11.
Nella cucina della casa di campagna, Vegeta sbadigliò sonoramente,
mentre metteva la moka sul fornelletto da campeggio. Quella mattina, quando la
sveglia aveva suonato, lui l’aveva tacitata con un colpo della mano, convinto
che anche sua moglie sapesse delle ferie che si era preso. Poi,
improvvisamente, un sogno gli ricordò che le ferie le
aveva sì prese, ma sua moglie non lo sapeva. Quindi, con la testa che gli
girava a causa del troppo alcol che si era messo in
corpo la sera prima, cercò di mettersi in piedi e vestirsi. Miracolosamente ci riuscì, ma vista l’ora decise di non attardarsi a farsi
un caffè per non insospettire la moglie qualora si fosse svegliata.
Così era partito alla volta della casa di campagna, dove lo attendeva
la visione dei restanti DVD.
*****
Poco dopo, con una tazzona di caffè bollente a scaldargli le mani, e la
solita coperta sulle ginocchia, iniziò la visione dei filmati.
Per tutta la mattinata non vide altro che giornate di Bulma che andava
dal parrucchiere, faceva la spesa o tornava a casa. Poggiò la tazza vuota di
caffè sul tavolino accanto, dove giaceva anche la scatola con gli altri DVD. La
guardò sbuffando: se anche quelli sono così, mi conviene piantare qui tutto
e lasciare perdere, pensò.
Già, ma come la metteva col fatto che Bulma voleva lasciarlo? E con il
suo atteggiamento alla notizia che era stata pedinata? No, ci doveva essere
qualcosa che nascondeva, per questo non doveva arrendersi alla noia delle
giornate-tipo di sua moglie.
Volse di nuovo lo sguardo al telo, dove era proiettato nuovamente il
retro della macchina della signora C-18 guidata da sua moglie.
*****
Nel pomeriggio, quando il sole aveva ceduto il posto al buio già da
qualche ora, Vegeta si era addormentato sulla poltrona, risvegliandosi solo
quando udì le grida lontane ma vicinissime di una donna.
- Fermatela, fermatela, quella
grandissima puttana! –
- Eh?! –
Si svegliò di soprassalto, mentre sullo schermo venivano proiettate le
immagini di un battuage.
- Che cazzo…? –
Velocemente, si alzò dalla poltrona e andò al portatile, manovrando con
il cursore per cercare un punto d’inizio alla sequenza. Una volta trovato,
cliccò su Play e ritornò alla poltrona.
Non si era sbagliato: sua moglie era andata veramente in un posto di battuage.
Mentre la macchina del signor Yamazu seguiva sua moglie, ai lati della strada
sfilavano donne in minigonna e transessuali con boa di piume, intenti a cercare
di fermare le auto di passaggio.
Un brivido gli attraversò il corpo: - Bulma, amore mio, non dirmi che
il lavoro che hai trovato…? –
Con le mani strinse forte i braccioli della poltrona, mentre l’auto
svoltava in un parcheggio, dove però non c’erano donne né transessuali.
- Cosa…? Uomini? –
No, non erano uomini. O meglio, sì. Erano giovani uomini. Ragazzi più o
meno dell’età di suo figlio, dai diciotto ai venticinque anni.
A un certo punto, l’auto di Yamazu fece inversione (probabilmente per
non dare nell’occhio), sistemandosi in modo perpendicolare alla marcia della
Punto, di cui ora Vegeta vedeva il profilo sinistro e sua moglie che scendeva e
si dirigeva verso il bagagliaio.
Frattanto, udì un sussurro di Yamazu: non riuscì a capire cosa aveva
detto a suo nipote, ma quel che è certo è che
l’obiettivo della videocamera si spostò verso una scalinata, dalla quale
scesero due persone. A quel punto, Vegeta si sentì drizzare i capelli sulla
testa.
- Vieni, dai. Non aver paura. –
- Devo… devo proprio? –
Suo figlio Trunks era vestito con un gilet di jeans e una maglietta,
sopra dei jeans neri strappati sulle ginocchia e delle
scarpe da ginnastica bianche. Era accompagnato da un uomo di circa trenta,
forse trentacinque anni, muscoloso e pelato.
