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Autore: destiel87    11/12/2020    3 recensioni
Avevo sempre pensato che la morte mi avrebbe reso libero, ma mi sbagliavo.
Credevo che non avrei più provato nulla, né rabbia, né dolore.
Ma ancora una volta mi ero sbagliato.
Guidavo, nelle infinite strade del paradiso, senza una meta.
Guidavo e basta, tra le foreste di pini, ascoltando il suono del vento tra gli alberi, il loro profumo pungente.
Guidavo sulla strada che costeggiava le scogliere bianche, che si affacciavano sul mare dorato.
Eppure, avevo sempre la sensazione di aver lasciato indietro qualcosa.
Fuggivo, come un pazzo che scappa dalla sua stessa ombra.
Poi ad un certo punto del mio viaggio, mi fermai.
E d’improvviso, l’unica persona da cui mi ostinavo fuggire, fu proprio davanti a me.
Fu come se anche lui avesse avvertito la mia presenza, e lentamente si voltò verso di me.
I suoi occhi celesti penetravano nei miei, e come quando eravamo vivi, mi trasmettevano tutta la gentilezza del suo animo.
Aveva un sorriso sereno, illuminato da un sole arancione.
Una brezza leggera gli scompigliava i capelli corvini, quasi lo stesse accarezzando.
Mi aspettava tranquillo di fronte a quel lago, come se non avesse fatto altro da tutta la vita.
Genere: Introspettivo, Malinconico, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Slash | Personaggi: Castiel, Dean Winchester, Sam Winchester
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Nel futuro
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Avevo sempre pensato che la morte mi avrebbe reso libero, ma mi sbagliavo.
Credevo che non avrei più provato nulla, né rabbia, né dolore.
Ma ancora una volta mi ero sbagliato.
Ero morto, ma ero sempre io, il Dean Winchester schiacciato dal peso del silenzio, della solitudine e della colpa.
Sapevo che c’era una sola persona in grado di liberarmi, ma io non volevo affrontarla.
Guidavo, nelle infinite strade del paradiso, senza una meta.
Era bello, guidare senza una destinazione.
Non correvo verso il pericolo, come quando ero in vita.
Non stavo scappando dalla morte.
Guidavo e basta, tra le foreste di pini, ascoltando il suono del vento tra gli alberi, il loro profumo pungente.
Guidavo sulla strada che costeggiava le scogliere bianche, che si affacciavano sul mare dorato.
E per un po’, mi andò bene così.
C’ero solo io e la mia piccola, sulle strade senza fine create dalla mia immaginazione.
A volte immaginavo la neve, e mi ritrovavo a guidare sui sentieri di montagna, circondato dalle cime innevate, bianche e lucenti.
Le aquile volavano libere nel cielo azzurro, scomparendo tra le nuvole.
Altre volte invece, immaginavo di guidare sulle strade di casa, e lentamente sul mio cammino apparivano le vecchie fattorie del Kansas, ed i campi coltivati di cotone e di grano.
Eppure, avevo sempre la sensazione di aver lasciato indietro qualcosa.
Era come avere un sassolino nella scarpa.
Quando stai seduto ti dimentichi della sua presenza, ma appena inizi a camminare lo avverti, ed il dolore dal piede si fa strada lungo le gambe, risale allo stomaco, arriva al cuore, alla mente, e alla fine ti rendi conto di non essere altro che quello: Dolore.
Castiel era questo per me, un dolore che più ceravo di ignorare, più si ripresentava in tutta la sua devastante grandezza.
Forse stavo davvero scappando da qualcosa.
I ricordi legati a lui, quelli belli e quelli brutti, le parole che mi aveva detto prima di andare incontro alla morte.
Fuggivo, come un pazzo che scappa dalla sua stessa ombra.
Poi ad un certo punto del mio viaggio, mi fermai.
Non so per quale motivo, ma sentii il bisogno di farlo.
Mi trovavo in cima ad una grande vallata, ricoperta da un manto d’erba verde e di fiori variopinti.
