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Autore: Evil Daughter    13/12/2020    7 recensioni
Oltre ad essere rozza sei priva di delicatezza.
Pensò Vegeta. Dedicandole l’accusa.
Piegò le labbra in giù, fece maggiore pressione e l’ago schizzò fuori portandosi dietro una scia di sangue annacquato.
Ripensò al ricovero in ospedale, rimembrava ogni particolare; almeno da quando aveva riaperto gli occhi. Alcuni dettagli li avrebbe cancellati volentieri. Altri no, sedimentavano. Lo mettevano davanti a diversi interrogativi. Lei lo aveva salvato.
E sai come sprecare il tuo tempo.
Un pensiero ancora rivolto a lei.
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Vegeta? Un folle omicida. Ma Bulma lo sa bene: mai fermarsi a giudicare unicamente la coda del mostro.
La belva deve essere sempre osservata nella sua interezza.
Periodo trattato: triennio antecedente ai cyborg.
INIZIO RELAZIONE TRA BULMA E VEGETA. STORIA ILLUSTRATA.
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Nuovo capitolo, 18: PROGENIE SEGRETA SOTTO LAMPI DI GUERRA.
Genere: Introspettivo, Malinconico, Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Bulma, Dr. Gelo, Vegeta, Yamcha | Coppie: Bulma/Vegeta, Bulma/Yamcha
Note: Missing Moments | Avvertimenti: Contenuti forti
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- Questa storia fa parte della serie 'ARANCE MARCE: Bulma e Vegeta, sbagliati e quindi veri.'
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Capitolo XII – Solve et Coagula.

 


Bubbolii lontani riecheggiarono nel vuoto.
Un piccolo veicolo si stava allontanando ad alta velocità inseguito da accecanti scariche elettriche.
Lei le vedeva serpeggiare, invadere il cielo. 
Nello specchietto retrovisore, il riflesso dell’ospedale diveniva via via una innocua miniatura inghiottita dalle nubi incombenti. Eppure, il ricordo faceva ancora paura. 
Come l’occhio grifagno d’un orco che s’apriva e chiudeva all’incombere dell’oscurità, sbiancato dai lampi, il nosocomio lumeggiava spiritato. Bisbigliava all’aria un non ti scordar di me. E Bulma non se lo sarebbe dimenticato.

Avanti a sé, la scienziata guardava il giorno venir sconfitto sulla linea dell’orizzonte in sottili lacerazioni grigie e viola. Accelerò. Temeva che da un momento all’altro, nel bel mezzo della strada e fra le vibrazioni del temporale in arrivo, potesse sbucarle davanti un bisturi. E il suo padrone. E Yamcha. Anche lui, che desiderava... Ucciderla? Strangolare lei, o lui ? Farli fuori entrambi, magari aiutato da quel pazzoide.


Un incubo alla volta, per favore.


Sopra di loro, infilzate com’erano su quei grattacieli sottili al pari di stuzzicadenti, le nuvole avrebbero vuotato il loro contenuto di lì a momenti. Tanto per complicare la situazione o renderla più drammatica.
Bulma guardò alla sua destra: Vegeta era seduto accanto a lei, veniva illuminato di tanto in tanto dai caldi lucori provenienti dalla strada. L’aspetto tetraplegico però non migliorava. Gli strinse la mano una terza volta, velocemente, assicurandosi che non fosse gelida. Non lo era, tuttavia, neanche sembrava così calda come avrebbe dovuto essere la mano di un saiyan.
La scienziata toccò la manopola del riscaldamento. Era al massimo e non era sufficiente.
La sua giacca di pelliccia finì a coprire le gambe di Vegeta.

Era conscia di ciò che aveva fatto. Perché Vegeta non era morto. Lo aveva salvato. Era merito suo, lei era l’artefice, il suo gesto avrebbe donato al mondo un nuovo protettore.
Cacciatore saiyan. Alieno spietato.
Lui avrebbe combattuto, difeso la Terra.
Per se stesso.
E nessuno avrebbe compreso.
Il tuo amore è delirante.
Vegeta stesso le avrebbe detto che stava riponendo speranza nel santo sbagliato, che avrebbe dovuto guardare meglio le sue mani e accorgersi ch’erano assetate di sangue, bramose di cogliere quello del fratello traditore.
Non ascoltare. L’idea è perfetta.
Ma la verità poteva essere elusa. E poi, c’era una speranza più grande alla quale Bulma aspirava aprire le gambe.
La scienziata mosse le labbra verso l’euforia.


Quando il cielo cominciò finalmente a piangere il proprio carico di insofferenza nei confronti dei due fuggitivi e di West City, la nenia dei tergicristalli si unì al silenzio del viaggio.
Ferma ai semafori, sulle strade stranamente sgombre – quasi che gli abitanti della metropoli fossero stati avvisati del loro passaggio e avessero deciso di nascondersi – Bulma ne approfittò per osservarlo ancora, incredula di averlo accanto, vicino. Addormentato. Suo. Nel bene e nel male. Tanto male, per gli altri; molto bene, per lei.
Ne percepiva l’odore sporco di ospedale: un misto di sudore e abluzioni mal eseguite dal personale ospedaliero. Però, sfiorargli i capelli era una tentazione implacabile. Abbassargli il colletto sgualcito del pigiama che indossava l’inizio di qualcos’altro. Spogliarsi. Fare una doccia. Con lui. Anche lei era sporca.

Pensa a guidare.

Sarebbe stata una colpa di cui vergognarsi, prima. Un volere impossibile a cui inginocchiarsi, dopo. Ma lei aveva scelto da che parte stare, adesso. Era la sua missione. E l’unico modo, per avvicinarsi a colui che dell’universo aveva fatto una pira su cui bruciare vivo ogni avversario, era incarnarsi nella sua indispensabilità. Il destino avrebbe agito indisturbato e lei, in punta di piedi, avrebbe tenuto in grembo la serpe che gli altri le avrebbero consigliato lasciar bruciare nelle fiamme.
La metamorfosi ormai era iniziata. L’albedo era vicina.

Bulma continuò a guidare. A guidare per lui.

