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Autore: Gaia Bessie    31/12/2020    4 recensioni
Lei gli ha guardato fin dentro il cuore, e lì Hermione riesce a vederci lo stesso mare in cui si confonde il suo sapore.
[What if: se Ron fosse morto al posto di Fred]
Seconda classificata al contest “Cosa sarebbe successo se...” indetto da Freya_Melyor sul forum di Efp
Genere: Angst, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Fred Weasley, George Weasley, Hermione Granger | Coppie: Fred Weasley/Hermione Granger
Note: OOC, What if? | Avvertimenti: Tematiche delicate | Contesto: Dopo la II guerra magica/Pace
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Se non posto questa storia adesso, non lo farò mai più: è da tempo che mi sento a mio agio con Draco e solo con lui, che con Fred faccio fatica specie nell'Angst. Ma Silvia, tu un regalo da me te lo meritavi (eccome se te lo meritavi) e non potevo esimermi dallo scrivere sulla coppia che ti ha portata sulla mia pagina autore, anni fa.
Quindi, questa storia è tutta per te, e spero che ti possa piacere.
Gaia

Attenzione: possibile OOC, ampio what if.



Fred odora di mare.
Profumo che gl’è rimasto addosso dal periodo in cui ha vissuto con suo fratello e sua cognata, a Villa Conchiglia. Chiudendo gli occhi, lei lo percepisce ancora, un rimescolio di onde senza controllo che s’infrangono sulla parete del cuore.
È tempesta, dentro di lui, ma è anche lì che Hermione torna ogni volta: tra le pareti del cuore che si contraggono, che la schiacciano, che sono casa – prigione – dolorosa, lei torna lì. Perché, e lui gliel’ha sussurrato in una notte resa colorata dall’insonnia, lei è l’unica in grado di guardargli il cuore senza provare a toccarlo.
Non ne ha semplicemente bisogno, sebbene sia a portata di mano, quando le basta una singola occhiata per spellarlo e sbucciarlo come un frutto maturo. Sputa acqua salmastra, più che sangue, e le sporca le mani di rosso intenso – e l’anima, quella, quand’è che gliel’ha macchiata irrimediabilmente?
Fred piange il mare, quando la sera esce dalla Tana e s’avvia lungo il pendio scosceso di una collina dimenticata: lì, v’è un campo di girasoli confusi dalla luce lunare, che si stringono e si toccano per darsi speranza – lui non ne ha più – e le loro radici sono abbracciate alla terra, o viceversa, questo non si può dire.
Suo fratello respira terra umida, in autunno, secca in estate, stretto a quei fiori e a quelle radici annegate d’acqua non salata. Mai salata.
Fred, il mare, lo tocca in quel momento – quando dal mare è lontanissimo – mentre si china sulla lapide del più piccolo dei suoi fratelli e la sfiora con la punta delle dita, come fosse solamente l’ennesima reliquia di una vita infranta. Lo è. Certo che lo è.
«Non è tardi, per piangere?» le sussurra, notandola al suo fianco, stretta in un cardigan azzurro chiaro. «Ormai è mezzanotte».
Lei scuote il capo – ha il suo stesso odore addosso, gliel’ha passato lui o è mera coincidenza? – e scivola sulla terra arida. Estate: il regno delle delusioni che avanza sussurrando, che s’aggrappa alle pelli come fossero cartastraccia e ne fa dei buffi origami mal piegati, sono passati esattamente un anno e due mesi.
Ma la ferita duole ancora, com’è che si fa a dimenticare, chi è che si offre di far della dimenticanza il Dio della propria vita?
Non lei. E, inspirandone il profumo salino, Hermione lo comprende: nemmeno lui. Fred ha inciso in mente il momento in cui Ron s’è frapposto tra lui e l’esplosione, salvandogli la vita (e perdendo la propria in un turbine di macerie).
Lei vorrebbe scancellargli quell’espressione dal viso, mentre osserva i girasoli voltandosi verso di lui – che ancora splende di tiepida speranza – e il volto ne tradisce il dolore viscerale. Ma non ne ha la forza, di sfiorarlo e sentire se Fred sappia anche di mare: è solamente l’ennesimo troppo tardi annacquato in occasioni sprecate.
«Non è mai tardi» risponde lui, chissà se risponde alla sua domanda o ai suoi pensieri. «Per questo».
Lei gli ha guardato fin dentro il cuore, e lì Hermione riesce a vederci lo stesso mare in cui si confonde il suo sapore.
 
 
Il sapore del mare (e tu che non ci sei)
 
È colpa delle notti dove la calma in me non c'era
E per averti avevo i sogni e almeno lì sembravi vera
E non è colpa mia come dici tu
E se di notte sogno poco di giorno sognerò di più
 
