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Autore: MaxB    09/12/2020    3 recensioni
Questa è una storia che ho iniziato a scrivere dopo aver finito di leggere il secondo volume, quando ancora doveva uscire il terzo.
La considero una prosecuzione della storia originale come se il terzo libro non esistesse, e narra quindi delle vicende familiari che si sono succedute dopo la fine de Gli scomparsi di Chiardiluna, con leggere modifiche alla trama.
Sostanzialmente, Thorn e Ofelia saranno alle prese con la vita quotidiana da coppia sposata, cercando di capirsi, vivere insieme e prendere confidenza l'uno con l'altra.
E con un inaspettato desiderio di Ofelia...
Genere: Fluff, Romantico, Slice of life | Stato: completa
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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Mi è venuto il diabete a rileggere questo capitolo ma va be', ogni tanto ci sta (spero).
E rido da sola all'idea (malsana e insensata) che mi è venuta per il prossimo capitolo ahahahahah. Ho problemi seri.
Amo Thorn e Ofelia, troppo. Basta.
Spero che vi piaccia il capitolo xD


Capitolo 23

Fu da subito evidente che Balder, seppur tranquillo, era di una pasta diversa da Serena.
La piccola si era praticamente adeguata ai bisogni dei genitori, dormendo quasi tutta la notte e svegliandosi solo per reclamare la sua poppata. Balder invece sembrava dormire di giorno apposta per poter rimanere alzato di notte. L'unica fortuna di Ofelia e Thorn era che il neonato aveva la stessa indole mite della sorella, quindi quando si metteva ad urlare alle due del mattino era solo per far capire che aveva fame. Una volta nutrito da una provata Ofelia, rimaneva in silenzio, a parte qualche gargarismo e verso tipico dei bambini appena nati. Le prime notti, rinunciando all'idea di farlo riaddormentare, dato che Balder sembrava sprizzare energia da tutti i pori, Thorn aveva provato a rimetterlo nella culla. I risultati non erano stati dei migliori, dato che il piccolo sembrava riscuotersi non appena il padre lo metteva giù e si allontanava per riposare.
Dopo una settimana dalla sua nascita, stremata, Ofelia decise di portarlo a letto con sé e Thorn. Sperava che il piccolo rimanesse buono e in silenzio sentendo i genitori accanto a sé. Aveva notato infatti che Balder iniziava ad urlare quando si rendeva conto di essere solo.
Thorn la guardò con perplessità quando Ofelia depose quel fagottino che era il loro figlio in mezzo a loro, perché gli facessero da barriera con il corpo e lui non cadesse. Ofelia gli restituì un’occhiata sfinita e si sdraiò, pronta per tornare a dormire. Si riaddormentò subito, al contrario di Thorn, che rimase a fissare suo figlio. Il piccolo non faceva che girare la testa mugolando, in modo sempre più agitato, finché non riuscì a vedere il padre.
Allora si bloccò, zitto, e poi si aprì in un sorriso sdentato. Allungò una manina e Thorn gli porse un dito, che Balder strinse prontamente, con una forza impensabile per un bambino di pochi giorni. Tornò a gorgogliare e brontolare piano, placidamente, permettendo sia ad Ofelia che a Thorn di dormire.
La mattina successiva Ofelia era decisamente più riposata, e sorrise teneramente alla vista di padre e figlio che, svegli, si scrutavano a vicenda come la prima volta che si erano visti. Un minuto dopo entrò caracollando anche Serena, che aveva imparato ad aprire le porte e grazie alla sua memoria si ricordava che quella di fronte alla propria camera apparteneva ai genitori. Si arrampicò sul letto di fianco a Ofelia e si sporse per osservare il fratellino, che la guardò con diffidenza. Poi incrociò gli occhi metallici del padre, così chiari rispetto ai suoi, e si rabbuiò un po’.
- Anche io domme qui! Come ieli!
Serena non aveva ben chiaro il concetto del tempo, e confondeva oggi, domani e ieri, che per lei erano interscambiabili. In ogni caso, Ofelia capì che si ricordava di aver dormito anche lei in quella stanza, prima che arrivasse Balder.
- Ma tu sei grande adesso, Serena – mormorò Ofelia cercando di spostarle i lunghi capelli dal viso. Erano sottili e biondi come quelli di Thorn, morbidi. Sperava che non si scurissero crescendo, perché le piaceva che sua figlia avesse sia qualcosa di suo, come gli occhi, che di Thorn. – Il tuo fratellino è piccolo invece. Vedi? Ha bisogno di noi.
Serena pareva in procinto di mettersi a piangere. Thorn la fissava, impassibile, ma allargò un braccio per invitarla ad avvicinarglisi. La bambina parve capirlo e scavalcò la madre, circumnavigando il neonato che non smetteva di guardarla, incuriosito, e si accoccolò vicino al padre. Thorn fissò con aria truce i suoi capelli spettinati, come se fossero una questione di primaria importanza in quel momento, e glieli sistemò con pochi e abili gesti. Ofelia alzò gli occhi al cielo: lui e quel suo costante bisogno di ordine!
Quell’opera però sembrò calmare Serena, che almeno non stava più per mettersi a piangere. Balder bastava e avanza per quello.
- Anche lui avrà una camera sua quando crescerà – le spiegò Thorn con voce più ruvida del solito. Erano le prime parole che pronunciava quel mattino. – Adesso però gli servono gli adulti, perché non è in grado di badare a se stesso.
Ofelia era sempre spiazzata dal modo in cui Thorn si rivolgeva a Serena, parlandole come ad un pari, e non ad una bambina di tre anni. E rimaneva ancora più sconvolta dal fatto che la piccola sembrava sempre capire tutto, e prendeva le parole del padre come se fossero un discorso solenne.
Infatti annuì, guardando il fratellino sotto una luce nuova.
Ci pensò lei a farle un discorso che fosse più nelle corde di una bimba. – Ci aiuterai a prenderci cura di lui, Serena? Tu sei sua sorella maggiore. Sei il suo esempio. Dovrai essere una brava bambina per insegnare anche a lui ad esserlo.
