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Autore: Signorina Granger    06/01/2021    6 recensioni
INTERATTIVA || Conclusa
In un mondo dove il Ministro della Magia detiene un potere quasi assoluto e la sua carica è ereditaria, i Cavendish e i Saint-Clair, La Rosa Bianca e La Rosa Rossa, rappresentano le famiglie più potenti della società magica e per questo sono in competizione e conflitto quasi perenne. La faida durata secoli raggiunge uno stallo solo quando, nel 1865, George Cavendish, futuro Ministro, sposa una Saint-Clair, ma i conflitti si riaccendono pochi decenni dopo, quando nel 1900 egli disereda il suo unico figlio per motivi sconosciuti e nomina suo erede Rodulphus Saint-Clair, scatenando le ire della famiglia.
Dieci anni dopo Rodulphus viene rinvenuto morto per un apparente - ma inscenato - suicidio. La sua famiglia punta il dito contro i Cavendish: la guerra delle due rose è aperta.
Genere: Introspettivo, Noir, Suspence | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Maghi fanfiction interattive
Note: AU | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Altro contesto
Capitoli:
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Capitolo 17 – Famiglia
 

 
Diagon Alley, 1740
 
“Vieni, mon chère.”


Raigan si affrettò ad allungare il passo per non perdere di vista la madre, che lo guidava camminando con grazia a disinvoltura su una strada lastricata gremita di uomini e donne vestiti nei modi più bizzarri che il ragazzino avesse mai visto.
Uomini e donne che lanciavano occhiate incuriosite a lui e a Deirdre, ma sua madre sembrava non farci caso e continuava imperterrita a guardare dritto davanti a sé, i lunghi capelli rossi acconciati alla base del collo e un semplice vestito rosso carminio dalla gonna fluttuante addosso.
Sua madre era sempre stata molto diversa dalle donne altolocate che Raigan vedeva a Parigi. Non indossava quei vestiti sfarzosi e pesantissimi, pieni di pizzi e merletti, non si metteva piume nei capelli e non li acconciava in quei modi bizzarri che tanto avevano fatto ridacchiare lui e suo fratello Brogan.
Per quanto le persone che circolavano tra le botteghe fossero strane, il ragazzino dovette ammettere che erano molto più simili alla madre di quanto non lo fosse stata la gente di Parigi.
 
Il giovane mago aggrottò la fronte e si portò una mano sopra agli occhi per celarli dalla luce del sole e poter scorgere meglio l’edificio infondo alla via dove sua madre sembrava diretta: era il più bizzarro che avesse mai visto, ma da quando aveva lasciato Parigi Raigan ne aveva viste molte, di cose bizzarre. Specie ciò che sua madre riusciva a fare con un sottile bastoncino.
Bianco ed immacolato, troneggiava sui negozi e sulle botteghe circostanti, ma era tutto fuorché dritto o simmetrico: sembrava sul punto di crollare da un momento all’altro, tanto che il ragazzino si sentì invadere dal timore di finire schiacciato dalle macerie quando sua madre lo condusse sui gradini di marmo e attraverso un’alta doppia porta bronzea.
“Oh!”
Raigan sgranò gli occhi azzurri, unica cosa ad aver ereditato dal padre oltre al cognome, e improvvisamente si dimenticò della stabilità apparentemente precaria dell’edificio: quando lui e la madre oltrepassarono una seconda porta d’argento il ragazzino deglutì meravigliato, ignorando l’occhiata divertita che Deirdre gli rivolse con una carezza sulla testa.
Il pavimento era tutto di marmo, e degli alti banconi di legno si ergevano su tutta la lunghezza dell’enorme stanza illuminata da giganteschi e splendidi lampadari di cristallo. Era forse la stanza più grande che Raigan avesse mai scorto e visitato, ma ben presto scorse qualcosa che lo fece arretrare e prendere istintivamente la mano della madre.
I banconi non erano occupati da uomini come a Parigi: al loro posto c’erano degli strani esseri che non dovevano essere più alti di lui, con piccoli e freddi occhi neri pronti a scrutarlo, lunghe orecchie a punta e nasi aquilini.
“C-cosa sono, Maman?!”
“Folletti, tesoro. Stammi vicino, e non parlare a meno che non te lo dica io.”
Raigan annuì senza emettere un fiato, lanciando occhiate intimorite ai Folletti mentre camminava accanto alla madre stringendole la mano.
Deirdre, a differenza sua, non sembrò scomporsi minimamente e attraversò l’atrio con estrema calma e disinvoltura, giungendo allo scranno più alto prima di rivolgersi – schiarendosi educatamente la gola – al Folletto più vecchio – e brutto, secondo il parere di Raigan –.
“Sì?”
“Desidero accedere alla mia camera blindata.”
Raigan guardò sua madre sorridere dolcemente, quel sorriso che sapeva piegare chiunque alla sua volontà. Il Folletto esitò e le chiese la chiave prima di sporgersi e lanciare un’occhiata obliqua a Raigan, che trattenne l’impulso di nascondersi dietro la gonna della madre, chiedendosi come facesse la donna a non aver paura di quei cosi.

Ah, certo, sua madre non aveva paura di niente, dopotutto.
 
La strega estrasse qualcosa, una chiave vecchia e annerita, e al porse al Folletto, che la esaminò prima di fare un cenno ad un Folletto poco distante.
“Bene. Faccia in modo che il ragazzino non tocchi niente. Non è posto per bambini, questo.”
“Raigan è grande abbastanza per vedere ciò che gli appartiene. Vieni, mon chère.”
 
 
Accompagnati da un Folletto più giovane e meno spaventoso, Raigan seguì Deirdre attraverso una seconda porta d’argento. Giunsero davanti ad una sorta di galleria buia, e il bambino rabbrividì quando dovette montare insieme alla madre su un carrello dall’aria molto poco sicura.
“Tieniti, tesoro.”
Raigan si strinse istintivamente alla madre, che lo circondò con un braccio con il suo solito fare rassicurante. Un piccolo urletto echeggiò nella galleria quando il carrello partì e iniziò a scendere giù, sempre più giù, fin troppo rapidamente.

“MAMAN, UN DRAGO!”
Sbalordito, il bambino indicò l’immagina fugace di un drago bianco ingabbiato che gli si presentò davanti, e udì la madre ridere divertita quando, continuando a scendere, passarono sotto una cascata.

“Tranquillo mon chère, poi ti asciugo.”
Deirdre sorrise mentre il figlio si scostava i capelli bagnati dal viso, mormorando che quel posto non gli piaceva neanche un po’.

Continuarono a scendere sempre più nell’oscurità e Raigan, stretto alla madre, le domandò se davvero non avesse paura di nulla.
“Certo che no, sciocchino. Tutti hanno paura di qualcosa, prima lo capirai e meglio sarà. Oh, siamo arrivati.”
Il figlio stava per chiederle di che cosa avesse paura, ma quando il carrello si fermò la madre lo invitò a scendere prima di asciugarlo con la bacchetta, facendo uscire del vapore caldo dalla punta del sottile bastoncino.
“Camera blindata 978.”
Deirdre consegnò la chiave al Folletto, che la inserì nell’antica e annerita serratura prima di farla girare con uno scatto. La porta però non si aprì, e Raigan guardò il Folletto appoggiare una mano sulla pesante porta piena di incisioni bizzarre prima che questa potesse aprirsi.
“Forza tesoro… Va’ a vedere.”


Deirdre sorrise al figlio, che annuì e mosse qualche passo dopo un istante di esitazione. Il ragazzino sbirciò la stanza e spalancò nuovamente gli occhi cerulei, colpito e affascinato al tempo stesso: si trovava in una stanza grande, enorme, sembrava quasi una specie di grotta.
Una grotta piena, ricoperta di cose luccicante. Monete d’oro grandi come il palmo della sua mano, lingotti e gioielli di ogni tipo.
Il ragazzino si voltò, sorpreso, verso la madre che lo guardava con un sorriso divertito. Una volta aveva udito suo padre dirle, sprezzante, che senza di lui non era niente. Solo una poveretta ricoperta di stracci che aveva avuto la fortunata di nascere disperatamente bella.
 
“Non abbiamo bisogno di tuo padre, mon chère. Tantomeno del suo denaro.”
 
*
 
1886
 
“Ho bisogno che tu faccia una cosa per me.”
“Qualsiasi cosa per te, zia.”
 
Pronunciare quelle parole ancor prima di udire ogni richiesta della donna era ormai un rito, per Amethyst. La strega sedeva sull’estremità destra del divano, davanti al camino acceso, e teneva gli occhi color cioccolato che aveva ereditato dalla defunta madre fissi sulla donna che aveva davanti, in attesa di udirla parlare nuovamente.
Lei però, la donna che in pratica le aveva fatto da seconda madre e alla quale sia lei che i suoi fratelli dovevano moltissimo, non proferì parola: si limitò, dopo qualche istante di esitazione, ad allungarle qualcosa con la mano guantata. Qualcosa che custodiva da anni.
 
Amethyst prese il piccolo biglietto arrotolato con la fronte aggrottata mentre la zia, evitando di guardarla, posava lo sguardo sul camino acceso e sulle fiamme che scoppiettando riempivano il salottino di calore.
“Che cosa… Di che si tratta, zia?”
“Temo di non potermi rivolgere a nessun altro, tesoro. Ho terribilmente bisogno di questo favore da parte tua.”
“Ma zia…”
Amethyst quasi non ebbe modo di iniziare la frase, perché Gwendoline si voltò nuovamente verso di lei e la guardò, più seria che mai:
“Hai detto che avresti fatto qualsiasi cosa, no? E non è solo per me, è per noi.”
 