Esplosioni.
Fred lo sogna ogni notte. Quel momento in cui l’aria s’è spostata, il Bombarda di Rookwood andava dolorosamente a segno. E suo fratello, quel cucciolo spaurito cui aveva fatto milioni di scherzi quand’erano piccoli, che correva verso di lui e lo spingeva via, facendolo crollare sul pavimento. Ha detto il suo nome.
In un sussurro, che forse Fred s’è immaginato mentre la disperazione gli assaliva il cuore e l’annacquava di mare, Ronald Weasley ha chiuso gli occhi – le sue ultime parole? Il nome di suo fratello – ed è sparito in un vortice. Lo sogna ancora.
La notte, quando rimane da solo (con lui, senza di lui), i pensieri di Fred si piegano ed implodono, impedendogli di dormire. Quel giorno, Hermione Granger s’era piegata sulle proprie ginocchia e s’è sciolta in un fiume di lacrime. Lui non l’aveva mai vista piangere prima di quel momento, ma s’era presto abituato alla novità, perché da quel momento la vede piangere continuamente.
E, Fred lo sa, è che lo sogna anche lei. Che in una maniera asimmetrica, buffa, lei lo amava e quella mancanza le scava dentro come il mare che erode la roccia, frantumandola in un sussurro.
Fred lo sa e gli mancano le parole. S’incontrano ogni sera nel vortice, sulla collina dietro la Tana: lui ancora in pigiama, percorre i campi con i piedi che calzano le ciabatte e vengono toccati e graffiati dai rami secchi, dolcemente posati sul terreno.
Lei, sempre vestita di tutto punto, si Smaterializza dal proprio appartamento nella Londra Babbana, e le scarpe da ginnastica stridono con il suo completo elegante. Troppo, per quell’uso squallido che ne fa.
Non parlano mai. Scivolano sul terreno – secco, umido – in religioso silenzio, e s’alzano solamente quando inizia ad albeggiare. Percorre indietro il proprio sentiero, lui, graffiandosi ulteriormente le caviglie così come s’è graffiata l’anima.
Si smaterializza, lei, in uno schiocco e un buona giornata appena sussurrato, per sfilarsi le scarpe da ginnastica appena arrivata a casa. Non mette mai i tacchi: il dolore ai piedi sarebbe una distrazione per quel che le alberga nel cuore.
In silenzio, però, ogni notte s’aspettano. Fred dà per scontato che lei compaia, in una chiazza di giallissimi girasoli, ogni volta – ed Hermione sente il suono dei suoi passi nella sterpaglia, e sono la culla dei pensieri scomposti che le esplodono nel cranio.
Finché, una sera, lei non si presenta. È il ventotto febbraio e fuori diluvia, così che i graffi sulle caviglie e sui piedi di Fred bruciano come fossero infuocati, e lei non si vede da nessuna parte. È la prima volta che non si presenta a quel tacito appuntamento.
Lui scivola sul terreno, il fango gli macchia il pigiama grigio, e sospira. Vorrebbe addormentarsi lì, sognare, ma da quando ha ripreso a esserci spazio per i sogni?
È che diluvia e gli s’inzuppano le ossa, sulla tomba del fratello morto per causa sua, e lei, alla vigilia di quello che sarebbe stato il diciannovesimo anno di Ronald, semplicemente non c’è.
 
***
 

«Ti ho aspettata» si Smaterializza a casa sua, senza avvisarla e senza permesso, facendola singhiozzare per la sorpresa. «Non sei venuta, ieri sera».
Hermione lo guarda, ha gli occhi condensati in quell’attesa che distrugge – lo aspetta ancora? – e le mani tese sopra la tazza del caffè. Americano con due cucchiaini di zucchero: ha sempre odiato il caffè ma, da quando Ron è sparito in un cumulo di macerie, ha iniziato a detestare il dover dormire. Così sia, ha accettato apaticamente, una tazza di caffè per mandare via ogni male. Hermione non dormirà mai più.
«No» ammette, mescolando il liquido scuro. Le restituisce il viso distrutto di chi è cresciuto troppo in fretta: a malapena diciannove anni, e sentirsi due vite sulle spalle, la sua e quella di lui. «Non ci sono riuscita».
S’è tolto il pigiama, Fred, ha indossato un vecchio completo da Mago blu scuro e s’è avvolto nel mantello come potesse proteggerlo. Da chi, poi, forse da lei?
S’è messa il pigiama, Hermione, nasconde la camicia da notte in una vestaglia rosa confetto, ma le spalline in pizzo emergono sotto le braccia incrociate sul petto. Ma, se lui le scruta l’anima come fosse nuda, che senso avrà mai coprirsi?
«Mi dispiace se sei rimasto ad aspettarmi» soffia lei, sulla tazza ancora piena. «Avrei dovuto mandarti un Patrono».
Ancora piena, la tazza, vuoti i pensieri, quel cuore che lui riesce a guardare attraverso strati di pelle nuda. Fred sorride, l’ennesimo movimento amaro, amarissimo, che riuscirà a compiere: vorrebbe toccarla, vedere se anche lei è pronta a crollare a terra con un misero sfioramento, ma la mano rimane in aria. E poi crolla sul fianco, inutile.
Fred non sa che farsene, di quella mano, di quei gesti, delle parole che lei cortesemente gli rivolge. Hermione non dimentica, non dimentica mai: forse prova rancore, verso di lui, forse è solamente insensatamente attaccata al fatto che Ron sia morto per salvarlo. Forse. Forse lo guarda e ne coglie i battiti cardiaci come fossero pensieri o ciocche di capelli durante un amplesso.
Forse.
«Ti avrei aspettata comunque» ammette, stringendo i pugni. «Non sarebbe bastato a farmi credere che non ti saresti presentata».
Gli occhi di lei lampeggiano avvertimento, ma Hermione tace compitamente e si rifiuta di guardarlo in volto.
«Non avresti dovuto» risponde, cortesemente. «Io non so come potrei aiutarti, Fred, tutto questo è così… inutile».
Lui pensa che ha ragione, che non servirà aspettarla ogni notte a permettergli di dimenticare, non servirà aggrapparsi ai sentimenti che suo fratello aveva provato per lei a riportarlo in vita. Eppure, a lei tremano le mani e Fred vorrebbe solamente prenderle tra le poche e soffocare, così, quei movimenti convulsi.
«Io vado via, Hermione» sussurra, con aria stanca, provata. «Non so quando. Un giorno prendo e me ne vado: ci sarà un posto del mondo in cui è possibile dimenticare».
Lei scuote il capo. Capelli che selvaggiamente le crollano sul viso come i rami che Fred calpesta, ogni notte, per salutare suo fratello: forse, la graffiano e la feriscono nel medesimo modo.
Le mancano le parole. Forse, lo hanno sempre fatto, non ne ha mai avute abbastanza per lui – come fare a sorridere, se la persona più allegra che conosci ha perso la voglia di fartelo fare?
Fred le tende la mano, come un invito, una supplica: ma Hermione, che il coraggio dei Grifondoro l’ha sempre avuto, non riesce a muovere quel passo che li separa. Che li separerà per sempre, perché lui sorride e abbassa il braccio, oggi è il giorno.
In cui prende e va via, volta le spalle a tutto, non si guarda indietro. Dolgono i piedi, le caviglie disinfettate alla maniera Babbana, bruciano le ferite a contatto con i calzini. Ma, tutto questo, non basterà per farlo voltare.
Prende e va via, è la prima volta che Fred si sente solo e incompreso, ma nemmeno George pare comprendere quel dolore che gli dilania l’anima. Lo sente, salatissimo, sulla punta della lingua e gli fa storcere le labbra in una smorfia.
Sa di mare, quel dolore, e lui non sa nuotarvi dentro, attraverso.
«Dove andarai?» sussurra lei. Le mani tremano ancora, vorrebbe aggrapparsi a lui e trovare la forza di non lasciarlo andare via.
Ma Fred sorride, un’incrinatura nel bel mezzo della faccia, e ha gli occhi illuminati dal pianto che preme lungo i condotti lacrimali. Se sbattesse le palpebre, sarebbe libero di scorrere come fiume in piena.
«Da Bill, per un po’» risponde, piano. «Poi chi lo sa. Ho sempre voluto viaggiare… trovare un posto in cui ci sente liberi».
«Non da solo» ribatte lei, accorata. «Tu… lasci George, Fred? Davvero? Lasci George, e la tua famiglia e…».
Il pronome personale le si strozza in gola. A lui scappa un sorriso pieno di presunzione – ce l’ha, la presunzione, di mancarle – ma scuote il capo e lo cancella in uno scroscio di pioggia. Prende e va via, quel giorno, cancella la vita che ha sempre vissuto, che ha sempre amato, per svanire in un oceano troppo salato. Troppo profondo, dove non saprà nuotare. Che ne sarà di lui?
È che Fred è inquieto, pensa Hermione, lo è sempre stato. C’è qualcosa che l’anima come una molla invisibile e gli impedisce di soffrire in maniera calma, posata, ma deve costringerlo ad accanirsi contro quella vita ingiusta e sbagliata.
Ma la vita restituisce ogni colpo che le infliggi, questo lei lo sa, ma lui pare non averlo ancora ben compreso.
«Ho bisogno di tempo, per… per venirci a patti» sussurra Fred, e sembra sinceramente disperato. «Non… vi aspettate tutti che torni come prima».
Suona come un’accusa, cui Hermione non riesce a rispondere. Così china il capo, mentre una lacrima le sfregia il volto in tempesta, mentre lui le osserva il cuore.
«Ti aspetterò» sussurra, lei, con determinazione. «Anche se non verrai per chissà quanto, ti aspetterò».
Lui sorride, le sfiora il braccio con la mano, in una carezza maldestra, e sorride. Sa di mare.
 
