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Autore: flyerthanwind    28/12/2020    0 recensioni
Karen ama il Natale, ma quest'anno sarà tutto diverso. A causa della pandemia è costretta a trascorrere le festività da sola, senza i suoi genitori e il suo compagno, d'istanza in Italia e rimasto bloccato lì.
Nigel farà di tutto affinché l'amore della sua vita possa trascorrere il Natale che merita, persino ingraziarsi un generale e fare un volo di nove ore per tornare a NYC.
Nigel riuscirà nel suo intento? Il Natale di Karen sarà salvo? Beh, questo potrete scoprirlo solo leggendo!
Genere: Malinconico, Romantico, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: Incompiuta | Contesto: Contesto generale/vago
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Una consegna per Karen Moore

A chi ama con tutto se stesso
A chi non ci crede affatto
A chi l'amore l'ha sempre accanto
A chi crede di non averne bisogno
A chi l'ha trovato e perduto
A chi non lo cerca e si sente completo
A te che stai leggendo, auguro un buon Natale anche se sei in luglio
E sappi che il regalo migliore che puoi fare
È esclusivamente
Amare

Ho sempre considerato il Natale come il periodo più felice dell’anno. Le lucine colorate che circondano le facciate delle case creano percorsi che illuminano i viali altrimenti grigi o innevati; piccoli Babbo Natale canterini, che con il loro “Oh! Oh! Oh!” scalano finestre e balconi, accompagnano i gruppi di persone che intonano le carole in ogni angolo; lo scalpiccio dei turisti che camminano barcollanti nelle vie principali spezza il silenzio della neve che cade e si adagia al suolo lentamente, come una ballerina che, dopo aver volteggiato per il palco, ricade leggiadra nella sua posa finale.
Il chiacchiericcio fitto e continuo, che fa innalzare verso il cielo rivoli di condensa che sbuffano da labbra puntellate di sorrisi, quest’anno non si sente. Non una pista per il pattinaggio sul ghiaccio è gremita di persone che svolazzano al centro o si reggono ai bordi per non cadere. Non il rumore di una caffettiera proviene dai numerosi locali del centro, tutti con le serrande abbassate.
Quest’anno non ci sono vetrine illuminate, né bambini che fanno la fila per incontrare un vecchio barbuto in un centro commerciale. Non ci sono innamorati che passeggiano mano nella mano per Central Park. Non ci sono turisti che si guardano attorno meravigliati, lasciandosi ammaliare per la prima volta dalla magia di New York City. Non ci sono nemmeno i ritardatari, che fanno del procrastinare un’arte e si ritrovano a comprare i regali la Vigilia di Natale, correndo come forsennati da una parte all’altra della Grande Mela.
Le strade della città sono sgombre, non un rumore si leva nell’aria ad eccezione delle sirene delle ambulanze, il cui suono spezza la tranquillità portando con sé angoscia e tanta malinconia. Sui marciapiedi la neve si adagia lenta, come se anch’essa sapesse che non è il periodo adatto per fare rumore, per farsi notare quando il mondo sta combattendo contro qualcosa di infinitamente piccolo eppure infinitamente problematico.
Le decorazioni sono sempre presenti: alberi innevati circondati di lucine, luminarie che splendono nelle strade vuote, calzette colorate appese a mensole e scaffali che si intravedono dalle finestre con le tende aperte; eppure, nulla fa presagire che il giorno più bello dell’anno sia ormai alle porte.
In una delle finestre illuminate, le cui tende azzurre in questo periodo sono sempre tenute aperte da calamite a forma di fiocchi di neve, solitamente si può intravedere una donna cullata da una sedia a dondolo in legno di faggio. Ha la testa poggiata sul rivestimento blu che funge da cuscino, i capelli castani sparsi sul petto coprono un maglione natalizio e una coperta dall’aria morbida le avvolge le gambe.
La sera della Vigilia di Natale è solita riposarsi su quella sedia che era di sua nonna e da cui sua madre la cullava quando, neonata, si svegliava piangendo in piena notte. Karen ama chiudere gli occhi e ascoltare le carole mentre Nigel si diletta nel prepararle una cenetta romantica che gusteranno sul divano, prestando poca attenzione a non sporcare gli arredi, insieme a del buon vino che finirà per macchiare la coperta a causa delle risate e della voglia di starsi accanto, di viversi ogni istante che riescono a racimolare dai rispettivi impieghi.
