Quando l'hai capito che
Che la vita non è giusta
Come la vorresti te
Quando farsi una ragione
Vorrà dire vivere
Te l'han detto tutti quanti
Che per loro è facile
(Il giorno del dolore che uno ha - Ligabue)
James
Sirius Potter odiava l’estate. Il caldo appiccicoso, il vento
che
ricordava il fiato di un drago, il sudore praticamente come unica
costante
dalle sette di mattina alle dieci di sera – quando arrivava
una leggera brezza,
ogni tanto.
Odiava
l’estate
perché era costretto a stare a casa, controllato e tenuto
sott’occhio tutto il
tempo da sua madre, disturbato continuamente da uno dei suoi fratelli e
decisamente poco libero di fare ciò che più gli
andava. Per esempio in quel
momento avrebbe tanto voluto un Calderotto – o forse dieci
– ma no, in casa non
ce n’era nemmeno uno perché “cariano i
denti” e “meglio una carota”. Chi mangia
carote per merenda? Lui sicuramente no.
Il
mese che odiava
di più era Agosto, senza alcun dubbio, perché sua
cugina Dominique partiva con
tutta la famiglia per andare a trovare i parenti francesi e quindi
James si
ritrovava senza l’unica persona che gli faceva sembrare
l’estate un po’ meno
orribile. Quell’Agosto, inoltre, l’altra sua ancora
di salvezza, suo cugino
Fred, aveva deciso di mettersi a lavorare – Fred che lavora?
Ma andiamo, che
sciocchezza – nel negozio del padre e quindi passava le
giornate a scaricare
scatole di merci e a smistare Merendine Marinare. Quindi cosa doveva
fare lui quel
maledetto 3 Agosto per far passare la giornata – e
già che c’era l’intero mese?
Sbuffò,
lanciando
via la rivista di Quidditch che teneva tra le mani e che tanto non
stava
leggendo, mettendosi a guardare il soffitto obliquo della mansarda che
era
diventata la sua stanza da quando aveva dichiarato di avere i Boccini
pieni di
vivere con suo fratello in una camera che non era adatta ad ospitarne
nemmeno
una, di persona. Si era trasferito in un posto forse ancora
più piccolo, ma
almeno era solo per lui ed una porta chiusa poteva isolarlo dal resto
del
mondo.
Cioè
da quasi
tutto il resto del mondo: Dixie, l’elfo domestico della
famiglia, solo quel
giorno si era Smaterializzato tre volte in camera sua per chiedergli se
avesse
bisogno di aiuto o se desiderasse qualcosa di particolare. Tutte e tre
le volte
era stato cacciato via malamente.
Sua
sorella Lily
amava Dixie perché giocava sempre con lei e le permetteva di
aiutarlo a
cucinare. James odiava Dixie perché era sempre
fastidiosamente presente ovunque
e decisamente troppo desideroso di fare la cosa giusta. Da quando aveva
messo
in ordine la sua stanza e aveva trovato le scorte segrete di dolcetti e
Burrobirra, facendo passare un brutto quarto d’ora a James
dopo averlo rivelato
a sua madre, il ragazzo aveva deciso che Dixie era una creatura da
temere e,
quando capitava, da trattare male, giusto per fargliela pagare per
avergli fatto
sequestrare ciò che di buono avevano inventato i maghi.
E
anche se fu
tentato di chiamarlo per farsi portare un panino decise di fare due
passi e non
vedere il suo muso di nuovo nella sua camera per la quarta volta in un
giorno.
Scese
le scale e sentì
un tonfo, seguito da delle risate; alzò gli occhi al cielo:
sicuramente era
Lily che aveva coinvolto Albus in qualcosa di assolutamente stupido e a
cui
sarebbe stato invitato di lì a pochi secondi. Entrò in cucina,
dove vide Hugo correre nudo intorno all’isola, mentre
inseguiva
sua sorella Rose che teneva il suo costume da bagno in mano, con Lily
che
piangeva dalle risate in un angolo.
“Ridammelo,
Rose!”
protestò il fratello minore e James decise di intervenire,
se non altro per cessare tutta quella confusione e potersi preparare un
panino in pace. Così
afferrò per
le braccia la cugina, che iniziò immediatamente ad urlare
spaventata e colta alla sprovvista, e le
sottrasse il costume dalle mani, allungandolo a Hugo, la cui faccia era
diventata dello
stesso colore dei capelli.