Il bosco circondava quella radura, donandogli un clima confortevole e sicuro.
Il sole mi scaldava il viso, il vento mi soffiava tra i capelli, e per un po’ chiusi e gli occhi e mi abbandonai a quella sensazione.
Quando gli riaprii, vidi che in fondo alla valle c’era una lago, e in quelle acque cristalline si specchiava una montagna solitaria, ricoperta da neve lucente.
Mi misi a camminare, senza sapere nemmeno perché.
Semplicemente, sentivo di doverlo fare.
Era come se qualcosa mi stesse chiamando.
Non riuscivo a sentirne la voce, ma solo la presenza.
Più mi avvicinavo al lago e più quella presenza di faceva intensa, calda e dolorosa.
Poi d’improvviso, l’unica persona da cui mi ostinavo  fuggire, fu proprio davanti a me.
Era di spalle, e stava guardando il lago.
Fu come se anche lui avesse avvertito la mia presenza, e lentamente si voltò verso di me.
I suoi occhi celesti penetravano nei miei, e come quando eravamo vivi, mi trasmettevano tutta la gentilezza del suo animo.
Aveva un sorriso sereno, illuminato da un sole arancione.
Una brezza leggera gli scompigliava i capelli corvini, quasi lo stesse accarezzando.
Mi aspettava tranquillo di fronte a quel lago, come se non avesse fatto altro per tutta la vita.
“Ciao Dean.” Disse solamente, come aveva fatto centinaia di altre volte.
C’era tuttavia una sorta di dolcezza nella sua voce, di calma, che da vivo non aveva mai avuto.
“Ciao… Cas.” Risposi io, con un pensante sospiro.
Quei passi verso di lui, furono i più difficili della mia vita.
Conoscendomi, si sarebbe potuto dire che avessi affrontato prove molto più disperate, ma non era così.
La lotta era una parte della mia vita che non mi spaventava, né avevo paura del dolore fisico, o della morte in se stessa.
Il modo in cui Castiel mi guardava, mi faceva paura.
Aveva una tale forza il suo sguardo, che sembrava riuscire a penetrare oltre il mio corpo, per arrivare dritto alla mia anima.
Guardare lui, era come guardare me stesso.
E forse era per questo motivo, che ero sempre scappato da lui…
Mi avvicinai lentamente, posizionandomi al suo fianco. E per lungo tempo rimanemmo in silenzio, a guardare le onde del lago, le luci che vi si specchiavano, dipingendolo di rosa e arancione.
C’era una sorta di calma, in quelle acque così profonde, che continuavano a cambiare sotto i nostri occhi, pur non cambiando mai davvero.
“Ricordi, questo lago?” Mi chiese d’un tratto lui, voltandosi appena verso di me.
Solo allora, mi resi conto che avevo già visto quel paesaggio. Molto tempo fa, in un sogno.
Nel mio sogno stavo pescando, seduto sul porticciolo di legno, con una birra in mano. Poi quell’angelo era apparso accanto a me. Quasi fosse la cosa più naturale del mondo, quasi che non potesse evitare di starmi vicino nemmeno quando sognavo.
“Si… Ora lo ricordo.” Dissi alla fine, con un mezzo sorriso.
Quante cose erano successe da quel giorno…
Eravamo cambiati. La vita, che così crudelmente ci aveva cresciuto, ci aveva cambiato.
“Sapevo che saresti venuto, prima o poi …” Disse lui con calma, senza smettere di guardare il paesaggio davanti a lui.
“Come potevi saperlo, se non lo sapevo nemmeno io?” Chiesi confuso, con un lungo sospiro.
“Non so spiegarlo, Dean… Certe cose sono così e basta.”
Annuii, con un mezzo sorriso.
“Cas io… Sento che dovrei dire qualcosa.” Esclamai d’un tratto, nervoso e inquieto. “Solo che non sono sicuro di riuscire a farlo.”
Lui mi guardò, con un sorriso gentile.
“Non c’è bisogno che tu dica niente, Dean. Va bene così…” C’era una tale calma in lui, nella sua voce e nel suo sguardo, che mi faceva quasi male.