Serena spalancò gli occhioni nocciola, fissando a turno lei e Thorn. Quest’ultimo annuì lievemente, come a spronarla ad accettare quella proposta, e Serena assunse un’espressione determinata.
- Sì mamma. Io bava.
Ofelia le sorrise e le accarezzò il viso. – Certo che sei brava.
Ancora vicina a Thorn, che fissava Ofelia intensamente, Serena si sporse su Balder e gli toccò una guancia.
- Io sono Selena. Anche tu devi fae il bavo!
Serena aveva qualche problema con le erre, e Ofelia sospettava che le sarebbe venuta quella scricchiolante tipica del Polo. Sperava anche che fosse delicata come quella di Berenilde invece che dura come quella del marito. La sua parlata infantile rese però le sue parole ancora più commoventi.
In risposta a quel comando, Balder si aprì in un sorriso sdentato e agitò un pugnetto. Serena glielo afferrò e il bambino le strinse il dito, facendola ridere.
- Guada, mamma! – esclamò, colpita.
Ofelia le sorrise. – Significa che ti vuole già bene.
Serena assunse subito un’espressione seriosa, colpita. – Anche io.
Ofelia increspò un sopracciglio quando si rese conto che Thorn ancora la fissava. Lui continuò ad osservarla per alcuni attimi prima di alzarsi, trascinando con sé anche Serena, che rise.
- Andiamo a cambiarci – la informò, indossando la vestaglia e uscendo con la bambina ancora in braccio.
Ofelia lo osservò sentendo una familiare e troppo a lungo ignorata fitta di desiderio prendere fuoco nel suo stomaco. Si girò verso suo figlio, imbarazzata come non era stata nemmeno all’inizio del loro matrimonio.
- Hai un papà proprio bravo, lo sai Balder?
Il bambino sorrise e agitò ancora il pugno, gorgogliando.
Nonostante quell’aria beata e angelica, il neonato la fece combattere tutto il giorno, e quando Thorn andò a letto la sera la trovò già addormentata.
Fu lui ad alzarsi per prendere Balder quando il piccolo si svegliò urlando nel cuore della notte, e come la volta prima lo sistemarono fra di loro mentre tornavano a riposare. Esausta, Ofelia dormì finché non la svegliò la roca voce di Thorn. Stava sorgendo l’alba, era molto presto, ma Thorn stava cullando il bambino, in piedi, ondeggiando goffamente e rigidamente per la stanza. Ofelia dovette attendere solo due minuti prima di vederlo riporlo nella culla, profondamente addormentato. Finse di dormire quando Thorn si risistemò accanto a lei, ma appena le si fu avvicinato abbastanza gli salì sopra, torreggiando su di lui per una volta.
Sorpreso, Thorn la guardò con le sopracciglia inarcate e la fronte spianata.
Senza una parola Ofelia si chinò per baciarlo sulle labbra, prima timidamente e poi facendogli inequivocabilmente capire cosa volesse. Sospirò platealmente quando sentì le mani calde del marito scorrerle sulle cosce e afferrarla per la vita, sotto la camicia da notte, percependo distintamente quelle ultime settimane di astinenza, e desiderosa di porvi una fine.
Non erano nemmeno riusciti a cominciare quando sentirono dei gridolini inconfondibili fuori dalla porta.
- Papà, mama! – li chiamò Serena, aprendo la porta e fiondandosi dentro, del tutto sveglia nonostante fosse presto. Molto presto. Troppo presto.
Ofelia ebbe giusto il tempo di ributtarsi sgraziatamente a letto prima che la bambina li vedesse, e nessuno dei due riuscì ad impedire alla bambina di dirigersi verso la culla del fratellino.
- Badde gioca! Io e Badde gioca!
Thorn scattò in piedi, indossando la vestaglia ancora prima di essere uscito dal letto, e si fiondò verso la figlia. Troppo tardi.
Serena aveva decisamente svegliato Balder che, appena addormentato, era poco entusiasta di essere stato destato con così poco riguardo. Lo rese noto a tutti piangendo e urlando il suo disappunto.
Thorn scostò Serena con meno delicatezza del solito e, sebbene non fosse stato brusco, per i suoi canoni, la bambina ci rimase male. Osservò con occhi pieni di lacrime il papà che prendeva in braccio Balder e cercava di zittirlo e farlo riaddormentare.
Ofelia la chiamò a sé e Serena si rifugiò tra le braccia della madre piangendo silenziosamente. Thorn le guardò rivolgendo alla moglie una velata occhiata di scuse.
- Io e Badde giochiamo – piagnucolò alla fine, seppellendo il volto nel petto della madre, aggiungendo i suoi lamenti a quelli di Balder.
- Più tardi, Serena. Balder non è grande come te, deve dormire di più. Tu non devi svegliarlo quando dorme, capito?
- Io cattiva?
- No, tesoro – mormorò Ofelia, abbracciandola. – Non sei cattiva.
- Papà dice che io cattiva.
Ofelia si rabbuiò. – Papà non…
- Serena – la richiamò Thorn, né più né meno duramente del solito. Quando la bambina si fu voltata verso di lui abbastanza da riuscire a vederlo almeno con un occhio, Thorn la incalzò: - Ho mai detto che sei cattiva?
Il labbro inferiore di Serena sporse pericolosamente in fuori, chiaro segno che una nuova ondata di lacrime era in arrivo.
- Serena – bisbigliò pacatamente Ofelia. – Rispondi a papà.
- Ho mai detto che Serena è cattiva? – ripeté lui.
La bambina scosse la testa.
- Perché non sei cattiva. Va bene che tu voglia giocare con Balder, ma non quando dorme. Siamo intesi?
Serena annuì debolmente. Ofelia le asciugò le lacrime, continuando a stringerla.
Poco tempo dopo Thorn rimise Balder, che si era fortunatamente riaddormentato in fretta, nella culla. Si avvicinò al bozzolo formato da Serena e Ofelia e piegò la lunga colonna vertebrale fino a far assumere al suo corpo la fisionomia di un angolo retto. – La mamma si stanca quando Balder è sveglio. Capisci?
- Sì – bofonchiò Serena, intimorita.