***
 

Victoire somiglia a Ron.
È strano, ma è lo stesso Bill a farglielo notare, mentre sua figlia comincia a muovere i primi timidi passi e borbotta parole incomprensibili. Fred inizialmente non comprende il motivo, è solamente una bambina – e, come qualunque altro zio giovane e ancora affascinante (come ama definirsi), trova i bambini tutti uguali: un ammasso di versetti, bava e pianti inopportuni.
Eppure, lo dice anche Fleur, la sua unica nipote somiglia a Ron. E come potrebbe mai essere, si domanda Fred sorseggiando una tazza del tè alle rose di sua cognata: sebbene abbia una marcata somiglianza con il padre, la bambina ha i capelli biondissimi della madre e tutto in lei lascia presagire l’eredità di un fascino Veela.
Finché, in un giorno che è solamente l’ennesimo di una sequenza apparentemente priva di fine, Fred inizia a rendersene conto. È il giorno in cui Victoire pronuncia la prima parola – maman, con sommo disappunto di Bill – e nel farlo sorride e le brillano gli occhi.
Sono azzurri come il cielo, come quel mare che ribolle nel cuore di Fred, dolorosamente simili a quelli dello zio perduto, ma mai dimenticato. E non si tratta solamente di quello.
C’è qualcosa, nascosto nel viso di Victoire, che rimarca una somiglianza con il fratello minore dei Weasley, che Fred vede e non vede. Ma che ricerca, spasmodicamente, come se potesse dargli conforto.
«Credo che sia per questo, che ti ho invitato a stare con noi» gli confessa Bill, un giorno. «Pensavo che Vicky ti avrebbe fatto bene».
Fred sorride, meno forzatamente del solito, mentre la bambina gli tira una ciocca di capelli, troppo lunghi.
«Paturnie da fratello maggiore?» domanda, ritrovando la propria ironia, sepolta chissà quante leghe sotto il mare. «Starò bene».
Bill sorride, un po’ malinconico, e la cicatrice sul volto sembra pronta a ricominciare a sanguinare da un momento all’altro. Come a Fred – e a George, Percy, Ginny, Charlie e Bill – sanguine il cuore, in un abbraccio di muscoli che dolgono incessantemente.
«Non sono paturnie» risponde Bill, fermo e calmo. «Ti stai spegnendo, Freddie. Nessuno pretende che tu stia bene, ma… non ci provi nemmeno».
Lui sospira, scombina la lunga treccia bionda di sua nipote, con aria pensierosa: qualcosa in lui, nascosto sotto il mare, grida. Che Bill ha ragione, che lentamente si comporta come una lucciola che lentamente s’oscura e pian piano si spegne, ma. Ma deve trovare un motivo, che adesso gli manca, per rialzarsi e reimparare a nuotare.
Victoire lo guarda con quegli occhi impossibili e, tutto quello che Fred riesce a pensare, è che forse il motivo è quello – piedi rotti e graffiati su rami secchi, su terreno arido, sogni mancati che s’appigliano alle caviglie come rovi. L’ha sognata, quella notte, è l’unico mondo possibile in cui riesce ad averla vicina, vera, e con il pigiama addosso (l’avrà smesso, il cardigan azzurro pastello?).
Il motivo è lei.
 
