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Autore: Marti Lestrange    07/12/2020    7 recensioni
L’Istituto Correttivo per Giovani Maghi e Streghe di Haydon Hall non è un bel posto, e basta una sola occhiata per dirlo, ma James Sirius Potter è costretto a trascorrervi un intero anno, per scontare una punizione che in fondo sa di meritare. Quando mette piede nella Scuola non si aspetta, però, che l’atmosfera da incubo lo trascinerà in un incubo vero, con radici profonde in parti della storia magica che nessuno vuole più ricordare, segreti di famiglia e purezza di sangue, lacrime e morte. Una storia in cui la giovane Emma Nott, studentessa ribelle appena arrivata alla Scuola, non può non rimanere invischiata, il richiamo del suo stesso sangue troppo forte per opporsi.
[ dal testo: Nessuno sa quando tutto è cominciato, qui alla grande casa. C’è chi dice che l’inverno del 1981 sia stato uno dei più duri, sia per coloro che vivevano al villaggio, sia per chi abitava tra queste mura fredde e spoglie; c’è chi asserisce che non ci sia stata primavera più bella di quella che ne è seguita, quando cespugli di rose sono cresciuti, a maggio, nei giardini e tra le siepi, e si sono arrampicati sulla facciata ovest, per poi morire ai primi freddi successivi. ]
Genere: Horror, Romantico, Sovrannaturale | Stato: completa
Tipo di coppia: Het, Slash | Personaggi: James Sirius Potter, Michael Corner, Nuovo personaggio, Pansy Parkinson, Theodore Nott
Note: Lime | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Dopo la II guerra magica/Pace, Nuova generazione
Capitoli:
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- Questa storia fa parte della serie 'GENERATION WHY.'
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THE HAUNTING OF HEYDON HALL

 

CAPITOLO CINQUE

 

 

“Su quale linea di confine la follia 
ha termine e la realtà ha inizio? 
È possibile che persino 
quella mia paura conclusiva 
sia stata mera illusione?”

H. P. Lovecraft, L’ombra su Innsmouth 

 

 

Rosham Village, 15 luglio 1969

Carissimo,

è così strano essere a casa senza di te. La campagna qui intorno è un tripudio
e ogni fiore, ogni foglia, ogni nuvola, mi ricorda le nostri estati. Mi manchi e
la natura me lo rammenta ogni giorno. 

Il villaggio è sempre uguale, i pettegoli anche. Scappo dalle sue vie, che
sussurrano segreti e voci, e mi perdo nel tuo parco. Il passaggio segreto sembra
sia rimasto tale e faccio sempre attenzione a che nessuno mi osservi mentre lo
attraverso. Non potrei permettere che qualche malintenzionato faccia irruzione
e chissà cos’altro. 

Siedo sulle rive del laghetto e osservo i cigni dormicchiare e amarsi, mi perdo
nel roseto e penso a tua madre che si occupa dei fiori, leggo appoggiata al ramo
della nostra quercia e, in tempo per il calare del buio, mi alzo e, prima di andare,
ripasso con le dita le nostre iniziali incise, chiudo gli occhi e ti immagino qui,
vicino a me, ricordo il tuo sorriso scanzonato e bello e i tuoi occhi grigi di pioggia.
Vorrei che ora quella pioggia mi potesse bagnare, così ti sentirei accanto a me,
ma non piove da quattordici giorni,
tu non ci sei da quattordici giorni, e cerco
di immaginarti in mezzo alla campagna irlandese, e forse sei felice?, ti diverti?
Mi auguro con tutto il cuore di sì. 

 

Io attendo il tuo ritorno. Altri quattordici giorni. 

 

Sempre tua,
E.

 

Mount Stewart, Irlanda del Nord, 18 luglio 1969

Mia adorata E.,

scusa se la mia risposta ha tardato di qualche giorno rispetto al solito,
ma mia cugina non è riuscita a passarmi prima la tua lettera senza destare sospetti.
Qui il clima è teso e mia madre scalpita per tornare a casa,
mentre mio padre è restio a lasciare sua sorella prima del termine stabilito.
Un giorno o l’altro scoppierà un casino e tutti
si renderanno conto di che matrimonio malato sia il loro.
Per quel momento spero di essere molto lontano da qui,
insieme a te, dove niente e nessuno potrà separarci e farci del male.

Saperti lì a Rosham Village, tutta sola, mi stringe il cuore.
Vorrei salire sulla scopa e raggiungerti, e stringerti,
ma so che non posso, so che mi fermerebbero subito
e dovrei dare mille spiegazioni e tutto ciò che voglio
è non metterti in pericolo, e non esporti con i miei genitori,
sarebbero capaci di distruggere tutto - di distruggerti - con il loro veleno. 

Qui in Irlanda il sole sembra non uscire mai,
il cielo è grigio (tu diresti come i miei occhi, da poetessa che sei)
e le giornate trascorrono lente e pigre.
Fortunatamente ho la compagnia di mia cugina.
Sentiamo molto la tua mancanza e parliamo quasi sempre di te,
forse più di quanto dovremmo, credo abbia una pazienza infinita e
spesso mi ha fermato dal dire cose che avrebbero compromesso tutto. 
Le sono debitore in tanti modi diversi, ma questo lo sai già. 

Tutto ciò che desidero è tornare a casa,
è la prima volta nella mia vita che non vedo l’ora
di rivederne le guglie e le torri maledette,
perché vorrebbe dire riabbracciarti, e baciarti,
e stringerti in qualche stanza vuota,
mentre il mondo fuori scompare e rimaniamo solo noi,
solo e soltanto noi. 

 

Poco meno di quattordici giorni, adesso, mio amore.

 

Sempre tuo. 

 

🥀

 

Heydon Hall, Norfolk, 10 settembre 2023

Emma lasciò cadere le lettere sul letto, sospirando, pensierosa. Era domenica e il dormitorio era silenzioso. Tutte le sue compagne stavano ancora dormendo e il letto di Isabelle, accanto al suo, era ancora vuoto e freddo. 

