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Autore: Chocolate_senpai    08/01/2021    2 recensioni
A dieci anni di distanza dall'ultimo, famoso campionato, la ruota della storia gira di nuovo, di nuovo il perno di tutto è qualcosa che il Monaco stava tramando.
Volenti o meno, Kai, Takao, Rei, Max, e tutta l'allegra combriccola verrà buttata nel mezzo dell'azione, tra i commenti acidi di Yuriy, gli sguardi poco rassicuranti di Boris, i cavi dei computer di Ivan e la traballante diplomazia di Sergej.
Da un viaggio in Thailandia parte una catena di eventi; per inseguire un ricordo Boris darà innesco a un meccanismo che porterà i protagonisti a combattere un nemico conosciuto.
Sarà guerra e pianto, amicizia e altro ancora, tra una tazza di te, dei codici nascosti, una chiazza di sangue sulla camicia e il mistero di un nome: Bambina.
Starete al loro fianco fino alla fine?
Genere: Avventura | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna | Personaggi: Boris, Kei Hiwatari, Takao Kinomiya, Yuri
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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Capitolo 3



Gli piacevano le chiese. Non perché fosse religioso, o credesse in chissà quale divinità che punisse i malvagi a vantaggio dei deboli. Per lui queste erano tutte sciocchezze. No, le chiese erano altro. Incenso, una calda luce dai mosaici di vetri colorati, silenzio. Il suono dei passi lungo la navata lo coccolava nella meditazione.

- Mi ero innamorata di voi –

Kai non alzò nemmeno gli occhi. Non era la prima volta che una fan del beyblade lo riconosceva e lo avvicinava con rivelazioni amorose. 

- Scusami ma non credo di poter condividere. Tenta con gli altri –

- Fa lo stesso –

Lei girò i tacchi. Un tintinnio metallico accompagnò i suoi passi. Quando la sentì abbastanza lontana, Kai sbirciò a terra un paio di volte; era sempre stato curioso. Con la coda dell’occhio notò un luccichio. Sul mosaico di un rosso scolorito sbrilluccicava l’oro di una piccola fede, accompagnato dal più lieve riflesso del brillante che vi svettava sulla sommità.

Il ragazzo si sporse dalla panca per osservarlo meglio. Si decise a raccoglierlo solo dopo essersi accertato che sulle altre panche non c’era nessun altro. 

Nella sua mano sembrava ancora più piccolo; era palesemente un anello da donna. Chissà se le era caduto per sbaglio. Avrebbe potuto anche uscire dalla chiesa e vedere se riusciva a trovare quella sprovveduta per restituirglielo, era comunque un oggetto prezioso.

Sospirò, volgendo lo sguardo verso la fine della navata. 

Se ne sarà già andata chissà dove

Era solo una scusa per non incappare in chissà quali discussioni con una fan abbastanza sfegatata da rivelargli il suo amore in una chiesa. Si infilò l’anello della tasca del cappotto elegante. Lo avrebbe consegnato al prete della chiesa, forse la donna era una frequentatrice abituale.

Si alzò dalla panca e fece un leggero inchino davanti al crocifisso. Le chiese di rito cattolico avevano un’atmosfera che in nessun altro edificio religioso si poteva trovare; quella in particolare: abbastanza vicina da non perderci mezza giornata di macchina per arrivarci, e abbastanza lontana da non rischiare di incappare in qualche conoscente. Perfetta nella sua calma e pulizia, senza tutti quei lampadari ad altezza d’uomo che nelle chiese ortodosse facevano venire la claustrofobia.

Trovava il rito cristiano cattolico più intrigante che altro, e ancora di più i suoi misteri e la spiegazione di un oltretomba con tanto di livello intermedio tra inferno e paradiso. L’ultima chance per salvarsi dalla dannazione eterna. Si passò una mano tra la chioma grigia, portandosi indietro le ciocche appena tagliate. Una delle cose che non avrebbe sostituito per nulla al mondo nella sua vita era il parrucchiere; perfetto, pulito e sempre in orario. Chissà se quell’uomo sarebbe finito in purgatorio? Sarà valso a qualcosa acconciare così tante teste in vita? 