Thorn le accarezzò brevemente il viso, un contatto fugace che voleva essere confortante. – Brava.
La piccola parve rianimarsi con quel complimento; per lo meno si raddrizzò un poco, abbandonando la postura ingobbita.
- Perché non vai a svegliare la zia Roseline e Vittoria? Così potrai giocare con loro.
Thorn le lanciò un’occhiata confusa e aiutò Serena, già dimentica delle sue preoccupazioni, a scendere dal letto. La bambina corse fuori e Thorn richiuse la porta. Quando tornò ad osservare la moglie, la trovò sdraiata tra i cuscini, provata dal brusco risveglio.
Thorn inarcò un sopracciglio. – Ritengo che sia un po’ presto per svegliare tutti.
Ofelia parve riscuotersi e si inginocchiò sul letto, sporgendosi verso di lui. – Sì, lo è, ma era l’unico modo per tenerla impegnata. Vieni qui prima che torni.
Cogliendo l’antifona, Thorn si affrettò ad assecondare la moglie, cercando in tutti i modi di zittirne i mugolii di piacere per non svegliare nuovamente Balder. Non che lui fosse più silenzioso…
Ofelia si godette appieno quel momento di intimità dopo tanti giorni passati senza condividerla, grata anche del fatto che Thorn non fosse spaventato come dopo il primo parto. Era stato più che partecipe e si era fatto ben poche remore circa il poco tempo trascorso dalla nascita di Balder. Ofelia percepì quanto anche lui sentisse il bisogno di riunirsi a lei, forse anche più intensamente del suo.
Avevano appena finito quando sentirono avvicinarsi nel corridoio la zia Roseline, che faceva baccano quasi quanto Balder. Far svegliare la zia non era stata un’ottima mossa, si rese conto Ofelia, ma ne era valsa la pena.
- Quello di oggi è stato il nostro miglior tempo – le sussurrò Thorn all’orecchio prima di scostarsi da lei più del necessario, prevedendo l’arrivo della zia.
Ofelia, nonostante tutto, scoppiò a ridere. Avrebbe desiderato stringersi a Thorn ancora un po’ dopo il loro amplesso, riprendere fiato con calma e godere della sua presenza, tornando ad essere solo lei e lui, due coniugi senza le preoccupazioni legate ai figli. Ma si sarebbe accontentata.
- Ci è andata bene. Mi sa che dovremo imparare a migliorare le tempistiche.
Thorn annuì seccamente. – Terrò sotto controllo questo andamento temporale, dobbiamo ridurre il margine almeno del diciotto percento.
Era orribile sentirlo parlare così del tempo che impiegavano per fare l’amore, ma Ofelia non poté fare a meno di ridere quando vide quanto Thorn era serio, esasperato e concentrato insieme.
Riuscì a rubargli un bacio proprio prima che la zia Roseline entrasse, infuriata.
Solo lui poteva parlare di marginalità, indici di miglioramento e statistica in riferimento all’intimità che condividevano.
Accolse i rimbrotti della zia facendo fatica a trattenere l’ilarità.
 
Le coliche di Balder cominciarono dopo un paio di mesi, molto più dolorose e lunghe di quelle di Serena. Nemmeno Thorn, con i suoi metodi comprovati per calmare la figlia, servirono a tranquillizzare il piccolo. Si alzava sempre lui per cercare di rassicurarlo, nonostante le proteste di Ofelia.
La quarta notte, quando finalmente Balder aveva smesso di piangere perché le fitte si erano affievolite, Thorn lo rimise nella culla e tornò, con le occhiaie visibili anche nella penombra, a letto. L’unica nota positiva di quegli attacchi era che il povero Balder rimaneva scosso e sfibrato quanto i genitori, e invece di restare sveglio fino alle prime luci dell’alba si riaddormentava subito, permettendo loro di rimettersi a riposare, per quanto possibile.
Thorn si sdraiò e spense la luce senza dire una parola, riavvicinandosi ad Ofelia per abbracciarla. Lei sapeva che Thorn avrebbe voluto che lei si rimettesse a dormire quando lui cullava Balder, ma proprio non ci riusciva. Non solo perché i lamenti del neonato erano troppo penetranti per permetterle di riassopirsi, ma anche perché la vista di Thorn con uno qualsiasi dei loro figli in braccio la scaldava dentro, in modo tenero e non solo. Si sentiva pervadere da un calore intenso e familiare quando guardava il marito cullare, a modo suo, i loro piccoli. Lui, che le aveva sempre espresso la sua reticenza ad avere figli, o la diffidenza che provava verso quelli che lui definiva solo come “marmocchi”, era premuroso quasi quanto una madre. Non ci avrebbe mai creduto se non lo avesse visto con i suoi occhi, eppure il ruolo di padre calzava a pennello a Thorn. Per una volta non era lui che aveva bisogno di sentirsi indispensabile per qualcuno, ma erano gli altri ad aver bisogno di lui, a renderlo indispensabile. Non solo lei.
Serena e Balder per lui erano una cura e, per quanto lo esaurissero e reclamassero costantemente la sua attenzione, Thorn sembrava più rilassato, appagato e… realizzato da quando erano arrivati.
Ofelia lo aveva sempre sospettato, ma era comunque un sollievo vedere di persona che le sue congetture erano fondate: non avendo mai avuto una vera famiglia, solo formarne una propria avrebbe potuto guarirlo dalle ferite del passato. Una famiglia numerosa, con veri legami d’affetto.
Ofelia lo sentì rigirarsi nel letto per alcuni minuti, insonne. Si era allontanato da lei, forse temendo di disturbare il suo sonno. Lei gli si riavvicinò, invece, abbracciandolo da dietro. Gli passò una mano sul braccio magro fino al fianco, e si sporse nel buio per baciarlo teneramente. Incontrò la sua spalla, così baciò quella e poi passò al suo collo.