***
 

Fred torna a casa.
Solo per un po’. Senza dirlo a nessuno, va alla Tana e fa le valigie: qualche maglietta, pantaloni, le proprie pantofole. Casa è dove si è al sicuro e, vicino alla tomba di Ron, lui al sicuro non vi sarà mai. Perché lentamente la luce tramonta, quand’il sole si nasconde dietro le colline, e i girasoli guardano le proprie radici.
E, quella, casa sua non lo è più. Ha detto a George che sarebbe tornato nel loro vecchio appartamento e così ha fatto: pochi vestiti, poca speranza. Odore di mare che sale dalla valigia, qualche conchiglia rubata dalla collezione di Fleur, una foto di Vicky che ride, in braccio al suo nuovo zio preferito (di certo, in braccio a quello più affascinante).
Fred torna a casa e a lei non lo dice.
Solo per un po’. Senso di colpa che l’assale come marea sfrontata, il pensiero che Hermione lo stia ancora attendendo in un campo di girasoli e rami secchi, vestita da giorno anche s’è sera, in silenzio di fronte alla tomba di Ron. A lei lo dice.
Non che l’ha sognata, che la sogna e in quei sogni è così bella da far male, ma che è tornato per ricostruirsi. E ha bisogno di lei per farlo.
Hermione china il capo e sussurra di sì: senza opporsi, comprende il bisogno che ha lui di aggrapparsi a lei, e lei a lui. Avvolta in un golfino color panna – s’è cambiata, è cambiata – l’ha aiutato a pulire il casino sul pavimento (e la sua vita?).
Solo per un po’. Mancanza che la travolge come onda anomala, affogandola, il pensiero che Fred possa pensare di ricostruire un’esistenza – due, le loro – a partire dalla mancanza di Ron, con uno sforzo che costa a entrambi tutto quello in cui hanno sempre creduto. Che le perdite siano incancellabili, insondabili, e il dolore viva in eterno. A lui lo dice.
Non che lo sogna, che l’ha sognato in un sonno sempre bello da far male, e vorrebbe che lui la spogliasse di quel golfino panna, azzurro e chissà quanti altri colori pastello riuscirà a trovare. Ha bisogno di lui per farlo.
«Potremmo andare a trovarlo, stasera» sussurri che spezzano il buio, i suoi. «Sarebbe bello».
Lei sorride, ha gli occhi che lacrimano pianto e una brutta allergia. «Potresti semplicemente dormire» risponde, piano. «Sognare qualcosa».
Qualcuno. Ma lui ride e, per un istante illuminato e frammentato, torna a essere un ragazzo pieno di meravigliose speranze. Ride e quel suono lo incita a continuare e non fermarsi mai.
«Ho tutto il giorno, per sognare» commenta, il sorriso che gli macchia la voce come una colata di sangue. «Non… io non posso dimenticare».
Le mani di suo fratello che lo spingono via, deviando l’incantesimo di Roockwood, il rumore dello schianto che infrange ogni altro suono della battaglia. Lo sguardo triste e perso di Ginny, di George e di tutti gli altri – il suo.
«Non farlo, allora» sussurra Hermione, sfiorandogli coraggiosamente il volto con una mano. «Non dimenticare, ma…».
Lui abbassa il volto, sottraendosi colpevolmente a quel tocco e facendola rabbrividire. «Mi dispiace» sussurra. «Ma non posso fargli questo, Hermione. Se fosse qui starebbe dando di matto».
Ma lui non è qui, pensano entrambi e nessuno dei due ha il coraggio di dirlo. Cuori esplosi, macerie di muscolo cardiaco – Hermione lo sa, che Ron la vorrebbe felice, li vorrebbe felici, ma le parole non le escono.
Come potrebbero? I cuori collidono con la triste realtà dei fatti: non c’è più tempo, s’è spento anch’esso lentamente come illuminato da lucciole tristemente agonizzanti, s’è sfilacciato come un animo infranto.
Fred torna a casa, ha pensato, nel fare arditamente la valigia: oggi prendo e vado via, chi mi ama mi seguirà per sempre. Ed Hermione lo ha seguito, priva di ogni speranza, e ogni speranza quelle parole le hanno tolto.
«Ci sarà qualcosa che ti piace ancora fare» commenta lei, stranamente svagata. «Che ti può tirare fuori da tutto questo».
Lui non comprende il nesso con quell’affermazione – taglientissima – ch’ha affilato sull’aria frizzante della sera. Né vuole farlo: è stranamente bravo a lasciar cadere i discorsi, ed Hermione ha imparato da lui quell’arte sottile.
Solo un po’, senza dirlo a nessuno: quand’è stato il giorno in cui ha messo un piede fuori dal letto e s’è riscoperta cambiata? No, non cambiata. Quando s’è scoperta affilata come sabbia ormai vetrificata, e sfilacciata come i lembi d’anima e cuore che si sfiorano senza toccarsi mai. Quand’è che ha fatto della mancanza una ragione d’essere e, allora, mancare a lui è tutto quello che le è rimasto.
«Sogno ancora» risponde, lui, con ovvietà. «Anche quando sono sveglio e, allora, io…».
Sogno sempre di te, vorrebbe dirle, ma quante parole, quante sillabe servirebbero per esprimere un sentimento del genere?
Non lo dirà mai, Fred, non a lei. Scapperà di casa – che è lei – e fuggirà ovunque – che è sempre lei – pur di scappare da ciò che lo tormenta (lei, sempre lei, di nuovo e solamente lei).
«E cosa sogni?» domanda lei, che è troppo intelligente e intuitiva per la sua sanità mentale.
«La guerra ti ha reso spudorata» la prende in giro, lui, con un’ombra dell’antico sorriso. «Non me lo aspettavo da te».
Lei lo guarda. Non dice altro, e lui torna a casa – sicurezza, dolcissima, quella di potersi sempre ritrovare nel suo sguardo, nei suoi occhi, e allora è costretto ad abbassare i propri con aria disorientata.
Fred torna a casa. Sul viso di lei, vicino quella bocca che ne pronuncia il nome, facendogli perdere l’equilibrio, e quel sorriso che gli stermina i pensieri come luce bianchissima.
«E tu cosa sogni?» biascica, affilando lo sguardo.
Chi sogni, vorrebbe chiederle, e conoscere una risposta che gli erode il cuore come tiepida consapevolezza. Hermione scuote il capo, imbarazzata, ma è ancora abbastanza coraggiosa da rispondergli – e spingerlo a terra, privandolo definitivamente di ogni sorta di equilibrio (fisico e mentale).
«Sogno di te».
 