Nelle ore subito successive all’alba, Emma si era svegliata, disturbata, come se una corrente d’aria fredda le soffiasse sul collo. Si era guardata intorno, ma ovviamente non c’era nulla, a parte altri letti e i respiri delle ragazze che spezzavano l’immobilità della stanza. Ovviamente non c’era nulla: cosa si era aspettata di vedere? 

 

[IL RICORDO DI QUELLA NOTTE]

 

Ciò che era successo quella notte nell’ala ovest era impresso dietro le sue palpebre, a fuoco. E ciò che aveva visto nello specchio si mischiava a ciò che Emma credeva di aver visto: era comparso davvero il volto di una donna oppure se l’era semplicemente immaginato? Solo perché si trovava in quella camera da letto inquietante, pregna di polvere e ricordi andati in fumo, tracce di una vita ormai spezzata che però pesavano come macigni e puzzavano di morte? Solo perché Archie le aveva riempito la testa con quelle assurde storie di fantasmi e spettri? Lei era abituata ai fantasmi, a Hogwarts, e non somigliavano per niente a ciò che aveva visto - o creduto di vedere - in quello specchio. Tutto ciò di cui era certa era però la paura: aveva avuto veramente paura, in quei pochi istanti. Una paura fredda e glaciale che le era strisciata addosso come un manto di ghiaccio, per trascinarla via con sé, in sepolcri di ossa e cenere. Rabbrividì sotto le coperte e se le tirò fin sotto il mento. Non voleva ripensare oltre a quella cosa, qualunque fosse stata la sua natura. 

 

[LE LETTERE]

 

Appena sveglia aveva afferrato il fascio di lettere trovate nel cassettino e le aveva sfogliate rapidamente, aprendo con cautela il fiocco e sciogliendo il nastro che le teneva insieme. Le rose secche erano scivolate sulla coperta, sgretolandosi sotto i colpi impietosi del tempo. Emma le aveva spazzate via: non le voleva sul letto, le ricordavano quella stanza immobile e putrefatta. Le lettere sembravano ordinate, addirittura in ordine cronologico, come se la persona che le aveva conservate le avesse poi sistemate con cura dopo averle ricevute. Di una cura quasi maniacale. Emma aveva sfilato le prime due, e aveva notato che, sulle buste ingiallite, non era indicato né nome né cognome del destinatario. Incuriosita, aveva cominciato la lettura. 

Ora si soffermò ad osservare il riflesso del sole sulla parete di fronte a lei, non riuscendo a smettere di pensare a E., la misteriosa ragazza che attendeva il suo innamorato, al quale era legata da un amore contrastato e pericoloso, per colpa della famiglia di lui, che avrebbe potuto rovinare tutto, e addirittura arrivare a farle del male. Si chiese quanto disfunzionale potesse essere una famiglia che impediva al figlio di essere felice. Si sentì immensamente fortunata, ad essere figlia di due genitori che non l’avevano mai giudicata, e che non le avevano mai impedito di fare le sue scelte, anche se a volte poteva voler dire cadere e farsi male. Solo così avrebbe imparato la lezione, le dicevano sempre. La pazienza dei suoi genitori sembrava però essersi esaurita quando avevano deciso di spedirla a Heydon Hall. «O questo o l’espulsione da Hogwarts, Emma», le aveva spiegato suo padre, ed era stato più che chiaro. Era sicura però che non avrebbero mai e poi mai contrastato una sua storia d’amore, chiunque fosse stato l’interessato. 

 

[JAMES]

 

Il pensiero di Emma andò a James e subito dopo si diede della deficiente: come le veniva in mente di pensare a Potter proprio in quel momento? Il comportamento del ragazzo la notte prima l’aveva mandata in paranoia, doveva riconoscerlo. Le aveva baciato la mano e aveva continuato a guardarla in quel modo strano che le faceva accartocciare lo stomaco, e poi si era spaventato a morte quando lei era salita sulla scala, ma ovviamente chiunque si sarebbe preoccupato, al suo posto, no? Non voleva dire niente. Proprio niente. 

 

🥀

 

Heydon Hall, Norfolk, 12 settembre 2023

James si sentiva stranamente nervoso. Gli prudevano i palmi delle mani e gli sembrava anche di aver sudato come un troll. 

 

[LE LEZIONI DI QUIDDITCH]

 

Quella mattina aveva iniziato le lezioni di Quidditch, come gli era stato chiesto dal preside Corner. Per prima cosa, era partito dal gruppo formato dai ragazzini del primo e del secondo anno, che richiedevano una vera e propria formazione, visto che la maggior parte di loro non era mai (o quasi mai) salito su una scopa, prima. Qualcuno se la cavava perché gli era stato insegnato qualcosa durante l’infanzia, e qualcun altro, per lo più del secondo anno, era più avanti grazie alle lezioni impartite l’anno prima dal professor Roberts. Ma gli altri erano quasi tutti delle frane e James si era dato da fare per indirizzarli e guidarli. Al termine della lezione gli erano sembrati tutti entusiasti e, quando lo avevano salutato, lo avevano fatto con una luce nuova negli occhi. E James si era sentito di nuovo nel suo elemento. E felice. Di una felicità pura, come non accadeva da giorni. Finalmente, da che aveva messo piede a Heydon Hall, si sentiva completo. E di nuovo se stesso. 

Nelle prime due ore del pomeriggio aveva avuto a che fare con il gruppo intermedio, cioè quello formato dai ragazzi del terzo, quarto e quinto anno, e, a dispetto delle aspettative, si erano comportati bene. Incredibilmente, sembravano rispettarlo, nonostante non fosse poi così più grande di loro, ma lo guardavano e lo ascoltavano in modo attento, seguivano le sue indicazioni ed era difficile che rispondessero male. Insomma, anche in quell’occasione il riscontro era stato positivo. Ora, nelle ultime due ore del pomeriggio, lo attendeva l’ultimo gruppo, quello del sesto e settimo anno, e James sapeva, anzi, era certo, che quelli li avrebbero dato problemi. Li dividevano pochi anni e lui non era una figura così marziale e seria da incutere timore e reverenza, non era come il vecchio professor Thompson1, l’insegnante di trasfigurazione di Heydon Hall, che riusciva a zittire un’intera classe solo con la sua inquietante presenza. No, lui era solo James Sirius Potter, un diciottenne qualsiasi. 