*
 
Riocard sedeva sul divano, gli occhi azzurri fissi sul camino acceso mentre si rigirava distrattamente l’anello che suo padre gli aveva regalato al suo diciassettesimo compleanno, quando era diventato maggiorenne.
Si era tolto la giaccia blu notte, che ora giaceva abbandonata sullo schienale, e sua madre la raccolse silenziosamente – chiedendosi con lieve apprensione a cosa stesse pensando il figlio – prima che Riocard parlasse con voce piatta, sovrappensiero e senza voltarsi verso di lei:
 
“Hai mai visto papà indossare un anello d’oro? Con delle incisioni? Non… non quello di famiglia, un altro intendo.”
“Non mi risulta di avergli mai visto altri anelli a parte quello a cui ti riferisci o la fede nuziale. Perché?”
Alexis inarcò un sopracciglio, curiosa, ma il figlio sospirò e scosse la testa prima di alzarsi, mormorando che sarebbe andato a dormire.
 
“Così presto?”
“Sì, ho mal di testa, sono stanco. Buonanotte mamma.”


Riocard le si avvicinò, le lasciò un rapido bacio su una guancia e infine si voltò per uscire dalla stanza e salire al piano superiore.
Era piuttosto sicuro che avrebbe dormito ben poco, ma almeno rigirandosi nel letto avrebbe avuto modo di riflettere sulla valanga di informazioni che l’aveva assalito in un colpo solo.
 
*
 
 
“Theseus, non so che cosa tu abbia visto, ma…”
“Vuoi sapere che cosa ho visto? A Parigi ho consultato il nostro albero genealogico, così come ha fatto Rod due anni fa. Guarda caso, dopo aver scoperto ciò che ho scoperto anche IO, torna a casa e muore. Una coincidenza, forse?”
Theseus inarcò un sopracciglio prima di farle cenno di avvicinarsi, e Astrid obbedì con un sospiro, sedendo sul bordo del letto sotto lo sguardo gelido del marito.
“Non ho ucciso Rod, se è questo che pensi.”
“E ti aspetti che ti creda? Dopo 26 anni di bugie, ti aspetti davvero che ti creda? Voglio che mi spieghi. Tutto, dall’inizio.”
 
La donna lo guardò, e inspiegabilmente Astrid sorrise: un debole sorriso quasi stanco le incurvò le labbra, mormorando che, in tal caso, avrebbe potuto metterci un po’.
 
*
 
Era rimasto a rimuginare a lungo, Neit, steso supino sul suo letto a baldacchino e gli occhi chiari persi a contemplare l’oscurità che lo circondava.
Aveva ripensato alle parole di Clio, e soprattutto a quelle di suo padre riguardo al defunto nonno.
George Cavendish aveva l’innata capacità di suscitare una sorta di rispetto in chiunque avesse a che fare con lui. Era un uomo arguto, ricco di acume ed eclettico, ma soprattutto era dotato di un carisma non indifferente.
Neit per primo si era sempre rapportato al nonno con un approccio molto diverso rispetto a come faceva con sua nonna. George era meno affabile, meno affettuoso, per certi versi lo si poteva definire quasi distaccato. Voleva bene ai suoi nipoti, lo sapeva lui come lo sapevano i suoi fratelli, ma questa consapevolezza non aveva impedito a Neit di esserne, almeno da bambino, affascinato tanto quanto intimorito.
Non gli era mai importato granché, di dover un giorno diventare a sua volta Ministro della Magia e quindi suo successore, ma lo aveva sempre guardato comunque con un particolare occhio di riguardo. E infondo lo stesso Neit sapeva di essere stato a sua volta il suo nipote prediletto.
 
Si era sempre chiesto però perché suo nonno trattasse il padre con tanta freddezza. Una parte di lui si era sempre chiesto che cosa mai Edward avesse potuto fare di tanto terribile per scatenare un simile rancore, ma ora che finalmente lo sapeva, dopo anni di domande, forse si ritrovava costretto a rivalutare il suo stesso padre e il suo stesso nonno.
 
I suoi sogni quella notte non furono migliori rispetto al solito, ma visti tutti i pensieri che gli affollavano la mente Neit non si stupì quando, verso l’alba, aprì gli occhi senza più riuscire a prendere sonno.
Di nuovo, una bellissima rosa bianca che aveva iniziato a tingersi di rosso aveva occupato buona parte dei suoi sogni.
 
*
 
Una settimana dopo



Edward Cavendish sedeva su una panchina bianca in stile vittoriano, il cappello calato sul capo e il cappotto a doppio petto nero chiuso sopra al completo color cachi che indossava.
Non sapeva di preciso perché si trovasse nel parco, quel pomeriggio: aveva ricevuto l’invito più inaspettato e bizzarro di tutta la sua vita, ma per qualche motivo non era riuscito a rifiutarlo.
Stava osservando pigramente le anatre sguazzare nel laghetto, arrovellandosi su ciò che il suo “appuntamento” potesse volergli dire, quando udì un suono di passi alle sue spalle: si voltò, giusto in tempo per scorgere un ragazzo alto ed elegantemente vestito avvicinarglisi, serio in volto tanto quanto lo era lui.
 
“Salve Signor Cavendish.”
“Salve.”
“Posso sedermi?”
“Considerando che ha insistito per dirmi chissà che cosa, deve.”


Riocard non disse nulla ma obbedì, sedendo accanto a lui sulla panchina verniciata di bianco. Per qualche istante nessuno dei due parlò, gli sguardi di entrambi distanti dall’altro e fissi dinanzi a sé, finchè Edward non gli chiese perché avesse voluto vederlo in quelle circostanze.
“Pensa che un nostro incontro al Ministero passerebbe inosservato?”
Riocard gli rivolse un’occhiata obliqua ed Edward, suo malgrado, si ritrovò a concordare silenziosamente prima di chiedergli di cosa volesse parlargli.
“Ci ho riflettuto a lungo, Signor Cavendish. E’ liberissimo di rifiutare, ma ho una proposta da farle.”


*
 
Astrid Silverstone aveva solo 17 anni quando la sua vita cambiò radicalmente.
Era una giovane strega come tante: si era appena diplomata ad Hogwarts, anche se i suoi studi non le sarebbero mai serviti a molto, dal momento che non avrebbe mai lavorato in vita sua.
Sua madre, una volta, aveva riso quando si era sentita chiedere perché istruissero le ragazze, se poi non dovevano fare niente dal mattino alla sera. Le aveva risposto, sorridendo, che Hogwarts rappresentava un’ottima possibilità per ampliare le proprie conoscenze e trovare marito.
Era intelligente, graziosa e piena di bei vestiti. Aveva persino un bellissimo e ricco promesso sposo che era persino gentile con lei. In pratica viveva il sogno di molte sue coetanee.
 
Quel pomeriggio Astrid aveva visto la carrozza arrivare dalla finestra della sua camera. L’aveva riconosciuta immediatamente, e quando aveva visto sua zia e sua cugina Alexis dirigersi verso la porta d’ingresso si era chiesta perché sua madre non l’aveva avvisata: di controvoglia, visto che avrebbe preferito di gran lunga leggere un libro piuttosto che dover prendere il thè in compagnia.
Eppure, quando giunse al piano inferiore, Astrid intuì che quella visita era stata inaspettata anche per sua madre: dalla porta del salottino aperta, la giovane scorse Alexis seduta sul divano a capo chino, il volto rigato dalle lacrime mentre le loro madri discutevano animatamente, dandole della stupida senza preoccuparsi della sua presenza.
 
“Madre, che cosa succede?”
Astrid entrò nella stanza facendo zittire entrambe le donne, che si voltarono di scatto verso di lei prima di sussurrarsi qualcosa.

La ragazza fece vagare lo sguardo dalle due fino alla cugina senza capire, ma cogliendo l’occhiata quasi mortificata che Alexis, senza il coraggio di dire nulla, le rivolse.
Un’occhiata quasi di scuse.
 
*
 
 
Quella mattina Egan si era svegliato con una particolare voglia di fare acquisti, ma nessuno si era degnato di accompagnarlo: suo padre era al lavoro, così come Neit ed Ezra – mphf, noiosi – e Clio era sepolta sono pagine e pagine arretrate da consegnare al signor Reed, strillando in preda al panico che l’editore l’avrebbe definitivamente uccisa. La colpa era tutta di Riocard Saint-Clair e delle loro ricerche, se era rimasta indietro col lavoro, ma di certo non avrebbe potuto spiegare al suo editore che la causa di tutto erano un bel ragazzo e folti capelli rossi.
Così, il ragazzo era uscito solo: sua madre si era proposta di accompagnarlo con fin troppo entusiasmo, ed Egan sapeva fin troppo bene che fare acquisti con Estelle poteva rivelarsi una trappola. Di certo la donna avrebbe finito col trascinarlo per boutique tutto il giorno, usandolo come appendiabiti umano.
 
Stava attraversando la strada principale di Diagon Alley, diretto alla Gringott – detestava i Folletti con tutto se stesso, ma disgraziatamente aveva bisogno di prelevare del denaro – quando una figura familiare gli saltò all’occhio: su una panchina sedeva, sola, Elizabeth-Rose Saint-Clair. O forse non del tutto sola, a giudicare dal piccolo animale bianco che la strega teneva tra le braccia, stretto tra le maniche bordate di pelliccia della sua mantella blu polvere.
Per un istante si disse di fingere di non averla notata e di tirare dritto. Forse era la cosa migliore da fare, dopotutto.
D’altro canto però, era impossibile non notare l’espressione afflitta che oscurava il visino delizioso della giovane strega, che accarezzava la sua volpe con gesti distratti, come se la sua mente fosse affollata da altri pensieri.
In fin dei conti, si disse il mago mentre puntava verso la panchina posta davanti al negozio di Madama McClan, chi era lui per ignorare una signorina lasciandola di umore tetro?
“Buongiorno.”
Elizabeth alzò lo sguardo e gli lanciò un’occhiata sorpresa, quasi trovando bizzarro il vederlo senza il suo solito grembiule color bronzo addosso.
“Salve.”
Non le chiese il permesso di sedersi: lo fece e basta, occupando il posto lasciato libero sulla panchina mentre la piccola volpe bianca lo guardava con curiosità.
“Che fine ha fatto quella nera?”
“Ne ho due. Lui è Deimos. E la sua lupa?”
“Beh, sa, non è poi l’ideale portarsela appresso quando si deve andare per negozi, a differenza delle sue volpi io non posso tenere Herbst in braccio.”


