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Autore: NPC_Stories    02/01/2021    2 recensioni
Sequel di "Vampier's Diaries - Libro primo: la mia morte"
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Sono sempre io, Erika Lesmiere, l'adorabile ragazza che avrebbe dovuto avere davanti a sé un brillante futuro. Avrei potuto fare una vita da nobildonna, o intraprendere una carriera militare, oppure avrei potuto ribellarmi alle tradizioni della mia famiglia e scegliere un percorso accademico come alchimista.
E invece no, mai una gioia. Mi sono ritrovata a diventare un vampiro.
Ma forse anche la non-vita mi riservava qualche sorpresa, dopo tutto. Forse finché siamo al mondo possiamo sempre trovare un po' di felicità.
Genere: Fantasy | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Nuovo personaggio
Note: nessuna | Avvertimenti: Non-con, Tematiche delicate
Capitoli:
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- Questa storia fa parte della serie 'Forgotten stories of the Forgotten Realms'
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Capitolo 3: Un posto dove stare


Appena arrivata in città, al calare delle tenebre, mi trovai a dover risolvere una situazione spinosa. Una brava donna all’epoca non aveva molte scelte su dove abitare: con la sua famiglia, punto. Sarebbe stato molto sconveniente prendere alloggio in una locanda o cercare rifugio presso qualche amica (che, comunque, non avevo).
Il problema era che io e mio zio non ci eravamo esattamente lasciati benissimo (mi ero più o meno fatta cacciare di casa), e ora avevo bisogno del permesso per rientrare. Non solo per una questione di decoro: sono un vampier, mi serve avere il permesso per entrare in una proprietà privata.
Oh, sia chiaro, non brucio se compio un’effrazione di domicilio. Non sono un vampiro vero. Diciamo che provo una forte sensazione di disagio, anzi, di malessere. Mi viene la nausea e non riesco a nutrirmi di sangue per un po’.
All’epoca però non lo sapevo e credevo che sarei bruciata.
E poi, se fossi riuscita a convincerlo a riaccogliermi in casa sua, avrei dovuto spiegargli perché me ne fossi andata dalla casa di mio padre. Nessuno sapeva che il buon vecchio Rebran Lesmiere, il fratello del Barone, fosse morto nella sua casa in campagna. Lo sapevamo solo io e Lord Yao, io perché ero presente e lui perché, be’, lo aveva ucciso.
Vorrei poter dire che il fatto di essermi allontanata da quel vampiro avesse cancellato o almeno affievolito la mia paura, e che ripensando alla morte di mio padre in quel momento provai una ventata di rabbia e di desiderio di vendetta. Non era così. Ero ancora impantanata nel mio terrore. Lord Yao avrebbe potuto ritrovarmi, se avesse usato la magia. Le difese di Silverymoon mi offrivano un po’ di protezione, ma se fosse riuscito ad entrare avrebbe potuto rapirmi e portarmi via con sé, o uccidermi.
Era davvero una buona idea tornare da mio zio? Non era forse il primo posto dove mi avrebbe cercata?
Forse c’era un altro luogo in cui avrei potuto andare: il Collegio della Signora, l’università di magia. Sedici anni era (ed è ancora) l’età minima per iscriversi, dopo un presunto periodo di studio in casa propria con dei precettori o con i propri genitori. Iscrivermi al Collegio della Signora era il mio sogno fin da bambina, l’istituzione esisteva appena da qualche decennio e anche mio padre aveva studiato alchimia al Collegio.
Un’altra opzione, anche se più remota, era arruolarmi nella guardia cittadina. Ma no, non avrebbero accettato una ragazzina sprovvista di addestramento formale, nemmeno se apparteneva alla famiglia Lesmiere. E poi mio zio l’avrebbe saputo prima di subito. Il Collegio restava l’opzione migliore.
Però non potevo certo presentarmi al tramonto per iscrivermi, sicuramente la segreteria non era nemmeno aperta. Avrei dovuto passare la notte da qualche parte…
Erika Lesmiere, sei un vampiro. Di che diamine ti stai preoccupando? La notte è il tuo elemento! Mi riscossi, dandomi uno schiaffetto alle guance con entrambe le mani.