Aveva preparato le scope (quelle in dotazione alla scuola e usate per gli allenamenti) e la scatola con le palle, sistemato il campo e ordinato i coni utilizzati per il riscaldamento. Era tutto pronto e i primi studenti cominciarono ad arrivare al campo alla spicciolata, ma divisi per anni. Prima giunsero quelli del sesto anno. Indossavano già tutti la tenuta regolamentare del Quidditch di Heydon Hall, molto simile a quella di Hogwarts: un pantalone bianco, una felpa (in questo caso nera per tutti, il colore della scuola) e un paio di scarpe comode. James si accorse di aver allungato il collo per cercare Emma in mezzo agli altri, e la scorse alla fine del gruppetto, camminava fianco a fianco con Archie Fletcher e i due parlavano fittamente. 

 

[PENSIERI SU EMMA]

 

In quei due giorni l’aveva vista pochissimo, e solo di sfuggita, ai pasti e nei corridoi. Lei aveva sempre replicato ai suoi saluti con un cenno della testa o della mano e James l’aveva vista pensierosa e distratta, non tanto perché non si fermava a parlare con lui (sapeva che non era saggio che altri li vedessero chiacchierare, lui era pur sempre un membro del personale della scuola), ma perché leggeva nei suoi occhi una certa lontananza, come se fosse immersa in pensieri vorticanti e immensamente grandi. Non avevano avuto modo di parlare e discutere di ciò che era successo sabato notte, e James era curioso di sapere se Emma avesse cominciato a leggere le lettere trovate, anche se, curiosa com’era, era sicuro di sì. Inoltre, avrebbe volentieri pagato più di qualche galeone per sapere cosa le passasse per la testa. Soprattutto perché, se n’era reso conto a posteriori, ragionandoci lucidamente, durante la loro “avventura notturna” lui aveva finito per esporsi, intenzionalmente o no, prima baciandole la mano e poi manifestando tutta la preoccupazione che lo aveva assalito quando l’aveva vista salire su per quella scala dissestata, tutta la paura che potesse succederle qualcosa. Si era esposto senza nemmeno farlo apposta e, a dire il vero, a ripensarci ora, si sentiva anche un po’ un babbeo, ma ormai era fatta, non avrebbe potuto tornare indietro neanche volendo - e forse non lo voleva. Quindi si era limitato ad attendere un momento in cui poterle parlare e ad osservarla da lontano. 

Lei ed Archie si fermarono di fronte a lui e salutarono insieme ai compagni. Archie gli rivolse un sorrisetto ed Emma lo guardò negli occhi, dritta al punto. James distolse lo sguardo per un solo momento, sentendosi disorientato. «Benvenuti», cominciò. «Prima di iniziare attendiamo quelli del settimo. Penso stiano arrivando.»

 

[DRAKE FLITT]

 

Infatti il gruppetto dell’ultimo anno stava marciando in direzione del campo proprio in quel momento. Il campo si trovava nel retro di Heydon Hall ed era diviso dalla grande casa da un sentiero erboso, che in quel momento era fangoso per la pioggia che era caduta il giorno prima. A capo della delegazione James notò subito Drake Flitt, quello che gli era stato additato come studente più turbolento della scuola. Alto e largo di spalle, James doveva riconoscere che era proprio un bel tipo, nonostante non gli piacesse affatto la luce che gli brillava perfida in fondo agli occhi verdi. Non aveva una faccia da bravo ragazzo, Drake Flitt. Si fermò davanti a lui, le mani nelle tasche dei pantaloni della divisa e il sorriso sghembo. Sfacciato. James ricambiò lo sguardo con ostinazione e fermezza, gli occhi fermi. Non aveva certo paura di Flitt e del suo fascio di muscoli. Un paio di altri energumeni lo affiancarono, probabilmente i suoi scagnozzi. Ovviamente, Charles Baker, il cretino impomatato del quinto anno che aveva fatto un po’ troppo lo spiritoso con Emma, mancava all’appello: James aveva avuto a che fare con lui nella lezione precedente, e lo aveva trovato decisamente silenzioso, senza i suoi amici a dargli man forte. Non era nemmeno granché a Quidditch. James ne era stato segretamente compiaciuto, e si era anche dato dello stupido per quella competizione senza quartiere che lo rendeva solo estremamente immaturo. E fuori luogo, visto che era un suo “studente”. Ma sotto sotto non poteva che esultare a vedere che Baker, nonostante il bell’aspetto da fantoccio col ciuffo, non fosse poi granché. Drake venne raggiunto anche da un paio di ragazze, che dovevano far parte della sua cricca, e una delle due, dai lunghi capelli rossi, gli strinse il braccio, possessiva. James immaginò fosse la sua ragazza.

«Bene, visto che ci siamo tutti possiamo cominciare», iniziò distogliendo lo sguardo da Flitt. 

 

[L’ALLENAMENTO]

 

«Come dobbiamo chiamarla?» intervenne proprio quest’ultimo. James tornò a guardarlo, aggrottando le sopracciglia. «Potter, professore o signore?» Sentiva del sarcasmo, nella voce del ragazzo, ma decise di ignorarlo. 

«Non sono un insegnante, sostituisco solo in via temporanea il professor Roberts in attesa che venga chiamato un sostituto», spiegò. «E non sono così vecchio da essere considerato un “signore”. Potter andrà bene. O James, per chi preferisce.» Lanciò uno sguardo ad Emma e Archie, ai quali si era unito anche Tyler, e tutti e tre gli sorrisero. Quel sorriso valse come diecimila incoraggiamenti. 