“James!”
gli urlò
contro la cugina – che non riusciva mai a tenere un tono di
voce normale e che
faceva saltare tutti i nervi al ragazzo – prima di dargli uno
spintone “Sei
davvero un Troll, lo sai?!”
“E
tu una Banshee,
ma non te lo faccio notare ad ogni occasione”
ribatté l’altro, andando verso la
dispensa.
“Non
dare della
Banshee a tua cugina.”
La
voce di nonna
Molly colse tutti di sorpresa e la donna apparì come per
magia – che buffo
modo di dire, pensava sempre James – sulla soglia della porta.
“Nonna!”
esclamò
Lily, correndo ad abbracciarla, mentre James non si prese nemmeno la
briga di
girarsi: era abbastanza convinto che la nonna materna lo odiasse da
quando
aveva messo uno scorpione nel letto di Molly Junior per farle un
dispetto, dopo
che lei lo aveva bacchettato e sgridato pubblicamente davanti a tutta
la famiglia.
Quindi ignorò l’anziana che dispensava bacini e
pizzichi sulle guance, si fece
il suo panino e cercò di tornare in camera, ma venne
bloccato da Dixie
all’inizio delle scale – dannato elfo domestico.
“Il
signorino
James non può andare in camera.”
“E
perché no?”
“Perché
sua nonna è qui e sua madre si è raccomandata che
passasse un po’ di tempo con lei.”
“Mamma
non è qui”
rispose bruscamente il ragazzo, ma ovviamente non poteva essere
così facile.
“James,
tesoro,
vogliamo fare un gioco tutti insieme di là, sei dei
nostri?”
James
sgranò gli
occhi vedendo il padre comparire alle sue spalle: era convinto che
fosse al
lavoro, come ogni santissimo giorno che Merlino gli aveva concesso.
“Che
ci fai tu
qui?”
“Oggi
sono in
ferie e ho pensato di passare un po’ di tempo con la mia
famiglia.”
“No,
grazie,
passo.”
“James
è
importante passare un po’ di tempo con la propria
famiglia.”
“No,
è importante
passare un po’ di tempo con gente di cui me ne importa
qualcosa” pensò il
ragazzo, ma non lo disse ad alta voce: sarebbero potuti andare avanti a
discutere per ore dopo una frase del genere. E poi suo padre non era
proprio il genere
di persona che poteva dire qualcosa di simile, visto che negli ultimi
otto anni
non lo aveva mai visto se non sulla porta di casa con giacca e cravatta
pronto
per andare al lavoro.
“Ho
da fare,
adesso.”
“Una
partita a
Scacchi Magici?” provò a dire Harry e James
assottigliò lo sguardo.
“Se
giochiamo una
partita a scacchi e vinco mi lasci in pace?”
Lo
sguardo dell'uomo si adombrò, ma cercò di non
darlo a vedere – e al ragazzo non importò
–
ed annuì; si spostarono in salotto, dove Albus aveva
già tirato fuori la
scacchiera insieme agli altri giochi e si posizionarono per giocare.
“Bianchi
o neri?”
domandò Harry.
“Neri”
rispose il
ragazzo, disponendo i pezzi.
“Pedone
in C4”
iniziò allora l’Auror e James si
concentrò sulla partita: sapeva che suo padre
aveva scelto gli scacchi perché da sempre erano il suo gioco
preferito e
sperava così di fargli un piacere, ma non aveva considerato
che negli anni era diventato
un vero e proprio campione, giocando contro Dominique o contro lo zio
Ron. E che la sfida che avevano fatto lui l'aveva già vinta
in partenza.
“Scacco
Matto”
dichiarò infatti il ragazzo dopo appena quattordici mosse,
mentre Harry
guardava la scacchiera confuso ed incredulo; anche Rose, Lily e Hugo
osservavano la scena in silenzio e le uniche voci che si sentivano
erano quelle
di Albus e nonna Molly che chiacchieravano allegramente in cucina.
