Chi sono? Dove mi trovo? E soprattutto...
che cos’è questa puzza tremenda?
Jacob
Era buio intorno a me.
Da quanto tempo mi trovavo lì? Non avrei saputo dirlo.
Chi ero, come mi chiamavo? Non ne avevo idea.
Avevo in mente solo un nome. Renesmee.
E non era il mio.
No, perché c’era solo una cosa di cui ero sicuro. Ero un uomo.
Provai a muovermi. Gemetti. Dovevo essere conciato piuttosto male, ma non
ricordavo perché.
«Non ti muovere, peggiori solo le cose» mi ordinò una vocina infantile.
Aprii gli occhi. Quello non faceva male.
Era una ragazza di circa diciotto, venti anni.
Di una bellezza sconvolgente. Pallida come la luna e con un odore che mi
faceva arricciare il naso.
Troppo dolce. Mi ricordava qualcosa. Ma non riuscivo a ricollegare i pezzi
della mia vita.
«Come ti chiami, giovanotto?»
Parlava come mia nonna. Eppure doveva avere più o meno la mia età. Non che
io sapessi quanti anni avessi, di preciso.
«Io… non lo so»
«Beh, prima o poi lo ricorderai – tagliò corto lei – io sono Vanessa, o Ness,
se preferisci. Ti abbiamo trovato giù nei pressi delle grotte. Eri conciato
piuttosto male. E pensavamo che saresti diventato uno di noi. Ma dopo una
settimana sei ancora umano. Chissà come hai resistito a tutto quel veleno »
«Ness, tu parli sempre troppo» disse un uomo sulla trentina.
Potevano passare per fratelli.
Stessa carnagione pallida, stesso odore nauseabondo e stessi occhi color
topazio.
«Piacere, io sono Gabriel. Gab o Gabe se preferisci»
«Mi piacerebbe sapere il mio nome, almeno potrei presentarmi» sputai tra i
denti, irritato.
«Beh, per il momento potremmo chiamarti John.
Che ne dici?» disse la biondina. Erano veramente una bella coppia. Chissà
perché il loro odore mi infastidiva tanto.
«Uhm. Ora so quello che intendevano tutti. Tu puzzi, Jacob»
«Senti chi parla»
Un ricordo. Una voce trillante che mi diceva che puzzavo.
Ma non era la voce che cercavo.
«Jacob – dissi – il mio
nome è Jacob»
«Hai ricordato qualcosa?» mi chiese Gabe gentilmente.
«Niente di particolare. Era solo… una sciocchezza»
«Ehi, Jacob – disse Ness – chi è
questa Renesmee?»
«Non lo so. Ma so che se non fosse stato per quel nome che mi rimbombava
nella testa non sarei mai uscito dal buio che mi circondava – osservai le bende
che mi ricoprivano dalla testa ai piedi – beh, ovviamente devo ringraziare
anche voi»
«Sai, Jacob, stai guarendo più
velocemente di quanto mi aspettassi. Tra qualche giorno sarai in grado di
muoverti perfettamente»
«Gabe, immagino che tu sia impaziente di riacquistare la tua
intimità con Ness.
Perciò, appena sarò guarito, me ne andrò da qui» dissi deciso.
«E dove andrai? – mi chiese lui per tutta risposta – Non ti muoverai di qui
finché non ritroverai la memoria. Io e Ness siamo felici di ospitarti. E sappiamo
aspettare. Dobbiamo saperlo fare. Per forza» l’ultima frase la borbottò tra sé
e sé. Mi stupii persino di averla sentita, tanto era basso il tono di voce che
aveva usato.
Passai da loro più di un mese dopo essermi risvegliato. Non avevo ancora
idea di chi fossi, ma ogni tanto avevo dei flashback. Sapevo che da qualche
parte c’era qualcuno che mi amava, sperando che non mi avesse dimenticato. Mi stavano
cercando o avevano pensato che fossi morto? Non ne avevo idea, e continuavo a
torturare il medaglione che avevo al collo. Un pegno d’amore, stando alla frase
che era incisa al suo interno. Ma di chi? E chi era quella Renesmee di cui
erano pieni i miei sogni?
Cominciavo a pensare che non avrei mai riacquistato la memoria.