 

 

~ ~ ~

 

 

Vegeta riprese conoscenza quasi alla fine del percorso verso la Capsule Corporation. La scienziata lo vide risorgere dalle nebbie mortifere nelle quali avevano tentato mutilargli lo spirito.
Il saiyan aprì gli occhi e la scoprì accanto a sé: un’angelica pazza ancella onnipresente nel suo tortuoso processo di rinascita.
Gli offriva ora un timido accenno di sorriso.
Era disarmante.
La pioggia prese a cadere più potente e scrosciante, isolandoli dal resto del mondo che mai li avrebbe capiti o voluti assieme.
«Stiamo tornando a casa.», gli disse. Vegeta udì l’ultima parola. Questa non gli apparteneva, ma stava avvinghiandosi a lui. Stava scavando sotto la superficie cutanea del saiyan, annidandosi come il peggiore dei parassiti. Lo voleva far suo. Lo voleva dominare.
Doveva eliminarla, prima che...

 

 

~ ~ ~


 

 

«Non ci ha dato più notizie.», ammise  il dott. Brief, carico di sconforto.
«Tesoro, pensi che sia peggiorato?», chiese sua moglie.
«Non ne ho la minima idea, cara, spero di no. Era tornata di corsa, mi aveva chiesto quel vaso... Credevo volesse cogliere il senzu. Invece lo ha lasciato lì... », lo scienziato si grattò la testa cercando di decifrare il comportamento mostrato da sua figlia. Appoggiò il manufatto in terracotta sul tavolino che aveva davanti a sé, dopo, si sedette sul sofà dietro di lui e incrociò le braccia al petto. Il gattino nero allora ne approfittò per acciambellarsi sulle ginocchia del padrone.
Con la teiera bollente stretta fra due presine ricamate a mano, la Signora Brief s’avvicinò al tavolino basso e versò attenta il tè in due capienti tazze.
«Credi sia il caso di andare in ospedale a vedere?», domandò.
«Cara, sei molto premurosa, ahimé, hai sentito Bulma: ci ha detto di non muoverci da qui prima del suo ritorno. Dobbiamo aspettare.»
Scontenta, la signora Brief si arrese e prese posto sedendosi accanto al marito.
Nessuno dei due coniugi parlò ulteriormente, le loro voci si spensero rimpiazzate dal cadere incessante della pioggia e dal ticchettare dell’orologio appeso alla parete.
L’attesa diventò un tappeto di sabbie mobili su cui sprofondare lentamente. Fin quando lo scienziato si alzò dal divano muovendosi in prossimità della finestra.  Dal giardino, aveva udito provenir un borbottio a lui familiare, di motore capriccioso ma reso da lui stesso funzionante e resistente come nessuno.
«Tesoro, dammi un ombrello.»




Bulma accese la luce nel piccolo abitacolo dell’auto, era alla ricerca di un ombrello nascosto che, al lato del suo sedile, non c’era più. Poteva controllare nel portaoggetti del cruscotto, ma le ginocchia del saiyan ne intralciavano l’esigua apertura.

La pelliccia non basterà per tutt’e due. Ci bagneremo.   

Non volevi fare la doccia con lui?

Non era la maniera in cui lo aveva immaginato. L’ingresso della Capsule Corporation distava una quarantina di metri da loro; pur se la distanza era breve, la pioggia non li avrebbe risparmiati. L’acqua parve persino aumentare. Questo le ricordò la stessa difficoltà affrontata quando aveva deciso di incontrare Vegeta di nascosto, quando Yamcha costituiva un ostacolo che ancora meritava rispetto.
Quel che però Bulma stava volutamente ignorando, brancolando alla ricerca di un ombrello, era trovare un modo con il quale poter trasportare il saiyan dall’auto fino a casa. All’apparenza, Vegeta sembrava debole, coi sensi ancora sopiti, teneva gli occhi socchiusi. Forse la tetraplegia era passata ad uno stato di paraplegia. Lei lo aveva visto riprendersi per un momento e ricadere subito dopo nell’incoscienza.
La scienziata tirò un sospiro. Neanche l’idea di chiamare i suoi le piaceva, sua madre non sarebbe stata utile nemmeno a tenere aperto un ombrello. Il padre era troppo vecchio per aiutarla a sostenere Vegeta.
Non v’era altro da fare: decise di rimanere nell’auto finché lui non si fosse ripreso. E avrebbe aspettato godendosi quegli attimi di tacita pace insieme al saiyan.
Sganciò la cintura di sicurezza e indietreggiò col sedile. Aveva bisogno di spazio. E per rendere l’occasione maggiormente fruibile, pensò di sbloccare anche quella che assicurava il saiyan al sedile dell’auto: premette il pulsante, fece scattare il meccanismo e ascoltò la cinghia venir risucchiata nel riavvolgitore. La sentì frusciare sul pigiama azzurro di Vegeta e la vide arrestarsi ostacolata dal braccio di quest’ultimo.
Bulma si sporse avanti, intenzionata a farla scorrere oltre l’arto. Gli sfiorò il braccio. Stava diventando una consuetudine interagire con le parti del corpo del saiyan. Lo faceva con spigliata naturalezza.
Ecco, c’era quasi e...

«Non muoverti. Ucciderei un qualsiasi verme con questa mano e una donna ficcanaso con quest’altra... Anche adesso, se mi impegnassi, potrei farlo.»

Un palmo aperto era a pochi centimetri dalla sua gola, due occhi spalancati e funesti la tenevano sotto tiro. Vegeta non le aveva dato il tempo di lanciare alcun gridoo di ribellarsi. L'aveva spaventata.

Non le piacque affatto l’esemplificazione, calzava a pennello non solo su di lei.
Se non fosse stata felice di notare che l’effetto dei narcotici stava svanendo in via definitiva, restituendole così il saiyan loquacemente pericoloso, lo avrebbe aggredito. 
Eppure, paradossalmente, Bulma stava per ridere. Era il suo inconscio conquistatore a solleticarle la risata.
Si trattenne per evitare che il saiyan potesse interpretare l’ilarità in maniera sbagliata.

«Ne...  sono certa. Vegeta. Non lo metto in dubbio. Stavo solo liberandoti dalla cintura di sicurezza, non avevi più bisogno di tenerla... Be’, giacché ti sei svegliato, avrei io necessità del tuo aiuto. Purtroppo, da sola non sarò in grado di accompagnarti in casa.»

Sì, io ti ho riportato a casa.