Thorn si irrigidì un attimo prima di voltarsi fulmineamente verso di lei e inchiodarla contro il materasso. Nonostante fosse buio pesto e l’unica cosa che riusciva a vedere fosse il bagliore metallico degli occhi di Thorn, sotto le palpebre strette a fessura, Ofelia chiuse i suoi per godersi la sensazione della pelle di Thorn sulla propria quando lui allungò la mano e gliela posò sulla coscia, sotto la camicia da notte. Emise un basso mormorio, quasi una vibrazione più che un suono, beandosi della carezza calda di Thorn. Erano ormai lontani i primi, impacciati tentativi di intimità che avevano condiviso una volta. Non dovevano più andare per tentativi, cercare di interpretare le reazioni dell’altro o chiedere scusa quando si sentivano in imbarazzo. Sapevano esattamente cosa l’altro volesse e come lo volesse, c’era una sicurezza che Ofelia non avrebbe mai immaginato nei loro tocchi, nei loro baci, nelle loro sperimentazioni.
Thorn si muoveva sempre con precisione, perché finalmente Ofelia era riuscita, in quegli anni, a fargli capire che non lo avrebbe mai rifiutato, che non si sarebbe stancata di lui, perché era una parte fondamentale e irrinunciabile di lei.
Cercò con avidità la sua bocca nel buio, aiutandolo a tirarle su la camicia da notte perché non fosse d’intralcio. Gli aveva appena allacciato le gambe in vita quando la porta della camera si aprì scricchiolando. Thorn si voltò fulmineamente, scostandosi da Ofelia. Lei si sporse da dietro la sua mole per cercare di capire cosa stesse succedendo, e fu sorpresa di vedere Serena avanzare verso di loro stropicciandosi gli occhi assonnati. Per fortuna non si era svestita…
- Cosa fai qui? – le chiese sommessamente Ofelia quando la piccola raggiunse il suo lato di letto.
- Io domme.
Solo quando Serena allungò le braccia per essere tirata su Ofelia capì che aveva intenzione di dormire con loro. La piccola non disse altro, si sistemò al centro del letto e si raggomitolò, riaddormentandosi subito. Thorn lanciò un’occhiata perplessa, o forse no, dato che era troppo buio per constatarlo, ad Ofelia. Lentamente, come un automa che veniva ricaricato, si sdraiò al suo posto in silenzio.
Ofelia trattenne a stento un sospiro. Si sentiva ancora accaldata per quello che lei e Thorn stavano... per quello che avevano tentato di fare. Non osava immaginare come dovesse stare lui, che le si era avvicinato con più trasporto del solito.
Alla fine, capendo che Thorn non avrebbe provato a riavvicinarsi, intuizione che fu sottolineata dal leggero russare di Serena, si riabbassò la camicia da notte. Si rimise poi a letto, insoddisfatta.
Posò una mano sulla pancia di Serena, tirandole giù la camiciola che le aveva lasciato scoperta la pancia. Ofelia rimase a contemplare la piccola nella penombra, abbastanza abituata all'oscurità da riuscire a vederla bene. Con gli occhi scuri come i suoi chiusi assomigliava più che mai al papà. Bionda. Labbra sottili. Persino le sopracciglia aggrottate aveva, forse era contrariata da qualcosa.
Ofelia sorrise e incrociò lo sguardo di Thorn, che la fissava come uno sparviero dall’altra parte del letto.
Provò un’altra ondata di calore pervaderla, ma accantonò l’insoddisfazione e si sdraiò circondando la figlia con un braccio, arrivando a toccare con la mano quello di Thorn. Lui le strinse le dita di rimando, spostando la mano per poterla toccare. Era un contatto fugace, di certo non quello di cui avevano bisogno in quel momento, ma si accontentarono.
Erano entrambi felici di ascoltare il respiro sommesso dei loro figli nella stanza, generati dal loro amore e sempre disposti a restituirlo in egual misura.
Ofelia si addormentò pensando di essere comunque riuscita a raggiungere un livello di soddisfazione che non aveva nulla a che fare con la sfera ormonale. Era l’appagamento di una madre e moglie amata, circondata dalla propria famiglia e tenuta in alta considerazione. E consapevole dell’effetto che aveva sul marito.
Cercò di nascondere un sorriso quando sentì che Thorn ancora la guardava.
 
Nei mesi successivi diventò sempre più difficile ritagliarsi un po’ di spazio per stare da sola con suo marito. Più che parlare di tempi record e momenti rubati, Ofelia e Thorn dovettero letteralmente fare i salti mortali per riuscire a ritagliarsi del tempo per loro.
Ofelia pensava che non sarebbero riusciti a stare insieme meno di così nemmeno se fossero andati a trovarli i parenti di Anima. A proposito della sua famiglia, stavano prorogando il viaggio per andare a trovarli per via di alcuni impedimenti, come la quarta gravidanza di Agata, che invece sembrava sempre trovare il tempo per il suo consorte, alcuni matrimoni di parenti stretti, ossia cugini di quarto grado, a distanza di poche settimane l’uno dall’altro, e alcune festività irrinunciabili, come la Festa dei Cappelli a tesa larga e la Celebrazione dei Prati Verdi, che durava quasi un mese.
Thorn era sempre più perplesso di fronte alla quantità di festività che gli animisti osservavano, e alquanto contrariato dalla mole di lavoro che doveva sicuramente accumularsi in seguito alla chiusura delle attività.
- Ma c’è qualcuno che lavora in modo regolare e continuativo su Anima? – le chiese Thorn un pomeriggio, dopo che Ofelia ebbe finito di leggere nel suo studio a casa l’ultima lettera arrivatale.
Lei lo guardò in tralice. – Anima funziona benissimo, non dubitarne, intendente. E ci si vive anche più in pace che al Polo.
Thorn rimase in silenzio per non darle la soddisfazione di ammettere che su quel punto aveva ragione.
- Se loro non possono venire, comunque, credo che toccherà a noi andare a trovarli.
Thorn rimase zitto un altro minuto prima di mettere la penna dentro il calamaio. Come al solito quando rifletteva, appoggiò i gomiti sul tavolo e, intrecciando le dita, vi pose il mento appuntito. – Presumo che sia necessario.
Ofelia cercò di non alzare gli occhi al cielo. – Non vedo la mia famiglia da prima di rimanere incinta di Balder, Thorn. Preferisci che vengano qui loro?