***
 
È colpa della musica che mi ha reso troppo astratto
Sono un raggio che dal sole non si lancia e resta al caldo
E rispondo alle paure che io non sono in questo corpo
Amore non è colpa della pioggia o delle nuvole
Se parlo poco sappi è solo colpa delle favole
 
 
Hermione ama il mare (l’ha sempre amato).
Per questo, quando finalmente camminano insieme sulla spiaggia, lei è silenziosamente felice. Le impronte sfiorano la battigia e pian piano si scancellano, come i loro pensieri sfuggenti e quel dolore – oh, quel dolore – che preme in maniera amara sul cuore.
Harry le ha chiesto se, a quasi un anno dalla morte di Ron, non si sia riscoperta e innamorata: Hermione non è stata in grado di rispondergli e ha chinato il capo, inconsapevolmente, come piegandosi sotto il peso di una verità che è dura e scomoda come acciaio mal saldato.
E lei ama il mare, lo ama da sempre: ma, dal giorno in cui ne ha trovato il profumo sulla pelle nuda di Fred Weasley, lo ama un po’ di più.
Vestiti che cadono – nemmeno lo ricorda bene, il primo giorno in cui hanno fatto l’amore, un po’ sul letto e un po’ sul pavimento. Come potrebbe? Confusa gli s’aggirava attorno, famelica, come se sperasse in una consolazione (che non è mai arrivata, o forse l’ha fatto e lei non  se n’è resa conto). Confusa, com’è sempre stata di fronte a lui. Tutto in Fred la confonde, la fa tentennare, perdere quella dolorosa razionalità che l’ha sempre caratterizzata.
Eppure, mentre le onde accarezzano la sabbia in un abbraccio confusamente felice, lei guarda il cielo e ringrazia. Privo di senso, quel sorriso che la caratterizza, ma mai di sentimento: lo riesce a vedere dipinto nell’acqua cristallina, nel cielo, e allora sorridere è solamente l’ennesimo gesto impensabile e involontario che riesce a compiere – oggi, il giorno in cui si costringe a ricostruirsi da zero e a ricostruire anche lui.
Perché Fred si bagna i piedi nel mare in tempesta, d’altronde tempestoso è il suo animo mentre si scruta nell’acqua, e chissà che pensieri gli agitano il capo.
Fred ama il mare, l’ha sempre amato.
Per questo, ogni volta che vi si trova davanti, riflessioni gli si formano in mente come la sabbia è formata dai brandelli di conchiglie frantumate.
Ti sei già innamorato, l’ha accusato George con fare divertito: è bene che tu riesca a ricostruirti, e lei è l’unica che potrà mai aiutarti. Perché?
Perché l’ha amato più di una sorella, e a te serve qualcuno che con te ne condivida il dolore. Perché Ron è sparito, perduto – mai dimenticato – e tu oggi, finalmente oggi, impari come fare a ricostruirti. Puoi farlo, Fred. Puoi sollevarti da ogni colpa e smettere di cercarlo in ogni brandello di ricordo, negli occhi di Vicky, allo specchio.
«Non è vero» sussurra, a sé stesso, mentre un’onda gli infradicia i pantaloni. «Non è possibile».
Lei non comprende perché lui sia così refrattario al ricominciare, perché non riesca a concepire che la vita possa andare avanti pur senza dimenticare. Gli tende una mano – scappiamo insieme? – ma lui non la prende mai.
La lascia scivolare lungo il fianco di lei, tagliandole via ogni speranza: Hermione sfiora l’acqua con la punta del piede, è ancora gelata (ed è già giugno).
 