Attraversò la navata con calma, misurando con i passi il pavimento di marmo scheggiato dal tempo. Arrivato all’ingresso, si voltò di nuovo prima di uscire. La luce filtrata dalle vetrate illuminava il crocifisso di colori sfocati, riempiendo l’abside di sacralità. 

Si chiese se e valesse la pena credere in un paradiso. Era legittimo crederci, quando si avevano le prove certe dell’esistenza dell’inferno?


.......................


- Sei sicuro, sicuro sicuro?-

- Te l’ho detto Rei, non c’è problema!-

- Guarda che non ci metto nulla a prenotare l’albergo per più giorni, e nemmeno a prendere una stanza in più –

- Rei – 

Takao fece un sorriso talmente largo e rassicurante che il cinese si convinse. Non voleva dare troppo da pensare all’amico, aveva già il suo da fare con le lezioni al dojo. Il nonno era partito a trovare il papà del giapponese, sperduto chissà dove in uno dei suoi avventurosi viaggi archeologici, mollando il lavoro al nipote.

È ora che ti prendi qualche responsabilità!

Per Takao la presenza degli amici invece era un vero toccasana, soprattutto di Kai e Rei, che vedeva una volta ogni morte di papa. E non gli costava assolutamente nulla togliere dall’armadio un futon in più, di spazio nel dojo ce n’era quanto ne volevano.

- Allora la passo a prendere e torno qui. Sei sicuro che ... –

- Ma sei incredibile! Hei, mi fa un sacco piacere vedere Mao! E non ci penso neanche a farla dormire in un altro posto che non sia casa mia – concluse, orgoglioso della sua ospitalità. Per i suoi amici si sarebbe fatto in quattro, in questo non era assolutamente cambiato.

- Poi figurati quanto sarà contenta Hila! Le faremo una sorpresa, quando tornerà dal corso sarà al settimo cielo –

- Già –

Rei prese le chiavi della macchina che Takao gli aveva gentilmente messo a disposizione. Avrebbe potuto prenotare un taxi o andare semplicemente in metro, ma il giapponese aveva insistito.

Così avrete uno spazio più intimo per ... chiacchierare, aveva maliziosamente insinuato.


- Rei!-

La ragazza gli saltò al collo, facendogli quasi perdere l’equilibrio. Mao si avvinghiò a lui con quanta forza aveva in corpo, mollando il trolley che venne prontamente recuperato dalla mano libera di Rei prima che cadesse rovinosamente a terra.

Lei si staccò dall’abbraccio solo per immergere i suoi occhi dorati in quelli di lui, dello stesso splendido colore.

- Mi sei mancato un sacco – sussurrò, sull’orlo della commozione. Erano solo un paio di settimane che Rei era partito dal villaggio, ma lei non se ne faceva una ragione. Voleva, doveva stare al suo fianco. Sentirsi pari a lui era diventata una questione di principio, non le andava più di fare la parte della sorellina minore lasciata al sicuro nel villaggio ad occuparsi del vecchio tutore, nonché allenatore dei White Tigers. Lei voleva lui. Non il villaggio, non suo fratello. 

E Rei, cosa voleva? 

Lo aveva chiesto più volte a lui direttamente, senza grandi risultati; allora aveva deciso di aspettare. Non serviva a niente forzarlo a darle una risposta. Ma il tempo passava, e lei era sempre meno paziente.

- Hai fatto buon viaggio?-

Mao osservò curiosa la macchina nella quale Rei stava caricando la valigia rosa shocking un po’ logora, reduce da tutti i campionati di beyblade.

- Certo, certo, ma ... e questa macchina? Non sarà mica tua?-

Rei sorrise sotto i baffi – Infatti no. È di Takao –

A Mao si illuminarono gli occhi. Portò le mani al viso, pronta a saltellare di gioia. Perché se macchina era uguale a Takao, allora Takao era uguale a Hilary. Rei percepì l’entusiasmo della ragazza, anticipandone le domande su come e perché lui avesse la macchina del giapponese.