Come poteva essere così tranquillo, dopo tutto ciò che era successo? Non provava rabbia, per essere morto? Non provava dolore, per avermi confessato il suo amore, senza aver avuto nessuna parola in cambio?
Mi scoprii ad invidiarlo, per quella tranquillità d’animo. Era riuscito a liberarsi in vita, dal peso del silenzio, e ora nella morte, sembrava leggero come una piuma.
Io invece, mi sentivo sempre più pesante. Avevo la sensazione che sarei sprofondato da un momento all’altro, creando una voragine nel terreno.
Poi all’improvviso avvertì il tocco della sua mano sul mio viso, le sue dita sottili che mi accarezzavano la guancia.
“Va tutto bene, Dean. Sei libero, adesso.” Disse con dolcezza, con gli occhi che sembravano brillare di luce propria.
Sentii un nodo stringermi la gola, un dolore che bruciava nel mio petto, e diventava sempre più straziante.
“Ti sbagli, Cas. Non sono libero.” Sussurrai, con la voce strozzata.
Fu un sentimento istintivo, quello che mi spinse ad abbracciarlo, a stringerlo a me con tutta la forza che avevo.
Forse da vivo non avrei mai avuto il coraggio di farlo, ma adesso, ne sentivo un bisogno così disperato ed impellente, che mi era impossibile combatterlo.
Lui si strinse a me, circondandomi il collo con le braccia, e appoggiando il viso sulla mia spalla.
Sentivo il corpo scosso dai brividi, forse di piacere, forse di paura, forse per entrambe le cose.
Gli strinsi forte le braccia intorno alla schiena, appoggiando il viso sul suo.
Non so per quanto tempo rimanemmo così, non so nemmeno se in paradiso esistesse il concetto di tempo.
So solo che ad un certo punto, quando riaprii gli occhi, vidi che davanti a me c’era un altro me stesso. Più giovane, più arrogante nello sguardo, con quel sorriso beffardo verso la vita e la morte stessa.
Fissai quella figura a lungo, chiedendomi se fosse reale, o se lo stessi immaginando.
E d’un tratto fui colto dal terribile presentimento, che forse era lui ad essere reale, ed io nient’altro che il frutto della sua immaginazione.
Mi guardava, quel me stesso più giovane, con una severità nello sguardo che mi spaventava.
Cosa pensi di fare, Dean? Mi chiese quella figura, con un sorriso divertito.
Vuoi continuare a scappare? Possiamo farlo se vuoi… Per tutta l’eternità, solo io e te.
Guardandolo dritto negli occhi, fu come se d’improvviso passassi dentro di essi, e guardassi il mondo come lo vedeva lui.
Vidi mio padre, il suo sorriso stanco, la paura che era ormai un’ombra sul suo viso.
E d’un tratto mi passarono davanti tutti gli anni trascorsi con lui, tutte le lotte, e le lunghe attese del suo ritorno.
Vidi mio fratello ancora bambino, che scappava dal peso di una vita che non aveva scelto, inseguendo un sogno che non avrebbe mai raggiunto.
Vidi tutte le persone che avevano segnato la mia vita fin da quando ero ragazzo, che con la loro vita o la loro morte, mi avevano cambiato.
Era come se tutti loro stessero aspettando, sulla riva opposta di quel lago, e mi chiamassero.
Camminai sull’acqua cercando di raggiungerle, allungando la mano verso di loro.
E poi caddi, sprofondando nelle acque gelide e oscure, senza avere la voce per chiedere aiuto.
Ma l’avevo mai davvero avuta, una voce?
Mi ritrovai di nuovo nel mio corpo, tra le braccia di Castiel.
Sussultai per lo shock, rabbrividendo violentemente.
L’altro me stesso era ancora davanti a me, il corpo ricoperto di sangue, il volto sfocato.
“Dean… Che succede?” Mi chiese Castiel, spostando il viso fino a trovarsi di fronte al mio.