***

 
L’estate riscalda, ma non lui: il sole sembra non riuscire a toccargli le ossa.
L’assenza di Ron è così tangibile da bucargli l’anima come una stalattite di ghiaccio secco, e fa letteralmente un male cane: senza paragoni poetici, Fred non riesce a pensarci, è qualcosa che ti ferisce nel profondo e basta.
«Ti sei innamorato, Freddie» gli ripete George, continuamente. «Fatti una risata e vivi».
Ma come può riuscire a ridere, quando il senso di colpa lo spolpa vivo, costringendolo a un dolore al petto che è eterno, insensato?
«Come?» sussurra, sembra strano persino il suono incerto delle proprie parole. «Come dovrei fare?».
Perché il sole è solamente l’ennesima ipotesi in una giornata nuvolosa, che bagna d’oscurità: «Non me lo perdonerebbe mai» aggiunge, piano. «Almeno questo glielo devo».
George sospira, alza la mano e sfiora la spalla del suo gemello, a disagio. «Non sei mai stato quello più affascinante dei due» ridacchia, tronfio. «Dovresti essere grato».
«Lo sono» risponde l’altro, socchiudendo gli occhi di fronte alla luce che fa capolino dalle nuvole. «Ma…».
Ma preferirei che amasse ancora Ron e che lui fosse ancora qui, vorrebbe dire, ma non gli escono le parole. George, però, comprende. In silenzio l’osserva e suoi sono i pensieri di Fred, che coglie con semplicità, come gli appartenessero.
«Andiamo, Freddie» gli sussurra, con tono divertito. «Ti ricordavo più intraprendente, con le ragazze».
Lui alza gli occhi azzurri al cielo, del medesimo colore, e sorride con aria malandrina. «Chiedilo alla tua» risponde, con finta superiorità. «Se sono intraprendente o meno».
George rimane a bocca spalancata: non  gli è mai andata giù, la liason di Fred con Angelina, e non riesce a non farglielo notare. Alza le braccia, in segno di resa, e non si trattiene dal dare una piccola spallata al fratello.
«Hai vinto tu, questa volta» ammette. «Anche se avrei potuto dirti che anche tu stai puntando al tutto in famiglia».
Fred sorride, nuovamente malinconico. «Non l’avresti mai fatto» risponde. «Non sei abbastanza coraggioso».
George sorride, ma sa che il punto non è il coraggio (non lo è mai stato): è che non è in grado di gettare il sale su quello squarcio che adorna il cuore dell’altra parte di sé, il suo gemello, e allora ride  e tace.
«No, infatti» l’asseconda. «Ma avrei potuto dirti di cogliere l’occasione».
Fred sorride, di rimando, ma è solamente un’incrinatura sul viso ancora pallido, intoccato dal sole. «Non l’avresti mai fatto» ripete. «Non mi mentiresti mai, no?».
George china il capo, avvilito, di fronte all’ostinazione del fratello: come fa a essere così cieco, si domanda. Come fa a non vedere che la vita gli ha donato un’occasione per ricostruirsi e, sta tutta lì. Seduta poco lontano, accanto a Ginny, e ogni tanto si volta e li guarda con aria corrucciata.
Ha ancora le scarpe piene di sabbia.
 
***
 

«Ciao, Ron» Hermione scivola sul terreno, incurante dei pantaloni che s’impolverano. «Come stai?».
È una domanda stupida, da fare a una persona che ti guarda da lassù e semplicemente non c’è più, e ti guarda come un fondo di caffè che macchia e sporca impunemente la tazzina. Lo vorrebbe, lei, un caffè: svegliarsi più di quanto non lo sia, soffre d’insonnia da mesi, e non dormire mai più. Eppure, guardandosi le mani che tremano convulsamente, lo comprende – ha bisogno di riposo, ma riposare quando, perché, a che servirà mai.
Una foto le restituisce un sorriso incoraggiante: sembra bello, Ron, sul bianco abbacinante della lapide. Come non lo è mai stato. Lei, in verità, l’ha sempre visto bello nei suoi difetti e si ritrova a scoprire la mancanza anche di tutto quello che ha sempre detestato di lui, di tutto quello che l’ha sempre fatta imbestialire. Una morte cambia tante cose, si dice stancamente, la sua morte ha cambiato tutto.
Harry s’è rinchiuso in un mutismo ostinato, malato, dove solamente Ginny sembra riuscire a far breccia. Ha smesso quasi di respirare, perché anche quel movimento si rivela inutilmente doloroso, e non riesce a cacciar via i pensieri che l’assillano incessantemente: ricominciare, che cosa stupida. È l’ennesima perdita che Harry Potter si ritrova a dover affrontare, l’ultima, la peggiore.
Ha perso tutti. Un padrino, i genitori, Remus, Tonks, suo fratello. E, adesso che il Prescelto s’è spezzato nella sua sopportazione che ha una fine, Hermione non sa cosa fare.
Ha pregato, chiedendo perdono per i peccati che ha commesso (ricominciare) e rivolgendo la propria supplica all’Onnipotente. Non ha ricevuto risposta e, così, è tornata a parlare con Ron: non risponderà mai, ma è comunque un miglioramento significativo rispetto ad altri silenzio che le ammorbano l’anima.
Quello di Fred.
Hermione scuote il capo, allunga la mano per carezzare il volto di Ron, che sorride e si guarda attorno nell’istantanea impolverata sulla lapide. Quello è un silenzio che uccide, perché corre via, le sfiora la pelle come l’aria ghiacciata.
«Sarei voluta venire prima» ammette, con aria colpevole. «Ma non ne avevo il coraggio. Pensavo che fossi arrabbiato con me».
Eppure Ron Weasley, la persona più insensatamente buona che Hermione abbia mai conosciuto, sorride incantato nella propria fotografia e non ha parole da rivolgerle – un altro silenzio che può uccidere – se non uno sguardo che, controluce, può apparir vivo. Ma non lo è mai.
Vorrebbe che le rispondesse, lo vorrebbe tanto: desidera una rassicurazione, da lui, più di quanto non desideri ricostruirsi d’accapo e ricostruire Harry, i Weasley, Fred. Fred. Desidera che il tempo passi e insabbi ogni ferita senza infettarla e, allora, saranno liberi: non della memoria che permane, ma da quel dolore enormemente insensato che li soffoca, facendoli finire tutti sott’acqua.
Acqua e sale, ma non si riesce a galleggiare, apre la bocca per inghiottire un sapore e un odore salmastro. Che sa di Fred.
«Forse, lo sei per davvero, e faresti così dannatamente bene» continua, torcendosi le mani. «Merlino, Ron. Se solamente non ti fossi buttato contro quell’incantesimo, allora…».
Io non starei qui a parlare e tu che non ci sei.
Sono parole che le si bloccano in gola, strozzandola, facendole mancare il respiro: Hermione ha gli occhi pieni di lacrime, ma non permetterà loro di scendere. Non oggi.
Non oggi che i passi le riempiono il cuore ma, quando si volta a cercarne il proprietario, non vede nessuno: ed è certezza amara – amarissima – che Fred non metterà piede lì, nel suo campo visivo. Che è rotto e spezzato, e non vuole permetterle di rimetterlo insieme. Che non è amore, è sesso, l’incontro squallido e volgare di seme e uovo, che culmina con un preservativo sporco gettato sul pavimento.
Lei l’ha sempre saputo. Nelle ossa l’udiva, come onda d’urto, quando lui la sfiorava e prometteva che. Che non l’avrebbe lasciata andare, che avrebbero ricominciato, che.
Che l’amore – no, il sesso – fa dire tante cose, impensabili, no, mai pensate.
«Forse, se avessimo avuto la nostra occasione, la vita sarebbe stata migliore» commenta, atona. «Avresti provato a rendermi felice, almeno tu».
Perché adesso lei è seduta davanti alla sua tomba a parlare e Fred che non c’è.
Sono pensieri che le bloccano la mente, strozzandola, facendole mancare il respiro: Hermione ha gli occhi pieni di lacrime, e permette loro di scendere. Oggi sì.
Oggi è il giorno in cui si concede di sciogliersi, pallida e tremante, su un terreno che s’è inaridito sotto il sole estivo. E i girasoli lo guardano, beandosi della luce, abbracciandosi con le radici alla ricerca di acqua.
Hermione si alza, una leggera brezza le scombina i pensieri.
Odore di mare in lontananza, e lui che non c’è.
 