Tuttavia, quest’anno non sembra affatto Natale, con una pandemia mondiale che minaccia di continuare a propagarsi a macchia d’olio e un compagno bloccato dall’altra parte del mondo.
Sembra spenta, Karen, proprio lei che solitamente incarna lo spirito natalizio, che arricchisce di addobbi sia casa sua che quella dei suoi genitori, che da ragazzina faceva i turni nei centri commerciali per interpretare il folletto di Babbo Natale, che ama le carole e ascolta playlist natalizie già da novembre.
Se ne sta sdraiata sulla sedia a dondolo in modo scomposto, rannicchiata sotto la morbida coperta a pois con i capelli che le avvolgono il viso triste. Non c’è traccia di felicità in questo Natale che è costretta a passare da sola come non le era mai capitato.
Nigel è un militare d’istanza in Italia, dove è rimasto bloccato a causa delle restrizioni governative per il contrasto del coronavirus. Avrebbe dovuto fare ritorno agli inizi di dicembre, ma tra colleghi che hanno contratto il covid e le limitazioni agli spostamenti, non è mai arrivato il plotone per il cambio. Non si trova in una zona di guerra e non rischia attivamente la vita, questo la consola, ma saperlo lontano proprio nel giorno di Natale le provoca un dolore che sembra volerle squarciare il petto.
Non è l’assenza di Nigel il vero problema, Karen è abituata alle missioni e alla sua lontananza, non patisce la solitudine -d’altronde, è sempre circondata di persone presso la casa di cura per anziani ospedalizzati dove svolge la professione di infermiera. I suoi pazienti spesso si sentono soli e, tra una medicazione e un prelievo di sangue, lei ama ascoltare le storie che hanno da raccontare.
Tuttavia, nemmeno il lavoro potrà salvarla quest’anno: un medico infetto ha contagiato altri colleghi e diversi pazienti, così il suo reparto è stato chiuso e lei, che non era di turno, relegata in casa in isolamento nonostante il tampone negativo.
Così se ne sta a dondolare su quella sedia appartenuta a sua nonna, quella stessa nonna che non abbraccia ormai da mesi nonostante abiti in un appartamento a un paio di isolati dal suo. Karen ha scelto di trascorrere il Natale da sola, senza recarsi dai suoi genitori, proprio per scongiurare il pericolo di arrecare un danno a quella donnina tanto esile ma tanto forte che, non essendo più autosufficiente, vive insieme a loro.
Ha scelto di tutelare i suoi familiari, anteponendo la loro salute alla sua felicità, preferendo trascorrere una festa solitaria ma tranquilla piuttosto che in loro compagnia ma con il terrore di respirare troppo forte e contagiarli con quel virus che, a sua insaputa, ha potuto infettarla anche dopo il tampone.
Se li immagina il giorno di Natale a pregare intorno al tavolo, prima di pranzare con le leccornie preparate da sua madre, godendosi un bicchiere di vino e brindando alla sua salute e a quella Nigel, affinché stiano bene e lui possa presto tornare a casa.
Finalmente un sorriso le spunta sul viso alla consapevolezza che, seppur relativamente lontani, i suoi familiari avranno sempre un pensiero di riguardo per lei e il suo compagno.
Mentre la neve si posa sul davanzale della finestra e una patina opaca ricopre il vetro, Karen si sofferma ad osservare il punto -esattamente all’altezza dei suoi occhi, così da non rischiare che non lo noti- in cui Nigel le disegna sempre un cuore. Lei finge di arrabbiarsi, ricordandogli che, eliminando la condensa con le dita, il vetro si macchia, ma poi si ritrova sempre a sorridere come una ragazzina innamorata quando, dopo che lui è tornato a lavoro e per mesi rimangono in contatto solo tramite videochiamate, le ombre dei suoi cuori sono l’unica cosa che le resta.
E si addormenta così, cullata dal leggero cigolio del legno, mentre le immagini di un film natalizio che non stava nemmeno guardando si susseguono sullo schermo del televisore.
Still far away
From where I belong
But it's always darkest
Before the dawn
So you can doubt
And you can hate
But I know, no matter what it takes
L’aria dicembrina sulla pelle è frizzante e si fa sentire nonostante la divisa imbottita. Il vento agita la fitta vegetazione spoglia intorno alla caserma e sferza i volti dei soldati, tutti in posizione per l’alzabandiera mattutino. Per alcuni questo è letteralmente un giorno di festa poiché hanno ottenuto il congedo che permette loro di rientrare in patria. Altri, invece, sono costretti a rimanere in Toscana anche nel periodo festivo, chi perché appena arrivato col plotone di cambio, chi perché sarebbe comunque impossibilitato a raggiungere la propria città.