Egan parlò sfoderando un sorriso che la ragazza non ricambiò, limitandosi ad annuire mentre chinava lo sguardo sull’animaletto che si stava godendo le sue attenzioni.
 
“Non ho mai visto volpi domestiche. Allora deve averlo davvero, un bel caratterino, per essere riuscita ad addomesticarle.”
“Beh, lei ha addomesticato un lupo, quindi…”
Le labbra di Lizzy si incurvarono in un debole sorriso che il ragazzo ricambiò, quasi soddisfatto di essere riuscito a strappargliene uno.
“Come mai è qui da sola? E perché quell’aria triste, soprattutto?”
“Non la facevo un pettegolo, Egan.”
“Non sono pettegolo, semplicemente intristire questo viso è un crimine contro l’umanità. Che cosa la turba?”
“E’ solo… i miei genitori. A stento si rivolgono la parola da una settimana, è strano. Non li ho mai visti così. So che è stato un matrimonio programmato, il loro, ma li ho sempre visti rapportarsi tra loro con affetto. E mio padre ignora anche me e mio fratello, non capisco per cosa possa essersi arrabbiato… cerco sempre di compiacerli in tutto.”


L’espressione della strega si rabbuiò, ed Egan esitò prima di sorriderle, rassicurante:
“I miei genitori si adorano, ma ogni tanto litigano, è normale. Magari hanno solo avuto una discussione, capita a qualsiasi coppia, credo.”
“Crede?”
“Sì, non sono molto esperto, a dire il vero, non ho mai avuto una vera e proprio fidanzata… Ma sì, penso che sia normale, lo dice anche mia nonna.”
Questa volta anche Elizabeth sorrise, annuendo divertita mentre Deimos annusava guardingo il cappotto del mago e tutti gli aromi che Egan si portava appresso:
 
“E ciò che dice Gwendoline Saint-Clair è legge, dopotutto.”
“Cavendish” , la corresse Egan aggrottando la fronte, ma la ragazza sorrise stringendosi nelle spalle, asserendo che non importasse.
 
“Strano vero? Lei è l’unica che si comporta come se le differenze tra le nostre famiglie non esistessero.”
“Era sposata con un Cavendish dopotutto, ma penso che sia stato difficile all’inizio, anche se voleva bene a mio nonno. Non saprei, non ne parla spesso, dell’inizio del loro matrimonio.”
Il mago aggrottò la fronte, rendendosi conto solo in quell’istante di saperne molto poco, di come i suoi nonni si fossero avvicinati. Si appuntò mentalmente di chiederglielo quando Elizabeth mormorò, pensierosa, di ritenerlo fortunato dal momento che lei non aveva mai conosciuto i suoi nonni paterni.
 
“Mia nonna dice che suo nonno era un grand’uomo, e lei non mente mai.”
“Le vuole bene, vero?”
“Certo che sì. Guardandola dovrebbe ricordare a tutti noi che dopotutto i Saint-Clair possono non essere poi tanto male.”
Un sorrisetto incurvò le labbra del ragazzo mentre un’espressione offesa si faceva largo sul viso della ragazza, che inarcò un sopracciglio prima di chiedergli perché stesse perdendo tempo a parlare con una di loro, in tal caso.
 
“Non lo so proprio. Forse lei è speciale come mia nonna, dopotutto.”
Aveva sperato di farla sorridere, e ci era riuscito. Sperare di lasciarla senza parole o di farla arrossire sarebbe stato troppo, per Egan.
Eppure ci era appena riuscito, e scoppiò a ridere mentre Elizabeth si alzava in piedi, asserendo che fosse un bambino infantile prima di allontanarsi a passo di marcia:
“E non mi guardi con quegli occhi da pesce lesso, non funziona con me!”
“Ah davvero Miss? La vedremo.”
 
*
 
Aveva nevicato tutta la notte, e l’enorme parco che circondava la tenuta era ricoperto da una soffice coperta di neve candida. Deimos ci si tuffava confondendocisi, mentre Phobos trotterellava nelle neve con curiosità, spiccando come una goccia d’inchiostro su un foglio bianco.
Elizabeth attraversava il viale con calma, gli occhi chini sulla ghiaia quasi ghiacciata mentre teneva le mani al caldo nel suo manicotto candido come la neve.
Ripensava non solo alla sua conversazione con Egan Cavendish, ma anche e soprattutto al comportamento strano dei suoi genitori degli ultimi giorni, quasi avessero alzato un muro nei suoi confronti. Se un leggero distacco da parte della madre era ormai per lei l’abitudine, vedere il padre tenerla distante era molto più difficile. Senza contare che i due si parlavano a malapena, e a questo di certo la giovane non era abituata.
 
“Lizzy!”
Elizabeth-Rose sollevò il capo al richiamo del fratello maggiore, e le sue labbra si inclinarono in un sorriso spontaneo quando scorse Thomas avvicinarlesi: era uscito per far fare un giretto a Jeremy, che si librava felice sopra le loro teste.
“Ciao Tommy.”
“Sono ore che voglio parlarti, dov’eri? Oh, non importa, devo assolutamente raccontarti una cosa. Io e Colleen…”
 
Sentendo nominare la cugina Elizabeth si riscosse, e sorrise al fratello con gli occhi azzurri luccicanti. Liberò il braccio sinistro dal manicotto e strinse il gomito di Thomas, ordinandogli seduta stante di dirle tutto senza indugi.
 
*
 
“Io… io non capisco. Com’è possibile?”
Astrid, seduta sul divano, deglutì a fatica mentre guardava sua madre camminare avanti a indietro borbottando qualcosa. Sua zia, in piedi accanto ad Alexis, scoccò un’occhiata velenosa alla figlia prima di rispondere, sibilando qualcosa a denti stretti:
“Questa stupida di tua cugina ha pensato bene di farsi mettere incinta, non v‘è molto da spiegare.”
“No, insomma… lo so come… avviene. Ma non capisco perché tutto questo? Che cosa c’entriamo noi, madre?”
Astrid cercò lo sguardo della donna, che si fermò accanto al camino prima di sospirare e, stringendo le braccia al petto, rivolgersi all’unica figlia:
 
“Tua cugina è fidanzata e prossima alle nozze con Rodulphus Saint-Clair, come ben sai. Se questo fatto lascerà queste mura, la nostra famiglia verrà ricoperta dall’onta della sua sconsideratezza e di certo il matrimonio non avrà luogo.”
“Ma il bambino non è… oh.”
 
Non era figlio di Rodulphus, Astrid lo comprese prima di finire la frase, mentre Alexis si guardava la punta dei piedi e la madre, sbuffando, le dava uno scappellotto sulla spalla:
“Stupida. Ecco a cosa è servito, darti tutto ciò che volevi! E non vuole nemmeno dire il nome del padre, questa sconsiderata! La fidanziamo al primogenito dell’uomo più ricco del paese, che ne ha ereditato la maggior parte del denaro, nipote del Ministro della Magia e questo è il ringraziamento.”
 
“Continuo a non comprendere, se devo essere sincera.”
“Non si deve sapere. E’ una cosa che resterà tra noi, solo tra noi quattro, intesi? Astrid, tu… possiamo fingere che il bambino sia tuo.”
“… Cosa? Ma io… Non sono sposata neanche io, e si capirebbe!”
“Non per forza. C’è un modo… si può fare solo se c’è stretta consanguineità, e voi siete cugine di primo grado, figlie di due coppie di fratelli.”
Questa volta sua madre si rivolse alla sorella, che annuì prima di mormorare che si poteva fare, quindi.
 
“Ma io… Anche io sono fidanzata, vi rammento! Theseus non mi sposerà così come Rodulphus non sposerà Alexis, non ha alcun senso!”
“Sì se fingeremo che il bambino sia suo, Astrid. Il matrimonio verrà affrettato, ovviamente, pensi che sia la prima volta? Queste cose capitano spesso.”
Sua madre liquidò il discorso con un gesto della mano, guardando la figlia deglutire a fatica prima di mormorare qualcosa, rossa in viso e le labbra tremanti:
“Ma io non ho mai… non abbiamo…”
 
“Certo che no, TU non sei sconsiderata come tua cugina, qui!”
Sua zia lanciò una seconda occhiata d fuoco alla figlia, che desiderò ancora di più di sprofondare mentre la madre le si avvicinava, guardandola senza battere ciglio:
 
“Allora temo proprio che dovrai porvi rimedio, Astrid. Il tuo matrimonio è programmato prima rispetto a quello di tua cugina, e Theseus non è il primogenito… devi farlo tu, nessuno dubiterà mai di te, sei così giovane e innocente.”
“Ma il mio onore vale di meno, perché devo essere io quella che fornica prima del matrimonio e rimane incinta.”
 
Lo schiaffo la colpì in pieno volto, ma Astrid non ci badò. Ne valse comunque la pena.
Si alzò, lanciò un’occhiata carica di disprezzo ad Alexis e poi uscì dalla stanza a passo di marcia, ignorando i richiami della madre mentre correva a chiudersi in camera sua.
 