- Saremo ospiti di Takao in questi giorni, lui ci ha gentilmente invitati. E sì, ci sarà anche Hilary. Ma credo tu lo immaginassi già –

- Oddio Rei, non so perché nessuna si sia ancora sposata quell’uomo –


.............


Yuriy appoggiò la busta della spesa sul tavolo con malagrazia; spostò rumorosamente una sedia e ci si buttò sopra. Si passò una mano sugli occhi.

Che. Cazzo.

Erano le dodici e mezza, e dal piccolo bar italiano erano usciti solo tre quarti d’ora prima. Olivier aveva parlato per due ore. Due. Ore. Senza fermarsi. Ivan gli diede una pacca di incoraggiamento.

- Siamo a casa Yu, siamo a casa – disse, più a se stesso che al compagno di squadra. Anche fare finta di ascoltare aveva dei limiti di tempo, e i suoi erano stati ampiamente superati. 

Boris sarebbe tornato all’una. Ciò significava che avevano solo mezz’ora per preparare il pranzo, a meno che non volessero subire le madonne di quell’uomo oberato di lavoro

Bofonchiando qualche brutta parola in russo, Yuriy si tolse la giacca. Frugò nella sportina per togliere gli ingredienti del pranzo, gettando tutto alla rinfusa sul tavolo.

- Mi ha preso per una colf, quel bastardo ... – Continuò. Ivan era arrivato da pochi giorni, e aveva potuto constatare che non ci si annoiava di certo in quella casa. Le bestemmie poco velate di Boris e le occhiate gelide di Yuriy riempivano l’atmosfera di un non so che di energico. Il capitano si lamentava in continuazione dell’assenza di pulizia del collega, del fatto che doveva sempre cucinare lui, se scaldare cibi precotti si poteva considerare cucina; e puntualmente, dopo una giornata di frecciatine, il giorno dopo si ripeteva tutto. Al terzo giorno di convivenza Ivan aveva realizzato che nel tempo non era cambiato davvero niente tra loro. Non è che non si sopportavano; semplicemente quello era il loro modo di parlare e di confrontarsi. Il loro modo di vivere. 

- Lascia, faccio io –

Prese dalle mani di Yuriy l’enorme busta di fish&chips che l’amico stava squartando senza capire da dove si aprisse. Ivan la soppesò con le mani prima di infilarla nel microonde.

- Ma quanto cibo hai preso?-

- Non hai idea di quanto mangi quell’altro –

Il più piccolo squadrò l’amico da capo a piedi – Tu non sei ai suoi livelli, vedo –

- Mh?-

- Sembri addirittura dimagrito –

Yuriy fece un gesto stizzito con la mano.

- Se ne stanno andando tutti i muscoli, senza fare esercizio –

- Perché non ti iscrivi in palestra?-

- Perché ci sono le persone che mi guardano, è fastidioso –

- Che?-

- Ivan, ma porca troia, non ti abbiamo portato qui per farci da mamma –

E la discussione finì lì. Ivan scosse il capo sorridendo sotto i baffi; le persone gli davano fastidio. Non capiva come potesse essere possibile: dato il potere intimidatorio del capitano, raramente qualcuno lo avvicinava; a meno che non volesse tornare a casa con un paio di falangi in meno. Ivan soffocò una risata nel dorso della mano; si ricordava bene di quando Yuriy aveva dislocato la scapola ad un ragazzo ubriaco la sera prima della partenza di Sergej per Croydon. Quello era vero divertimento. Poi la vita si era appiattita, i giorni erano diventati monotoni e nessun osso era stato più toccato.

- Il giornale – Borbottò Yuriy, ancora in preda all’astio da casalinga incompresa, allungando una mano verso il più piccolo. Ivan adocchiò il plico di fogli ripiegato, fresco di buchetta della posta, allungandolo al compagno. 

Poi gettò uno sguardo all’orologio della cucina.

- Quando torna dalle lezioni Boris?- Era già l’una, lui aveva fame e ore di sonno arretrato dalla settimana precedente da recuperare. 

- Fra cinque minuti – Era una palese bugia. Non lo sapeva nemmeno Yuriy quando l’altro sarebbe tornato, ma liquidò in poco tempo i problemi dell’amico per concentrarsi su altro. Si drizzò meglio sulla sedia, appoggiando il giornale sul tavolo. L’articolo che aveva davanti lo stava incuriosendo più del dovuto.