Nigel, per sua fortuna, non rientra nelle categorie sopracitate. Il plotone di cambio per la sua squadra è arrivato qualche giorno fa, anche se decimato a causa dell’alto numero di contagiati tra i suoi colleghi in patria; tuttavia, molti dei militari d’istanza in Toscana hanno scelto di non ripartire perché non potrebbero comunque raggiungere le proprie famiglie, per cui hanno preferito accumulare ore di straordinario così da trascorrere più tempo in casa al prossimo congedo.
Tuttavia, poiché i soldati in partenza sono in numero nettamente minore, i voli sono stati dimezzati e alcune mete sono state del tutto eliminate, tra cui New York, dunque Nigel è all’apparenza rimasto bloccato poiché anche i voli di linea sono fermi a causa delle restrizioni governative.
O, almeno, questo è ciò di cui è convinta Karen.
Durante l’ultima videochiamata fatta, hanno concordato per sentirsi nuovamente prima del pranzo di Natale, così da avere la possibilità di chiacchierare liberamente senza altre incombenze a interromperli.
Ciò che Karen non si aspetta è che Nigel sia in procinto di salire su un volo che lo condurrà direttamente in un aeroporto privato di NYC.
Aveva quasi perso le speranze di fare una sorpresa alla sua compagna per Natale quando è venuto a sapere che il Generale Blaine, originario proprio di New York, sarebbe rimasto in Toscana fino alla Vigilia di Natale per sistemare la burocrazia relativa alle partenze e ai nuovi arrivi.
Nigel era convinto che nessuno, dai piani alti, avrebbe permesso a un generale di trascorrere le festività lontano dalla famiglia. L’odore di aereo privato era percepibile da chilometri di distanza, dunque lui ha fatto la sua mossa.
Qualche moina al suo superiore per lavorare fianco a fianco con il generale, due chiacchiere e qualche aneddoto e subito Blaine l’ha preso in simpatica, così al momento opportuno ha potuto chiedere e ottenere il permesso di rincasare con il suo volo.
All’Esercito non frega granché dei soldati, di qualunque grado essi siano, ma se un Alto Ufficiale fa una richiesta viene approvata seduta stante. È una mera questione politica: i Generali controllano le basi, tra cui quelle estere; se le basi estere non creano problemi loro acquisiscono credibilità con gli Stati ospitanti e risparmiamo denaro per insabbiare gli scandali interni.
D’altronde, è risaputo: ciò che succede sotto le Armi rimane sotto le Armi.
Dopo l’Alzabandiera mattutino e l’ascolto dell’Inno Nazionale, i soldati sono tornati alle loro occupazioni mentre un plotone composto di sole cinque persone si è diretto alla pista. L’aeroplano militare è stato preparato al decollo, il pilota e il co-pilota sono già alle postazioni mentre Blaine e i suoi uomini si apprestano a raggiungerli.
La brezza frizzantina solleva le divise e fa agitare i capelli di Nigel, ormai non sono più completamente rasati; la sua mano trema dall’emozione di poter finalmente tornare a casa quando scatta sull’attenti mentre Blaine sale sull’aereo. I due uomini della sua scorta lo seguono subito dopo, infine è il turno suo e dei due colleghi newyorkesi che, come lui, avranno la possibilità di trascorrere il Natale in famiglia.
Il viaggio di nove ore sembra infinito. Dal momento in cui il velivolo si solleva con un rombo cupo, Nigel controlla spasmodicamente l’orologio al polso, impaziente.
Prova a scambiare qualche chiacchiera con i colleghi, poi si sofferma a guardare le nuvole dall’oblò, infine incrocia le gambe per trovare una posizione più comoda.
Sbatte in maniera cadenzata un piede a terra, poi ticchetta le dita contro il sedile in pelle riproducendo una delle carole natalizie che Karen ama, infine si alza per sgranchirsi le gambe.
Raggiunge i piloti nella cabina di comando, passeggia nel corridoio, infine accetta l’invito di un collega a giocare a scacchi con lui.
Peccato che sia distratto, scostante, con il corpo bloccato su quell’aereo ma con la testa già tra le braccia della sua Karen. Se la immagina a ciondolare distrattamente per il salotto, anche lei a controllare in maniera cadenzata l’orologio in attesa che finalmente giunga l’ora di quella chiamata su FaceTime. Non può affatto immaginare che sarà nettamente migliore.
