REALTA’ PARALLELA
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Capitolo
7 – Papillon
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Adrien
percorse quel corridoio semibuio, accanto a suo padre, seguendo lo specialista,
che li stava conducendo alla stanza dedicata ad Emilie, si era svegliata e
aveva chiesto di loro.
Nessuno
dei due, era in grado di proferire parola, nemmeno quando il medico si congedò
da loro, erano riusciti a ringraziare o a dire altro, si erano limitati ad
annuire con il capo e a sorridere forzatamente.
“Su,
entriamo” Ordinò lo stilista al figlio, vedendolo esitare mentre osservava con
aria malinconica il corpo della madre attaccato ad un fascio di fili, che
fuoriuscivano dai macchinari accanto al suo letto.
Non
dove essere facile per un ragazzo di sedici anni, accettare la malattia della
propria madre, e vederla spegnersi giorno dopo giorno, ormai da qualche anno.
Non
era facile nemmeno per lui, un uomo adulto, accettare di lasciarla andare.
Ma
uno spiraglio c’era, si ricordò di quel viaggio in Tibet, di quelle due spille
e di quel libro antico, trovato sotto la neve, nel promontorio dove si erano
recati da quel misterioso guaritore.
Adrien
varcò la porta, dopo aver indossato il camice sterile, sotto la supervisione
dell’infermiera, seguì poi suo Gabriel.
Emilie,
appena avvertì la presenza della sua famiglia, aprì gli occhi stanchi, e si
levò la maschera dell’ossigeno.
“Siete
qui”. Disse annaspando.
“Tienila,
mamma” Adrien l’aiutò a mettere quel salvavita, che lei rifiutò, doveva parlargli.
“Siate
forti, mi raccomando” Tossì convulsivamente.
“Mamma
non sforzarti”.
“Emili
devi riposare”.
Ma
di ascoltarli, non se ne parlava, erano mesi che faceva quello che gli altri
volevano, rimanere chiusa in casa, lontano da tutti per la troppa paura di
contrarre virus, innocui per gli altri, ma che per lei si potevano rivelare
letali, per questo girava per casa o al di fuori con la mascherina.
“Gabriel,
dovrai prenderti cura di nostro figlio, so che ce la farai” Poi si rivolve ad
Adrien “tu, figlio mio, non fare scelte di cui potresti pentirtene, scava
affondo al tuo cuore e prendi la decisione giusta”. Il biondo capì subito che
il suo riferimento era dovuto a Kagami.
Qualche
settimana prima, avevano discusso tutto il pomeriggio sulla sua relazione con
la ragazza, un dibattito nato quasi per caso, da quella domanda innocente “come
va con Kagami?” .
E
subito Adrien si era rabbuiato, spiegando alla madre, che le cose si, stavano
andando bene, ma che stava avendo dei ripensamenti, a volte la ragazza era
troppo rigida per certi aspetti, e gli sembrava che si chiudesse in se stessa, piuttosto di esternare i suoi sentimenti, oppure confidandosi
con lui se c’era qualche problema, come se non avesse abbastanza fiducia in
lui.
Un
altro colpo di tosse, questa volta più forte, ad Emilie, sembrava gli si
lacerasse il petto.
Tossì
del sangue, che inaspettatamente andò ad imbrattare il camice di Adrien, che in
quel momento le stava sorreggendo la mano, divenne fredda, e il tracciato del
monitor, segnava solo una lunga riga rossa, accompagnato da un bip
lungo.
*
Marinette ed Alya, si
accomodarono in classe, dopo che la campanella aveva scandito i tre rintocchi,
che annunciavano l’inizio delle lezioni.
Erano
sedute sulla prima fila, e al posto di essere banconi da due posti, lo erano da
tre.
La
mora ipotizzò subito, che la sedia vuota appartenesse a Chloè.
Fece
una faccia di disgusto, pensando che lei, Alya e quella biondina, fossero un
trio di amiche perfette.
Chloè entrò in classe,
era decisamente in ritardo, ma fortunatamente riuscì a sedersi, prima che
l’insegnante varcasse la porta d’ingresso e si mettesse dietro la scrivania di
mogano.
“Ehi
che hai?” Le chiese Alya, notando la sua faccia triste.
“Stanotte…è
venuta a mancare la mamma di Adrien” Disse d’un fiato scoppiando a piangere.
La
conosceva bene Emilie, si poteva dire che fosse una seconda mamma per lei.
Passava
molto tempo a Villa Agreste fin da quando ne aveva memoria, le loro madri erano
migliori amiche e si incontravano spesso, facendo così passare del tempo
insieme ai loro figli, che erano diventati come fratelli.