«Chi si offre volontario per sistemare i coni per l’allenamento?»

«Allenamento?» esclamò la fidanzata di Flitt, gli occhi sbarrati. «Cosa vuol dire allenamento?» la imitò a ruota la sua amica. 

«Allenamento», rispose James incrociando le braccia al petto. «Non è una parola complicata. Cinque sillabe. Vuol dire quello che sapete benissimo, quindi niente domande stupide.»

«Roberts non ci faceva mai fare allenamento», continuò Flitt, rimarcando la parola come se fosse un insulto. 

«Io non sono Roberts, come potrete notare.»

«Oh, certo, sicuramente non sei Roberts», esclamò Archie ridacchiando. Emma gli diede una gomitata nelle costole e l’amico si zittì. 

«Per poter giocare bene c’è bisogno di un allenamento come si deve», spiegò. «Corsa, stretching, riscaldamento muscolare. Adesso se qualcuno per cortesia avesse voglia di sistemare i coni a distanza di un metro l’uno dall’altro, qui a bordo campo, mi farebbe un favore.»

Archie emerse dal fondo del gruppo trascinandosi dietro Emma, che però sembrava piuttosto recalcitrante. «Eccoci.» 

«Molto bene, grazie Archie, grazie Emma.» James si accorse di averli chiamati per nome, e si sentì addosso gli sguardi di tutti i presenti. Ottimo, bravo James. Archie rideva sotto i baffi mentre Emma lo guardava contrariata. Fece finta di niente, però, o almeno cercò. 

«Voi altri cominciate a correre, forza.»

Tutti i presenti gli diedero le spalle e gli obbedirono. Lui si avvicinò a Emma e Archie, che intanto si erano messi all’opera. «Come sono andate le prime ore di lezione, professor Potter?» gli chiese Archie. 

Lui scrollò le spalle. «Stranamente bene, prima che arrivasse Flitt.» Lanciò uno sguardo al gruppo e notò che Drake correva, sì, ma li osservava ad occhi stretti. 

«Lascialo perdere, si diverte a provocare», spiegò Archie dandogli un buffetto sul braccio. «La maggior parte delle volte non sa cosa dice.»

 

[JAMES È PALESE]

 

Emma gli dava le spalle, chinandosi per sistemare i coni. James distolse in fretta lo sguardo, imbarazzato. Non voleva che Archie notasse la direzione dei suoi occhi, ma quando vide che lo stava guardando capì di essere stato scoperto. Per Godric, non poteva farci niente se quella ragazza lo attirava come una calamita. 

«Non preoccuparti, manterrò il segreto», gli sussurrò Archie rigirandosi un cono tra le mani. «Però secondo me—»

«Okay, Fletcher, unisciti al gruppo, grazie», lo interruppe James trattenendo una risata. Questi alzò gli occhi al cielo e si allontanò, l’andatura caracollante e gli orecchini che attiravano i raggi del pallido sole. 

«Il grosso del lavoro l’ho fatto tutto io, maledetto Fletcher», esclamò Emma raggiungendolo. 

«Unisciti anche tu agli altri, Nott», rispose James ad alta voce. Emma lo guardò alzando un sopracciglio e poi, scuotendo la testa, visibilmente contrariata, raggiunse Archie e Tyler. 

Per tutta la durata del riscaldamento, James rimase in mezzo al campo, in piedi, ad osservare e zittire i più rumorosi e chiacchieroni, tra i quali l’onnipresente Archie. Oltre che guardare Emma, ovviamente. Si accorse di essersi incantato più di qualche volta e si riscosse solo perché qualcuno lo richiamò alla realtà. Doveva darsi un tono. E subito. 

 

[L’ALLENAMENTO PROSEGUE]

 

La fase successiva della lezione si svolse ovviamente in aria. A ogni studente toccò una scopa e, in modo stranamente ordinato, si issarono in cielo per un giro di ricognizione. James aveva diviso il campo in due metà e aveva sistemato, con il pronto aiuto di Tyler, degli anelli aggiuntivi che venivano usati per formare due campi di gioco separati. Formò quattro squadre e assegnò dei ruoli. A Emma andò il ruolo di Cercatrice, perché era agile e scattante, e lei non potè fare a meno che sorridergli quando James le sussurrò «acchiappa il Boccino per me, Nott», senza essere sentito dagli altri. A Flitt andò il ruolo di Battitore, perché aveva assicurato a James che lo aveva ricoperto durante tutti e quattro gli anni trascorsi a Heydon Hall. Roberts gli aveva raccontato che nella scuola si teneva un piccolo campionato interno, che era stato però soppresso due anni prima, a seguito di un incidente che aveva visto coinvolti un ragazzo del quinto anno e uno del secondo e James si chiese ora se quel ragazzo del quinto non fosse proprio Flitt, insieme alla sua mazza. Ma ormai era tardi per dirgli di no, quindi l’osservò alzarsi in volo, strafottente come quando camminava. 

Le due ore di lezione volarono. Alla fine, James dovette ammettere che quei ragazzi non se la cavavano poi tanto male, anzi, qualcuno di loro avrebbe benissimo potuto sostituire tanti giocatori di Hogwarts, e forse avrebbero addirittura fatto meglio. Dovette riconoscere, seppur a malincuore, che Flitt era davvero bravo: padroneggiava la mazza come se fosse un’appendice del suo braccio e la passava dalla mano destra a quella sinistra con estrema naturalezza, come se fosse ambidestro. James aveva evitato per un pelo parecchi colpi di Bolide durante la lezione, ma solo perché non teneva gli occhi dove doveva, ma su Emma: la seguiva con lo sguardo durante la sua ricerca del Boccino, si soffermava ad accarezzarne il profilo, i capelli scompigliati e le gambe flessuose, la linea della schiena e la bocca concentrata. Archie lo aveva salvato in corner in numerose occasioni, prima che un Bolide vagante gli spiaccicasse il cervello. 

«Stia attento, professor Potter, occhi sulla partita», rideva Archie e James gli lanciava occhiate di fuoco che provocavano nel ragazzo eccessi di profonde risate. 