Imprenditore giapponese derubato, i ladri fanno irruzione nella villa e feriscono il nipote

Gli venne da ridere. Quando poi lesse il nome del proprietario della villa il ghigno sul suo volto si allargò.

- Non ci credo – Si astenne dal fare ulteriori commenti e passò il giornale a Ivan. Lui sgranò gli occhi.

- Ma che cazzo ... –

- Il buon vecchio Kai si sta divertendo col nonnino –

Ivan scoppiò a ridere. Stese il giornale sul tavolo, rileggendo più volte il titolo dell’articolo. 

I ladri feriscono il nipote?- Si asciugò una falsa lacrima con teatralità, per poi tornare al fish&chips nel microonde – Non ci credo neanche se lo vedo. Mi meraviglierei se i ladri ne fossero usciti vivi –

- Quanto sei stronzo Ivan ... – Yuriy non riusciva a smettere di sogghignare - ... Il piccolo Kai era in pericolo, addirittura ferito, cavolo ... –

Prendere in giro Kai era diventato un passatempo molto godibile. Lui era nella sua bella villa, con il nonno, mantenuto, servito e riverito; come minimo qualche madonna se la doveva lasciar tirare, considerato che dava sue notizie una volta ogni morte di papa, quello stronzetto. 

- Mi meraviglio che non abbia chiamato –

- Cosa vuoi Ivan, noi non siamo più indispensabili per il suo tenore di vita –

- Oh sì – Ivan sistemò il cibo nei piatti, arrangiando un rapido apparecchiamento sul tavolo con le tovagliette di plastica decorate a piccoli delfini. Non perse tempo a chiedersi dove cavolo le avessero trovate – Ormai lui è un vero gentleman –

Yuriy scoppiò a ridere. Quel vecchio bastardo gli mancava; ricordava con piacere gli anni passati a insultarsi, a vincere, e soprattutto vivere insieme. Poi era sparito, ed erano venuti a sapere che viveva in Giappone da suo nonno. Erano talmente abituati a vederlo fare quello che voleva che non si erano nemmeno preoccupati, nè tanto meno erano arrabbiati per la sua scelta. L’ennesimo voltafaccia verso lidi più prosperi. Ma Kai era fatto così, e loro lo apprezzavano anche per quello. L’autosufficienza era sempre una dote da non sottovalutare.

Ivan rimuginò, picchiettandosi il mento con una forchetta - Curioso però –

- Cosa?-

- Mah, sembra che questa sia la settimana dei ladri –

- In che senso? – 

- Prima Andrew, poi Kai ... –

- Oh, già ... – Era stato talmente intontito dalle chiacchiere di quell’inglese che aveva completamente perso il filo del suo discorso chilometrico. La rapina, giusto. Si era quasi dimenticato.

- Prima Andrew ... poi Kai ... – ripetè Yuriy pensieroso. Puntò un dito verso Ivan, gli occhi assottigliati da un ragionamento in atto - ... E tutti e due la stessa notte –

- Aha –

- Guarda te com'è piccolo il mondo ... conosciamo due persone che hanno subito un furto allo stesso tempo –

Ivan afferrò il telecomando. L’unico canale decente in quel paese dimenticato tra la nebbia sembrava essere quello dei documentari. Fermò sulla BBC davanti all’accattivante immagine di un branco di leoni a caccia – Cos’è, ora credi nelle coincidenze? Nel destino?-

Yuriy liquidò l’amico senza degnarlo di una risposta. Conoscendosi da anni ben sapevano entrambi quale fosse la filosofia di vita di Ivanov, e sicuramente il destino non ne faceva parte.

- Boris ha parlato con Igor – Non seppe perché gli venne in mente di dirlo, forse per riempire lo spazio vuoto lasciato dalla sua non-risposta. Ivan parve non capire.