*
 
Theseus sedeva alla sua scrivania in silenzio, i gomiti poggiati sul ripiano di legno e la punta delle dita giunte appoggiate sulle labbra. Aveva appena mandato un gufo al nipote e a sua zia per chiedergli di poter parlare, e stava rimuginando – gli occhi fissi, malinconici, sulla fotografia che ritraeva Elizabeth e Thomas, i bambini che aveva cresciuto e guardato diventare adulti, i suoi ragazzi – quando un Elfo, aprendo timidamente la porta dello studio, lo informò che il Signor Riocard voleva vederlo.
 
Di già? Oh, certo, fallo entrare.”
Sbigottito, Theseus si mise a sedere dritto sulla sedia e poggiò le mani in grembo mentre Riocard entrava nello studio togliendosi il cappello e rivolgendogli un cenno.
“Scusa l’intrusione zio, ma avrei una molto urgente di cui parlarti.”
“Beh, capiti a proposito, ti sei giusto perso il biglietto che ti avevo mandato… Siediti pure. Anche io necessito di parlarti, Riocard.”
 
“Davvero? A proposito di cosa? Hai scelto… la data? Perché è di questo, che volevo parlarti.”
Riocard sedette senza distogliere lo sguardo dallo zio, che si schiarì la voce e scosse la testa senza guardare negli occhi il ragazzo:
“Non esattamente, anche se sai che ho deciso. Mancano due giorni a Natale, e intendo dimettermi all’inizio del nuovo anno, quindi entro una decina di giorni.”
“Capisco. Zio, so che non sarà facile per te, ma devo… dirti una cosa su papà. E su una cosa che ho deciso di fare.”


Una ruga fece capolino sulla fronte del Ministro, che guardò il nipote stringersi nervosamente il cappello di feltro tra le mani chiedendosi di cosa volesse parlargli. Di certo non poteva essere peggio rispetto a ciò che lui intendeva dirgli.
“Ti ascolto, Riocard.”
 
*
 
 
Prima di andare alla festa, quella sera, Astrid sapeva che cosa doveva fare. Non seppe con quale coraggio si guardò allo specchio prima di uscire, ignorando le parole della madre mentre finiva di prepararsi.
Tutto ciò che riusciva a pensare era che, agli occhi della sua stessa famiglia, lei valeva meno di sua cugina. Era lei quella sacrificabile, lei quella che avrebbe dovuto avere un “matrimonio riparatore” e crescere un figlio che non era suo.
 
La colpa era tutta di Alexis. Di Alexis e di sua madre, che aveva accettato di venderla in quel modo.
Non avrebbe mai potuto perdonarle, nessuna delle due. Così come non avrebbe mai potuto perdonare se stessa per aver ingannato un ragazzo dolce come Theseus.
 
*
 
Theseus lo aveva ascoltato senza emettere un fiato, limitandosi ad osservarlo; poi, quando aveva finito di spiegargli le sue motivazioni, lo zio aveva aperto un cassetto e gli aveva porto una lettera.
 
“Ma è…”   Riocard deglutì a fatica, quasi impallidendo nel stringere la lettera che riportava il nome dello zio sul retro scritto nella grafia di suo padre.
“Sì, l’ha scritta tuo padre prima di morire. Io l’ho potuta leggere solo pochi giorni fa. Ci ho pensato a lungo, se fartela avere o meno, Riocard… Quello che leggerai sarà molto difficile, ma voglio anche che tu sappia.”


Riocard esitò, spostando lo sguardo dalla busta allo zio prima di chiedere con un mormorio se ciò che avrebbe letto riguardava la morte del padre.
“Diciamo di sì.”
“Zio… tu lo conoscevi meglio di chiunque altro. Perché ha fatto quelle cose ai Cavendish? Lui ed Edward erano molto, legati, no?”
“Edward è più vicino di età a me, ma è sempre stato molto più legato a Rod… Fin da piccoli, non so spiegare il motivo. Del resto tutti adoravano tuo padre, aveva l’innata capacità di farsi amare.”
 
Eccetto che dalla sua stessa moglie
 
Theseus abbozzò un sorriso malinconico nel ricordare il fratello maggiore, astenendosi dal pronunciare quelle spinose parole prima di riprendere, gli occhi chiari del nipote fissi su di lui.
“Quando i nostri genitori morirono… fu difficile, eravamo tutti molto giovani, solo dei ragazzini. Gwendoline si prese molte responsabilità, ma tuo padre era di fatto maggiorenne e sentì di averci a carico. Credeva che fossero stati i Cavendish a causare l’incidente del treno dove viaggiavano.”
“Per quale motivo?”
“Non te lo so dire, ma ne era davvero convinto. Il fratello di George voleva che Robert sposasse Amethyst, nostro padre rifiutò umiliandolo pubblicamente e le tensioni placate tornarono a galla. Non faceva che ripeterlo, anche a nostra zia… anni dopo ha anche fatto svolgere delle indagini. La morte dei tuoi nonni è rimasta avvolta da un alone di mistero, Ric, ma tuo padre riuscì a portare alla luce qualcosa che dimostrava che aveva ragione, o almeno credo. So che sai cosa significa perdere un genitore.”
Lo stomaco del ragazzo si contrasse mentre Theseus gli sorrideva debolmente, gli occhi cerulei velati di immensa tristezza e di ricordi.
“Ma noi eravamo molto più giovani di te, e tuo padre… lo cambiò molto. Pensavamo che dovesse solo elaborare il lutto, ma il tempo passava e lui continuava a sostenere la sua tesi. Tutto l’odio che c’era stato tra le nostre famiglie prima del matrimonio tra nostra zia e George si riversò su Rod con una violenza che non immagini, Voleva bene ad Edward, so che è così, lo reputava una sorta di terzo fratello minore. Ma era così furioso con la sua famiglia che smise di vederlo con suo amico, come suo cugino. Solo come un Cavendish.”


Theseus tacque mentre Riocard apriva lentamente la busta, e all’improvviso le parole di Astrid gli tornarono in mente con violenza. Forse, dopotutto, nonostante i suoi errori la moglie non si sbagliava.
Il Ministro si alzò, fece il giro della scrivania e sedette sul bordo del mobile per mettere una mano sulla spalla del nipote, che ricambiò il suo sguardo con gli occhi velati di lacrime.
“Tuo padre non era perfetto. Lo abbiamo sempre idolatrato, lui era così… carismatico. E’ stato l’eroe di tutti noi, Riocard, non solo tuo, anche il mio eroe, di Amethyst e di zia Gwen, che rivedeva in lui come rivede in te un fratello che amava con tutta se stessa e che ha perso troppo presto. Per me ed Amiee è stato il fratello che ci ha fatto andare avanti dopo una tragedia, e per te è stato un ottimo padre. Ma viene il momento di scontrarsi con la realtà de fatti, e mio fratello non era un eroe.”
“Non è così che lo voglio ricordare. Con quello che ha fatto al Signor Cavendish…”
 
Riocard, stringendo convulsamente la busta tra le mani, chinò lo sguardo per celare gli occhi lucidi alla vista dello zio, parlando con voce rotta mentre Theseus abbozzava un sorriso carico di comprensione nello sporgersi verso il nipote:
 
“Ric. Tuo padre ha peccato come amico e come marito, ma non è stato lui a dire a George Cavendish di serbare rancore a suo figlio per tutti questi anni. E’ stata una sua scelta, così come Edward ha fatto la sua. Rod ha sbagliato, ma era un ragazzo… e non era perfetto, nessuno di noi lo è. Non lo devi ricordare per questo, devi ricordarlo come il padre che è stato per te. Così come io lo ricordo e lo ricorderò sempre come mio fratello maggiore.”
 
Theseus allungò una mano fino alla nuca del nipote, esercitando pressione affinché Riocard poggiasse la testa sul suo petto. Il ragazzo, di contro, non oppose alcuna resistenza, chiudendo gli occhi e lasciandosi abbracciare per la prima volta dopo troppo tempo.
 
*
 
“Vuoi dirmi… Vuoi dirmi che Alexis rimase incinta e fecero in modo… che lo portassi in grembo tu?”
Theseus la guardò con l’espressione più inorridita che la moglie gli avesse mai visto sul volto, annuendo prima di mormorare che sì, era andata così.
“Ma come è possibile? Io… io c’ero. Non è possibile, io l’ho visto, ti ho vista partorire Thomas, per l’amor del cielo!”
“E infatti è stato così, l’ho messo al mondo io. Mia zia… appena prima di sposarci portò me e Alexis in un sobborgo di Londra. C’era un medico che era stato radiato dall’albo per i suoi esperimenti, e conosceva una sorta di incantesimo, piuttosto rischioso, tra l’altro, che si può fare solo tra persone che hanno uno stretto legame di parentela. In pratica si traspone l’embrione in un altro corpo. Fortunatamente ha funzionato, ma per Alexis ci sono state ripercussioni. Per lei sarebbe stato estremamente rischioso avere un altro figlio, ed è per questo che non ha mai voluto averne altri, dopo Riocard. Sapeva che, con ogni probabilità, non sarebbe sopravvissuta.”
 
Theseus si alzò, incapace di credere alle parole della moglie mentre si passava le mani nei capelli rossi, incredulo. Eppure sapeva che Astrid non mentiva. Non poteva farlo, perché sapeva ciò che aveva visto e un albero genealogico magico non mentiva: nella sua discendenza compariva solo ed esclusivamente Elizabeth-Rose.
Era il nome di Riocard ad essere legato a quello di Thomas, non quello di Elizabeth. E il nome di Thomas, suo figlio, non era raffigurato da nessuna rosa.
 