James
si alzò in
piedi, senza aspettare una risposta, e se ne tornò in camera,
dove sigillò la
porta e la Imperturbò ai rumori esterni; fece per rimettersi
sul letto quando
notò una lettera sulla sua scrivania che prima sicuramente
non c’era: la carta
della busta era lilla, profumava
leggermente di lavanda e il suo nome era scritto in bella calligrafia.
Non aveva dubbi sul mittente.
Ciao
Jamie,
non
ti chiedo
come va perché so già quale sarebbe la risposta.
Ti dico piuttosto di guardare
il bel sole che immagino esserci in cielo, leggere una rivista di
Quidditch e
tenere duro perché l’estate sta per finire e tra
poco torneremo al castello,
per il nostro ultimo anno.
La
Francia è
come sempre incantevole in questo periodo, ma avrei bisogno di qualcuno
che mi
faccia ridere: non ne posso più di sentir parlare dei
preparativi per il
matrimonio di Victoire e Teddy. L’altro giorno ti ho pensato,
sai? Siamo andati
in una cittadina chiamata Etretat, che dicono essere un piccolo
paradiso: è sul
mare, ha sempre una piacevole brezza, anche d’estate, ed
è un po’ isolata.
Magari potresti pensare di trasferirti lì. Ma tante Gabrielle ha detto che gli
abitanti sono famosi per essere molto cordiali.
So
che non ce
la fai più, James, ma davvero, la nostra famiglia ti vuole
bene e vuole solo il
meglio per te. Ed è vero, a volta è
più appiccicosa del caldo torrido inglese,
ma lo fa solo perché tiene ad ognuno di noi.
Reggi
e, per
quanto possibile, cerca di non dare di matto.
Un
abbraccio,
Domi.
Leggendo
quelle
parole, James fece probabilmente il primo sorriso della giornata e si
ricordò perché sua cugina Dominique
era da sempre la sua migliore amica. Era la persona che più
lo capiva, che più riusciva a
farlo sorridere anche quando non ne aveva la minima voglia e, cosa che
la
distingueva da Fred, il suo altro migliore amico, sapeva dare dei buoni
consigli.
Aprì
l’atlante che
zia Hermione gli aveva regalato per un compleanno passato e
cercò la cittadina
di Etretat. Sull’Oceano Atlantico, eh? Gli piaceva. Era
sufficientemente
lontano da Londra e da tutta la sua famiglia.
Afferrò
il
quadernino che nascondeva nel cassetto delle mutande –
l’unico in cui Dixie non
andava mai a frugare, limitandosi ad appoggiare l’intimo
pulito e
richiudendolo subito dopo – e aggiunse Etretat tra gli altri
angoli di mondo
che aveva scoperto negli anni, vicino al costo di un possibile affitto
da
pagare e alle spese di vita da mantenere. Killarney, Inverness,
Marsiglia…
aveva trovato tante cittadine in cui
trasferirsi una volta finito l’ultimo anno al castello quando
ormai,
ufficialmente maggiorenne, potrà andarsene di casa.
Sarà libero dalla sua famiglia, dal pesante cognome "Potter"
che sembrava seguirlo ovunque e dalle aspettative che tutti avevano su
di lui. Avrebbe rotto con
ognuno di loro, partendo da suo padre e da sua madre, continuando con
quel
piagnucolone di Albus e con Lily, la figlia perfetta, e terminando con
la
masnada di cugini che si ritrovava. Solo Dominique e Fred avrebbero
saputo dove
si sarebbe trasferito. Con il resto della famiglia, lui non
c’entrava nulla.
Erano come linee parallele.
Linee parallele destinate a non incontrarsi (mai).
Felpie's Corner
Forse dovrei smettere di scrivere di James Sirius Potter, ma non ho potuto farne a meno quando l'ho visto tra le tue scelte, CatherineC94, quindi ti ringrazio per avermi dato l'opportunità di mettermi alla prova con questo contest. Forse ho analizzato un po' a modo mio il pacchetto e forse è un abbandono molto generale, ma spero che lo accetterai ugualmente e che la storia ti piaccia.
Non sono mai stata troppo convinta del fatto che sia Albus il figlio "problematico" della famiglia, James mi sembra molto più estremo e molto più ribelle e lo vedo molto in questo conflitto costante con i genitori. E la storia è nata così, in un istante.
A presto,
Felpie