L’uomo pelato, a sentire quella domanda, si avvicinò con fare
minaccioso a suo figlio, sussurrandogli parole che non sfuggirono al microfono
da spionaggio che stavano utilizzando i due investigatori.
- Senti, moccioso. Non provare a
ritirarti, perché qui io ci metto la faccia con questo cliente. E se tu non ti
presenti, io non becco niente e tu non becchi la tua
dose. È chiaro? –
- Dose? Che dose?! – balbettò, mentre
continuava a guardare il filmato.
I due erano scesi dalla scalinata e si erano avvicinati a un’auto di
lusso, una Jaguar coi vetri oscurati.
- Eccoci qui, eccellenza – disse il pelato al
finestrino aperto, da cui però Vegeta non riuscì a intravedere chi fosse la
persona alla guida. Poi si spostò, e la voce che lo
salutò era maschile.
- Ciao -, disse l’uomo alla guida - Quanto vuoi? –
- Cento euro – rispose suo figlio.
- No! – urlò Vegeta, portandosi le mani ai capelli – Mio
figlio! Non lui! Non Trunks! –
Mentre nel suo cuore cominciava a montare una rabbia pazzesca nei
confronti di quel pervertito in Jaguar e abbassava lo sguardo, ecco che
l’obiettivo cambiava di nuovo direzione e inquadrava una donna che correva
stringendo qualcosa nella mano destra.
- Bulma! –
- Mamma! No! – esclamò Trunks,
ma Bulma non lo ascoltò.
- Lascialo stare, pezzo di merda!! – urlò sua moglie nel
video, calando il cric della macchina in testa al pelato, che cadde a
terra privo di sensi.
La Jaguar ripartì velocemente, mentre Bulma tirava Trunks per mano,
correndo verso l’automobile.
- Oh mio dio! Bulma! Trunks! Scappate, scappate! – li esortò, con la paura a fior di pelle.
- Fermatela! Fermatela! Quella grandissima puttana! – si sentiva urlare,
mentre l’obiettivo ora tornava al suo lavoro solito, ovvero
seguire la macchina della signora C-18.
L’auto si allontanò parecchio dal luogo del misfatto, fino a fermarsi
in un parcheggio sovrastato da un monumento. Qui, la macchina di Yamazu si
posizionò in modo che l’obiettivo inquadrasse le
persone all’interno dell’abitacolo.
Lì, Trunks aveva la testa abbassata e singhiozzava. Bulma aveva la voce
rotta.
- Come hai fatto a trovarmi, mamma? –
- Ho telefonato a quella tua amica, Pan… mi ha detto che
forse eri lì. E sono stata fortunata – poi, si voltò verso suo
figlio e gli carezzò la guancia - E anche tu. –
- Scusami, mamma… - suo figlio piangeva.
- Ma com’è successo? –
- Ho avuto … una crisi. Questa volta è stata talmente forte
che non ho potuto resistere. –
- Amore, ma erano sei mesi che non ti bucavi. Perché non ti
sei fatto un’iniezione di metadone? –
- Non lo so… Mi sono sentito male, malissimo. –
Qui, incominciò a piangere anche lei.
- Perché non sei venuto da me, se avevi bisogno di soldi?
Perché? Dio mio, perché? –
- Scusami, mamma… non volevo
chiederti altri sacrifici. Hai già fatto così tanto per me… -
- Amore, tu non devi andare da quei porci pervertiti. Quando
hai bisogno di soldi, tu devi venire solo da me. È chiaro? Chiedi aiuto a me! –
- Ma perché non a me? Perché non a papà…? – Domandò Vegeta, con
gli occhi gonfi di lacrime.
Fu suo figlio a girare la domanda alla madre: - E papà…? –
La risposta di sua moglie lo raggelò: - Ma
cosa vuoi da lui, lascia stare… ha i suoi problemi, i suoi pensieri. Non ci
pensare, vieni da me e andrà tutto bene. –
Il filmato si concluse con suo figlio che piangeva forte e abbracciava
la madre, e lei gli accarezzava la testa guardando fuori dal finestrino.