“Chi è il padre?”
Il sussurro di Theseus, che parlò voltandosi lentamente verso di lei, la costrinse a chinare lo sguardo. Era riuscita ad estorcerlo alla cugina quando stava per dare alla luce Thomas – che aveva finito con l’amare fin dal primo momento, reputandolo suo figlio a tutti gli effetti, col tempo –, ma non era sicura di volerlo rivelare al marito.
“Astrid, dimmelo. Esigo di sapere, quantomeno me lo dovete, tu e quella…”


Theseus non finì la frase, liquidandola con un gesto mentre si ripeteva di mantenere la calma, per quanto possibile. Guardò la donna sospirare e, alla fine, mormorare un nome che lo fece raggelare.
“Cavendish.”
 
Ne aveva sentito parlare, ovviamente, di qualche scappatella tra lui e Alexis. Non ci aveva mai dato molto peso, ma in quel momento sentì come se il soffitto gli stesse crollando addosso. La guardò, immobile e desiderando più che mai che fosse tutto un terribile scherzo.
 
“Vuoi forse dirmi… che per 26 anni… io ho… amato e cresciuto il figlio di Robert Cavendish?”


*
 
Elizabeth-Rose singhiozzava, seduta sul prato con la gonna del vestitino lacerata sull’orlo e le calze bianche smagliate.
“Lizzy… ti sei fatta male?”
Thomas, sorridendole rassicurante, si mise le mani sulle ginocchia coperte dai calzoncini per guardarla più da vicino: la sorellina annuì, puntando i grandi occhi azzurri dalle lunghe ciglia su di lui prima di allungare le braccine in direzione del maggiore, che l0aiutò a rialzarsi.
“Mi sono rovinata il vestito, la mamma si arrabbierà tanto!”


La bambina di cinque anni singhiozzò mentre si asciugava le guance piene di lacrime, ma Thomas le sorrise mentre la circondava con un braccio, fiducioso:
“Ma no, le dirò che è stata colpa mia, che sei caduta perché ti ho spinto per sbaglio. Va bene? Su, torniamo a casa. Sono solo ginocchia sbucciate, passa subito.”
“Va bene…”
La bimba prese la mano che il fratello le porgeva prima di incamminarsi insieme a lui, i lunghi capelli biondo cenere legati da un nastrino bianco.
“Sei il mio fratello preferito, Tommy.”
“Grazie, ma sono l’unico che hai!”
 
*
 
Astrid stringeva Elizabeth tra le braccia, gli occhi fissi sulla tomba della madre che era appena stata seppellita nella sua bara. Theseus, in piedi accanto a lei e reggendo un ombrello affinché non si bagnassero, le mise una mano sulla spalla mentre Thomas stringeva la gamba del padre, le guance pallide rigate dalle lacrime.
 
“Mi dispiace tesoro.”
A lei dispiaceva?
Stringendo la figlia di sei anni, che mormorò di avere freddo e di voler andare a casa, Astrid guardò la lapide e riuscì solo a rammentare di come quella donna l’avesse trattata. Thomas le aveva dato gioia e amore inimmaginabili, ma non avrebbe mai potuto perdonare sua madre.
Poteva solo sperare di essere un genitore migliore di quanto non lo fosse stata lei.
 
*


 
“Quindi è per questo? Rod ha capito, è tornato… e lo avete ucciso?”
“Theseus, è stato un incidente. Alexis non voleva, devi credermi.”
 
Astrid si alzò lentamente e, raggiunta la cassettiera, ne aprì l’ultimo cassetto prima di tirare fuori qualcosa di sottile dal fondo: una lettera che porse in silenzio al marito, lasciando che Theseus posasse lo sguardo sulla grafia del fratello che ci aveva scarabocchiato sopra il suo nome.
 
 
Quando aveva ricevuto il gufo della cugina a quell’ora tarda, Astrid non aveva potuto far altro che rispondere alla sua chiamata, affrettandosi a raggiungerla con la Polvere Volante approfittando del fatto che tutti stessero già dormendo.
Si era aspettata di tutto, del resto era abituata a risolvere i guai della maggiore, ma ciò che le si presentò alla vista superò ogni sua aspettativa.
 
Alexis sedeva sull’ultimo gradino della scalinata d’ingresso, in lacrime. Vicino a lei, ai piedi della rampa, giaceva Rodulphus. Immobile, gli occhi azzurri spalancati nell’oscurità, il corpo piegato in una posizione innaturale, così come il suo collo.
 
“Porca Morgana Alexis… che cosa diavolo hai fatto?!”
Astrid si era avvicinata al cognato di corsa, inginocchiandosi accanto a lui mentre Alexis, in lacrime, mormorava che era stato solo un incidente.
“Non volevo farlo cadere, lo giuro! Ero solo furiosa, voleva… voleva dire tutto a Ric, Astrid!”
“Tutto? Tutto cosa, esattamente?”
“Tutto! Ciò che abbiamo fatto, di Thomas, di me e te! Non l’avrebbe mai detto pubblicamente, tutta la famiglia ne avrebbe risentito, ma Riocard mi avrebbe odiata… non posso permettere che mio figlio mi odi, Astrid, è tutto quello che ho!”
Alexis la guardò con gli occhi chiari colmi di lacrime e di disperazione, e la cugina sospirò piano mentre, alzandosi, scrutava il corpo del cognato che doveva essersi rotto il collo durante la colluttazione.
 
“Bene, allora. Dobbiamo portarlo via da qui. Riocard l’ha visto? Sai se ha visto qualcuno da quando è tornato?”
“No, non credo, è tornato tardi da Parigi… non so come l’abbia scoperto, era impossibile! Lo sappiamo solo noi!”
“Beh, in qualche modo è successo, ma ormai non importa più. Forse te la puoi cavare, se nessuno l’ha visto. Riocard dorme?”
Alexis annuì mentre si alzava e Astrid faceva il giro attorno al cadavere del cognato, seria in volto e con la stessa luce determinata nello sguardo della sera in cui, molti anni prima, era stata costretta a sedurre il futuro marito che si era ritrovata quasi ad amare, col tempo.
 
“Il Wizengamot non avrà pietà… una donna che uccide il marito, il Ministro, per di più adultera. Ti sbatteranno ad Azkaban, se lo scoprono. Dobbiamo… portarlo al Ministero. Nel suo ufficio. Rod era pieno di nemici, non penseranno a te, se facciamo le cose per bene.”
Le due si guardarono, una disperata e l’altra mortalmente seria, rendendosi conto che infondo, alla fine, quella ad avere più fortuna era stata quella più sottovalutata dalle loro stesse famiglie solo perché più giovane e meno attraente.
Del resto, Alexis stessa era consapevole che la cugina l’aveva tirata fuori da un enorme ed irreparabile guaio già una volta. Quella notte, Astrid lo avrebbe fatto di nuovo.
“Astrid? Perché lo fai?”
La cugina stava portando il corpo di Rodulphus verso il camino facendolo fluttuare a mezz’aria quando si voltò verso di lei, accigliandosi prima di risponderle, seria in volto come suo solito:
 
“Se Riocard sapesse ti odierebbe. Così come Thomas odierebbe me. E come te non posso permettere di perdere l’amore di mio figlio.”
 
 
 
Edward e Robert erano appena spariti, inghiottiti dalle fiamme verdi del caminetto, quando la porta si aprì permettendo ad Alexis di entrare, la punta della bacchetta accesa e Astrid al seguito mentre manteneva il corpo del cognato a mezz’aria dietro di loro.
“Hai confuso e obliviato tutti quelli che ti hanno vista mentre mi precedevi?”
“Certo, nessuno saprà che siamo state qui. Come… come lo mettiamo?”
 
Deglutendo a fatica, Alexis accennò al marito senza avere il coraggio di guardarlo, e Astrid studiò il lampadario sopra la scrivania della stanza circolare per un istante prima di indicarlo:
“Fa’ comparire una corda. Simuleremo un suicidio.”
“Ma… penso che capiranno che la frattura del collo è differente…”
“Certo, è solo per sviarli inizialmente, sciocca! L’importante è che nessuno arrivi mai a noi. Forza, forma un cappio e legalo al lampadario, dobbiamo fare in fretta.”
 
*
 
“Datti un contegno, ricordati che sei una vedova addolorata. Manifesta un po’ più di tristezza, più che disperata sembri terrorizzata!”
Astrid prese la cugina sottobraccio – entrambe vestite interamente di nero – sibilando quelle parole a denti stretti, guidando Alexis verso la tomba della famiglia Saint-Clair dispensando cenni e saluti ai numerosi presenti che si rivolgevano alle due facendo le loro condoglianze.

 
“Come posso non esserlo, dopo ciò che abbiamo fatto?”
Il bisbiglio tremolante fece quasi sbuffare la minore, che rivolse un’occhiata di sbieco alla cugina prima di sussurrarle di stare tranquilla:
“Nessuno sospetterà mai di te, se ti comporti come si deve. La nota positiva di aver ucciso il Ministro della Magia è che molte persone avrebbero avuto interesse nel vederlo fuori dai giochi… Penseranno subito ai Cavendish, e noi per prime suggeriremo agli Auror di fare altrettanto. Intesi? Con un po’ di fortuna la verità non verrà mai a galla.”
“Come fai ad esserne così sicura?”


Alexis guardò la cugina con sincera perplessità, colpita dalla calma che Astrid aveva dimostrato fin da quando, due giorni prima, era entrata in casa sua in piena notte e l’aveva trovata accanto al cadavere del marito ai piedi delle scale.
“Perché nessuno pensa mai alle donne, sciocca. Quanto al perché ti abbia sempre aiutata e protetta, è perché volente o nolente sei mia cugina. Sei tu la mia famiglia, prima di tutto, prima dei Saint-Clair, e purtroppo mi hanno insegnato ad essere fedele al nome che porto.”
 