- Igor?-

- Quello del monastero. Non mi dire che non te lo ricordi, avete anche condiviso una comodissima cella se non ricordo male –

- Oh! Lui!- Ivan sorrise. Erano sempre divertenti i ricordi del monastero – Sì, ero finito in punizione con quel bastardo, ma ero piccolo ... è qui a Londra?-

- A Bangkok –

Il più piccolo sgranò gli occhi – Dove? E come ci sarebbe arrivato Boris?-

- Gli ha pagato i biglietti aerei Igor –

- Wow ... – Ivan abbassò il volume del televisore. Questo era più interessante di come si cacciava in branco – Si è fatto i soldi quindi. E come mai aveva voglia di vedere Boris? Voleva beccarsi qualche insulto gratuito?-

Boris e Igor non erano mai andati molto d'accordo. Il secondo era più grande e avrebbe dato qualsiasi cosa per vedere il più piccolo smorzare la sua innata spavalderia, ma Boris faceva parte della squadra; era più in alto nella gerarchia. Una specie intoccabile da un semplice blader. E quindi i loro anni insieme si erano risolti in tanti insulti velati e tanti pugni in bocca. A Igor era anche saltato qualche dente.

Yuriy alzò le spalle – Questo devi fartelo dire da lui. Io dal racconto di Boris ci ho capito solo che Igor si è rincoglionito –

- Il caldo gli ha dato alla testa?-

- Ha detto di essere in contatto con ex archivisti del monastero, e che Boris doveva cercare una bambina perché Vorkov ha qualcosa in atto –

Ivan sputò l’acqua appena bevuta centrando in pieno il telecomando. Portò la manica del maglione alla bocca per arginare lo sbavamento, soffocando un paio di colpi di tosse. Quando si fu calmato posò su Yuriy lo sguardo più confuso mai sfoderato in vita sua.

- Come scusa?-

Il capitano annuì con leggerezza, come se stesse parlando di noci di cocco – Per Igor, Vorkov sta architettando qualcosa –

- E come cazzo ha tirato fuori questa storia?-

Yuriy alzò le spalle. Il suo cellulare squillò, vibrando con forza sul tavolino. Quando Ivan lo prese per rispondere, cominciò a rivalutare la mano del caso in quella giornata. Lo passò a Yuriy, un mezzo sorriso a dipingergli il volto.

- Vuoi rispondere tu?-

Il capitano afferrò l’oggetto dubbioso. Poi lesse il nome sul display. Soppresse una risata.

- Dai ... e dire che ci siamo lamentati di lui fino a prima ... ora mi sento quasi in colpa – commentò con un sarcasmo per nulla velato. Rispose alla chiamata, ma quando stava per parlare la voce dall’altra parte dell’apparecchio lo superò in velocità.

- Ho chiamato per dirvi di avvertire quell’inglesino del cazzo che sono vivo e vegeto, e che se non gli date mie notizie non significa che sono già sotto tre metri di terra –

Erano solo quasi due anni che non si sentivano, gli era mancata la sua voce soave.

- Buongiorno anche a te Hiwatari junior –

E partirono una serie di improperi in giapponese.


......................................



La mattina dopo Kai era all’aeroporto di Londra. La chiamata del giorno prima era stata abbastanza lapidaria, ma il succo del discorso poteva essere di questo tipo: il nonno sarebbe stato a Londra per affari, e Kai aveva deciso di accompagnarlo per poi tornare con lui in Giappone. E coglieva anche l’occasione per insultare di persona McGregor, e rivedere la vecchia combriccola.

Kai si passò la mano sugli occhi. Era quasi abituato a svegliarsi presto, ma la stanchezza piuttosto che per il volo era rivolta alla giornata che lo attendeva. Fuori intanto pioveva, e già un paio di taxi gli erano sfrecciati davanti rischiando di macchiare di acqua pregna di smog e schifo il suo prezioso completo coordinato; e già si partiva male. Poi pregustava in anticipo i discorsi che Andrew gli avrebbe rifilato. La mattina dopo la rapina, ad un orario indegno, saranno state le dodici, nel dojo pregno di odore di cibo cinese l’inglese lo aveva chiamato per commentare sarcasticamente le prodezze del primogenito Hiwatari. Kai non sapeva come cavolo la notizia si era sparsa così rapidamente da un continente all’altro. Il monologo britannico si era concluso con un commento sulla misantropia del giovane rampollo giapponese:

Nemmeno i tuoi ex colleghi hanno tue notizie, se non ti fai sentire ogni tanto finiremo per pensare che sei passato a miglior vita.