Bulma indicò l’ingresso della struttura. Gli aveva parlato con voce chiara, fintamente controllata, quella che s’userebbe per dissuadere un assassino dai suoi intenti, perché Vegeta la stava guardando davvero come se lei fosse una reale minaccia. Inoltre, non era facile far apparire una cortesia, che Bulma stava per elargirgli – perché l’aiuto in realtà serviva a lui – come una richiesta di soccorso per lei stessa. Ma se la scienziata desiderava ottenere dal saiyan un briciolo di collaborazione, quello era il linguaggio da usare. 
Avrebbe dovuto mantenere il silenzio di lì in avanti, per salvaguardare la vergogna e l’osso del suo collo. Se le fosse sfuggito di averlo salvato, con quali cause e quali modalità, l’orgoglio di lui avrebbe dichiarato per lei la pena di morte. 
Continuasse pure a vederla come un’appiccicosa terrestre rompiscatole invaghitisi dell’uomo sbagliato.

Per Vegeta c’era nuovamente la parola casa ad accoglierlo... a braccia aperte.

«Vattene dentro, da sola, io resterò qui. E non toccarmi. Non devi toccarmi. Capito?»

Perché tutta la confidenza che si erano entrambi presi sembrava fosse scappata? Che fine avevano fatto gli sguardi languidi e il cercarsi irrequieto delle loro mani? 

Ad ogni tuo passo avanti, lui ti silura chilometri indietro. L’avevi dimenticato? Siete bravi in questo balletto.
E aggiungiamo pure che lui sa. Deve aver ricordato, altrimenti non insisterebbe tanto.

L’infermiere, infatti, le aveva anticipato la fregatura e non si era sbagliato. Ma come avrebbe potuto Bulma spiegare a Vegeta che non lo avrebbe lasciato solo mai più? Che piuttosto preferiva cucirselo addosso. Soprattutto ora, che lui non era nel pieno delle forze e che, per questo, lei credeva di doverlo difendere e soprattutto di poterlo difendere.
Stai pensando a Yamcha?
«Hai compreso le mie parole?»
Vegeta insistette, riacchiappandola smarrita fra i labirinti di coraggiose imprese.
«Sì... Non lo sto facendo, non ti sto toccando.»
Ora.
Alzò i palmi, lei, ma non c’era nessuna arma puntata contro il suo petto. A parte lo sguardo contundente del saiyan.
«Allora esci.»
Le ordinò acido.
«Come?»
Assolutamente è fuori discussione! Se dovesse tornare Yamcha e trovarlo così, potrebbe fargli del male, Vegeta in queste condizioni non sarebbe in grado di... «Resterò qui con te! – gli rispose concitata – Quando ti sarai ripreso e ce la farai a camminare, torneremo insieme a casa e-», un movimento inaspettato, la portiera dell’automobile dalla parte del passeggero si aprì. Altrettanto inattesa fu poi la mossa del saiyan: che si buttò fuori dall’abitacolo e rotolò giù, sotto l’acqua che grondava violenta.
«Oh, mio Dio!»
Bulma scese rapida dal suo lato dell’auto, precipitandosi fuori per raggiungerlo. Inciampò due volte, si sporcò di fango dalla vita in giù e non diede importanza al proprio disastro.
«Mi spieghi cosa ti è passato per la testa?!», gridò, chinandosi su di lui che avanzava carponi. Ma quando gli fu a portata di sguardo, l’espressione di Vegeta l’agghiacciò: digrignava i denti ad ogni faticosa bracciata che compiva, affondando le unghie nella terra nel disumano sforzo di avanzare. Il suo volto si contraeva in una smorfia aggrottata di dolore.
Bulma, stavolta, non sapeva davvero dove mettere le mani.
«Vegeta, ti prego, fermati! Ti... Ti aiuto io, non devi affaticarti! – si chinò più in basso, gli sfiorò una spalla, voleva tirarlo su – Aspetta, chiamo mio padre, lui ci aiuterà-»
«NO!»
Vegeta la respinse cacciando via le sue dita.
«Ho detto che non devi toccarmi! Quante volte devo ripeterti-»
«Ma ti stai bagnando, ti ammalerai! Non ti accorgi che sei ancora de... »
Debole sarebbe stata un’accusa che avrebbe finito di schiacciarlo al suolo.
Lei si zittì.
Sporco di terra in viso e con gli occhi iniettati di sangue, Vegeta proseguì.

«Tu hai fatto abbastanza. Ora togliti. Faccio da me.»

Ricorda tutto.
Preferiresti morire. 
Non è così?


Lo vide sollevarsi, arpionare i palmi sulle ginocchia, ansimare sfinito. Curvo e tremante su di sé, con le gambe a pezzi come se stesse compiendo un’arrampicata aggrappato alle proprie membra stanche e in pericolo di frana.
La pioggia prendeva a sberle i loro volti. Ed era impietosa con lui.
«Che tu sia maledetto Kakaroth... »
Lo sentì imprecare a denti stretti e le vennero i brividi: era più che l’esternazione di un sentimento d’odio quella.
«... maledetto tu, la terra su cui cammini, ogni schifoso terrestre, chiunque provi a sfidare – distese le gambe – anf, anf... il Principe dei Saiyan. Giuro che non avrò pietà... di nessuno!»
Non stava urlando, ruggiva afono.
Bulma restò immobile a guardarlo lottare con se stesso. Un attimo dopo, vide animarsi un incredibile fenomeno. Era un baluginio lieve. La porta di ingresso distava ancora una decina di passi.  La luce si intensificò maggiormente, circondava Vegeta, danzandogli intorno come un incantesimo. Il saiyan si mise perfettamente in piedi tirato su da una forza estranea. Bulma lo osservò volgere il volto contro la pioggia, e quella evaporava prima ancora di toccare la sua pelle divenuta luminosa come un diamante e... incandescente?
Bulma assistette a quel prodigio a bocca aperta, avvertì un vento caldo sfiorargli il viso. Una carezza tiepida che quasi asciugò le gocce che le scorrevano sul volto e le scioglievano il trucco. Rimase senza fiato.
Poco prima, Vegeta non avrebbe avuto nemmeno la forza per sbattere le palpebre. Ora, il suo corpo era tramutato in un trionfo di energia e solennità. La luce gli galleggiava intorno pari ad un caldo fuoco fatuo. Appena dorata.
Due parole, solo due stavano colpendo incessantemente la coscienza della scienziata. E aveva paura di pronunciarle. Aveva paura di far scomparire quella magia.
Vegeta compì i pochi ultimi passi che restavano per arrivare all’ingresso della Capsule Corporation. Il tepore candido e luminoso scomparve così come era venuto, lasciandogli dentro un incontrollato vigore.