 
 
Astrid finì il suo racconto guardando Theseus, che invece era in piedi e le dava le spalle.
Per qualche istante nessuno dei due parlò o mosse un muscolo, finchè la voce bassa, ferita del marito non le solleticò l’udito:
“Mi serve tempo. Per… elaborare.”
Astrid avrebbe voluto trattenerlo, ma sentì che era giusto lasciargli spazio e tempo e s’impose di non farlo, restando seduta dov’era mentre udiva la porta chiudersi. Solo allora, rimasta sola, si permise di sospirare e di prendersi la testa tra le mani.
 
*
 
La mattina dopo la sala riunioni del primo livello era gremita e in subbuglio. Theseus sedeva a capo del lungo tavolo rettangolare, in silenzio e assorto nei suoi pensieri, con Riocard accanto e un gran numero di Magiavvocati che circondandoli parlottavano tra loro leggendo carte e documenti.
Il Ministro era stato estremamente chiaro quando li aveva convocati, e sebbene fossero a dir poco perplessi, non avevano potuto far altro che rispondere alla chiamata del Ministro e preparare le carte necessarie.
I due Saint-Clair stavano in attesa senza parlare, ma entrambi alzarono lo sguardo sulla soglia della stanza quando la porta a doppia anta si aprì, permettendo ad Edward e a Robert Cavendish di entrare, il secondo con una cartellina sottobraccio e l’aria di chi non crede a ciò che sta per fare.
 
“Buongiorno, signori.”
Theseus non rispose al saluto del cugino, limitandosi ad un cenno del capo prima di suggerire ai due di sedersi. Edward prese posto alla sua sinistra di fronte a Riocard, con Robert accanto, lasciando che quest’ultimo gli passasse la cartella lanciandogli un’occhiata scettica: quando la sera prima gli aveva chiesto di parlare con urgenza, di certo non avrebbe mai creduto di sentire ciò che Edward gli aveva spiegato.
 
“Signor Ministro, è tutto pronto, se vuole possiamo procedere.”
Theseus non rispose all’avvocato, ma si limitò a voltarsi verso il nipote per chiedergli, con voce calma e controllata, se fosse sicuro della sua decisione.
Riocard però annuì senza alcuna esitazione, guardando Edward:
“Lo prenda come un risarcimento per ciò che le ha fatto mio padre, Signor Cavendish.”


Theseus esitò, ma sapendo di non poter far cambiare idea al nipote – e forse, infondo, trovandosi persino d’accordo con lui dopo ciò che gli aveva raccontato – rivolse un cenno agli avvocati che passarono dei documenti a Riocard e ad Edward.
Presa la meravigliosa piuma di pavone che lo zio gli porse, Riocard firmò senza preamboli, così come Edward, prima che i due si scambiassero i fogli.
“Questo è per assicurarci che non cambi idea. Firmando lì rinuncia del tutto al suo diritto.”


Riocard esitò prima di prendere il foglio di pergamena che Robert gli porse, osservandolo pensieroso mentre stringeva la piuma tra le dita. Ormai sotto gli occhi di tutti i presenti, il giovane sollevò lo sguardo sull’uomo che aveva di fronte e poi, invece di firmare, parlò:
 
“Ho una condizione.”
“Quale?”   Edward inarcò un sopracciglio, osservando il giovane di rimando mentre Robert, accanto a lui, roteava gli occhi: c’era d’aspettarselo, si disse. Era troppo semplice per essere reale.
Theseus, dal canto suo, si limitò a guardare il nipote con sincera curiosità mentre si sfiorava la barba color rame, chiedendosi cosa avesse in mente dal momento che a lui non aveva fatto cenno ad alcuna condizione.
“… Mia cugina. Se firmo, rinuncio a tutto, ma voglio che lei prenda a lavorare nel suo ufficio Clara Bouchard-Saint-Clair.”
“Una ragazza?! Come diavolo dovrebbe…”
 
Robert però, che aveva strabuzzato gli occhi come se Riocard avesse pronunciato una bestemmia, non finì la frase: Edward lo interruppe sollevando una mano, gli occhi azzurri fissi con insistenza in quelli altrettanto risoluti del ragazzo.
Riocard si sarebbe aspettato qualsiasi risposta, ma ciò che l’uomo fece riuscì a sorprenderlo: un debole, appena percettibile ed inspiegabile sorriso incurvò le labbra di Edward, che lo guardò quasi con un luccichio divertito nelle iridi celesti.
“Sei davvero suo figlio, dopotutto. Beh, immagino che possa andare bene, se tua cugina sa il fatto suo.”
“Oh, lo sa benissimo, mi creda.”
Riocard abbozzò un sorriso prima di firmare, porgendo il foglio a Robert per poi allungare una mano in direzione di Edward, inspiegabilmente più leggero rispetto a poche ore prima.
 
Dopo un istante di esitazione, l’uomo la strinse, e Theseus sospirò prima di alzarsi e abbottonarsi la giacca nera con disinvoltura:
 
“Bene signori, sembra che tra una settimana avremo di nuovo un Cavendish a guida del Ministero. Suppongo di doverti fare le congratulazioni.”
Gli occhi chiari di Theseus si scontrarono con quelli del suo successore per una manciata di secondi, e i due si studiarono brevemente prima che l’uomo distogliesse lo sguardo per rivolgere un cenno al nipote, che lo imitò alzandosi in piedi:
“Ora, se volete scusarci, io e mio nipote abbiamo una questione di famiglia urgente da rivolvere. Vieni, Ric.”


Riocard lo seguì fuori dalla stanza dopo aver rivolto un’ultima occhiata in direzione di Edward, che li guardò uscire mentre Robert gli assestava una poderosa pacca sulla spalla:
“Alla fine ce l’hai fatta, piccolo stronzetto!”
“Rob, ti pare il modo di rivolgerti al tuo futuro Ministro? Bada bene, o ti metto l’ufficio nel ripostiglio.”
“Ma falla finita, se non avessi me a pararti il posteriore da tutta la vita non so dove saresti, adesso…”
 
*
 
Quando aveva messo piede a casa di cognato e cugina, Alexis non sapeva cosa aspettarsi.
Lasciati sciarpa, cappotto e guanti ad un Elfo, aveva attraversato l’atrio per raggiungere lo studio del cognato incrociando lo sguardo di Astrid, che la studiava dai piedi delle scale.
Aveva cercato di chiederle perché si trovasse lì, ma la cugina non aveva proferito parola, limitandosi a stringere le braccia al petto scuotendo la testa, mormorando che le dispiaceva.
 
La strega aveva bussato e aperto la porta della stanza con angoscia, il cuore in tumulto. E si era sentita quasi sprofondare quando, sulla soglia della stanza, i suoi occhi avevano indugiato sulle tre persone che la stavano scrutando.
Non c’era Theseus, dietro l’antica scrivania, ma suo figlio. Riocard che la studiava, quasi la scrutava, mortalmente serio e senza alcuna traccia del solito affetto ad addolcirgli lo sguardo. Alle sue spalle, alla destra del camino acceso, Theseus stava in piedi con le mani nelle tasche dei pantaloni dal taglio sartoriale. A sinistra, Gwendoline la osservava con la stessa espressione dipinta sul volto di Riocard, la giacca bordata di pelliccia addosso e l’impugnatura d’oro del bastone da passeggio stretta tra le mani guantate.
 
“Ric, che cosa significa?”
“Sappiamo tutto, Alexis. Ogni cosa.”
 
L’occhiata gelida che Gwendoline le lanciò la trapassò da parte a parte, e la donna deglutì prima di cercare lo sguardo del figlio, avvicinandosi alla scrivania senza sedersi:
“Riocard, ti prego…”
Le mani tremanti di Alexis si allungarono sul mobile per cercare quelle del ragazzo, che però le ritrasse senza scomporsi, evitando di guardarla in faccia prima di dire qualcosa a denti stretti:
 
“Zia Astrid ha detto tutto allo zio, so di Thomas, so di papà. So che è stato un incidente, ma ciò non toglie che gli hai mentito per 26 anni. Hai mentito a me.”
“Non eravamo sposati, Ric, solo fidanzati!”
“Non è questo il punto. Hai tradito tutti noi, mamma.”
 
Riocard parlò continuando a non guardare la madre, che soffocò un singhiozzo con una mano prima che Gwendoline s’intromettesse, parlando col tono più gelido e tagliente che i presenti le avessero mai sentito usare:
“Non ti manderemo ad Azkaban, se è questo che temi. Io e Theo abbiamo voluto che fosse Riocard a decidere sulla tua sorte, e tuo figlio, quello legittimo almeno, non vuole che tu paghi la pena che dovrebbe spettarti. Insabbieremo la cosa, nessuno parlerà più della morte di Rodulphus… ma te ne devi andare, Alexis.”
“Riocard, per favore, lascia che ti spieghi…”
 
“Non c’è niente da spiegare. Sei mia madre e ti voglio bene, quindi non andrai ad Azkaban, nessuno saprà che l’hai ucciso tu. Ma non… non ti voglio più vedere.”


Riocard deglutì, pronunciando quelle ultime parole quasi con difficoltà mentre la madre lo guardava con gli occhi pieni di lacrime.
“Nessuno saprà mai niente, al di fuori dei presenti. Continuerai a fare ciò che hai fatto per 26 anni, Alexis. Thomas agli occhi del mondo è un Saint-Clair e continuerà ad esserlo, suo padre è Theseus… Lui non dovrà mai saperlo. Elizabeth-Rose non dovrà mai saperlo. Stiamo riflettendo se dirlo ad Amiee, ma tu non dovrai farne parola ad anima viva. In cambio, le indagini verranno ufficialmente chiuse, e noi continueremo generosamente a mantenerti. Tuo figlio ti ama molto, sei fortunata.”
Gwendoline strinse la spalla del nipote con la mano guantata, osservando Alexis tenere gli occhi fissi sul ragazzo mentre Theseus faceva lo stesso, in silenzio.
 