La
professoressa Bustier, si era avvicinata a lei,
chiedendole il motivo del suo sfogo, lei le comunicò della sua perdita.
“Se
hai bisogno di rimanere un po' fuori dall’aula, fai pure, Chloè.
Prenditi il tempo necessario”.
“No,
grazie. Adesso mi passa” Singhiozzò soffiandosi poi il naso in un fazzoletto di
carta.
A Marinette mancò un battito, le sembrava anche lei di aver
perso una persona cara, amata.
Non
le era mai capitata di vederla di persona, solo in alcune foto che le aveva
mostrato Adrien, e un frame di un film che erano andati insieme a vedere, prima
di essere chiamati a proteggere Parigi.
Aveva
avuto l’occasione di parlare con lei, durante i festeggiamenti, in onore del
figlio e della futura nuora, e quei pochi minuti, le erano bastati per farle
capire, quanto era straordinaria, proprio come le aveva descritto il suo amico.
Scese
anche a lei una lacrima, che venne catturata dalle sue labbra.
Alzò
la mano, e chiese all’insegnate se poteva uscire dall’aula, un permesso che le
venne accordato.
*
“Che
ti è preso poco fa?” Le aveva domandato Alya durante l’intervallo.
“Scusami,
è che…sapere che Adrien ha perso la mamma, mi ha messo tristezza”.
“E’ comprensibile, ma
nemmeno lo conosci”.
“Certo
che lo conosco, è uno dei miei migliori amici”. Disse senza ricordare dove si
trovasse, che da qualche giorno era bloccata in quella dimensione, se vogliamo
definirla così.
Alya
strabuzzò gli occhi “Ma cosa stai farneticando?”.
Marinette raccontò tutto
alla sua migliore amica, tralasciando il fatto che lei era Lady Bug, anche se
glielo avesse rivelato, probabilmente non avrebbe capito di cosa stesse
parlando, in quanto in quella realtà, la super eroina che combatte le akuma, accanto a Chat Noir, non esiste, al momento.
Alya
in un primo momento pensò, che la sua amica con i codini, fosse pazza, non
poteva certamente credere, che provenisse da un altro mondo, uguale identico al
suo, ma con alcune varianti, e che per ritornare nel suo presente, aveva
bisogno di ripristinare l’ordine naturali delle cose.
Che
cosa significasse, per la ragazza dalla pelle olivastra, rimase un mistero, lei
conosceva solo quello che stava vivendo, non poteva immaginare che, da dove
provenisse quella Marinette, lei era follemente
innamorata di Nino, e che erano pure fidanzati.
Lui,
quel ragazzo imbranato e bullizzato da mezza scuola.
Quel
dettaglio, lo aveva omesso, le aveva solo raccontato che si era innamorata di
un ragazzo e che stavano insieme da molto tempo.
Forse
il primo passo era quello, farli innamorare, e perché il suo piano riuscisse,
doveva ricreare la stessa situazione della volta prima.
Ma
ora non aveva tempo per questo, Chloè, aveva
informato le amiche (ancora non ci credeva di essere una delle sue migliori
amiche, e che si comportasse in modo gentile e garbato con tutti), che
l’indomani si sarebbero tenuti i funerali della mamma di Adrien, e lei era
intenzionata a parteciparvi.
*
Adrien
rimase seduto a fissare il feretro della madre, per tutta la durata della
cerimonia, non si era scomposto di un millimetro e mai alzato dalla sua panca, per
onorare i soliti riti.
Kagami, seduto accanto a
lui e a suo padre, gli teneva la mano, con la sua aria impostata e seria,
nemmeno lei, stava versando lacrime, per la suocera prematuramente scomparsa.
Lo
sguardo di Gabriel, era nascosto da degli occhiali da sole neri, che ogni tanto
spostava, per passarsi sugli occhi un fazzoletto candido.
Ci
stava pensando Marinette, a piangere per tutti e tre.
Alya,
seduta accanto a lei nell’ultima fila della cattedrale, le posò gentilmente la
sua mano, sopra la sua, non era andata al funerale per scriverci un articolo,
come stava facendo un ristretto numero di persone, presenti più per curiosità
che per compassione verso una famiglia, che aveva appena perso un suo caro.
“Non
fare così, Marinette”.
La
mora tirò su col naso, poi soffiò via il muco accumulato “E’ più forte di me…”.
“Nemmeno
la conoscevi”.
“Ma
conosco Adrien, e sono triste per lui, vorrei fare di più”. Sussurrò.
“C’è
la sua ragazza lì con lui, ci penserà lei”.
“Si,
la regina di ghiaccio” Il suo sguardo si posò su di lei, ancora impassibile,
mentre Adrien, sembrava sul punto di scoppiare e mandare tutti al diavolo.