Rimasi in silenzio a guardarlo, mentre le domande si affollavano nella mia mente. Prima come fossero dei sussurri, poi delle urla.
“Pensavi veramente, quello che hai detto?” Chiesi alla fine, dando voce ad una di quelle domande.
Lui mi sorrise con dolcezza, socchiudendo gli occhi.
“Ogni singola parola.” Rispose alla fine, con voce serena.
Mi studiò a lungo, inclinando la testa di lato e socchiudendo gli occhi, come soleva fare da vivo.
“Ma tu non riesci ancora a credermi, non è così?” Mi chiese, facendo un profondo sospiro.
Scossi la testa, senza riuscire ad alzare gli occhi dai suoi.
“Ricordi cosa ti dissi, la prima volta che ci siamo incontrati?”
“Sono quello che ti ha afferrato stretto e salvato dalla perdizione.” Risposi io, andando con la mente a quella prima volta, in cui i nostri sguardi si incrociarono.
Lui scosse la testa, con un sorriso malinconico.
“Non pensi di meritare di essere salvato. Questo ti dissi, quel giorno. E nonostante tutto quello che è successo dopo, nonostante tutte le volte che hai salvato me, Sam, il mondo stesso persino, ancora pensi di non meritare la salvazione. Ma più di ogni altra cosa, non pensi di meritare di essere amato.”
Mi venne quasi da ridere.
Diamine, quell’angelo mi conosceva fin troppo bene.
Sospirai, guardando oltre Castiel, l’altro me stesso.
Era sporco di sangue e di terra, e tra le mani reggeva un pugnale.
Il volto, scuro e sbiadito.
Era così, che mi vedevo?
E’ questo che sono realmente?
“Vorrei che tu potessi vederti come ti vedo io, Dean. Vorrei poterti prestare i miei occhi, solo per un momento, per farti vedere che uomo meraviglioso tu sia in realtà.”
Aveva un sorriso sereno, e tuttavia carico di dolore.
Il sorriso più bello che io avessi mai visto.
Eppure, per quanto desiderassi di poterglielo dire, le parole si incastravano nella mia gola, e lì lentamente morivano.
“Tu meriti di più…” Dissi alla fine, con la voce incrinata dalla rabbia. “Meriti qualcuno che riesca a dirti quanto importante tu sia, quanto vali…” Avrei voluto continuare quella frase, ma era come se una mano invisibile mi stringesse la gola, impedendomi di parlare.
Voltandomi verso me stesso, mi resi conto che quella mano era la mia.
Ero io, a bloccare quelle parole.
Non mio padre, non Chuck, solo io.
Vidi una lacrima solcare la guancia dell’altro me stesso, e lentamente sul suo viso sbiadito iniziarono a formarsi i lineamenti che lo contraddistinguevano.
Gli occhi verdi, così tristi e profondi, che sembrava dovessero inghiottirmi.
La bocca serrata in una morsa, quasi che fosse cucita.
Lasciami parlare… Lasciami libero. Mi disse l’altro me stesso.
Mi guardavo adesso non più che un bambino, con addosso la camicia del padre, troppo grande per la sua età.
Lasciami libero. Supplicava il bambino, piangendo. Dammi la voce per parlare.
Desiderai di poterlo proteggere, di poterlo tenere stretto a me, di salvarlo dal destino che aveva davanti a se.
In lontananza, la figura di mio padre, mi chiamava.
Ed il bambino che ero stato correva da lui, sparendo sempre di più sotto il peso della sua ombra.
“Dimmelo di nuovo, Cas. So che ti chiedo tanto, ma ho bisogno di sentirtelo dire di nuovo.” Dissi alla fine, esausto.
Lui non mi chiese neppure che cosa volessi sentirmi dire, lo sapeva e basta, così come sapeva che sarei arrivato su quelle sponde.
“Ti amo, Dean.” Disse lui, con voce ferma e gentile, accarezzandomi la guancia. “Amo te, Dean. Non il cacciatore, il soldato, la vittima, il carnefice… Solo te…”
Il peso delle sue parole, fu come un onda d’urto che spazzò via tutto il resto, colpendomi con una violenza tale da lasciarmi senza fiato.