“L’ho fatto per te. Solo per te, per tutti questi anni… se la verità fosse venuta a galla, la famiglia sarebbe stata rovinata. E’ per te che ho tenuto il segreto… Tuo padre voleva un altro figlio, mi sono opposta perché sarebbe stato troppo rischioso azzardare un’altra gravidanza dopo ciò che avevamo fatto, e non volevo che restassi senza madre!”
“In compenso Thomas è stato cresciuto in mezzo alle bugie, e non saprà mai chi sia la sua vera madre. Hai preferito la tua reputazione a tuo figlio, e sappiamo entrambi che non hai detto la verità per te stessa, non certo per me.”
Questa volta anche Riocard la guardò, e la delusione nel suo sguardo fu peggio di qualsiasi processo e di qualsiasi pena ad Azkaban.
La mano di Alexis si allontanò lentamente, scivolando sulla liscia superficie di legno finchè la donna, guardando la cosa che più amava al mondo, non l’ebbe ritratta del tutto.
 
Era questa, dunque, la sua pena da scontare per le bugie e per aver ucciso suo marito? Essere ripudiata dal suo stesso figlio?
 
“Bene, allora. Quando volete che me ne vada?”
“Appena possibile. Trovati una bella casa da qualche parte nell’Inghilterra, ti faremo avere tutto il necessario… ma sta lontana dal Derbyshire e da Londra, Alexis.”
 
 
Uscendo dalla stanza, mentre Gwendoline si chinava per abbracciare Riocard e dirgli, rassicurante, che aveva preso la miglior decisione possibile, gli occhi pieni di lacrime di Alexis incrociarono quelli della cugina.
Senza dire nulla, la strega l’abbracciò, lasciando Astrid a dir poco sorpresa prima di udire il mormorio della cugina:
“Grazie.”
“Per che cosa?”
“Per tutto. E per Thomas. Sei una madre migliore di me, dopotutto. E migliore delle nostre.”
 
*
 
“Tutto secondo i piani.”
“Ha funzionato?”
“Ovviamente. Non che avessi dubbi a riguardo, conosco le tue capacità.”
Gwendoline lasciò scivolare la fialetta di cristallo vuota nella tasca della pelliccia bianca prima di stringere il gomito di Amethyst, che le camminava accanto lungo il viale – allontanandosi dalla grande casa dopo aver aspettato la zia all’uscita di servizio –. Le due procedettero in silenzio per qualche metro, senza guardarsi, finchè la nipote non si rivolse alla più anziana ritrovandosi, forse per la prima volta, a dubitare di lei:
“Come fai ad essere sicura che non risaliranno mai a noi?”
“Perché nessuno pensa mai alle donne. So quel che faccio, Amethyst. Non temere.”


*
 
“So di averti mentito. So di aver sbagliato, e mi dispiace. Forse non mi crederai mai, ma ho solo cercato di fare la cosa migliore, di tenere uniti i pezzi. Non l’ho fatto per me, Theo.”
Theseus si era alzato, e Astrid lo guardava darle le spalle, in piedi davanti alla finestra che dava sul cortile innevato. Gli occhi del mago saettarono su Thomas ed Elizabeth, e guardando il ragazzo sentì di nuovo qualcosa incrinarsi dentro di lui.
Il bambino che aveva cullato, coccolato, rassicurato, con cui aveva giocato. Il ragazzino che aveva accompagnato a King’s Cross per sette anni, il ragazzo di cui aveva atteso le lettere, di cui aveva applaudito i traguardi.
L’uomo che era diventato e di cui era così fiero.
 
Ed era stata tutta una bugia. Perché non era davvero figlio suo, e non lo sarebbe mai stato.
 
“E per cosa l’avresti fatto, allora?”
Theseus parlò in un sussurro mentre sentiva la moglie alzarsi, raggiungerlo e poggiargli una mano sulla spalla, guardandolo scrutare i loro figli, o almeno quelli che aveva cresciuto come tali.
 
“Pensi che questo renda Thomas meno nostro figlio? Theseus, Thomas è nostro figlio. È tuo figlio. Non importa… non importa da chi sia stato concepito. Un vero genitore lo si vede nel momento in cui lo cresce, un bambino. E noi l’abbiamo fatto, TU l’hai fatto. Sei il padre migliore che potesse avere.
Guardalo.”
 
 
Gwendoline, in piedi accanto al camino, lasciò che le fiamme inghiottissero il piccolo pezzo di pergamena che aveva trovato arrotolato dentro al suo orologio ormai cinque anni prima. Amethyst sedeva alle sue spalle, inquieta e con la tazza d thè tra le mani, mentre in tutta Londra impazzava la notizia della morte di Louis Cavendish, fratello minore del Ministro della Magia.
 
 
“Funzionerà?”
“Certo che sì, se preparato a dovere. Puoi farlo?”
“Non io, ma conosco qualcuno che ne ha le capacità… mia nipote ha studiato qui, l’hai conosciuta.”
“E’ qualcosa che è meglio fare da soli, Gwendoline.”
La strega, in piedi davanti al ritratto, aggrottò la fronte mentre scrutava la propria antenata, asserendo di avere massima e completa fiducia nella nipote: Amethyst non l’avrebbe mai tradita. Mai.
“Non lo dico per questo. Ma certi pesi… è meglio portarli da soli. Estirpare una vita è qualcosa che non tutti sono pronti a fare e a sopportare. Tu puoi farlo, ma tua nipote?”
 
 
Non l’avrebbero mai scoperto, mai. Louis Cavendish aveva pensato bene di insabbiare l’”incidente” che aveva commissionato a suo fratello e a sua cognata. Gli unici ad averlo scoperto erano stati lei e Rod dopo anni di ricerche.
Il suo movente non esisteva. Così come il veleno che aveva usato, la cui unica formula esistente era appena stata distrutta. Un veleno inodore e insapore che non lasciava traccia… l’arma perfetta. Il delitto perfetto.
Voltandosi, gli occhi di Gwendoline indugiarono sulla nipote, e le parole di Deirdre le tornarono in mente con violenza.
Certi pesi è meglio portarli da soli
 
La donna guardò la nipote – verso la quale nutriva un affetto smisurato e più che sincero, Amethyst era per lei era la figlia che non aveva avuto – stringere la tazza con dita quasi tremanti, trovandosi ad estrarre la bacchetta quasi senza volerlo mentre le si avvicinava. Non le capitava spesso di pentirsi delle sue decisioni, ma in quel momento provò quasi un moto di senso di colpa nei confronti della nipote.
“Mi dispiace tesoro. Non ti avrei trascinata in questa storia, ma avevo bisogno di te.”
Gwendoline le sedette accanto mettendole una mano sulla spalla, sorridendo comprensiva, e la nipote la guardò prima di abbassare lo sguardo sulla sua bacchetta, la fronte aggrottata nel tentativo di capire:
“Zia, cosa…”
“Certi pesi è meglio portarli da soli, aveva ragione. Scusa cara...”
 
L’incantesimo non verbale la colpì, e la tazza scivolò dalle mani di Amethyst riversando del liquido ambrato sul tappeto mentre i suoi occhi si facevano vacui e i ricordi di quel giorno svanivano dalla sua memoria.
 
 
 
Astrid gli strinse la spalla con maggior vigore e gli indicò il ragazzo. Theseus, deglutendo a fatica, lo guardò passeggiare sul prato innevato insieme alla sorella, sorridenti e uniti come li aveva sempre visti.
“E’ il ragazzo più meraviglioso che io abbia mai conosciuto. Vedi forse qualcosa di Robert Cavendish, in lui? No. E nessuno, nessuno avrebbe potuto crescerlo meglio di quanto abbiamo fatto noi. Basta guardarlo, Theo. E’ tuo figlio, l’affetto che provate l’uno per l’altro, che prova ed Elizabeth e per me… niente di tutto questo è mai stato una bugia. Lo amo davvero come se fosse mio figlio, e per me lo è sempre stato, fin da quando è nato. C’è tanto di te in lui, la tua dolcezza, la tua sensibilità.”
 “Non devi smettere di amarlo, Theo. Smetti di amare me, se vuoi, ti darò tutto il tempo che ti serve, ma non tuo figlio.”
 
 
“Louis Cavendish è morto.”
“Così ho sentito.”
Rod guardò la zia, che ricambiò senza far trapelare alcuna emozione mentre una bottiglia di cristallo li serviva magicamente da sola, versando del liquore ambrato nei bicchieri di entrambi.
Un debole sorriso incurvò le labbra dell’uomo, che guardò la zia quasi con soddisfazione:
“Ti sei decisa, alla fine, a darmi ragione. Se non l’avessi fatto tu l’avrei fatto io, dopotutto.”
“Non so di che parli, Rod.”
 
Gwendoline si portò il bicchiere alle labbra dopo averlo proteso verso quello del nipote, che allargò il suo sorriso prima di imitarla, brindando silenziosamente alla memoria di padre e fratello defunti.
 
“Voglio che tu sappia che ho distrutto l’unica formula che ne era rimasta, o almeno così pare. Nessun altro morirà più per colpa di quel veleno.”
“Non posso fare a meno di chiedermi come lo hai preparato, zia.”
“E’ un segreto che mi porterò nella tomba.”
 
I due, così simili e al tempo stesso così diversi, si scrutarono prima che Rodulphus sorridesse, guardando la zia quasi con un luccichio divertito negli occhi chiari che condividevano:
“Cinque anni. Ci ho messo cinque anni a convincerti, da quando hai capito cosa ti avesse lasciato papà. L’ho sempre saputo, che c’erano loro dietro… solo per i nostri soldi, alla fine. Soldi che alla morte di papà sarebbero andati a te, in parte, che eri sposata con un Cavendish.”
“George non ne sapeva nulla, è stata tutta una macchinazione di suo fratello. Quando ho capito cosa mi avesse lasciato tuo padre, ero certa che mai l’avrei usato…. Ma l’ho fatto per lui. Per noi.”
 