Non mi andava particolarmente di essere fermata per vagabondaggio, quindi mi allacciai il mantello scuro sul collo e sul petto in modo che stesse chiuso e tirai su il cappuccio. Quella notte l’avrei passata a scivolare di ombra in ombra per evitare le milizie cittadine, ma dal giorno dopo avrei avuto un posto dove stare.
Nel frattempo, approfittai delle ombre della notte per assecondare la mia natura di vampira e prosciugai una mezza dozzina di ratti. Erano disgustosi, ma i gatti erano troppo svelti per poterli acchiappare e i cani randagi non sono comuni a Silverymoon. E poi, i cani sono troppo carini, non ce l’avrei fatta.

Il mattino dopo, più o meno rifocillata, mi recai alla segreteria del Collegio della Signora.
Se ci penso ora, a posteriori, mi rendo conto che non dovevo avere un bell’aspetto. Non dormivo da due notti e un giorno, e purtroppo la mia natura di vampiro incompleto mi impone di riposarmi per essere pienamente in forze, come accade ai viventi. Il mio naturale pallore di non morta, unito alle occhiaie date dal sonno, dovevano creare un disegno ben strano sul volto di una sedicenne.
Fu infatti con sguardo perplesso che un giovane segretario accolse il mio ingresso negli uffici pubblici del Collegio.
“Signorina” mi salutò con un cenno del capo quando raggiunsi la sua scrivania. Gli uffici avevano appena aperto e non c’era nessuno a parte noi. “Siete una studentessa? Non ricordo di avervi mai vista.”
La domanda mi prese in contropiede.
“Perché dovrei essere una studentessa?”
“Avete l’aspetto stanco di chi ha passato una settimana sui libri a studiare per l’esame di Abiurazione Avanzata con il tremendo professor Jerkinson, e la sottile espressione di terrore di chi poi si è accorta di aver studiato i tomi sbagliati…” mi sorrise in modo affascinante, per un topo di biblioteca. “Perdonatemi se sono indelicato. Ma siete forse troppo giovane per frequentare già quel corso.”
A dispetto di tutto, la sua battuta mi fece sorridere.
“Non sono ancora una studentessa, ma sono qui per iscrivermi. E veramente sarei più interessata all’alchimia” risposi, cercando di tenermi sulle mie.
“Peggio ancora!” Il giovane uomo sfoggiò un sorriso complice. “Avete l’aria di chi si è preparata per gli esami di ammissione respirando vapori sulfurei per una settimana, e ora è terrorizzata perché teme di farsi esplodere tutto in faccia!”
Anche se ero già pallida, sbiancai ancora di più.
“Esami di ammissione?” Mio padre non mi aveva mai parlato di esami di ammissione.
“Solo per i corsi potenzialmente nocivi per la salute. Ahimé, Alchimia è uno di quelli… ma non temete, nessuno valuterà le vostre conoscenze pregresse, non è detto che dobbiate averne. Valuteranno la vostra capacità di reazione in momenti di pericolo, quanto tempo impiegate a spegnere un fuoco, con quanta velocità vi riparate dietro un banco in caso di esplosione… sapete, è Alchimia. Non vogliono altri incidenti mortali.”
Altri incidenti mortali?” Domandai sollevando un sopracciglio; poi mi ricordai che ufficialmente ero già morta in un laboratorio di alchimia. Due volte. “Oh, tranquillo, ci so fare con gli incidenti mortali!” Sfoderai un sorriso pieno di sicumera.
“Eccellente, una coraggiosa. Allora, questo è il modulo da compilare con le vostre generalità” cominciò a tirar fuori scartoffie da un cassetto, “questa è la carta intestata per scrivere la vostra lettera di presentazione - a meno che non ne abbiate già una - e se avete anche una lettera di raccomandazione da parte di un insegnante o tutore, allegatela al resto della documentazione. Se avete un certificato di nascita occorrerà anche quello, se siete straniera accettiamo anche un’autocertificazione. Se avete frequentato qualche istituto invece…” andò avanti per un po’ a ciarlare di documenti necessari, mettendomi sempre più ansia. Non pensavo che servisse tutta quella roba, e per reperire alcuni di quei documenti avrei dovuto chiedere a mio zio. Una cosa che davvero non volevo fare.