A metà volo ognuno inizia a raccontare aneddoti divertenti per passare il tempo, persino il Generale abbandona il portamento rigido e impettito per raccontare i successi del suo primo nipotino, figlio della sua primogenita anch’ella arruolata. Così nell’abitacolo risuonano risate, si mostrano foto custodite nei portafogli e si gode dell’atmosfera natalizia che impregna l’aria sebbene non vi siano lucine colorate o alberi come addobbi.
Il Natale non è un periodo dell’anno, non sono gli addobbi o lo scambio di regali, non sono le luci che illuminano le città. Il Natale è uno stato d’animo: è il cuore che pulsa all’impazzata e vuole esplodere di felicità, sono le braccia che sfrigolano nell’attesa di stringere chi si ama, sono le gambe molli quando finalmente sei con l’amore della tua vita. Natale è la voce che trema e si rompe per l’emozione, sono gli occhi lucidi dalla commozione, è assenza di qualsiasi altro sentimento che non sia amore.
Quando finalmente dalla cabina di comando il pilota annuncia di allacciare le cinture di sicurezza perché si è pronti all’atterraggio, Nigel quasi scatta sul posto e, nella foga di incastrare la cintura, si graffia ripetutamente la mano.
Non sta più nella pelle, è impaziente di prendere quel taxi che lo porterà finalmente dalla sua Karen, per cui, in barba ai protocolli, è lui il primo a scendere subito dopo il generale e la scorta.
I'm coming home
I'm coming home
Tell the world I'm coming home
Let the rain wash away
All the pain of yesterday
I know my kingdom awaits
And they've forgiven my mistakes
I'm coming home
I'm coming home
Tell the world I'm coming
L’aeroporto militare in cui sono atterrati è sgombro e silenzioso, ad eccezione delle voci concitate dei colleghi che si guardano intorno per scorgere visi familiari. Il generale si dirige verso un’auto nera piuttosto grande, probabilmente il suo autista o qualcuno mandato appositamente per recuperarlo. Gli altri militari, invece, vengono raggiunti da mogli, amici o altri familiari che li porteranno a casa.
Ovviamente né Karen né i suoi familiari sanno del ritorno di Nigel, per cui non c’è nessuno ad aspettarlo. Si affretta a salutare i colleghi e si allontana per chiamare il taxi, ormai sfinito dal viaggio e dalla giornata intensa, sebbene a New York sia ancora mattino.
Il sole brilla come in una di quelle giornate invernali che stonano col clima rigido del luogo, la neve sui muretti e sui davanzali è compatta e non ce n’è di fresca, per cui il maltempo deve aver dato una tregua alla Grande Mela. Sembra una beffa non poter uscire mentre c’è una delle giornate invernali più calde degli ultimi anni, ma le leggi parlano chiaro e le strade sono sgombre.
Quasi si riescono a vedere le ombre delle persone dei Natali passati, stringendo gli occhi può persino osservare una giovanissima Karen che corre frenetica tra la folla perché è in ritardo per il loro primo appuntamento.
C’è un motivo preciso per cui Nigel ama il Natale ed ha poco a che fare con gli addobbi e le tradizioni. Il dono più bello l’ha ricevuto proprio la mattina del 25 dicembre di diversi anni prima, quando Karen gli ha dato un bacio ai piedi dell’albero di Natale del Rockefeller Center.
Lui era in congedo dopo una missione in Afghanistan e lei una giovane studentessa della NYU; si sono conosciuti proprio al college, dove lui è andato a trovare un amico, e da lì è stato amore a prima vista.
La distanza non è mai stata un problema, hanno superato lunghi periodi senza vedersi, ma questo Natale così atipico ha rischiato seriamente di minare la felicità di Karen, costretta a rimanere da sola in quello che è, per eccellenza, il giorno in cui si sta in compagnia.
Al contrario dell’infinito volo, il viaggio in taxi sembra passare in uno schiocco di dita, e non solo perché è una tratta effimera se comparata alle nove ore trascorse in aereo. Giunto a destinazione, Nigel praticamente fugge dall’automobile, mollando sul sedile posteriore anche una lauta mancia, e si precipita su per la piccola scalinata in marmo chiaro.
Solo davanti al portone blindato finalmente si arresta, consapevole che, nella frenesia di farle una sorpresa, non ha pensato a cosa dire a Karen. Tuttavia, è troppo tardi per temporeggiare perché ormai le sue nocche hanno già bussato contro il legno scuro.