Lei lo aveva visto con i suoi occhi.

Lo aveva visto contorcersi nel fango e risorgere, in una sorta di processo alchemico che gli aveva spogliato lo spirito fino a giungere a quello stato di purezza che per un soffocato istante lo aveva ammantato di regalità e leggenda.

La scienziata aveva scorto in lui il-

«Bulma!»

Arrivati davanti la grande entrata dello stabilimento CC, un angolo di luce calda da appartamento si riversò sul pianerottolo di ingresso e su di loro. Comparve suo padre, era pronto a sbottonare un grosso ombrello.
«Vegeta! Caspita, ci sei anche tu! Moglie, c’è Vegeta! Presto! E Bulma è qui con lui, te l’avevo detto che dovevamo aspettare! – ululò il signor Brief stupefatto, e alla lieta notizia la consorte non mancò di precipitarsi da loro –  Ah, Vegeta, siamo davvero felici di rivederti! Avanti, avanti, entrate!»
I due varcarono la porta fradici e infangati che sembrava si fossero rotolati insieme nel fango.
Bulma era rapita, emozionata e attenta a scorgere ancora un altro scampolo di miracolo in lui. Era così contenta che dell’acqua che l’aveva inzuppata e sfatta non gliene importava nulla.
Il saiyan a modo suo, tentando per quanto gli era possibile di sostenersi a qualunque cosa gli capitasse a tiro, camminava lento ma vigile, restando ammirevolmente in piedi sulle proprie gambe. Dei veleni del dottore pareva non essere rimasta una sola goccia.

«Vegeta, finalmente! Riaverti qui mi riempie il cuore di gioia, ho pianto tanto per te!... Oh, non posso pensarci! Sono contenta che tu ti sia ripreso. Sai che faccio, vado subito a prepararti qualcosa di buono da mangiare, stavolta voglio cucinare tutto il possibile per te!»
La signora Brief sembrò spiccare un volo intorno al saiyan. La sua voce mielosa dava l’idea di volerlo inzuccherare.
Vegeta non rispose a nessuno, non guardò in faccia i padroni di casa ma voltò uno sguardo concentrato in direzione della scienziata.
Lei, accorgendosi di essere nuovamente rientrata fra le sue attenzioni – forse mai ne era uscita – accorse in suo aiuto.
«Ehm, mamma, no. No.»
Si mise fra i due a coprire, con la propria filiforme silhouette, un Vegeta imprevedibile.
«Come cara?»
«In questo momento – Bulma si fece più vicina, di modo che solo le orecchie della sua simpatica genitrice potessero udirla, e continuò – come puoi vedere, Vegeta non sta bene, ha bisogno di riposare, è appena tornato dall'ospedale. Per cui non una parola di più, ok?»
«Ma cara, sono convinta che non gli dispiacerà mettere sotto i denti qualcosa, o sbaglio?»
«Sì, sì, certo. Prima però dobbiamo farlo accomodare, o vogliamo lasciarlo nel bel mezzo del salotto bagnato come un pulcino? Rischierà di prendersi un raffreddore e noi non vogliamo che accada, giusto mamma? Dopo, se ti fa piacere, gli porteremo la cena in camera. Lì, la gradirà sicuramente.»
I suoi la guardarono perplessi: effettivamente la scienziata aveva ragione, Vegeta sembrava reggersi in piedi con due sputi di colla che lo fissavano a malapena sul pavimento, come un fragile pop-up di carta finito stropicciato nelle mani di un bambino cattivello. In più, oltre ad essere una pozzanghera vivente, il saiyan aveva una brutta cera. Peggiore della solita.
Bulma roteò in fretta il dito indice, senza farsi vedere dal saiyan, a far intendere ai propri genitori che le spiegazioni erano rimandate ad un secondo tempo. Vegeta aveva bisogno di calma intorno a sé. Per quanto rincuorata dal vederlo nuovamente deambulante, la scienziata non sapeva se ciò che aveva visto concretizzarsi avrebbe potuto scatenare effetti indesiderati alterandogli il comportamento. Pertanto, era saggio mettere al sicuro i suoi tenendoli alla larga da lui. E, viceversa, mettere in salvo Vegeta dalle sviolinate irritanti della propria instancabile mamma.
«Be’, ci fidiamo di te, Bulma. – la signora Brief alla fine cedette – Ma inizierò a cucinare immediatamente! Vegeta, mio bel fusto, mentre eri in ospedale ho studiato dei nuovi buonissimi manicaretti che ti faranno diventare matto, non vorrai altro che mangiarne ancora, ancora e ancora! Ah ah!»
«E io, moglie cara, verrò a farti compagnia», si aggiunse suo marito.
«Papà», Bulma però lo fermò.
«Dimmi»
«Io e te dovevamo parlare, ricordi?»
Il dottor Brief riconobbe nella figlia una sguardo serio e perse la spensieratezza del momento.
«Bene. D’accordo figliola, ti aspetto in laboratorio.»


I suoi presero direzioni opposte. La scienziata rimase con Vegeta.
Si voltò e gli si rivolse titubante, non sapeva se parlargli di ciò a cui aveva assistito, ma, probabilmente, non era quella l’occasione giusta. Doveva aspettare.
«Ti accompagno in camera.»
«Non devi, so dov’è.»
La maleducazione non gli era mutata di una virgola.
«Devo. Perché l’incidente che hai avuto con la navicella ha coinvolto nell’esplosione anche la tua stanza. Incredibile eh, non volevi proprio lasciare traccia di te... Quindi, ne ho scelt-, voglio dire, io e i miei abbiamo sistemato le tue cose in un’altra camera. Quello che rimaneva delle tue cose, che tra l’altro non erano molte e ora... »

Del silenzio ingombrante si manifestò tra loro.

Cosa cavolo gli sto dicendo?
Sì, infatti, ti sei rincretinita! Dovresti chiedergli come sta, se ce la fa veramente a camminare. È appena uscito da una sorta di paralisi farmacologica, o come la vuoi chiamare.
E siamo scappati per un soffio da un pazzo che ha tentato di ucciderci...
Fosse stato il solo!