 
Theseus esitò prima di voltarsi lentamente verso la moglie, mormorando qualcosa mentre Astrid sollevava una mano per sfiorargli una guancia.
“Elizabeth… lei non dovrà mai saperlo. L’ho detto anche a Riocard. Si vogliono troppo bene, non voglio rovinare il rapporto che hanno.”
“D’accordo. Theo, devi credermi, dal primo giorno fino ad oggi…”
 
“Tutto ciò che ho fatto….”
 
“… è stato per salvaguardare e tenere unita…”
 
“… la famiglia.”
 
 
 
 
 
“Scopri chi ha ucciso Rod, Gwen. E soprattutto, non fidarti di nessuno. Sono le nostre famiglie, e sappiamo di che cosa sono capaci.”
Non furono poi davvero queste, dopotutto, le ultime parole che George Cavendish pronunciò.
Le aveva chiesto di lasciarlo solo, e Gwendoline stava per chiudere la porta di quella che era stata la loro camera per quarant’anni quando sentì il marito chiamarla un’ultima volta.
Wendy?


Senza esitare, la strega si voltò e posò lo sguardo sul volto stanco e pallido del marito, che ricambiò l’occhiata di mormorare qualcosa che Gwendoline non avrebbe mai dimenticato:
“Voglio che tu sappia… che ti perdono, per ciò che hai fatto.”
 
 
 
 
L’impugnatura del bastone stretta in una mano e l’altra a cingere il braccio di Theseus, Gwendoline uscì di casa osservando, come il nipote, Elizabeth e Thomas lasciare le scuderie in sella ai loro cavalli, trottando in mezzo alla neve tra sorrisi e risate.
“Che cosa pensi di fare con Astrid?”
“Onestamente non lo so. Credo che mi servi tempo.”
“Più che comprensibile. E con i ragazzi?”
“Non lo sapranno mai. Pensi che sia egoista da parte mia, non dire a Thomas chi siano i suoi veri genitori?”
 
Theseus abbassò lo sguardo sulla zia, che era sempre stata il suo più grande punto di riferimento da quando aveva perso  genitori, insieme a Rodulphus. Gwendoline però gli sorrise con la medesima dolcezza che gli riserbava sin da quando era bambino, e scosse il capo prima di indicare il ragazzo in sella al cavallo nero:
“No. Anzi, gli risparmierai solo delle sofferenze, così facendo. E poi io, guardandolo, non vedo altro che tuo figlio. Ti somiglia molto.”
Theseus abbozzò un debole sorriso, annuendo mentre accompagnava la zia, guidandola giù per i gradini resi scivolosi dal ghiaccio.
“Le famiglie come le nostre hanno segreti, Theo, è la prassi. Sarebbe irrealistico sperare nel contrario. Ciò che conta è restare uniti e amarsi. Tutto ciò che facciamo, tuo padre, io, tuo fratello, è per la famiglia, sempre, ricordatelo.”
 
*
 
Riocard sedeva sul muretto di pietra al quale i passanti si appoggiavano per rimirare il Tamigi, il Big Ben e il Parlamento, le gambe penzolanti nel vuoto e qualcosa di sottile stretto tra le dita.
 
 
“Estelle!”
La porta si era appena chiusa alle spalle di Edward quando il mago, chiamando la moglie a gran voce e con impazienza, corse verso le scale senza neanche sfilarsi il cappotto o il cappello.
“Estelle!”
 
“Che cosa c’è? E’ successo qualcosa?”
La moglie, seduta alla toeletta nella loro camera da letto, si voltò verso di lui con la spazzola ancora stretta in una mano, gli occhi chiari pronti a cercare tracce di brutte notizie sul volto del marito.
 
 
 
Scrutava la fotografia da minuti e minuti, o almeno così gli sembrava.
Un accenno di sorriso incurvò le labbra del giovane mentre osservava il ritratto della famiglia perfetta in cui era cresciuto. O almeno all’apparenza, con coniugi che non si amavano e non si fidavano l’uno dell’altra e un incolmabile, terribile segreto a separarli fin dall’inizio. Prima ancora che lui nascesse.
La verità era che non aveva idea di che cosa avrebbe fatto. Era ben felice della decisione che aveva preso riguardo ad Edward Cavendish, ma per il resto… che cosa avrebbe fatto a Londra? Che ne sarebbe stato, d’ora in avanti, della sua vita, dopo ciò che aveva scoperto?
Avrebbe dovuto continuare a fare finta di nulla?


Riocard non ne aveva idea, ma ricordando le parole di suo zio strappò la fotografia a metà con un debole sospiro prima di alzare lo sguardo sulla scia luminosa che si rifletteva sulle acque del Tamigi, l’aria fredda di fine dicembre che gli invadeva i polmoni.
 
 
“Ti ha… ti ha ceduto il diritto di successione?”
“Sì, ha rinunciato a tutti gli effetti!”
Un sorriso balenò sul volto di Estelle mentre la donna, alzatasi in piedi, correva ad abbracciare il marito gettandogli le braccia al collo.
“Oh Ed… non sai quanto sono felice per te. E’ giusto così, quel posto è tuo. Vorrei solo che tuo padre…”
“Non m’importa di mio padre, Estelle. Mi importa solo di te. Se tu sei fiera di me, non c’è altro che possa volere.”
Edward le sorrise, riservandole una carezza sul viso prima di abbracciarla nuovamente, al settimo cielo. Pensò a suo padre, alla scelta che aveva fatto e che George non aveva mai compreso, e all’anello che Riocard gli aveva restituito e che ora giaceva chiuso a chiave nella sua scrivania. E lì probabilmente sarebbe rimasto per molto tempo, visto che non aveva bisogno di nient’altro: suo padre lo usava spesso, quel particolare cimelio, per ottenere ciò che desiderava.  
Denaro, una particolare sequenza di fortunate coincidenze che permettevano che qualcosa che desiderava si avverasse, tesori… qualsiasi cosa. A lui, però, per il momento non interessava.
Era sicuro di avere qualcosa che suo padre non aveva mai posseduto. Nemmeno grazie a quell’anello.
 
 
 
Neit, che stava attraversando il corridoio proprio in quel momento, lanciò un’occhiata ai due attraverso la porta spalancata prima di accennare un sorriso. Non gli interruppe e non palesò la sua presenza, ma proseguì dritto per la sua strada chiamando la sorella a gran voce. Quando udì dei tonfi sordi seguiti da delle imprecazioni, il giovane sospirò e affrettò il passo, deciso a scoprire come fosse caduta Clio questa volta.
 
 
 
“Gli eroi non esistono.”
Con quel mormorio Riocard lasciò che i due frammenti gli scivolassero dalle dita, galleggiando sempre più lontano, sospinti dall’aria gelida fino alle acque del fiume.
Il giovane si voltò e scivolò dal muretto fino a toccare nuovamente il marciapiede, allontanandosi stringendosi nel cappotto mentre si diceva che, infondo, a cosa avrebbe fatto il giorno seguente ci avrebbe pensato quando sarebbe stato necessario.
 
 
 
 
Gwendoline sorrise, sollevando una mano per rispondere al saluto che Elizabeth e Thomas le rivolsero quando le passarono accanto trottando sulla distesa d’erba che confinava con il viale che la donna stava attraversando.
Guardandoli, per un attimo la donna ebbe l’impressione di scorgere immagini sbiadite che la ritraevano giovane come loro a cavallo insieme a Riocard, sfidandosi in gare di velocità. Oppure di rivedere, passeggiando col fratello ormai cresciuti, i loro figli giocare sull’erba.
 
Le sembrò quasi di rivedere Rod e Theo montare per le prime volte da bambini, e quasi non poté credere di essere riuscita, finalmente, a sapere com’erano andate le cose, come il suo amato nipote fosse morto.
L’anziana strega sospirò mentre riportava lo sguardo davanti a sé, sentendo il sollievo pervaderla. Ora tutto quel ciclo di vendette, odio e segreti poteva concludersi, forse.
Poteva riavere la sua famiglia, e godersela fino al suo ultimo istante di vita.
L’odio non faceva parte di lei da molto tempo, da quando si era liberata dell’uomo che le aveva tolto suo fratello.  Per quanto potesse averlo amato, Gwendoline a differenza di suo nipote non avrebbe permesso che quel sentimento la corrodesse fino alla fine.
 
 
 
 
 
 
 
 
……………………………………………………………………………………….
Angolo Autrice:
 
E… sipario!
Che dire, vi risparmio le terribili battute sull’epifania (non sono l’unica che li riceve ogni anno da qualche parente simpaticissimo, vero?) e spero che abbiate gradito questo ultimo capitolo, così come spero che tutto risulti chiaro… Il capitolo è un gigantesco ammasso di flashback, molti connessi tra loro, in caso delle cose non fossero chiare fatemelo sapere, ecco. So che ho parlato poco e niente degli OC, ma avevo troppe cose da dire e più di così la mia mente non è riuscita a produrre… le coppie sono lasciate aperte, ma ovviamente chiuderò tutti tra l’Epilogo e le OS, non temete ;D
Ovviamente l’incantesimo che ha dato vita a tutto non viene menzionato nel mondo di HP, è tutta una macchinazione mia e dell’autrice di Thomas, che ringrazio moltissimo, anche se come avrà notato ho cambiato delle cose e Penelope non è coinvolta in alcun modo. Perché she is our queen e non potevo toccarla, ecco.
Sono molto impaziente di sapere le vostre opinioni a riguardo, ma per ora vi saluto e ci sentiamo prestissimo con l’Epilogo <3
Buona serata,
Signorina Granger
 
 
   
 
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