Quando sente dei passi concitati provenire dall’interno, si affretta a poggiare una mano sull’occhiello per evitare di essere riconosciuto, sperando che Karen apra il portone senza farsi troppe domande.
«Chi è?» domanda invece un timbro risoluto dall’interno.
Nigel sorride, cullato dal suono della sua voce, e bussa di nuovo senza parlare per timore di essere riconosciuto.
«Chi c’è là? Lo so che stai coprendo l’occhiello» replica ancora, senza tuttavia far scattare la serratura.
«Ho una consegna per Karen Moore» prova a camuffare la voce, consapevole che, se non le darà un motivo valido per aprire, lei lo lascerà a marcire dietro la porta.
«Non ho ordinato nulla» è infatti la risposta che gli viene data, anche con una certa urgenza che non mitiga la sua volontà di scacciarlo.
Karen, dietro la porta, si allaccia la vestaglia sul ventre e incrocia le braccia, sospettosa. Chi è che la disturba proprio questa mattina, quando lei ha esplicitamente detto a tutti i suoi conoscenti di non andare a trovarla né di farle recapitare nulla per timore che possa essere contagiosa?
«Qui c’è scritto che arriva dall’Italia, il mittente è un certo Nigel-»
«Da quando i corrieri lavorano il giorno di Natale?» sbotta, interrompendo l’interlocutore. Lei e Nigel non si sono mai scambiati i regali di Natale, hanno sempre preferito investire il denaro in tempo da spendere insieme viaggiando per il mondo.
«È stato pagato un’extra affinché la consegna avvenisse proprio oggi, si sono raccomandati ché giungesse a destinazione prima di pranzo» tenta di nuovo, pensando di riuscire a convincerla ad aprire la porta con un’informazione che solo Nigel avrebbe potuto comunicare.
«Mi mostri il tesserino aziendale» replica Karen, certa di aver impugno il malfattore. Segue qualche istante di silenzio in cui lei recupera il cordless dall’ingresso e digita il 9-1-1, poi conclude: «Hai trenta secondi per togliere la mano dall’occhiello e sparire o chiamo la polizia».
Nigel è combattuto. Da un lato non vuole rovinarle la sorpresa, vuole vedere la sua espressione mutare nel rendersi conto che è proprio lui ad attenderla sul portico; dall’altro non vuole spaventarla ulteriormente né mobilitare la polizia col rischio di essere accusati di procurato allarme.
Ad ogni modo, Karen è una donna scaltra, non si lascia ingannare -né sorprendere- facilmente e Nigel è certo che chiamerà davvero la polizia, così decide di accontentarla.
Sfila dal collo la piastrina identificata e la avvicina all’occhiello in un tintinnio metallico che attira l’attenzione della donna oltre la porta.
Karen aggrotta le sopracciglia, domandandosi cosa stia succedendo sul suo uscio, poi si avvicina per guardare fuori e si paralizza sul posto. Dal foro circolare non può vedere nessuna figura, ma una piastrina in metallo luccica davanti al suo sguardo. Su di essa vi sono impressi in rilievo lettere e numeri che le fanno immediatamente presagire il peggio.
Harris Nigel J.
4371057294
AB neg
Protestante

Che ci fa uno sconosciuto con la piastrina identificativa del suo compagno? E, soprattutto, dato che legalmente non sono sposati, perché la porta a lei?
Le prime risposte che riesce a formulare sono devastanti e lo scenario comune è la morte di Nigel. Questo è l’unico motivo per cui lui si separerebbe da quella medaglietta metallica che porta sempre intorno al collo, anche quando non è in missione ma si trova semplicemente in casa con lei. Dice che è di grande aiuto ai paramedici conoscere certe informazioni immediatamente e ha convinto anche lei a farne una da civile, che però Karen dimentica sempre di indossare.
Ma come è morto? Un incidente d’auto, un colpo di arma da fuoco durante l’allenamento, il crollo del suo dormitorio, un evento sismico che in Italia non è così raro, un attacco di cuore fulminante.
Karen ha già gli occhi lucidi quando fa scattare la serratura, convinta che dall’altra parte vi sia un funzionario dell’esercito venuto a renderle gli effetti personali di Nigel perché lui l’ha inserita tra i contatti d’emergenza o, peggio, le sue ceneri.
Nigel preferisce essere cremato o sepolto? Non ha mai avuto occasione di chiederglielo.