Davanti a me, c’era il bambino che ero stato, raggomitolato in posizione fetale, nudo nel terreno bagnato, avvolto dalle tenebre.
Ho paura… Ho paura… Ripeteva tra i singhiozzi. Non avvicinarti a me. Ti farò del male, se lo farai.
Poi d’un tratto apparse una luce, ed in quella luce riconobbi il viso di mio fratello. Si stringeva a me, circondandomi in un abbraccio.
Vidi poi mio padre e mia madre, che si sdraiavano sulla terra, prendendoci tra le braccia.
E quella luce si fece così intensa, così calda, da arrivarmi fin dentro l’anima.
Va tutto bene, Dean… Dicevano, abbracciandomi stretto. Puoi dirlo, adesso.
Guardai Castiel, e nei suoi occhi vidi risplendere la stessa luce, lo stesso calore.
E alla fine, quel calore fu tutto ciò che rimase, dentro di me.
“Va tutto bene Dean.” Mi disse, sorridendomi. “Non c’è bisogno che tu dica niente… Io sono felice così, mi basta questo… Potrei passare l’eternità stessa, stretto in questo istante.”
“Devo dirlo Cas…” Esclamai con rabbia, avvertendo quel peso enorme dentro di me, che mi schiacciava a terra. “Devo farlo, o non sarò mai libero.”
Chiusi gli occhi, e pensai a Castiel.
A tutte le volte che era stato al mio fianco, a tutte le volte in cui lo avevo perduto.
A come fosse l’unica creatura al mondo, in grado di amarmi incondizionatamente.
A come senza rendermene conto, avessi finito per innamorarmene.
“Ti amo.” Dissi tutto d’un fiato, riaprendo gli occhi.
Lui sorrideva, con il volto rigato dalle lacrime, ed un sorriso caldo e bellissimo.
Dietro di lui, anche il me stesso bambino sorrideva.
Non più sporco, solo, avvolto nell’ombra. Ma libero, felice.
Scoppiò a ridere, e poi si voltò, correndo verso Sam, che lo aspettava sulla riva del lago.
E improvvisamente, scoppiai a ridere anch’io.
Dapprima leggermente, in maniera confusa, poi sempre più forte.
“L’ho detto…” Sussurrai a bassa voce, più a me stesso che a Castiel. “L’ho detto!”
“Si Dean… L’hai fatto.” Mi rispose lui, baciandomi la guancia, in un gesto semplice e naturale.
Che strana sensazione era quella?
Perché mi sentivo così leggero?
Così caldo… sereno…
Non avevo più la sensazione di sprofondare, anzi mi sembrava di essere così leggero da poter prendere il volo.
Lo tenni stretto a me, facendolo roteare tra le mie braccia, ridendo come mai avevo fatto in vita.
Senza più peso alcuno.
Lui rideva con me, appoggiando la fronte contro la mia.
Mentre giravo così, totalmente perso nella mia felicità, finì per cadere nel lago, trascinandomi Castiel con me.
Eppure, non ero arrabbiato per questo, o infastidito.
L’acqua era così fresca, piacevole, ed io vi galleggiavo senza peso.
Era come se la sentissi per la prima volta… Come se facesse parte di me, come se fossimo una cosa sola.
Sdraiato sul pelo dell’acqua, guardavo il cielo azzurro sopra di me, così vasto ed infinito che sembrava a sua volta specchiarsi in un cielo ancora più grande.
Castiel mi teneva la mano, sdraiato accanto a me nell’acqua, con gli occhi colmi di gioia.
“Tu credi che se volessimo, potremmo andare lassù?” Gli chiesi, voltandomi verso di lui.
“Credo che potremmo fare qualunque cosa desideriamo… Dopotutto, siamo in paradiso.”
“Già… E’ così…” Gli risposi, chiudendo gli occhi.
Poi d’improvviso mi sentii sollevare da una forza invisibile, sempre più in alto.