Altre gocce di pioggia caddero inzuppando il pavimento sotto i piedi di entrambi. In quell’attimo, Bulma s’accorse del disastro che la conciava e dell’irreparabile bisogno di una doccia. Non quella con lui, il momento era sfumato. Ma una da sola, in privato, necessaria a rendere la pelle liscia come un petalo di rosa. Ne aveva bisogno. Senza, non si sarebbe fatta mai accarezzare.

«Se ce la fai a proseguire da solo, seguimi, ti faccio strada.»

Vegeta rispose con un grugnito e si spostò muovendosi arrugginito come un rottame.


Abbiamo mai trascorso del tempo insieme per questi corridoi?
No. Con Yamcha non si poteva. E lui non ha mai voluto starmi così vicino.
Ora lo vuole? Come faccio a capire? Però mi sta seguendo.

Lo fa perché altrimenti non saprebbe dove andare, scema.


Stavano avanzando con lentezza, e non perché Vegeta faticava ad ogni passo, ma perché Bulma temporeggiava:

«Se continui a guardarmi come se io potessi inciampare stupidamente, giuro che-»

«Scusami, sono preoccupata.»

«Be’, vedi di contenerti. Sei fastidiosa!»

La scienziata celò un sorriso, era strano poter conversare con lui in quella maniera nuova. 
Fastidiosa. La parola più gentile che le avesse rivolto finora, a parte sentirgli pronunciare il suo nome.
Arrivarono alla fine del corridoio illuminato di luci moderate. Bulma aprì la porta e Vegeta la seguì.

«Non è diversa da quella che avevi prima, c’è anche un bagno interno.»

Il saiyan non le disse niente, non la ringraziò né espresse altro che facesse intendere una reazione positiva. Scoperto alla prima occhiata dove fosse la doccia, Vegeta, senza curarsi della presenza di Bulma, prese a svestirsi. Il primo indumento che tolse fu la giacca sozza del pigiama fornitogli dell’ospedale. Bottone dopo bottone, alcuni li strappò, finché ne uscì come una larva dalla crisalide, mostrando il torace massiccio.
Cicatrici come lei le ricordava. La scienziata andò in allarme. Non per i muscoli, per carità, era un belvedere su cui morire; ma per il fatto che lui stava comportandosi come se lei non ci fosse.
«Ti lascio, tornerò più tardi e ti porterò la cena.», esclamò, provando a farsi sentire. La punta inzaccherata dei suoi anfibi non era mai stata tanto interessante. Si stava sforzando di guardarla per evitare di tenere gli occhi addosso a lui. 

Vegeta le voltò le spalle, la schiena vissuta, percorsa da innumerevoli sfregi, raccontava troppe violenti storie. Si spantalonò, l’indumento scivolò via crespo arriciandoglisi intorno alle caviglie. Quel corpo di angelo caduto se ne liberò definitivamente calciandolo poco in là. A piedi scalzi, camminò dinnanzi a lei lasciando impronte di umido sulla moquette. Nudo, raggiunse il bagno e aprì un getto d’acqua bollente nella doccia.

Mi dici che non devo toccarti e ti spogli, davanti a me.

«Non fare quella faccia. Dovresti esserci abituata

Alluse lui. Poi, chiuse la porta e Bulma rimase fuori. Senza parole.

 

 

~ ~ ~

 

 

«No. Niente medici, basta.»
«Sei sicura, e se gli prendesse una crisi respiratoria?», gli domandò suo padre, che più o meno era stato attento al racconto della figlia. Bulma si era riservata di non dire nulla a proposito di Yamcha e, molto alla leggera, aveva affrontato le tremende intenzioni del primario.
«Non succederà, può respirare da solo. La mia camera è vicina alla sua. Se avesse bisogno di aiuto, me ne accorgerei.»
Il signor Brief fissò ancora le bombole di ossigeno che aveva raccattato dal reparto di bioingegneria, «Se servissero abbiamo comunque queste.» Ne aveva preparate una cinquantina. Non si poteva mai sapere.
«Papà, non farmi ripetere. Vegeta non sta benissimo, ma ce la fa a respirare. Appena sarà maturo gli daremo il senzu e lui si riprenderà completamente. Ora cerchiamo di capire cosa non ha funzionato nella navicella. In più, vorrei vedere il progetto di quelle macchine che hai costruito per potenziare i suoi allenamenti.»
«I simulatori di energia, intendi. Arrivo subito.» 
Il dott. Brief raggruppò diversi cilindri di fogli di un metro per uno e settanta. Li buttò sul tavolo luminoso, li sistemò per bene sotto gli occhi attenti della figlia, che iniziò ad analizzarli.
«Abbiamo bisogno di un impianto più stabile – s'annotò Bulma, poi, proseguì – una navicella spaziale non è adatta a sopportare la sua forza... »
«Come se contenere la forza di un saiyan fosse facile, figliola.»
«Di un Super Saiyan, papà. Un Super Saiyan.» Lo corresse immediatamente, ma si accorse tardi di aver innescato un’accesa curiosità.
«Non vorrai dirmi che Vegeta è diventato un Super Saiyan?! Ma questo vuol dire che sta funzionando!»
«Non ho detto che lo è, intendevo semplicemente che dobbiamo pensare di dover creare qualcosa di adatto per quando lui lo diventerà.»
Il suo vecchio aspirò una lunga tirata di sigaretta e parve rifletterci. Successivamente, annuì convinto.
«Creeremo una nuova lega – la scienziata prese altri appunti – partendo da una a base di titanio e la rinforzeremo con altri metalli che possano renderla elastica ai colpi e ai cambiamenti della gravità, e dovrà essere resistente anche alle alte temperature, con questo rinforzeremo le pareti della nuova gravity room
«Mi sembra un’idea magnifica, Bulma. E per i simulatori di energia?»
«Per quegli aggeggi che respingono ed emulano i suoi attacchi energetici... Faremo lo stesso anche su di loro. Tuttavia, non credo lui ne abbia più bisogno. In più, useremo un campo magnetico che possa creare un'ulteriore barriera protettiva tra le pareti della gravity room e quelle dell'impianto della Capsule Corporation.»
Sembrava essere un gioco da ragazzi. Al contrario, giusto e solo la Capsule Corporation poteva avere la possibilità di sviluppare simili tecnologie. Vegeta, se non altro, era fortunato ad essere lì.