***
 

«Te l’hanno mai detto che non puoi semplicemente scappare dai problemi?» George si appoggia sullo stipite della porta, osservando il gemello con un sopracciglio alzato. «E se sono io, a dirtelo, è quanto dire».
«Sei sparito per cinquantadue ore, quando Angelina ti ha detto di avere un ritardo» risponde Fred, con la medesima espressione. «E altre ventisei quando avete scoperto che era incinta».
George sorride, imbarazzato, ripensando al puro terrore che ancora l’assale alla prospettiva di diventare padre. «Mai detto di essere un modello di virtù» replica, prontamente. «Non dobbiamo essere uguali proprio in tutto».
Fred gli lancia un sorriso sghembo, sta di nuovo facendo i bagagli: ci sarà un posto, per lui, che non sarà prigione?
«Fred» lo richiama George, con una serietà che calza male, innaturale, su quel viso sempre sorridente (nonostante tutto). «Vuoi davvero lasciarla andare via in questo modo?»
Sospira. No, certo che no.
«Che altro dovrei fare?» domanda, laconicamente. «Dirle che la amo e vorrei che scappasse via con me?».
George sospira, si passa una mano tra i capelli, con aria disperata: la mancanza di comprensione di suo fratello l’annienta.
«Ad esempio?» domanda, ironicamente. «Merlino, Fred, cosa c’è che non va in te?».
«Vado via» risponde il ragazzo, piano. «Ci sarà un posto per me, da qualche parte».
 
***
 

«Alla fine, sei tornato».
Bill lo accoglie con la figlia in braccio, sulla soglia di casa propria, con un sorriso affascinante e uno sguardo indicibilmente rassegnato. «Pensavo avessi trovato un tuo equilibrio».
Fred scuote il capo, ringhia di frustrazione in ogni cellula del proprio corpo, si china come mosso da un peso invisibile facendo scuotere il capo a suo fratello. Bill sospira, gli tende una mano e lo scorta dentro casa propria – che non è comunque un posto per lui, teme, ma questo a Fred non riesce a dirlo.
«Ti ho preparato la stanza degli ospiti» commenta Bill, placidamente. «Ho messo le lenzuola pulite e… pensaci, Freddie, non devi per forza scappare».
Fred gli dedica un sorriso storto, innaturale, mentre tende le braccia per prendere la propria unica (al momento) nipote. «Certo che sì» risponde, piano. «Tu non lo faresti?».
Bill lo guarda, atono, vorrebbe sospirare ma il suo corpo è troppo contratto anche per quell’inutile gesto. Così si limita a fissare suo fratello, disorientato?
«No» dice, infine, piatto. «Non lo farei mai. Che male c’è a desiderare una seconda opportunità, Freddie? Ron non avrebbe voluto tutto questo, per entrambi».
Fred guarda sua nipote, come se Victoire potesse rispondere in vece di suo zio Ronald, ma la bambina gli tira allegramente una ciocca di capelli e ridacchia soddisfatta.
C’è un posto per me, da qualche parte che non so?
«Certo che c’è» risponde Bill, senza mutare d’espressione. «Il tuo posto è lei».
Fred non s’era nemmeno reso conto d’aver pensato ad alta voce – flusso incostante, i suoi pensieri, doccia fredda e salmastra che li annacqua costantemente. Il suo posto è lei.
Ma perché, riflette distrattamente, non si può essere Weasley e belli e dannati? Prendere la vita e gettarla via, senza rimorsi, senza esser tirato indietro – soprattutto da Bill, che crede d’essere saggio perché è nato prima di Charlie. Ma anche Charlie, che fratello maggiore sarebbe stato, al posto di Bill? – e riportato sulla retta via.
Lasciatemi libero, urla Fred, e quel grido ustiona la mente di Bill con la potenza di un migliaio di dolorosi soli. Potrà spezzare il cuore di Hermione Granger, se lo desidera, senza che un’orda dei suoi stessi parenti sia pronta a esigere il suo scalpo?
No, si dice sommessamente, certo che no. L’esser stata amata – l’aver amato, ma è un pensiero fastidioso e che Fred tende a scacciar via – da Ron le conferisce un’aura di sacralità, d’intoccabilità: come può pretendere di sporcarla, lui, che è stato salvato (e sommerso) da suo fratello?
No, ripete, certo che no.
Perché, da qualche parte (nascosta chissà dove) del proprio cuore annegato e soffocato, Fred riesce a comprenderlo: non ci riuscirebbe, nemmeno volendo, a frammentarle il cuore con una torsione di polso.
Il suo posto è sempre lei.
 