Thorn le lanciò un’occhiata penetrante, come se in qualche modo il commento di Ofelia l’avesse offeso. – Sai bene che accetterò la tua decisione, qualunque sia.
- Di malavoglia – puntualizzò lei.
Thorn fece una smorfia. – La accetterò.
Ofelia sapeva di fargli un torto a dubitare della sua buona volontà, ma in qualche modo la feriva il fatto che Thorn fosse sempre così restio a voler incontrare i suoi parenti. D’altro canto comprendeva anche quanto per lui fosse difficile capire il suo bisogno di rivederli regolarmente. Thorn non aveva mai pensato che fosse il momento di rivedere Freya o Godefroy, per quanto a lungo non si fossero visti. Anzi, semmai il contrario.
Dopo aver riflettuto, Ofelia esordì: - Per Balder sarebbe difficile un viaggio ora. Così come lo sarebbe per Agata, dato che è incinta. Io proporrei di aspettare qualche mese per poi essere noi ad andare su Anima. Mi manca la mia arca – aggiunse sommessamente.
Thorn la guardò senza mutare espressione, partecipe ed empatico quanto un blocco di ghiaccio.
- Inoltre vorrei che i bambini la vedessero. Sono sempre circondati da freddo, ghiaccio e pioggia. E illusioni. Non che su Anima piova di meno, a dire il vero, ma quando spunta il sole l’aria si scalda. E non devono temere nessuna rappresaglia perché lì si è tutti imparentati. Anche loro sono parte della famiglia…
- Va bene – concesse Thorn a denti stretti. – Penso che sia una buona idea. In aggiunta ci eviterà di avere la casa invasa da bambini e adulti caotici. Non saprei davvero dire chi sarebbe il più rumoroso, tra le due categorie.
Ofelia glissò su quel commento. – Però, dato che il viaggio è lungo, pensavo che sarebbe doveroso passare lì come minimo due settimane. Tre sarebbe perfetto.
Thorn era così immobile da sembrare imbalsamato. – Perché non un mese?
Ofelia spalancò gli occhi, ma riacquistò subito il controllo della sua espressione. Thorn che le proponeva di passare un mese su Anima? Le pareva alquanto improbabile che lui avesse voglia di passare con i suoi parenti più di tre giorni. A meno che...
- Tu non verrai con noi, vero? - chiese in tono accusatorio.
Thorn non fece nemmeno lo sforzo di apparire dispiaciuto. – No. Non posso abbandonare l’intendenza per un mese, e non posso nemmeno portarmi via il lavoro per un periodo di tempo così lungo.
Ofelia lo guardò stupita. Possibile che non fosse minimamente rattristato all’idea di lasciar andare via sua moglie e i suoi figli per un mese?
- Vuoi sbarazzarti di noi? – gli chiese con diffidenza prima di riuscire a trattenersi.
Ea ingiusta, lo sapeva, ma per una volta avrebbe voluto vedere una qualche espressione sul suo viso, un segno che non prendeva quella decisione a cuor leggero.
Thorn spalancò gli occhi per un attimo, facendo schizzare le sopracciglia verso l’alto e allungando di conseguenza le cicatrici. Quella era una reazione, anche se durò un secondo e poi Thorn riprese il consueto controllo di sé. Gli occhi, però, non celarono del tutto il sentimento che albergava nella sua anima, un misto di malinconia, tristezza e… timore.
- Se fosse per me non vi permetterei nemmeno di andare fino a casa di Berenilde, da soli. Ma so quali battaglie combattere e quali sono perse in partenza e questa, Ofelia, non è nemmeno una battaglia. Potrei mai trattenerti?
Ofelia lo guardò con aria di sfida.
- No, non potrei – concluse Thorn. – Sarebbe del tutto insensato cercare di farlo. Quindi vai pure su Anima con i nostri figli. Mi auguro solo che tu dopo voglia ritornare.
Ofelia lasciò cadere le braccia che teneva incrociate sul petto. Thorn era ingiusto. Non poteva irritarla e un attimo dopo capovolgere la questione passando dalla parte della vittima. Sapeva che non la faceva sentire in colpa volontariamente, ma se lui faceva passare quella visita ai parenti come un abbandono del tetto coniugale un minimo la coscienza le rimordeva.
Scuotendo la testa, rassegnata, si avvicinò a lui dal suo lato di scrivania. Thorn scostò la sedia per poterla guardare negli occhi, e la lasciò fare quando lei tentò di tirarsi su la gonna per sedersi in braccio a lui. Tentativo che le sarebbe costato una caduta se Thorn non l’avesse afferrata tempestivamente. Imbarazzata, Ofelia optò per sedersi instabilmente sulle ginocchia del marito, un po’ come se dovesse cavalcare all’amazzone. Almeno non rischiava di rompersi l’osso del collo con tutti quegli strati di gonne, e le lunghe braccia di Thorn le circondarono subito la vita per darle stabilità, come delle corde. Si sentiva quasi una bambina seduta in quel modo di fronte alla mole imponente di Thorn; però si sentiva anche protetta, come ogni volta che stava vicino al marito.
Gli posò una mano sul viso, guardandolo bene negli occhi. – Io vorrò tornare ancora prima di partire, Thorn. Il mio posto, il nostro posto, anzi, è dove sei tu.
Con un movimento così repentino da essere quasi invisibile, come al solito, Thorn si chinò su di lei stringendole le mani sui fianchi possessivamente. Erano passati alcuni giorni dall’ultima volta che erano stati insieme, solo loro due, e Ofelia sentì quanto Thorn sentisse la sua mancanza dal contatto irruente della sua bocca. Le divorò le labbra pizzicandole la pelle con la barba, scese lungo il collo e Ofelia non poté fare a meno di esalare un sospiro tremante. Gli strinse la nuca con dolcezza, afferrandogli i capelli, e gli si avvicinò quanto possibile.
Alla fine Thorn sembrò placarsi e la baciò con più dolcezza, accarezzandole il viso con una delle sue grandi mani. Ofelia si scostò per appoggiarvi la guancia come su un cuscino.