 

 

~ ~ ~

 

 

Ogni cicatrice, sul suo corpo, era richiamo di vendetta. L’avrebbe ottenuta, nel tempo. Con calma, perché stava arrivando il suo momento e voleva goderselo senza affanno. Qualcuno avrebbe pagato le colpe di altri. 
Lui si sentiva strano, completamente sballato. Un coacervo di sensazioni e stimoli lo intasavano. Era rabbioso, ma euforico, aveva voglia di uccidere, di sentire l’odore del sangue, di ballare sopra le grida di sofferenza di un avversario abbattuto, un orgasmo se fosse stato Kakaroth; al contempo, era sessualmente eccitato. E non gradiva lo stato.
Guardò i buchi che gli aghi gli avevano lasciato su entrambe le braccia. Un eroinomane ne avrebbe avuti meno. I terresti meritavano una morte atroce. Fortuna che la ferita sulla testa era stata ricucita e non gli avevano rasato i capelli. Quelli non gli sarebbero più ricresciuti.
Dal polso sinistro perdeva gocce di sangue, era l’esito di una sbagliata scelta di azioni. Non si deve mai provare a strattonare un ago premuto nella carne. Non si ottiene un buon risultato, la pelle viene via, strappandosi, o l’ago si spezza. Come nel suo caso. Lo vedeva emergere, sottile, grigiastro sotto l’epidermide, parallelo  alla vena bluastra che gli percorreva il polso. La punta spezzata usciva di poco dalla carne – era impossibile afferrarla anche con le unghie – e stava per essere fagocitata da questa, per via della infezione che gonfiava la superficie cutanea. Un livido violaceo ne segnava il contorno.
Doveva togliere l’ago.
Tenne fermo il polso ferito, sorreggendolo con la mano destra e, nel frattempo, mosse il pollice e l’indice della stessa mano premendo e muovendo nel senso utile a far uscire l’intruso.
La colpa era di Bulma.

Oltre ad essere rozza sei priva di delicatezza.

Pensò Vegeta. Dedicandole l’accusa.
Piegò le labbra in giù, fece maggiore pressione e l’ago schizzò fuori portandosi dietro una scia di sangue annacquato.
Ripensò al ricovero in ospedale, rimembrava ogni particolare; almeno da quando aveva riaperto gli occhi. Alcuni dettagli li avrebbe cancellati volentieri. Altri no, sedimentavano. Lo mettevano davanti a diversi interrogativi. Lei lo aveva salvato.

E sai come sprecare il tuo tempo.

Un pensiero ancora rivolto a lei.

Iniziò con cura a radersi il mento, facendo attenzione a non tagliarsi. Un leggero tremolio della mano accompagnava i movimenti. Non era ancora nel pieno delle forze e del controllo di sé. Tuttavia, a parte un senso di debolezza che s’abbarbicava ai suoi muscoli, ma non alla sua tempra, il saiyan si sentiva in fase di completa ripresa.

Fu la fame a indicargli che doveva essere ora di cena, e stranamente nessuno era venuto a bussare alla sua porta. Su una cosa la ficco-il-naso-in-ogni-dove non si era sbagliata: lui non aveva voglia di stare in mezzo ai terrestri, anche tra quelli a cui era abituato.

“Tornerò più tardi, ti porterò la cena.”

No, non la stava aspettando. Pur non dimenticandone le parole. Probabilmente, era riuscito a metterla in imbarazzo. Una vittoria che increspò un’ombra di sorriso sul volto finemente sbarbato.

Un secondo dopo, qualcuno picchiettò la mano contro la porta della sua stanza per poi, senza aspettare risposta, aprirla ed irrompere rumorosamente all’interno. Vegeta rimase spiacevolmente sorpreso: non era lei ad essere venuta a fargli visita, bensì la madre figlia dei fiori.
La donna spingeva a fatica un carrello a due piani ricolmo di cibo. Gli olezzi che invasero l’ambiente, erano da acquolina in bocca. E sarebbe stato perfetto così, se si fosse risparmiata di condire il servizio in camera con giravolte e druderia varia di cui lui avrebbe voluto fare volentieri a meno.

«Avrai sicuramente molta fame, serviti pure, caro, e non esitare a chiedere il bis!... Bene, me ne vado, ho promesso a mia figlia che ti avrei lasciato riposare. A dopo, Vegeta!»

 

Ho capito. Non ti fa piacere "vedermi".


 

~ ~ ~

 

 

L’aveva fatto apposta. Non doveva nasconderlo, tanto, nessuno le avrebbe posto la domanda. Voleva averlo vicino. Sì. Per sicurezza, perché se si fosse sentito male lei sarebbe potuta intervenire prontamente.

Continuiamo a raccontarci comprovate scuse.

L’assenza di rumori provenienti dalla stanza accanto alla sua sembrava essere il prosieguo del deserto corridoio. Troppo silenzio. Che già la rattristava. Sua madre doveva avergli portato la cena da un pezzo. Vegeta poteva essere andato a dormire prestissimo. D’altronde, la convalescenza era appena cominciata.
Prese il pettine e continuò a cotonarsi i capelli, con un'attenzione degna di una modella prima del debutto in passerella.
Aveva da poco finito di farsi la doccia. Nel suo candido bagno si muoveva nuda.
Guardandosi allo specchio, Bulma non poté non pensare di averlo visto spogliarsi.

Sarei in grado di trovare mille "scuse" per bussare alla sua porta ed entrare.

Ma non lo farai.

Ancora svestita, camminò a passi leggeri attraversando la propria camera. Poi, poggiò un orecchio sulla parete giusta. I seni rosei premettero contro il muro, la pelle pulita e calda della sua guancia sussultò a quel contatto freddo e ruvido. Stava ansimando senza accorgersene, mentre origliava.

Non udì nulla.

E quel nulla però le riempì la bocca di saliva, e le impregnò di umori segreti il cuore nascosto che le pulsava fra le gambe. Non poteva aspettare. Una carezza che avrebbe desiderato appartenesse a qualcun altro le sfiorò il ventre. Dita febbrili si insinuarono facendosi largo fra delicate umidità femminili. Cercavano invano, con aggressiva insistenza, di raggiungere cime impossibili. In attesa che la vista le si annebbiasse, Bulma sperò, priva di vergogna, che Vegeta la sentisse.