***
 

«Mi sento stupido da morire, ed è colpa tua» biancore e candore che fanno male agli occhi. «Insomma, non è che tu possa rispondermi, ecco».
La tomba di Ron gli restituisce uno sguardo disorientato, con la foto che sorride e le scritte incise in nerofumo e tutto il resto. E Fred, a parlare con un mezzo di marmo (muto, stupido e inutile) si sente esattamente allo stesso modo: muto, stupido e inutile.
S’è graffiato i piedi con i ramoscelli, per la fretta s’è Smaterializzato che era ancora in ciabatte e con un pupazzetto di Victoire in tasca, che ora tocca e sfiora come fosse l’ennesima fortuna che la vita gli ha concesso. Se ne ha concessa almeno una: guardando la tomba fredda – e muta e stupida e inutile – di Ron, gli verrebbe da dire di no. Che la vita non restituisce, ma dà solamente e dà acqua salina congelata e mare d’inverno.
Nulla che non sia già contenuto nella sua anima, dunque, da quando la famiglia Weasley s’è spezzata come lacrima sotto al sole.
«Voglio dire… che senso ha parlare con qualcuno che non c’è più?» la voce trema su quella frase, incerta, che gl’esce dalle labbra in un sussurro. «Però lei ho fa. E non fa mai niente per caso, quindi ho pensato ci fosse un senso che non avevo capito».
Ma non è un difetto di comprensione, il suo, ma di volontà: Fred non vuole comprendere, cosa ci trovi Hermione di così terapeutico nel parlare con la tomba di Ronald, perché la risposta lo toccherebbe in un punto di cui nemmeno vuole riconoscere l’esistenza.
Gli guarderebbe quel cuore maciullato e sfilacciato, privandolo del senso, della ragione, delle parole: muto, stupido, inutile Fred vagherebbe per le spiagge in cerca di un significato perduto, ma che significato avrà poi parlare?
Ron non risponderà, non può più. È una certezza che dilania, che gli assaggia le ossa e le sbocconcella un po’, e lui può solamente immaginare di sentire la sua voce concitata mentre ripete le parole pronunciate da Bill quella mattina: il tuo posto è lei.
«Perché cosa mai potrei capire, io» sussurra, sfiorando con la punta delle dita il viso sorridente di suo fratello. «Hermione ragiona in maniera incomprensibile, come sempre. Tu però ci hai provato per davvero, a capirla. Vorrei mi spiegassi, a volte».
Ron sorride, agita un po’ le spalle nella foto, rivolge due parole a qualcuno – Fred sa che è solo suggestione, la sua, ma non riesce a non pensare che stia chiamando il suo nome. Come quelle sue ultime parole – ingloriose: d’altronde, la morte stessa è sempre priva di gloria – che ha sussurrato contro il fragore dell’esplosione che gli ha tagliato via la vita, ancora bella, ancora da vivere.
«Cosa c’è da capire» aggiunge, sovrappensiero. «Dipendesse da me, non la capirei mai. Non capisco nemmeno cosa ci provi a parlare qui, da solo e…».
E con te che non ci sei.
Il punto è esattamente quello, si dice tristemente: una tomba bianca in un campo di girasole e tu che non ci sei.
«Vorrei che ti arrabbiassi» mormora, infine. «Per provare a rubarti la ragazza. E io allora alzerei le mani, farei una battuta stupida – come che noi Weasley facciamo sempre tutto in famiglia – e ti direi…».
Alza le mani, Ron sorride nella propria istantanea.
«Ti direi che ne sono innamorato per davvero».
 
***
 

È colpa delle cose che ho rimandato sempre
Per fare un po' il buffone, che poi il buffone a che mi serve
Io vorrei solo esser stato un po' meno assenteista
Per guardarti dentro agli occhi, dirti amore, adesso resta
Perché è colpa delle favole se la mia vita adesso è questa
(Ultimo, Colpa delle favole)
 
Quando finalmente se ne rende conto – la ama, la cerca, la vuole – Hermione Granger sparisce in una nube di fumo. Nessuno sa dire dove sia finita, se esista ancora, se non si sia infine dissolta in una scia di poetiche scintille, infuocando il cielo dei suoi pensieri e ricordi.
Lui la pensa. Vestita d’un cardigan azzurro come quel mare che hanno visto insieme, una volta nascosta in mezzo alla sabbia, con le scarpe da ginnastica: è abbastanza dolorosa, questa vita, da farti ricercare la comodità.
Lui si pensa. Con i piedi squarciati e graffiati, le pantofole che si piegano sotto la pressione dei sassi sotto la pianta del piede, il pigiama ancora messo (mai tolto) dalla sera precedente: è abbastanza dolorosa, questa vita, dal farti rinunciare alla comodità.
Quando però finalmente se ne rende conto – nella miriade di rivelazioni esistenziali che la vita gli sta finalmente restituendo – è tardi. È l’ennesima onda che s’infrange lungo la battigia (e lei che non c’è).
Hermione è sparita, perduta, forse s’è dimenticata di lui. Forse s’è dimenticata di tutto, in una fuga senza senso e senza scopo, chissà dove: l’avrà, la vita, un posto per lei?
In verità, Fred è perfettamente consapevole di dove trovarla: ma, e qui tutto è in conflitto con la sua natura, non ha il coraggio di farlo. Ma lo fa, e basta: non gli basta la codardia – non è Draco Malfoy, d’altronde – a fermarlo, e allora si Smaterializza esattamente dove sa di poterla trovare.
In riva al mare, tra il gelo stringente dell’alba, Hermione s’abbraccia il busto in un vento fatto di sabbia e vetri.
«Sei tornato» mormora, lei, stupefatta.
Lui sorride.
È che il mare romba sulla battigia (Fred sa esattamente di quello) e lui è lì.



 
   
 
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