“Vieni
anche tu a Villa Agreste dopo il funerale?”
“Si,
mamma e papà stanno allestendo il buffet”.
Il
vescovo pronunciò una preghiera, che anche i presenti pronunciarono all’unisono,
mentre l’organo suonava quella melodia, che echeggiò per tutta la cattedrale.
Prese
infine dell’acqua santificata e dell’incenso, che sparse nei quattro lati del
feretro, consacrando il corpo, augurando alla sua anima un buon viaggio nell’aldilà.
Dopo
la benedizione ai fedeli, la bara, poté proseguire il suo cammino verso il
cimitero vicino, seguita per prima cosa dai famigliari.
*
Dopo
il funerale, seguì il ringraziamento agli amici e parenti, che hanno potuto
presenziare al rito, a Villa Agreste, dove era stato allestito nel salone
principale, un generoso buffet.
Marinette si guardò
attorno, indossava un vestito nero con una gonna lunga fin sopra il ginocchio, un
piccolo grembiulino bianco ed aveva acconciato i capelli in uno chignon alto.
“Non
vedo Adrien” Disse rivolgendosi a sua madre.
Sabine
iniziò a fare un po' d’ordine sopra il tavolo, alcuni degli invitati avevano
lasciato alcuni piatti sporchi e bicchieri.
“Se
ne sarà andato via, del resto ha appena seppellito sua madre, è normale che se
ne voglia stare un po' da solo”.
“Vado
a cercarlo” Disse togliendosi il grembiule per lasciarlo in mano alla madre.
“Aspetta…dove
stai andando?” Ma a quella domanda, non arrivò nessuna risposta, la vide
sparire due persone più lontane.
Marinette non era mai stata
a Villa Agreste, o meglio, non aveva mai vagato per quei corridoi, quindi non
sapeva di preciso dove potesse essere la camera di Adrien.
Aveva
ipotizzato fosse lì.
Da
una porta, vide uscire Kagami e si nascose dietro una
colonna, sperando non l’avesse vista.
La
passò accanto, senza accorgersi della sua presenza, con la solita aria
accigliata e priva di sentimento, cosa ci trovasse in lei, Adrien, era un
mistero.
Aspettò
qualche secondo che il battito del suo cuore, si regolarizzasse, poi prese
coraggio ed avanzò lungo il pavimento a scacchi.
Bussò
alla porta da cui era uscita la giapponese ed aspettò risposta “Non voglio
vedere nessuno”.
“Adrien”
Lo chiamò, ma non entrò, dopo qualche secondo la porta si aprì.
“Marinette, giusto?”
La
ragazza increspò le labbra e annuì con il capo timidamente.
“Vieni”
Le fece segno con il capo di entrare, lei si guardò attorno estasiata, camera
sua non era cambiata così tanto, tranne per un paio di foto che lo ritraeva con
Kagami e qualche trofeo in più di scherma.
“Volevi
dirmi qualcosa?” Quella domanda la colse un po' impreparata.
Lo guardò
negli occhi, aveva un aspetto semplicemente stravolto, le borse sotto gli
occhi, le fecero capire che non aveva mai dormito la notte, aveva gettato la
cravatta e giacca nera sulla poltrona della scrivania e slacciato i primi due
bottoni della camicia, i capelli erano arruffati, gli occhi rossi.
La
cosa più banale che le passava nella testa, era quello di dirgli che le
dispiaceva per sua madre, ma chissà in quanti glielo avevano già detto.
Ma
lui non era banale, era speciale, e per un amico speciale, ci vuole un gesto
semplice, ma speciale.
Lo
abbracciò senza dire nulla, stringendolo forte a se.
Adrien
ricambiò, e uno strano tepore lo avvolse, come non lo faceva da tempo.
Venne
investito da un profumo di vaniglia e cocco, quando lei appoggiò la sua testa
sull’incavo del suo collo.
Sapeva
di casa e di una sensazione mai provata prima.
*
Dopo
aver congedato tutti i presenti, Gabriel entrò nel suo studio, chiuse la porta
dietro di sé e sospirò.
Aprì
l’imponente quadro attaccato alla parete alla sinistra della porta, digitò la
combinazione della cassaforte celata dietro, e prese una spilla a forma di
farfalla.
L’attaccò
alla camicia, facendo comparire un piccolo esserino viola al suo cospetto.
“Buongiorno
padrone. Ho saputo della sua perdita, mi dispiace molto”.
“Nooro, non abbiamo tempo per queste cose, abbiamo una
missione ora, riportare indietro Emilie”.
“E
come intende fare, padrone?”.
“Nooro, che le ali della notte si innalzino”.
*
continua