Anche Tyler non se la cavava male, come Cacciatore, e James pensò che avrebbe benissimo potuto tentare la carriera del professionismo, e glielo disse al termine della lezione. La squadra formata da Flitt, Emma e Tyler aveva vinto più partite in quel mini-torneo improvvisato, e così toccò ai perdenti, tra i quali Archie, il compito di mettere via gli anelli e i coni. 

«Hai mai pensato di fare qualche provino?» gli chiese. Vide Flitt tendere le orecchie, lì vicino. 

Tyler scosse la testa. «Sinceramente no. Mio padre sarebbe anche d’accordo, lui adora il Quidditch da sempre, ma mia madre no. Lei vorrebbe per me una carriera al Ministero, come quella di mio fratello, ma non ha ancora capito che non fa per me.»

«Tuo fratello lavora al Ministero?»

«Ufficio Auror», Tyler gli sorrise cautamente. «Tuo padre è il suo mito. Credo abbia una sua foto sul comodino.»

James scoppiò a ridere. «Non ci credo.»

«No, scherzavo, ma poco ci manca. Si chiama Jasper Jordan, ma tutti lo chiamano JJ, non so se ti sia mai capitato di sentirlo nominare. Molto spesso lavora con tua cugina Molly.»

«Oh, sì, JJ!» esclamò James battendosi una mano sulla fronte. «Molly ne parla benissimo. Ma guarda un po’, JJ è tuo fratello.»

«Chi lo direbbe mai, eh?» Tyler si strinse nelle spalle, improvvisamente imbarazzato e quasi in difetto.

«Be’, non posso dire di conoscerlo, e non conosco bene neanche te, ma per quel che ho visto hai talento, Tyler. Non sprecarlo. Ci penserai?»

Tyler annuì. «Ci penserò, James. Grazie.» Gli sorrise, come se fosse il primo, vero complimento ricevuto in tanti anni. 

«Non ci starai mica provando col mio ragazzo, eh, Potter?» esclamò Archie avventandosi su Tyler e baciandolo sulla guancia.

James rise. «Affatto. Mi stavo solo complimentando con lui per il suo talento a Quidditch.»

«È bravissimo, vero? Tanto quanto io sono pessimo, lo so, lo so», si affrettò ad aggiungere Archie. «Dovrebbe proprio giocare in qualche squadra.»

«È quello che gli ho detto. Ha promesso che ci penserà.»

Archie diede un pizzicotto sulla spalla a Tyler. «Il mio campione. Dài, andiamo a cena, muoio di fame.»

«Fai la strada con noi?» gli chiese Tyler.

James lanciò un’occhiata oltre le loro schiene. Emma si stava attardando, lui sperava di proposito, intenta a raccattare tutte le scope lasciate qua e là dai suoi compagni. Gli lanciò un’occhiata in tralice, ma la distolse in fretta. Archie si voltò e seguì lo sguardo di James. Poi tornò a guardarlo, sogghignando. «Credo che James debba mettere in ordine, Tyler, ANDIAMOCENE.» Così trascinò via il suo fidanzato, sbalordito e stupito. 

«Ci vediamo a cena», gridò loro dietro James. 

Archie agitò una mano senza voltarsi e James li osservò scomparire lungo il viale, ormai quasi buio. Si voltò verso Emma, che lo guardava dalla panchina. Aveva radunato tutte le scope e attendeva, le mani intrecciate di fronte a sé. James la raggiunse. 

 

[JAMES RIMANE SOLO CON EMMA]

 

«Hai volato bene, oggi.»

Lei incrociò le braccia al petto, guardandolo furbescamente. «Mi hai osservato bene, eh?»

Cazzo. Beccato. 

Si passò una mano dietro la nuca, cercando di temporeggiare. «Be’, come ho osservato tutti voi.»

Le labbra di Emma si piegarono in un sorriso. «Va bene, farò finta di crederci.»

«Dài, aiutami a portare dentro le scope», le disse. Le loro mani si sfiorarono mentre afferravano i manici di scopa, e si guardarono rapidamente, per poi distogliere lo sguardo altrettanto rapidamente. James fece strada all’interno di un basso edificio che ospitava quello che era stato l’ufficio dell’ormai ex professor Roberts, costituito da una piccola scrivania, due sedie, alcuni schedari e un armadio. L’uomo aveva lasciato un poster dei Ballycastle Bats appeso ad una parete. James ripose le scope nell’armadio ed Emma gli passò quelle che teneva tra le braccia. Seguì la scatola con le palle da gioco. Infine James chiuse tutto a chiave, che poi si mise in tasca. Emma sedeva sul bordo della scrivania e lo guardava. James giurò che gli stesse guardando il sedere mentre era chino a chiudere l’armadio, ma ovviamente non poteva esserne certo. Quella prospettiva lo elettrizzò, ma cercò di darsi un tono, come cercava di fare da due ore a quella parte.

«Ti ho vista poco, in questi giorni», cominciò mettendolesi di fronte. 

Emma scrollò le spalle. «Sono stata impegnata con le lezioni. E con le lettere trovate nell’ala ovest», aggiunse. 

Ecco, era certo che le stesse leggendo. 

«Hai scoperto qualcosa di interessante?»

 

[JAMES ED EMMA PARLANO DELLE LETTERE]

 

Emma tirò fuori di tasca un paio di lettere, leggermente stropicciate, e glielo agitò sotto il naso. «Sono per lo più lettere d’amore, tra una certa ragazza che si firma con una E puntata e un ragazzo senza nome. Non compare mai il suo nome, in nessuna delle lettere lette sinora, né in quelle a lui indirizzate, né in quelle scritte di suo pugno. C’è solo qualche indizio sul luogo, vengono citati questo Rosham Village e Mount Stewart, che a quanto c’è scritto si trova in Irlanda del Nord.»