Sentii il mio corpo che si alzava in aria, la testa leggera, il corpo che pareva fatto d’aria.
E poi d’un tratto, mi ritrovai tra le nuvole, a guardare il lago dal cielo.
Ma non avevo paura, né temevo che sarei caduto.
Anzi, era come non ci fosse nulla di più naturale al mondo.
Castiel volteggiava sopra di me, con il sole che gli illuminava il viso sereno.
Si voltò piano per guardarmi, e con la mano lo tirai verso di me, finché fu proprio sopra il mio corpo.
Ma la cosa strana, era che non mi sembrava un altro corpo, qualcosa di estraneo.
Era come se fosse la continuazione del mio.
Gli strinsi di più la mano, incastrando le dita tra le sue.
Con l’altra gli accarezzavo i capelli corvini, mentre lui mi circondava la vita con le braccia.
E poi lo baciai. Lo baciai piano, quasi temessi che potesse svanire da un momento all’altro.
Ma lui non svanii, ed io continuai a baciarlo, finché non sentii la sua grazia scorrere dentro di me, attraversarmi, fino a mischiarsi con la mia essenza.
Il sole dorato era dietro di noi, poi accanto a noi, poi parte di noi.
Tutto il cielo era parte di noi, e noi di esso.
Eravamo come collegati, io, Castiel, l’intero universo.
Ed in quello stato di quiete e beatitudine, mi sembrò di sentire battere il cuore di Sam.
Anzi, se ne ero certo.
Era il suo cuore, che batteva ad anni luce di distanza da noi.
Poi sentii la sua voce, la sua risata, la sua felicità.
E sperai con tutto me stesso, di poter fargli giungere la mia, ovunque lui fosse.
Non potevo sapere che proprio in quel momento, Sam stava tenendo in braccio suo figlio per la prima volta.
Non potevo sapere, che il mio pensiero gli era giunto attraverso il pianto di quel bambino.
Chiusi gli occhi, concentrandomi su di lui.
Cercando la sua presenza, tra le mille che lo circondavano.
Mi ci volle un po’, per riconoscerlo, ma era proprio lui, il mio fratellino.
Lo vidi seduto su una poltroncina verde, cullare tra le braccia il suo bambino appena nato.
Piangeva, di gioia e di paura, stringendo quella piccola creatura al petto.
Mi chiamava, sussurrando il mio nome, chiedendomi dove fossi, se potessi guardarlo.
Sono qui fratellino,
Sono qui con te.
Non puoi vedermi, non puoi ascoltare la mia voce.
Ma io sono qui, accanto a te.
E ci sarò sempre…
Continuerò a cercare il tuo battito, tra i mille che ti circondando.
Continuerò a guardarti crescere, a proteggerti, come ho sempre fatto.
Fino al giorno in cui ci rincontreremo…
Gli baciai la fronte, accarezzandogli i capelli castani.
Lui piangeva, sorridendo.
“Ci rincontreremo, Dean…” Sussurrò, guardando il cielo azzurro oltre la finestra.
 
 
 
 
 Angolino dell'autrice

Vorrei per prima cosa ringraziarvi tutti, per essere arrivati fin qui. 
Per avermi dato fiducia, e aver letto questa storia.
Spero che vi abbia lasciato qualcosa, un sorriso, una lacrima, un'emozione, un sogno, una speranza.
Spero, che se avete perso qualcuno nella vostra vita, riusciate a sentirne il sussurro, la carezza, la presenza.
E che un giorno, possiate rincontrarvi.
Consiglio a tutti voi, di parlare a voi stessi, come ha fatto Dean.
Visualizzatevi, guardatevi davvero, esattamente per quello che siete.
Amatevi, esattamente per quello che siete.
Ognuno di noi, ha dentro di se un bambino che chiede di essere ascoltato.
Non abbiate paura di farlo.
Tendetegli la mano, e proseguite insieme in questo lungo viaggio che è la vita.
Vi auguro ogni bene, in questa vita e nella prossima.
Vanessa

 
 
 

 
  
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