la pensassi a modo mio, perché per me essere un buon Re è facile.- Riprese fiato, ancora incerto se continuare il suo discorso confusionario. Lo aveva pensato molte volte ma pronunciare quelle parole ad alta voce era più difficile di quanto si fosse aspettato: -Essere un buon padre, invece, è tutt’altra cosa.-
    Sotto le dita, sentiva la morbidezza dei capelli del figlio, dello stesso colore chiaro dei propri: -Hai ragione. Non meritavi la mia freddezza ma non conoscevo altro modo per crescerti.- Legolas strinse le labbra, a quelle parole, trattenendosi dal rispondere: era la prima volta che suo padre si apriva in quel modo con lui.
-Tuo nonno, Oropher, era molto diverso da me. Sia come Re, sia come padre… Mi ha cresciuto con il miele.- Sorrise appena, Thranduil, ricordando. -Tu gli somigli, davvero. Più di quanto mi piaccia ammettere.- I ricordi si fecero più dolorosi e il Re degli Elfi sospirò profondamente, prima di continuare: -Perché io, a causa dei suoi modi, crebbi sensibile, emotivo ed avventato. E quando dovemmo affrontare il terrore della distruzione e della guerra[1], io non fui all’altezza. Salii al Trono completamente impreparato e indegno. Ho dovuto lottare a lungo per imparare a governare.-
    Prese il figlio per le spalle, per guardarlo nuovamente in viso. Vedere i suoi occhi sgranati, così simili a quelli di sua madre, gli strinse il cuore: -Non volevo che tu provassi le stesse cose. Speravo che in questo modo, il tuo animo non soffrisse i miei stessi patimenti.- Legolas si raddrizzò, composto: -Questo lo so.- E distolse lo sguardo, guardandosi attorno ancora scosso:
-Perdonami, non dovevo alzare la voce.-
    Thranduil fece un passo indietro e andò a sedersi sulla poltroncina dall’alto schienale, esausto: -Non scusarti. Va bene così. Avrei dovuto dirti queste cose molto tempo fa, dunque ti ringrazio per avermene dato occasione. Forse non potranno essercene altre.-
    L’elfo biondo si trattenne nella stanza, per nulla intenzionato ad andarsene proprio adesso: -Infatti. Questa guerra potrebbe rivelarsi fatale per molti di noi. Ma sono felice che tu sia qui.- Poi aggrottò le sopracciglia sottili, riflettendo: -Perché hai scelto di unirti alla causa? Cosa ti ha fatto cambiare idea?- Thranduil si massaggiò le tempie con una mano: dannazione, come faceva a spiegare qualcosa che a malapena comprendeva?
    -Dopo molte ricerche, ho convenuto che fosse il caso di intervenire. Il nemico era più potente di quanto avessi voluto vedere.- Legolas si aggiustò la camicia verde bosco, lanciandogli un’occhiata da sotto le ciglia per non farsi notare: -Dunque Sillen non c’entra niente.- Thranduil si voltò di scatto verso di lui, schiudendo le labbra: -Cosa intendi dire?-
    L’elfo biondo dovette trattenersi dallo scrollare la testa, incredulo: -Da quanto ho intuito, lei ti ha dichiarato il suo amore e tu l’hai respinta. Pensavo fossi qui per rimediare ma, quando ho visto come l’hai trattata nella Sala del Trono, mi sono ricreduto. Ora mi è tutto chiaro.- Thranduil lo fermò, piccato: -Lei si è dichiarata?- L’altro piegò la testa di lato, confuso: -Ho interpretato male?-
    Come fosse stato appena insultato, il Re sollevò il mento, chiaramente infastidito: -Malissimo, oserei dire. Lei non ha dichiarato proprio niente, tantomeno io. Ha sempre fatto i suoi comodi e non le è mai importato degli altri.- Precisò, senza che ce ne fosse bisogno.
    L’altro, intanto, ancora non riusciva a venire a capo di quell’intricato rapporto tra i due ma era chiaro che suo padre avesse frainteso qualcosa. Ricordava chiaramente Sillen, nel Cortile, confessargli candidamente di essere innamorata di suo padre, prima della battaglia.
    -Ti consiglio di parlarle perché, da quanto so, lei pensa ben altro di te.- Chinò la testa, rispettosamente: -Comunque, grazie per avermi donato il tuo tempo, Adar. Farò del mio meglio per guidare il tuo esercito.- Thranduil ricambiò il cenno e lo guardò uscire, con un velo di nostalgia nello sguardo.
    Inaspettatamente, quell’ultima, lunga e vuota giornata nella bianca Città dei Re si era dimostrata di enorme importanza.
    E non l’avrebbe mai più dimenticata.



 
 
[1] In questo suo discorso, Thranduil ricorda gli avvenimenti della Prima e della Seconda Era, che caratterizzano il suo burrascoso passato. Anche se la sua data di nascita è sconosciuta, pare abbia combattuto e sia sopravvissuto alla Battaglia delle Mille Caverne, al Secondo Fraticidio e alla Rovina del Doriath (la sua terra natia). Forse prese parte anche alla Guerra d’Ira. Salì al trono nell’anno 3434 S.E, quando suo padre Oropher (primo Re di stirpe Sindar a governare sugli Elfi Silvani) perse la vita nella Battaglia di Dagorlad, al fianco dell’Ultima Alleanza contro gli eserciti di Sauron.


 


 
N.D.A

Ciao a tutti!

Anche questa settimana sono riuscita ad aggiornare, sono molto contenta T-T
Chiedo scusa in anticipo, perché ancora per questa volta non ci siamo calati nel cuore dell’avventura XD
Questo capitolo è sicuramente un intermezzo, un focus su alcuni personaggi prima della loro partenza ma non ho avuto il cuore di tagliarlo via. Seppur siano di certo tutte situazioni “riassumibili”, non me la sono sentita e ho preferito rendervi partecipi di quanto avevo immaginato senza sottovalutare niente. Fatemi sapere se vi è parso un episodio pesante o noioso, oppure se avete trovato la lettura piacevole e ben inserita.

Spero di pubblicare presto il prossimo capitolo in modo da non spezzare troppo drasticamente il filo avventuroso della storia. Scusate, non volevo far scendere l’hype, in poche parole ahahah

Ringrazio tanto chi ha seguito la storia, l’ha preferita e/o recensita! E un grazie a chiunque sia arrivato fino a qui!

Un bacio grande e alla prossima!
Aleera
   
 
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