«Inoltre, sembra essere stato un amore contrastato, quasi impossibile, visto che la famiglia di lui sembra piuttosto inquietante e anche violenta, a tratti. Lui cerca di proteggere E. a tutti i costi, parlano di scappare insieme, un giorno, per coronare il loro sogno d’amore.»

James trattenne una risata. A parlare di antiche storie d’amore gli sembrava di essere finito in una di quelle fiction radiofoniche che ascoltava nonna Molly la domenica sera, su Radio Strega Network, e che facevano sempre scappare tutti, durante le cene di famiglia alla Tana, uomini e donne indistintamente. Solo Hugo finiva per fare compagnia alla nonna, commentando con lei la puntata. 

«Ti sto imbarazzando, Potter?» ghignò Emma, divertita.

«Vagamente», ammise lui arricciando il naso. «Ma vai avanti.»

 

[GIOCARE CON IL FUOCO]

 

«No, prima voglio sapere perché ti sto imbarazzando, sono curiosa.» Emma si raddrizzò e James se la ritrovò ad un palmo dal naso. Deglutì, nervoso. Avrebbe potuto baciarla, per farle capire quanto poco fosse imbarazzato, ma si trattenne. Non era tanto la storia, a renderlo irrequieto, ma piuttosto il sentirla uscire dalle sue labbra. Capì che la desiderava più di quanto avesse pensato in prima battuta, e fece un passo indietro. 

«Non sono un tipo sentimentale», si difese quindi. «E sapere che probabilmente E. è la vecchia dama di Heydon Hall mi rende inquieto.»

Emma aggrottò le sopracciglia. «Anche tu pensi che sia lei, vero?»

«E chi altri? Abbiamo trovato le lettere nella sua cassettiera, no?»

«Tavolino da toilette», lo corresse l’altra. 

«Tavolino da toilette, d’accordo», le fece il verso lui, alzando gli occhi al cielo. Emma allora alzò una mano e gli afferrò il colletto della felpa. Era di nuovo pericolosamente vicina.

«Non prenderti gioco di me, Potterino», lo attaccò. Si leccò le labbra e James si sentì venire meno. Doveva allontanarsi da lei. Le prese la mano e, giocando al suo stesso gioco, gliel’abbassò, e, lentamente, la guidò fino alla scrivania, dove la fece riappoggiare. Emma non staccò gli occhi da lui neanche per un istante, improvvisamente mansueta e silenziosa. Poi James si appoggiò alla scrivania anche lui, le braccia incrociate sul petto. 

«Stavamo parlando della dama di Heydon Hall, giusto?»

Vide Emma annuire. «Quindi è lei. Non può essere altri che lei.»

 

[DI NUOVO LA DAMA DI HEYDON HALL]

 

«Tu l’hai vista», le ricordò James, cauto. «L’hai vista riflessa nello specchio, non è vero?» Era tornato nuovamente su quel punto, dopo averglielo chiesto quella notte nell’ala ovest, ma la risposta di Emma allora non lo aveva convinto, e lui ci aveva pensato e ripensato, arrivando sempre e solo alla stessa conclusione: Emma aveva visto una donna, o almeno così aveva detto in un primo momento («una donna orribile») e James aveva stampata dietro le palpebre la sua espressione terrorizzata, non l’avrebbe scordata mai. Un pensiero scomodo si stava facendo largo nella sua mente, un pensiero che escludeva fantasticherie, immagini distorte create dalla mente, allucinazioni o suggestioni di sorta, un pensiero che ne abbracciava un altro, ancor più spiazzante e terrorizzante, un pensiero che gli si insinuava nelle viscere pian piano, come un veleno lento, ma che non riusciva a lasciarlo indifferente. 

Emma si mosse irrequieta. «Qualsiasi cosa abbia visto, me la sono immaginata, okay?» ribatté quindi. Si alzò e rimise in tasca le lettere. Sembrava aver chiuso il discorso, e James la imitò, staccandosi dalla scrivania. Non voleva insistere, preferendo prendere le cose per gradi. 

«Rosham Village, hai detto?» chiese James mentre Emma si dirigeva alla porta dell’ufficio. Lei si immobilizzò, continuando però a dargli le spalle. 

«Sì, Rosham Village», rispose.

 

[ROSHAM VILLAGE?]

 

«L’ho già sentito nominare, ma sinceramente non mi viene in mente nulla, ora», continuò lui grattandosi il mento.

Emma si voltò e lo guardò in modo strano, con due occhi che non le aveva mai visto. Sembrava quasi che avesse nuovamente visto un fantasma. Nuovamente?, rifletté James. Quindi stava ammettendo con se stesso che effettivamente Emma aveva visto un fantasma, quella notte? Scosse la testa per allontanare da sé quel pensiero. «Mi verrà in mente, presto o tardi.»

«Torniamo alla scuola, prima che faccia buio.»

Così James seguì Emma fuori. 

 

🥀

 

[I PENSIERI DI EMMA]

 

Uscendo dal campo, Emma non riusciva a smettere di pensare a due cose: Rosham Village e James Sirius Potter. Decise di affrontare quei due pensieri uno alla volta, concentrandosi e facendo ordine. Quando James le aveva chiesto conferma sul nome del villaggio, una folgorazione l’aveva colta proprio lì, su due piedi, e l’aveva lasciata stupefatta e confusa. Ecco dove aveva sentito nominare Rosham Village: proprio lì sorgeva la tenuta di famiglia di sua madre. Come aveva fatto a non pensarci prima? Certo, sua madre non parlava mai volentieri del suo passato, della sua infanzia trascorsa negli Stati Uniti, di ciò che l’aveva spinta a tornare in Inghilterra, e della sua famiglia di origine. Era un discorso che non affrontava mai e solo se veramente costretta. Quindi quel nome era ricorso nella vita di Emma poche, pochissime volte, e solo sussurrato o bisbigliato, mai urlato, come se contenesse esso stesso una maledizione. E che straordinaria coincidenza, che proprio quel nome ritornasse in quelle missive dimenticate e polverose, ultima testimonianza di un amore bello ma sofferto. Preferì tenere per sé tutti quei pensieri, però. Le sembrava quasi inappropriato, un qualcosa di scomodo che doveva sforzarsi in tutti i modi di tenere celato. Sapeva che James non l’avrebbe giudicata, ma allo stesso tempo temeva il suo parere, temeva di leggere qualcosa, al fondo dei suoi occhi, che avrebbe potuto ferirla.