Poco dopo, al contrario, dall’altra camera arrivò l’inferno.

Rantoli, lamenti, l’abat-jour sul comodino che andava in pezzi. Grida. Forti. La scienziata acchiappò una vestaglia che legò in fretta alla vita sottile. La corsa fu breve, la porta non era stata chiusa a chiave. Stette attenta a coprirsi bene il seno prima di entrare.
Muovendosi tra le ombre, con la sola luce che si faceva strada dal corridoio ad illuminarle un rettangolo di cammino, la scienziata si avvicinò al capezzale. 
Il saiyan era seduto, il petto muscoloso ansante.
«Vegeta, sono io, Bulma.»
Lo vide stropicciarsi il volto con una mano.
Sentì un pezzo di vetro sfiorarle pericolosamente un piede.
«Che... che ci fai qui?» le domandò, e Bulma, con cautela, in punta di piedi, evitò di ferirsi facendosi più vicina a Vegeta.
«Ti ho sentito urlare, credevo avessi bisogno di aiuto, per questo sono entrata.»
Saresti entrata per molto meno. Non glielo vogliamo raccontare cosa stavi facendo un attimo prima, dall’altra parte del muro?
«Ho parlato... cosa ho detto?» le chiese agitato.
«Nulla di specifico. Credo che tu abbia avuto un incubo.»
Lo sentì respirare regolarmente e calmarsi, come se l’esser sicuro di non aver pronunciato nulla di comprensibile avesse messo in salvo un segreto misterioso che non andava svelato.
Bulma, invece, si riteneva fortunata a non aver tanta luce a smascherarle il volto, sicuramente paonazzo. Sul respiro affannato, lei ci stava lavorando.
«Dannazione.... » Vegeta si passò una mano fra i lunghi capelli, portando indietro la testa, frustrato.
«Ti capita spesso di avere incubi?», curiosa e vogliosa di poter intavolare una nuova conversazione con lui, di conoscerlo meglio, continuò a chiedere. Non aveva sperato altro.
«Come hai fatto a sentirmi?», ma il saiyan pareva interessato ad altre dinamiche. Non aveva perso il proprio temperamento sospetto.
«La mia camera è qui, accanto alla tua.», gli rispose senza pensarci un secondo di più. Voleva che lui sapesse. Non l’aveva fatto sin da subito per evitare che Vegeta potesse rifiutare quella nuova sistemazione.
«Capisco... » affermò lui, contratto e sottilmente incollerito.
Sì, aveva fatto bene a non rivelargli subito che sarebbero stati vicini di stanza.
«Se hai difficoltà a prender sonno, posso prepararti un infuso che ti aiuti a dormire.»
E potresti prepararne uno anche per te. Ne avresti molto bisogno. Le tue dita hanno un odore particolare.
«No, non serve, prima o poi mi addormenterò.», pronunciò lui, fermo. Stava costruendole intorno una parete di specchi liscia e invalicabile. Bulma scivolò, ma non si diede per vinta.
«Cosa stavi sognando, te lo ricordi?»
Figurati se ti dice-
«... Non ti farebbe piacere saperlo.»
«Mettimi alla prova.»
«Non capiresti.»
«Non sottovalutarmi.»
Lo lasciò interdetto.
«Che ore sono?», ma lui cambiò di nuovo argomento.
«L’una passata.»
«E per quale motivo tu sei ancora sveglia?», gli interessava davvero saperlo?
Potresti dirgli che sono state le sua grida a svegliarti. Se hai voglia di fare la bugiarda.
«Mi sono fatta una doccia... Sono stata in laboratorio sino ad un’oretta fa.»
«Ah, per questo non sei tornata...», Bulma lo sentì mormorare tra sé. «Come?»
«Mi domandavo cosa stessi facendo in laboratorio.» asserì lui, dissimulando stanchezza.
Bulma indugiò, era realmente interessato anche a questo?
Non sapeva se rivelargli il piano, avrebbe voluto rimanesse una sorpresa, ma se parlarne significava dilatare i tempi in sua compagnia, poteva acconsentire alla rivelazione.
«Sto facendo delle ricerche... Be’, io e mio padre stiamo studiando un modo per far sì che tu possa proseguire l’allenamento in totale sicurezza. Appena ti sarai ripreso.»
Aspettò la reazione del saiyan. Non lo vide contento. Sconvolto, piuttosto, appariva così; ormai gli occhi si erano abituati alla penombra, riusciva a distinguere in lui ogni espressione. E quella faccia non era piacevolmente sorpresa.
«Tu... stai veramente facendo questo?» le domandò spaesato, aveva il cruccio di chi non trovava soluzione ai propri enigmi.
«Io e mio padre.» precisò lei.
«Continua ad essere insensato!» in un gesto affrettato, Vegeta tirò via le coperte, come a volersi togliere d’impaccio da quella constatazione. Si scoprì seminudo. Senza il pigiama stava decisamente meglio.
«Perché lo fai? Perché non la smetti?»
«A mio padre non piacciono le invenzioni difettose.» Bulma, a proprio modo, provò ad essere oggettiva e calma.
«... Lo sto chiedendo a te! Perché ti ostini ad aiutarmi? Non ti sei stufata!»
Davvero, Vegeta, non sai cosa sia la gentilezza e rifuggi da ogni favore? 
È così strano per te ricevere aiuto?
O hai paura che qualcos’altro possa travolgerti?