Gli sorrise debolmente, contenta di quel piccolo momento rubato, cercando di non pensare al fatto che ne avrebbe voluto ancora. Non lo avrebbe mai creduto possibile la prima volta che aveva visto Thorn su Anima, o ancora prima di essere data in fidanzamento, e nemmeno dopo il matrimonio, ma il contatto con la pelle di Thorn l’accendeva, la faceva sentire desiderata e potente. Aveva un’ascendente su Thorn che non pensava una donna potesse avere su un uomo, di sicuro non lei, e sapeva anche che Thorn sarebbe stato disposto a concederle tutto quello che avesse voluto, se lei avesse giocato le carte giuste.
Thorn la guardava con una luce famelica negli occhi da sparviero che la fece sentire nuda ed esposta, come se le stesse scrutando l’anima. In maniera tutt’altro che sgradevole.
- Perché non vieni con noi? - chiese Ofelia sussurrandogli all'orecchio.
Thorn, a dispetto del suo perfetto autocontrollo, rabbrividì, rafforzando la presa sui fianchi di Ofelia.
Lo vide assottigliare gli occhi, pensieroso, sicuramente riflettendo su quanto tempo e lavoro gli sarebbe costato un allontanamento dal Polo per qualche giorno. Poi, come in risposta ad un impulso insopprimibile quanto un prurito, afferrò l'orologio da taschino e lo consultò, come se potesse dargli l'indicazione giusta per prendere una decisione.
- Posso...
- Moglie di Thooorn! - cantilenò Archibald entrando senza preavviso nella biblioteca adibita a studio. - Ma dove vi siete nas...
Le parole gli morirono sulle labbra quando vide Ofelia in braccio al marito, dietro la scrivania posizionata al centro perfetto della stanza. Per quanto non stessero facendo nulla di sconveniente, anche se entrambi lo avrebbero voluto, Ofelia si affrettò a scendere dalle ginocchia di Thorn con le guance in fiamme.
Questa volta nemmeno la prontezza di riflessi di Thorn, che ancora reggeva l'orologio, la salvò dalla caduta. Ofelia inciampò e batté il ginocchio sulla maniglia di un cassetto, e nel rialzarsi la scarpa si impigliò nella gonna, facendola crollare nuovamente. La sciarpa invece, contagiata dalla sua repentina agitazione, le si arrotolò attorno alla faccia. Fortunatamente Thorn la intercettò prima che strappasse il vestito o si ritrovasse lunga distesa, e la rimise in piedi con impazienza. Le abbassò anche la sciarpa dagli occhi.
Fulminò Archibald con uno sguardo più tagliente degli artigli, in netto contrasto con l'espressione gaudente dell'ambasciatore. Averli colti in atteggiamenti pressoché intimi sembrava averlo riempito di divertimento.
- Bene, bene, è così che svolgete le vostre mansioni, intendente? Non mi meraviglia che siate così dedito al lavoro. Ora che tutti i membri della Rete lo sanno - ridacchiò Archibald picchiettandosi con un dito la fronte dove capeggiava il simbolo di appartenenza al suo clan, - sarà dura difendervi dalle accuse.
Ofelia lo guardò inorridita e colpevole. - Voi non...
- Se anche denunciaste un simile comportamento – sputò Thorn tra i denti, a dir poco contrariato e padrone delle sue azioni - non avrebbe ripercussioni sulla mia reputazione lavorativa, perché da un esame delle scadenze e degli impegni emergerà in modo ineccepibile che i miei compiti vengono portati a termine puntualmente se non in anticipo. Non ho la macchia di un ritardo nel curriculum.
Archibald agitò la mano ridendo. - Suvvia, intendente, siete così poco divertente. Non denuncerò nulla, ma sarà una bella distrazione per me diffondere la voce che sul luogo di lavoro vi occupate anche di studi anatomici.
Thorn non ribatté nulla, al contrario di Ofelia che stava cercando di intervenire a difesa di se stessa, quantomeno, ma Archibald non glielo permise.
- Comunque - disse cambiando argomento, - ero venuto a chiedervi il permesso di portare con me Serena a Chiardiluna. Con Vittoria. Hanno espresso il desiderio di vedere la corte e le sue meraviglie.
Ofelia lo guardò con tanto d'occhi.
Thorn l'anticipò togliendole nuovamente la parola. - No.
Archibald alzò gli occhi al cielo ma non smise di sorridere. - Immaginavo, caro intendente. Io volevo portarmele via senza dire nulla, ma la cara madama Berenilde ha insistito tanto perché chiedessi il permesso. Diceva che il suo adorato nipote mi avrebbe staccato la testa se gli avessi rubato la figlia. Che noioso che siete.
Thorn aggrottò le sopracciglia. - Di solito non è un mio diniego a fermarvi. Volete davvero desistere dal portare Serena con voi?
- No, a dire il vero no. Sono consapevole di non avere una grande considerazione per le regole, ma sono al corrente delle pene in cui si incorre infrangendone alcune. In particolare, non ho interesse nell’essere imprigionato con l'accusa di rapimento di un minore e magari qualche aggiunta sordida come una tentata violenza.
Poco convinto, Thorn continuò a fissarlo astiosamente con il corpo contratto. Ofelia si risistemò gli occhiali storti sul naso, senza perdersi una virgola di quello che veniva detto. Le sembrava di assistere ad una tentata carneficina da parte di due bestie feroci.
- A dire il vero volevo solo disturbarvi - ammise poi l'ambasciatore, senza pudore. - Ogni volta che siete a casa vostra moglie sparisce, e Serena reclamava l'attenzione della mamma dopo aver sbattuto la testa su un mobile.
Thorn scattò in piedi, pronto a precipitarsi dalla figlia, imitato da Ofelia.
Archibald rise. - No, scherzavo, sta bene e non ha sbattuto da nessuna parte. Buona notte! E vedete di lavorare un pochino, anche, intendente, o nel prossimo censimento dovrà aggiungere una nascita in più.