E qui si agganciava il suo secondo pensiero, cioè James Potter. Niente da fare, non c’era verso di schiodarlo dalla sua mente - e a quanto pare anche dal suo corpo, viste le sensazioni provate poco prima nel piccolo ufficio. Si era sentita osservata durante tutto l’allenamento, e le piaceva essere guardata da lui, le piaceva sentire i suoi occhi accarezzarne la figura e seguirne i movimenti, le piaceva intrappolarlo senza lasciargli alcuno scampo, anche da lontano. Si era attardata di proposito al campo, aspettando che Archie e Tyler se ne andassero, e, fortunatamente, dovevano aver capito l’antifona, o almeno Archie, perché le aveva rivolto un’occhiatina maliziosa per poi scappare via con Tyler sottobraccio. Nell’ufficio lo aveva provocato, amava vedere le sue mille e più reazioni dipingerglisi in faccia, non era assolutamente in grado di controllarsi, di camuffare ciò che provava e sentiva, di far finta che lei non gli facesse effetto, e ovviamente Emma sguazzava nelle difficoltà di James, e andava avanti a provocarlo, ancora e ancora, ché forse un giorno lui avrebbe ceduto e l’avrebbe accontentata, baciandola senza tante cerimonie. Anche se era sicura che sarebbe stata lei a fare il primo passo, James Potter era un vero cavaliere. Si dominava a stento, ma resisteva. E le piaceva ancora di più, per questo. E quando le aveva preso la mano e l’aveva spinta verso la scrivania, senza irruenza, ma con la sua solita gentilezza che era come un marchio, per lui, una medaglia che portava appuntata sul petto, Emma si era sentita morire. Non era riuscita a smettere di guardarlo, di guardargli quelle labbra morbide e belle, desiderando solo di allungarsi un po’ di più e annullare ogni distanza, seppur minima, visto che erano praticamente una addosso all’altro. Quando James le si era seduto accanto, lei era tornata a respirare, e aveva cercato di andare avanti con la conversazione come se niente fosse. Ora si sentiva molto meglio, l’aria fresca della sera settembrina le sferzò il viso spiacevolmente accaldato e lei chiuse gli occhi per un attimo. 

Camminavano lungo il viale che li avrebbe ricondotti a Heydon Hall, e camminavano lentamente, come se entrambi volessero ritardare il momento in cui si sarebbero dovuti separare, lei diretta al solito tavolo, con Archie e Tyler, lui a servire la cena con Pansy e Lamb. Ovviamente, si sarebbero cercati con gli occhi per tutto il tempo, ne era certa. Quel pensiero la destabilizzò e si costrinse a fermarsi per un momento. «Tutto bene?» le chiese James voltandosi. 

 

[ANCORA RIFLESSIONI]

 

Lei annuì e lo raggiunse. «Sì, scusa, ero pensierosa.» Ovviamente, non gli avrebbe detto la verità. 

«Pensavi alle lettere?»

«E. scriveva da Rosham Village, non da Heydon Hall, quindi dev’essere giunta qui in un secondo momento, non trovi?»

James la guardò e annuì. «Plausibile, sì.»

«Mi chiedo quindi cosa sia successo, cosa l’abbia spinta a lasciare Rosham Village per questa casa isolata in mezzo al nulla. E da come ha conservato le lettere scambiate con il ragazzo misterioso, sembra quasi che il destino sia stato loro avverso, alla fine, e che, per qualche ragione, non siano potuti stare insieme, e—», ma Emma si interruppe, quando si accorse che James era rimasto indietro. Si voltò e lo vide fermo in mezzo al viale, le braccia distese lungo i fianchi, la testa leggermente rialzata, gli occhi sbarrati. Guardava verso la casa, così Emma si girò in fretta e seguì la direzione del suo sguardo. Tutto ciò che vide fu solo la facciata di Heydon Hall, le finestre dell’ala est illuminate, quelle dell’ala ovest spente e buie. Non c’era niente che potesse attirare l’attenzione, almeno non tanto da fermarsi all’improvviso e fissare impalato un punto imprecisato lì di fronte. Raggiunse James e lo afferrò per un braccio, riscuotendolo. Come destatosi da un lungo sonno, lui si riscosse e la fissò. 

 

[COS’HA VISTO JAMES?]

 

«Tutto bene?» gli chiese.

«Sì… sì, almeno credo…», rispose lui confuso, passandosi una mano sul viso.

«Eri impalato. Guardavi fissamente la casa…» Un pensiero cominciò a formarlesi in testa, ma Emma cercò di scacciarlo. Non era possibile. Proprio no. 

«Cos’hai visto?» gli chiese quindi, visto che quel pensiero molesto non voleva darle tregua. 

James la guardò nuovamente. «C’era una donna, alla finestra del secondo piano.»

«Sarà stata Madama Pince…»

Il ragazzo scosse la testa. «Era una finestra dell’ala ovest, Emma.»

Lei non potè evitare di rabbrividire. «Sono tutte spente, James, come hai fatto a vedere una donna?»

«Erano accese», esclamò lui prendendola per le spalle. «Erano tutte accese, capisci?»

Emma non lo aveva mai visto così sconvolto, sembrava fuori di sé, un po’ per la paura, un po’ per lo sconcerto. 

«Okay, okay, frena», disse lei, pragmatica. «Potrebbe essere stato il riflesso delle finestre a est, non pensi?»

James scosse la testa. «So cos’ho visto, Emma. Ne sono sicuro. C’era una donna alla finestra del secondo piano, penso che sia la finestra della camera da letto che abbiamo trovato l’altra notte. Penso che sia—»

«Non dirlo», esclamò Emma tappandoli la bocca con una mano. 