Il filmato successivo mostrava invece la macchina della signora C-18
che accedeva al vialetto della casa di campagna. Vegeta sgranò gli occhi.
A scendere dall’auto questa volta, però, non fu
sua moglie, bensì un ragazzo che non conosceva, mentre suo figlio scendeva dal
posto di guida.
Entrarono nel portone d’ingresso e poi si accese la luce della camera da letto al primo piano.
L’operatore si arrampicò sull’albero di fronte alla finestra, che dava
una visuale perfetta di ciò che succedeva nella stanza.
Suo figlio giaceva disteso sul letto, a gambe divaricate, vestito solo
delle mutande. Accanto a lui, in piedi, il ragazzo suo ospite si stava
togliendo la maglietta.
- Goten – disse Trunks a un certo punto -
Se ti ho portato qui è perché voglio farti una proposta, ma ti prego di non
giudicarmi. –
- Dimmi. Non preoccuparti -, aveva risposto
l’altro, baciando la fronte di suo figlio.
Allora Trunks, dopo averlo guardato negli occhi, si chinò verso il
pavimento (dove forse teneva il suo zaino) e tirò fuori un astuccio, dal quale
estrasse una siringa e un po’ di carta stagnola.
- Ma… - fece per dire il ragazzo, ma suo figlio lo
bloccò con un educato gesto della mano.
- Goten, se vogliamo stare insieme ed essere una vera coppia,
devi sapere tutto di me. E devi accettarmi così come
sono. –
- Trunks… io non sapevo che ti bucavi. –
- Ti faccio schifo? –
- No… no, certo che no, ma… -
- Per favore – disse suo figlio - Se ti
faccio schifo dimmelo, ma ti prego adesso aiutami. Sto male, sono in crisi.
Devi iniettarmi la dose. –
- Io? Ma… perché? –
- Perché devi dimostrarmi che mi ami. Che mi accetti così
come sono. Ti prego, non dirmi di no… - mentre lo diceva,
si mordeva le labbra, e i suoi piedi erano agitati. Suo figlio era in crisi
d’astinenza.
- Trunks, ma io… io ho paura. –
- E di cosa? –
- Se una dose è tagliata male, potresti anche morire –
- Cosa vuoi che me ne importi…? A questo punto… -
Vegeta si coprì la bocca con la mano,
spalancando gli occhi e sentendo un dolore sordo montargli dentro.
- Non… non so nemmeno da che parte cominciare… - mormorò Goten.
- Goten, tu fai scienze infermieristiche. Non dirmi che non
sai come si fa un’iniezione, perché non ti credo. –
Il ragazzo emise un verso di disappunto. - Qui ci vuole un laccio
emostatico… -
- La cintura dei pantaloni! Usa quella! –
Goten si tolse la cintura e la avvolse intorno al braccio Trunks,
stringendo bene finché non trovò la vena e vi infilò
l’ago della siringa con cui gli iniettò la dose.
Nello schermo, Vegeta vide suo figlio voltare il capo verso la
finestra, guardando fisso nell’occhio della telecamera. Il suo viso era
un’espressione spenta, scolorita… ma di calma e beatitudine.
- Gra…zie… -
Furono le ultime parole che Vegeta riuscì a udire, prima di svenire sul
pavimento.
*****
Poco più tardi, salì nella stanza da letto. Qui, il profumo delle
lenzuola pulite si mescolava con l’odore di polvere e di chiuso. Sui mobili e
alle pareti c’erano le foto dei bisnonni di sua moglie che guardavano
l’obiettivo in modo austero… Tutto era in perfetto ordine, come a testimoniare
che era andato tutto bene. Per fortuna. Suo figlio era ancora vivo, la dose non
lo aveva ammazzato.
Vegeta guardò con tristezza il letto dove pure aveva passato tante ore
liete, prima con sua moglie e poi con Laura; finché il suo sguardo si volse
verso la finestra: immerso nella semioscurità, l’albero guardava verso
l’interno della stanza, e lui guardava fuori.
Abbassò il capo, scuotendolo in senso di sconfitta, senza sapere bene
cosa fare.