Thorn fissò la porta da cui Archibald era scappato con i pugni contratti sulla scrivania, rigido come un ciocco di legno. Ofelia gli posò una mano sulla schiena nel vano tentativo di rassicurarlo e, anche se non sortì nessun effetto, Thorn dopo poco si risedette.
- Posso raggiungervi per tre giorni - sancì laconicamente, prendendola in contropiede mentre metteva mano alle carte, come se il commento di Archibald gli avesse fatto ricordare che doveva lavorare.
- Raggiungermi?
Ofelia sembrava essersi completamente dimenticata della conversazione di poco prima, e dei connessi tentativi di seduzione per convincerlo ad andare con loro dalla sua famiglia.
- Su Anima. Se pernotto lì per tre giorni e due notti, calcolando un giorno di viaggio all'andata e al ritorno starò lontano solo cinque giorni. In caso di maltempo in entrambi i viaggi i giorni saranno sette, e posso permettermi di stare lontano sette giorni, ma non uno di più. Quello che dicevo sulla mia fedina lavorativa è vero, e non ho intenzione di accumulare ritardi.
Ofelia lo fissò spiazzata mentre Thorn si rimetteva a lavorare come se nulla fosse. A quanto pare gli aveva davvero portato via troppo tempo. Quel pensiero la irritò, non le piaceva essere considerata o considerarsi un fastidio. Poi però si rese conto che Thorn non pensava che fosse un disturbo, ma era lì per lavorare ed era quello che doveva fare. Dandole retta come faceva di solito, per uno stacanovista come lui, era la più grande espressione di considerazione, alla fine.
- Quindi io vado con la zia Roseline e torniamo con te tutti insieme?
- Sì.
- Forse potrei chiedere anche a Berenilde di accompagnarci. Anima le era piaciuta moltissimo quando è andata insieme a Renard e Gaela per il loro viaggio di nozze. Potrei invitare anche loro, in effetti. E Vittoria parla in continuazione di Thomas, sarebbe felice di rivederlo.
Thorn si accigliò, ma dato che era già accigliato quasi non si notò il mutamento della sua espressione.
- Fai come vuoi, mi basta che non ti porti appresso l'ambasciatore quando io non ci sono - le disse scoccandole un'occhiata penetrante.
Ofelia alzò gli occhi al cielo e si allontanò senza nemmeno rispondergli. Mentre andava da sua figlia sorrise al pensiero di rivedere la sua famiglia dopo tutto quel tempo, portandosi dietro anche i "nuovi parenti". Ed era felice che anche Thorn andasse con loro, seppur per tre giorni. Dubitava che fosse in grado di godersi una vacanza, ma stare lontano dal Polo gli avrebbe sicuramente fatto bene e l'ultima volta che era stato su Anima, per portare via lei in veste di fidanzato, avevano fatto una toccata e fuga.
Renard l'accolse con il sorriso quando giunse in soggiorno, dove Balder se ne stava mezzo seduto un po' sbilenco sul divano e lui giocava con Serena, che includeva il fratellino mentre si cimentava in un rompicapo di legno. Il padrino di Serena coglieva ogni occasione per stare con i figliocci, e dato che il corso da insegnante gli portava via quasi tutto il giorno sfruttava i riposi per rapirli e lasciare ad Ofelia un po' di respiro.
- Spero che presto possano avere un altro amichetto con cui giocare, da parte nostra - le diceva sempre Renard ammiccando, ma fino a quel momento non aveva ancora sentito nulla di ufficiale circa una possibile gravidanza di Gaela. Una volta aveva anche provato ad intavolare con lei una conversazione pacata in merito, ma aveva solo ottenuto grugniti in cambio e un'occhiataccia da parte dell'occhio cattivo che l'aveva fatta desistere.
- Vedo che qualcuno è felice - notò Renard, fingendo di perdere contro Serena, che si applaudì da sola.
Renard rise e si sporse per lasciare un bacio sulla guancia paffuta della piccola, che fece una smorfia e scacciò il visone rosso e peloso del padrino. Lui mise il broncio fingendo di essersi fatto male, senza nemmeno badare al gatto che invece si stava rifacendo le unghie sul suo polpaccio.
- No le botte, Serena - la ammonì Ofelia, al che la bimba mise il broncio.
Non le piaceva essere sgridata o contrariata, così come non le piacevano baci e abbracci, per quanto strano potesse sembrare per una bimba di quasi quattro anni. Ad Ofelia ricordava tremendamente qualcuno di sua conoscenza...
- Buone nuove? – la incalzò Renard.
Ofelia annuì. – Quando Balder sarà un po’ più grande andremo a fare visita alla mia famiglia su Anima. Vi andrebbe di accompagnarci?
Gli occhi dell’uomo si illuminarono. – Senza se e senza ma, ragazzo. Quando sarebbe la partenza?
Ofelia sospirò. – Questo non lo so, non abbiamo fissato una data né con Thorn né con i miei parenti o Berenilde, che avrei piacere venisse.
- Mh… - mormorò Renard, pensieroso, senza nemmeno far caso a Serena che gli tirava i favoriti. – Al momento la madama ha moltissimi impegni a corte, non credo sia un buon periodo per lei.
- Difatti la partenza non sarebbe nell’immediato. Anche su Anima non è il momento ottimale per delle visite, e neanche la stagione. Poi Balder è così piccolo… secondo me potrebbero passare dei mesi prima di questo viaggio, ma si sa come vola il tempo.
- Non posso che darvi ragione, mi sembra ieri quando lavoravo a Chiardiluna come valletto, e ora sono un aspirante insegnante. Non vedo l’ora di insegnarti a leggere e scrivere, signorina – aggiunse affettuosamente poi, rivolgendosi a Serena.
La bambina lo guardò con i suoi grandi occhi intelligenti e gli rispose con la definizione matematica di cosa fosse un essiano orlato. O forse aveva detto persiano dorato?
Ofelia scosse la testa di fronte a quella memoria portentosa. Prese in braccio Balder, che si stava agitando parlottando da solo ma era evidentemente contrariato dall’essere ignorato. Come sempre, quando dedicava un po’ di attenzioni al piccolo, Serena le si avvicinò per essere partecipe di qualsiasi cosa stessero facendo.