È talmente concentrata su suoi pensieri da non udire una voce familiare che sussurra: «Karen…». Solo una volta fuori, dopo aver eliminato con il dorso della mano l’alone di lacrime che le offusca la vista, un sorriso smagliante e a lei molto noto entra perfettamente nella sua visuale.
Lo scruta qualche istante, corrucciata e inebetita di fronte a quell’uomo dalle vesti militari che somiglia al suo Nigel e si infila nuovamente la piastrina identificativa intorno al collo, poi i suoi neuroni riescono finalmente a mettere in moto la sinapsi e lei scoppia in un pianto disperato saltandogli al collo.
Si aspetta una reazione del genere, ma l’impeto della donna lo fa comunque barcollare all’indietro mentre lei stringe le gambe intorno al suo busto e gli accarezza la nuca, piangendo contro il suo collo.
È incontenibile, Karen, e riversa su Nigel tutte le lacrime che ha trattenuto nell’ultimo mese: quando ha saputo che lui non sarebbe rientrato a inizio dicembre; quando il dottore è risultato positivo al tampone; quando ha comunicato ai suoi genitori che non sarebbe andata a pranzo da loro; quando ha chiamato sua nonna per augurarle buon Natale; quando ha creduto, solo pochi istanti prima, che lui fosse morto.
E Nigel la stringe a sé, carezzandole la schiena sopra la vestaglia calda che indossa, intrecciando i suoi capelli castani intorno alle dita e sussurrandole all’orecchio che va tutto bene, che lui è lì, che anche se non è il Natale ha sognato, lo trascorreranno insieme.
Prendono le distanze solo per baciarsi, per sfiorare le labbra e assaporarsi come un vino d’annata dal sapore intenso che va gustato sorso dopo sorso. Se ne stanno con le labbra incollate per minuti interi in barba al covid, alle regole, alla paura di contagiare ed essere contagiati, perché il filo rosso che li ha uniti per tutto questo tempo li stretti al punto tale da fargli desiderare di diventare un tutt’uno.
«Mi hai fatto prendere un colpo, avevo già il 9-1-1 composto sul cordless» confessa Karen dopo essersi staccata da lui, che la fa scendere delicatamente senza smettere di avvolgerla.
«Volevo farti una sorpresa ma tu sei stata poco collaborativa» ridacchia lui, carezzandole delicatamente il viso per eliminare le lacrime dalle guance.
«È il prezzo da pagare per stare con un soldato, viviamo sospettando di chiunque» sospira Karen, intrecciando le dita dietro la sua nuca senza riuscire a staccare gli occhi dai suoi. È più forte di lei, un’attrazione tale da renderle impossibile distogliere lo sguardo; i suoi occhi scuri sono una calamita a cui lei non ha mai tentato di sottrarsi.
«Però ti sei lasciata fregare dalla piastrina militare, quello poteva non essere il mio numero identificativo» scherza lui, tirandole un buffetto sotto al mento e scuotendo la testa con aria saputa.
«Ero nel panico, ho pensato fossi morto!» sbraita lei, staccandosi giusto il tempo necessario per colpirlo con un pugno leggero sul braccio per poi tornare a spalmarsi su di lui -stoffa contro stoffa, occhi negli occhi, pelle su pelle, cuore contro cuore.
«Non potevo morire prima di trascorrere il Natale con te» Nigel le lascia un bacio sulla punta del naso, ormai arrossato a causa del clima rigido, e Karen lo arriccia di rimando, aprendosi in un magnifico sorriso.
«Sei il mio più bel regalo di Natale» sussurra lei in risposta, in quel modo forse da ragazzini che hanno di confessare i propri sentimenti, parlottando fitti fitti come fossero segreti universali che solo il diretto interessato può conoscere.
E forse l’amore è anche questo: provare delle emozioni talmente intense da non riuscire a comunicarle ad alta voce, da non riuscire a gridarle al mondo intero; avvertire un peso che non gravita sul petto ma fa lievitare tutto il corpo; dirsi ti amo con i gesti e non con le parole.
Amarsi vuol dire fidarsi ineluttabilmente, sostenersi incondizionatamente, comprendersi inevitabilmente.
Amarsi vuol dire discutere e poi fare la pace, arrabbiarsi e rasserenarsi, intristirsi e poi ridere di gusto.
Amarsi è donare se stessi senza la pretesa di ricevere nulla in cambio, ma con la consapevolezza che condividere amore può generare solo altro amore.
   
 
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