Venne fuori anche un altro problema legato alla mia identità: il mio cognome era quello di una nobile. La quota di iscrizione al Collegio era proporzionale alle possibilità degli studenti, e la nipote di un Barone avrebbe dovuto pagare una retta salata. Solo che io non avevo un soldo, personalmente.
“Ecco, in merito a questo ci sarebbe un problema, signor… ehm…”
“Smith. John Smith, al vostro servizio.”
“Sul serio?” Mi lasciai scappare una risatina. “Sembra il classico nome falso.”
“Sarebbe John Terrence Smith, ma mi piace godere dell’anonimato del nome più comune della regione. Trovo che si adatti bene a uno scribacchino come me” scherzò.
“Avete una nota ironica che non mi sarei aspettata da un burocrate” risposi a tono.
“La burocrazia è essa stessa un gigantesco scherzo, non lo sapete? La burocrazia costringe una giovane donna a dover scartabellare in vecchi documenti per provare la sua identità, e poi le chiede di pagare una retta sostanziosa come premio per lo sforzo fatto. Cosa c’è di più ironico?”
“Vorrei avere il vostro senso dell’umorismo” storsi la bocca in una smorfia. Per fortuna era pieno giorno e i miei canini non erano in vista. “Il problema è che al momento sono in cattivi rapporti con mio zio il Barone, lui non sa nemmeno che mi sto iscrivendo al Collegio, e mai e poi mai vorrebbe pagare la mia retta. Mio padre è recentemente passato a miglior vita a causa di un… ah… problema nel suo laboratorio.”
“Le mie più sentite condoglianze. E nonostante questo volete seguire le sue orme?”
“Più che mai” confermai, convinta. “Lo faccio per onorare la sua memoria. Ma rimane il problema della retta, e se non mi iscrivo al Collegio non avrò nemmeno un posto dove andare. Conoscete un notaio in città che possa ufficializzare la mia eredità? In questo modo disporrei di un poco di fondi e di una proprietà immobiliare da poter vendere o affittare, e non dovrei fare conto sul patrimonio di mio zio.”
Lui congiunse le mani sul tavolo e mi fissò da dietro i suoi occhialetti da segretario.
“Se c’è un vero e proprio testamento, per le leggi di Silverymoon non è necessario un notaio, basta un funzionario generico abilitato dalle autorità cittadine.”
“Un… funzionario generico? Che cos’è?”
“Un nome gentile per indicare un tuttofare della burocrazia. Un funzionario generico si occupa di eredità, registrazioni di atti identitari, compilazione di documenti, registrazione di passaggi di proprietà, matrimoni civili e altre piccolezze in assenza di contestazioni. Si dà il caso che io conosca un buon funzionario che lavora per prezzi modici. Recatevi in via della Passeggiata del Fantasma, dove incrocia la Strada della Luna, prendete la Strada della Luna, dopo pochi passi sulla destra vedrete un edificio di mattoni rossi con una porta gialla. Al piano mediano troverete un ufficio chiamato Casa della Fenice. Se cominciate a vedere signorine vestite in abiti succinti, significa che avete scalato una rampa di troppo.”
“Ah… grazie… suppongo.”
“Gli uffici aprono al tramonto.”
“Come anche quelli del piano superiore?”
“Non vi sto mandando in un luogo dalla reputazione compromessa, giovane signora” John Smith si mise a sistemare delle carte in modo che formassero una pila ordinata. “Ma la Casa della Fenice è un ufficio che rivolge i suoi servigi agli onesti lavoratori, che di giorno non hanno tempo per sistemare i loro affari.”
A quel punto io, che non avevo mai svolto un solo giorno di lavoro in vita mia, mi sentii leggermente in imbarazzo per aver pensato male.
“Mattoni rossi, porta gialla. Chiarissimo. Allora… ci rivedremo quando avrò risolto le mie questioni anagrafiche.”
“Anche prima” bofonchiò lui, in tono un po’ criptico.
Me ne andai con un saluto frettoloso e poco cortese, lasciandolo alle sue carte, visto che lui mi stava lasciando ai miei dubbi.

   
 
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