Questi pensieri mi facevano soffrire, così ritornai a riflettere sulle
stranezze dei miei coinquilini.
Oltre al loro odore, che mi faceva ancora prudere il naso, c’era il fatto
che non mangiassero, nonostante ogni giorno preparassero montagne di cibo per
me.
Inizialmente ero ritroso a mangiare in maniera spropositata, in fondo erano
estranei, chissà cosa avrebbero pensato di me, anche se il poco che mangiavo
non mi saziava. Così, poco a poco, anche rendendomi conto che quello che non
mangiavo io finiva nella spazzatura, iniziai a cercare la sazietà a tavola. Ma,
nonostante lo stomaco pieno, mi sentivo sempre vuoto. Come se non fossi
completo. Come se mi mancasse un pezzo. Ma forse era solo la memoria che mi
giocava brutti scherzi a farmi provare quella sensazione.
Gabe interruppe il corso
dei miei pensieri.
«Eh Jake! Io e Ness stiamo
andando a fare la spesa giù alla riserva. Vuoi venire con noi?»
La prospettiva di farmi una passeggiata con quel tempo – pioveva a dirotto
– non mi attirava poi molto. Ma era sempre meglio che rimanere là da solo. E
poi non ero mai stato alla riserva. Vedere un po’ di gente non mi avrebbe certo
fatto male.
Non ero preparato alla sensazione sconvolgente che avrei provato.
Arrivati alla riserva – a piedi, nonostante la pioggia, eravamo veloci –
entrammo in un piccolo negozio di alimentari.
La commessa era impegnata con un altro cliente e ci voltava le spalle.
Notai l’eleganza dei suoi movimenti e i lunghissimi boccoli color bronzo.
Si muoveva con la leggiadria di una ballerina.
Mi aveva incantato e non l’avevo ancora neanche guardata in volto. Ma
magari ne sarei stato deluso.
Non appena ebbe terminato di servire il cliente si voltò verso di noi con
un sorriso. Mi ero sbagliato. Non ero deluso. Era la creatura più incantevole
che avessi mai incontrato. Ma il suo sorriso si gelò quando posò gli occhi su
di me.
«Jake – disse titubante –
sei proprio tu? »
Sentii il vuoto, che c’era stato fino a qualche secondo prima, riempirsi.
Ero di nuovo completo.
Non ricordavo nulla, se non piccoli particolari della mia vita passata, ma
appena posai gli occhi su quella fanciulla meravigliosa ogni cosa andò al suo
posto.
Ed io mi sentivo… felice.
Era sbagliato? Non lo so. Ma la ragazza mi guardava come se avesse visto un
fantasma.
Non riuscivo a parlare. Gabe lo fece al mio posto.
«Lo conosci?» le chiese.
La ragazza annuì, continuando a fissarmi. Sembrava che stesse per scoppiare
a piangere da un momento all’altro.
«Leah, puoi venire un attimo? » parlò come se si stesse
rivolgendo a qualcuno nella stanza, ma a parte noi non c’era nessuno. E nessuno
di noi si chiamava Leah.
Apparve una ragazza. Capelli corti, carnagione scura, come la mia. Non
l’avrei definita brutta, ma c’era un che di maschile nel suo portamento.
Non ci degnò di uno sguardo. Sembrava piuttosto infastidita del fatto che
l’altra ragazza l’avesse disturbata.
«Che c’è Nessie? Ti avevo detto che
avevo da fare. Non avrai mica combinato qualche altro guaio dei tuoi, vero?
Altrimenti la zia di
Embry chi la
sente! >> disse tutto d’un fiato.
L’altra per tutta risposta puntò un dito verso di me. Ora mi stavano
facendo girare le scatole. Che cosa avevano contro di me?
Quella che si chiamava Leah si girò, e
sul suo volto comparve la stessa espressione che aveva l’altra. Come l’aveva
chiamata? Ah, sì, Nessie. Questo nome mi
diceva qualcosa, ma forse era solo la somiglianza con Ness.
Come quello di Vanessa, però, doveva trattarsi di un diminutivo. Mi azzardai a
parlare.
«Come… come ti chiami?» le chiesi.
Mi guardò disperata. Poi mi rispose.
«Nessie… cioè Renesmee.
Il nome completo è quello che ha scelto mia madre, ma il diminutivo lo
scegliesti tu».