- Vado ad allattarlo, vuoi venire con noi? – le domandò Ofelia.
Serena annuì e le fece strada, consapevole del fatto che la mamma non era abbastanza alta e forte da prendere in braccio entrambi. Con il papà non esitava ad allungare le braccia per farsi prendere, che avesse o meno Balder in braccio.
- Io allora mi dirigo verso i miei appartamenti – si congedò Renard. – Questa sera ho intenzione di preparare una cena luculliana per la mia signora.
- Non mangiate con noi, ne deduco.
- No, ho già avvisato Betty che prepari per due persone in meno. Ogni tanto la voglio viziare pure io, sapete com’è.
Ofelia rise di fronte allo sguardo ammiccante di Renard. Thorn fece il suo ingresso in quel momento, con Serena in braccio. L’aveva trovata a metà corridoio e se l’era caricata, chiedendole dove fosse la mamma.
Rivolse un cenno di saluto quasi impercettibile a Renard, che si defilò augurando loro sommessamente una buona serata, seguito da Salame.
- Devi smetterla di terrorizzarlo – lo sgridò Ofelia, sempre ridendo.
- Non ho mai fatto nulla del genere. Se ha paura è perché ha la coscienza sporca – rispose Thorn impassibile.
Prese Balder dalle braccia della moglie, reggendo entrambi i bambini, e si diresse in camera.
- Devo allattarlo – lo informò Ofelia. – Si metterà a piangere tra poco.
- Lo so, volevo solo cambiarlo.
Thorn era consapevole dei ritmi di Balder molto più di Ofelia, al punto che di notte quando aveva avuto le coliche si alzava addirittura prima che iniziasse ad urlare.
Quando Ofelia entrò in camera vide che Thorn, con la sua consueta precisione metodica, aveva già quasi finito di cambiare Balder, che sgambettava felice. Rimase sulla porta ad osservare con affetto la scena, lanciando un’occhiata anche a Serena che cercava di sbirciare cosa stesse facendo il suo papà a suo fratello su quello strano tavolo. Poi arricciò il naso quando l’odore del panno sporco la raggiunse, facendole perdere interesse per la questione.
Ofelia si chiese se in realtà le voci che giravano circa il non chiudere occhio la notte con dei bambini piccoli, o sul fatto che fossero tremendamente irrequieti e ingestibili non fossero che dicerie fasulle di madri molto poco pazienti. Al di là dei pianti notturni di Balder che, sì, si svegliava spesso, ma non per questo impediva ai genitori di dormire, i suoi figli erano davvero tranquilli. Non riusciva a capire se fossero loro troppo buoni o quelli delle altre donne troppo vivaci, ma le sembrava strano che due bambini su due fossero così innaturalmente placidi. Eppure sia Berenilde che la zia Roseline le avevano confermato che in effetti entrambi i bambini erano meno capricciosi e rumorosi di quelli che avevano visto o allevato loro.
In ogni caso, Ofelia ne era felice. Forse avevano preso l’indole pacata di Thorn, sempre padrone della situazione, difficilmente avvinto da forti passioni al punto da manifestarle.
Ofelia gli si avvicinò da dietro e lo abbracciò, posandogli il capo sulla schiena ampia e solida. Lo sentì irrigidirsi e fermarsi per un momento, prima di riprendere a muoversi. Percepiva i suoi muscoli e i tendini muoversi sotto la sua guancia, una perfetta macchina in funzione.
- Oggi sei particolarmente… espansiva.
- Ti dà fastidio?
Silenzio.
Solo quando Thorn si fermò, a lavoro completato, le giunse all’orecchio il suo no sussurrato.
Con Balder in braccio, Thorn si voltò e si chinò, arcuandosi come un fuscello, per baciare la moglie sulle labbra, in modo lento e casto.
- Peché fate così? – li interrogò subito Serena incuneandosi tra le loro gambe.
Ofelia prese Balder per allattarlo e Thorn prese Serena, coordinandosi senza nemmeno parlare.
- Perché ci vogliamo bene – le rispose Ofelia sedendosi a letto.
Serena parve riflettere. – Anche paino Enad e Gaea si vogliono bene.
- Sì, esatto.
- Noi no peò.
Ofelia rimaneva sempre sorpresa dall’acume di Serena, che a nemmeno quattro anni faceva dei collegamenti decisamente al di fuori dell’ordinario per una bambina della sua età. Thorn la mise accanto alla madre, incerto su come gestire la faccenda, e andò a lavarsi le mani con cura. Poteva non storcere il naso di fronte alle… produzioni di suo figlio, ma non avrebbe mai contravvenuto ai suoi canoni di igiene personale. Probabilmente si sarebbe strofinato le mani per tre minuti.
- Sì che ci vogliamo bene, anche se non ci diamo i baci sulla bocca. Quelli sono per i grandi che sono sposati.
Serena parve riflettere. Ofelia non era sicura che avesse capito, ma ogni tanto la sorprendeva. Poi la piccola annuì.
- Lo zio vuole bene a tuuuuutti – concluse alla fine abbracciando il mondo intero con le braccia.
Thorn si sporse dal bagno lanciando occhiate di fuoco in giro, mentre Ofelia fissava la figlia sbigottita.
Lo zio in questione era Archibald, che aveva insegnato a Serena a chiamarlo così invece che “Achiball”, nonostante Thorn fosse stato e fosse tuttora parecchio contrariato. Anche più che contrariato. Non gradiva affatto, ma Serena continuava a chiamarlo zio e non c’era verso di farla smettere.
Il fatto che Serena avesse detto che voleva bene a tutti, dopo i discorsi fatti, poteva significare solo che la bambina lo aveva colto sul fatto mentre amoreggiava impunemente con la donna di turno. Dove Serena lo avesse visto, e come, era un mistero, ma Archibald avrebbe sicuramente mangiato con loro quella sera e a giudicare dallo sguardo carico d’odio di Thorn ne avrebbero viste delle belle.
Ofelia sospirò. Sperava solo che Balder non si agitasse così tanto da non dormire la notte. Ci avrebbe già pensato Thorn a stare sveglio per il nervoso.
  
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