 

[DI NUOVO QUEL PENSIERO]

 

Si guardarono per un lungo istante ed Emma poteva sentire le labbra di James contro la sua pelle, e la cosa la destabilizzava, e si aggiungeva alla paura senza nome che le aveva attanagliato le viscere per ciò che era appena successo, per ciò che James le aveva raccontato, e anche per ciò che tutto questo significava. Non poteva permettersi di indugiare in simili idee. Non c’era nessun fantasma, a Heydon Hall.

James le afferrò il polso e lei ammorbidì la presa. Le baciò il palmo della mano e lei sentì una corrente elettrica propagarsi per tutto il corpo. Non era il momento, quello, per fare delle cose del genere, avrebbe voluto gridargli. James Potter, mi confondi, per Salazar

«So cos’ho visto», disse lui continuando a tenerla per mano. «È la stessa cosa che hai visto tu in quello specchio.»

Lei scosse la testa. «Non esiste, James. Non esiste nessun fantasma.»

«Ne sei sicura? Sei così sicura delle tue convinzioni? Non stai cominciando a mettere in discussione tutto quanto?»

Sì, avrebbe voluto dirgli. Sto mettendo in discussione tutto quanto, ma per te, per causa tua, e di come mi fai sentire, non per quel dannato fantasma e una storia insensata. 

«Non posso credere che tu lo stia pensando. Mi sembra di sentire Archie.»

«Non ho detto di esserne sicuro. Sto solo dicendo che sto cominciando a pensare che non sia poi così improbabile.»

Lei annuì e lanciò un’occhiata alla grande casa. Era tutto immutato, tale e quale a prima. 

«Lascerò aperta una porta», gli concesse. «Solo un piccolo spiraglio, però. Voglio vedere cosa succederà.»

Lanciò quindi un’occhiata alle loro mani ancora intrecciate e lo trascinò verso Heydon Hall. 

 

🥀

 

Sola nel suo letto, le coperte tirate fin sotto il mento, Emma si soffermò ad osservare le ombre degli alberi là fuori che la luna disegnava grottesche sulla parete, pensierosa. 

 

[LA TEORIA DI EMMA]

 

Aveva promesso a James che avrebbe lasciato aperto un piccolo spiraglio, ma ciò che le si apriva di fronte, nonostante il buio e l’oscurità e il mistero dell’ignoto, le si srotolava davanti agli occhi con un’allarmante chiarezza. Non voleva dirlo ad alta voce, e nemmeno pensarlo, ma era quasi certa che ciò che non voleva nominare fosse là, tra quei corridoi, in quelle vecchie stanze, riflessa negli specchi e affacciata a qualche finestra, nascosta nell’ombra ma urlante di rabbia e dolore e lacrime. E forse era stata proprio lei a turbare Isabelle, quella sera, nel bagno, distruggendo cose e rompendo vetri e ferendo un essere umano con un’indicibile crudeltà e una voracità ultraterrena. Era lei la donna sussurrata dalla sua compagna, la donna dei suoi incubi e dei suoi tormenti, colei che l’aveva accolta nel peggior modo possibile e immaginabile. E se davvero E. era la dama di Heydon Hall, quello spirito irrequieto e arrabbiato che non sembrava trovare né quiete né pace, allora doveva essere successo qualcosa di davvero brutto, nella sua vita, per indurla a rimanere ancorata alla terra, a quel mondo di sofferenza e inquietudine e rancore, proprio laddove era stata maggiormente infelice - e sola. Cosa l’aveva resa ciò che era diventata? E perché? L’amore così bello e forte delle sue lettere non l’aveva protetta dai pericoli del mondo fuori, e quello stesso mondo l’aveva inghiottita e fagocitata, masticata e sputata fuori, un globo di fumo e vento e polvere, animo spaventato e spaventoso che mai avrebbe trovato consolazione, in questo suo eterno purgatorio di mattoni e ricordi. Si chiedeva come fosse possibile, si chiedeva come potesse essere così diversa dai fantasmi con i quali aveva convissuto per tutti quegli anni, si chiedeva cosa potesse fare per darle la pace che meritava, e che anelava - che doveva anelare. 

Emma chiuse gli occhi, cercando di scacciare via quei pensieri, ma quella notte avrebbe sognato il volto di E., il volto riflesso nello specchio, i bei lineamenti stravolti per un attimo dalla rabbia e dall’ira cieca, gli occhi scuri come braci, i capelli neri che dovevano essere stati di seta, il vestito bianco che sembrava un abito da sposa. Avrebbe sognato la dama di Heydon Hall.

 


 

Note.

1. Professor Thompson: personaggio di mia invenzione


Molto bene, bentornati qui con un nuovo aggiornamento. In questo capitolo scopriamo un altro piccolo tassello della storia della dama di Heydon Hall: un brandello della sua giovinezza e di questo amore travagliato ma bello, e proprio tra le righe delle lettere trovate da Emma nello scorso capitolo. Inoltre, come promesso, abbiamo letto del primo allenamento del “professor Potter” e, soprattutto, James ed Emma che, ancora una volta, stentano a resistere all’attrazione che provano l’uno per l’altra. Qualcuno di voi mi ha scritto che “manca poco” prima che la tensione si rompa, ma ahimè, chi mi conosce sa che amo lo slow burning, quindi dovrete pazientare ancora un po’ anche qui 😏 Il finale del capitolo si conclude con un’altra apparizione, questa volta per il nostro Jamie, e con le riflessioni tormentate di Emma, che piano piano sta cedendo all’irrazionalità. Sono come sempre curiosissima di conoscere le vostre teorie, ne avete tante e diverse e io mi sto divertendo un sacco a leggerle 👀 Riguardo il prossimo capitolo, vi anticipo solo che ci sarà una festa, più in là non mi spingo 🔮

 

Vi ringrazio come sempre per l’entusiasmo che mi state dimostrando ♥︎

 

A lunedì prossimo, Marti 🐍

   
 
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