«Dovresti smettere di chiedermelo, tu sai perché lo faccio. O forse, ti piace sentirtelo dire ogni volta? In tal caso ci crederei, avresti uno strano modo di metterti al centro dell’attenzione. Potrei quasi definirti un uomo vanitoso a cui piace essere adulato.»
Bulma si sedette sul letto con in testa, a parte i ricci e i cocci della sua pazienza andata in rovina, l’intenzione di rimarcare quanto sciorinato e far tornare vivi gli umori vissuti da entrambi in ospedale; e ai quali il saiyan non si era sottratto.
Vegeta la osservò muoversi suadente, in déshabillé. Non aveva bisogno di immaginare che fosse completamente nuda, avvertiva potente l’odore sia cipriato che aspro del suo corpo. Bulma gli toccò la mano, accarezzandola con la propria. Era quello l’approccio col quale si sentiva convinta di poter entrare in contatto con lui.
Lo sentì contrarsi.
«No.»
«Cosa no?»
«Non andare oltre, non avvicinarti. Non devi provocarmi, Bulma.»
«Cosa non dovrei provocare?»
«Qualcosa che sarebbe sbagliato.»
«Per chi?»
«Per te soprattutto.»
Non ti credo. Non so di che natura, non so in quale parte di te, ma sono convinta che ci sia. Tu provi qualcosa per me, e non mi fermerai. 
«Mi piace quando mi chiami per nome, lo fai raramente.»
«E allora non lo farò più.»
«Ma... Perché?»
«Adesso sembri tu far finta di non capire.»
«Ti ho detto che alla tua forza posso fare attenzione!»
Lo vide sorridere e scuotere la testa.
«Sono io che decido di non farti del male! O fartelo.»
«E non me ne farai»
«Te l’ho già fatto.»
«Non me ne farai più!»
«Ovviamente – il tono di Vegeta si riempì di inquietante serietà, le minacce con lei erano vecchia storia e non funzionavano – Non ti preoccupare, posso rimediare da solo a un brutto incubo. Non cerco consolazioni, nemmeno sotto le lenzuola.»

Si incenerì tutto crepitando come carta al fuoco. Sentimenti, azioni, verità... Andarono in fumo facilmente. Bulma si sentì ferita, di nuovo.

«Questo non dovevi dirlo. Per chi mi hai presa? Certo, ho capito, voi saiyan non vi divertite, non fate l’amore... E dimenticavo che probabilmente sono io il problema. Sono troppo terrestre per i tuoi gusti, immagino. Ecco, non devi nemmeno raccontarmela. Me ne vado volentieri.» Disarcionata da quelle che sempre erano state le sue convinzioni, le armi seduttive, la bellezza che nessuno aveva mai osato rinnegarle, Bulma si alzò dal letto per mollarlo lì dov’era. Nel tentativo di recuperare il proprio gentil orgoglio.
«E pensi che io voglia divertirmi?»
Una replica non se l’aspettava.
Vegeta la prese, anche per lui stava cominciando ad essere un’abitudine toccarla. Ma la troppa mal calcolata energia mistificò la voglia di chiarire in una differente e dubbia azione, avventata: la spinse sul letto: lei adesso era sotto il suo ampio torace.
«Pensi che la mia razza sia soggetta a queste scialbe abitudini?»
La sottomise trattenendola col proprio sguardo.
«Sbaglio mio... Dimenticavo tu fossi perfetto», la voce le uscì beffarda.
«Non lo sono. Però una cosa l’hai detta giusta: noi saiyan non ci divertiamo, non nel modo che credi tu. Siamo dei guerrieri. La battaglia, il sangue del nostro avversario, la vittoria. Questo mi divertirebbe molto... E nulla ha a che fare con te. Oltre alla volontà di generare una progenie da addestrare alla guerra, accoppiarci non avrebbe alcun significato.»
«Allora spiegami perché lasci che io ti stia così vicina! Non credo sia per farti aiutare, quando tu, Vegeta, l’aiuto non lo accetti da nessuno.»
Il saiyan la fissò. Non rispose. Un seno era fuoriuscito dai vani lembi della vestaglia. Ne poteva intuire il calore. Le cosce erano scoperte; come aveva intuito, lei era nuda. Disponibile. Facile. Debole. Avrebbe potuto possederla. Farsi stringere dalle gambe lisce e flessuose, rilassarsi dentro di lei. Ascoltarla urlare il piacere... o il dolore.
«Alzati ed esci da questa stanza. Sono molto stanco.»
«Non mi rispondi. Bene. È questo quello che vuoi?»
«Sì, Bulma. Voglio che tu ti rivesta e te ne vada.»

 

Continua...

Note:

1) Amici cari, cerchiamo di intenderci: Vegeta può essere un cane in battaglia, ma davvero io non ce lo faccio ad abusare di Bulma, dal mio punto di vista lui resta un signore. Sì, qualche livido può scappare, ma non voluto. E ricordiamoci il capitolo sette, quando lui si lascia andare e gli scappa la mano, non sta lì a goderci. Andate a rileggerlo se avete dimenticato.
E poi  ditemi  allora perché lei lo abbia preferito a Yamcha ( per mille altri motivi ^^). È un uomo tutto d’un pezzo, un bastardo intelligente in battaglia, un sadico sì, ma questo non fa di lui un violentatore. Ci sono tante altre forme di sadismo. Più avanti accadranno cose che faranno sicuramente soffrire Bulma, ma non avrete da me quel Vegeta bruto.

2) Sulla questione degli eredi, sul perché zurlino i saiyan, mi sono allacciata alle battute scambiate tra Nappa e Vegeta a proposito di figliare coi terrestri per avere una discendenza fortissima. Nulla di più veritiero che conferma quanto credo e quanto gli ho fatto dire, se questi zurlano lo fanno per un motivo preciso. È la battaglia che li eccita, che li appaga al di sopra di tutto, qualche obiezione? Sicuramente Bulma gli farà scoprire altri mondi, ma vi rimando al prossimo capitolo. ;)

3) Grazie per avere atteso, grazie a tutti, a chi legge e mi scrive, a chi segue, a chi ricorda, a chi preferisce, a chi legge senza lasciare traccia di sé, a chi attende con pazienza, a chi lo fa un po’ irritato... ( ragazzi ci si dovrebbe arribbiare per cose serie, non per 'ste cazzate).
Cioè, non è che nel frattempo la sottoscritta vi ha lasciati digiuni, ho pubblicato altre storie su di loro, e non solo. Infatti vi metto i titoli qui di seguito, se ci cliccate sopra vi si aprirà la pagina diretta.

TRANSUSTANZIAZIONE. SE NON, AMARE.

ROSSO ALLAGATO

APORETICO EGOTISMO

NERO CILIEGIA

e altre che troverete nella mia PAGINA AUTORE.

4) Sono curiosa, l'ho fatto pure diventare mezzo super saiyan e volevo che lei lo vedesse ma non completamente, il perché lo so io ;) . Mi piace pensare che sia andata così, che arrivato ad un punto di totale disperazione e vorgogna di sé, addirittura aiutato da una terrestre, che quella rabbia contro se stesso l'abbia sciolto.
Ora scatenatevi voi! :D

   
 
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