Persino gli insulti erano diventati eleganti con la maturità. Un paio di anni prima Andrew gli avrebbe semplicemente dato dell’imbecille, e Kai avrebbe caldamente ricambiato.

La nebbia inglese gli è andata nel cervello

L’ennesima macchina frenò davanti a lui, producendo un’ondata di schizzi nerastri dai quali Kai si protesse nascondendosi dietro la valigia. Stava per inveire in una lingua abbastanza poco conosciuta da non essere compresa, ma quando uscì l’autista capì che parlare in russo avrebbe peggiorato le cose.

Boris non era cambiato per niente. Il solito sorriso spavaldo, le solite giacche con il pelo, i soliti occhietti indagatori e irriverenti. I capelli sì, quelli erano diversi, tirati indietro e legati in una specie di codino.

L’esatto contrario dell’eleganza e della compostezza sfoggiata dall’Hiwatari, che si era abituato a gestire giacca e camicia senza rinunciare alla sua pettinatura sbarazzina.

Boris si appoggiò al cofano, incurante della pioggerellina che si insinuava tra i capelli.

- Guarda guarda, puntualissimo e impeccabile, eh?-

- A differenza tua –

Senza troppe cerimonie Kai gli allungò la valigia, che l’altro caricò in macchina con poca grazia. 

- Ti credevo completamente trasformato in una specie di dandy, e invece ... –

- Invece cosa?-

Boris alzò le spalle.

- Mi sembri il solito vecchio bastardo –

Mise in moto e l’auto partì in terza, con un rumore sinistro del motore.

Kai sogghignò.

- Anche tu sei rimasto lo stesso –



La casa era piccola. D’altra parte era una sistemazione temporanea, e per due persone come loro non serviva nulla di principesco. Senonché, in quel lasso di tempo, nello spazio di due ci vivevano in quattro.

Kai si guardò  intorno con aria circospetta.

- Non credevo foste così ordinati –

- è ironico?-

In effetti le valigie di Sergej erano tutti accatastate in un angolo del salottino, e il tavolo in cucina era cosparso di un misto di parti di beyblade e pezzi smontati di un computer.

- Non proprio ... pensavo innanzitutto di sentire odore di fumo –

- Yuriy sta cercando di smettere –

- Aaah ... –

Kai indagò curioso la casa. Era un piccolo appartamento con due camere da letto, un bagnetto, la cucina e un salottino. Era incredibilmente strano per lui pensare i suoi due vecchi compagni di squadra a vivere insieme, due persone come Yuriy e Boris, in un luogo del genere. Quasi troppo normale.

Ma erano i due che si conoscevano meglio di tutti nel gruppo, e se c’era qualcuno che sapeva perfettamente come sopportarsi, quel qualcuno erano loro.

- Non ci sono gli altri? Mi sembrava di aver capito che si erano trasferiti qui -

- Sergej è al lavoro, Yuriy ha il turno per le lezioni e Ivan ... boh – concluse arraffando un biscotto dalla confezione semi aperta e abbandonata sul ripiano della cucina.

Kai si sedette composto. Guardò l’amico sgranocchiare rumorosamente biscotti, e concepì solo in quel momento quanto lui e gli altri si fossero allontanati. 

- Mi dispiace di essere sparito all’improvviso – Lo disse quasi d’istinto, come se quell’occasione fosse arrivata giusto per permettergli di dirlo. Guardava Boris negli occhi, con lo stesso sguardo con cui anni prima aveva deciso che la vita in Russia non faceva più per lui. L’altro ragazzo scrollò le spalle, infilandosi in bocca un altro biscotto.

Era la risposta che Kai si aspettava.

- Vecchio bastardo –

L’amichevole nomignolo con cui i russi lo avevano appellato risuonò dal corridoio d’ingresso. Kai si alzò al richiamo di quella voce che aveva sentito solo il giorno prima per telefono, e per cui continuava ad avere rispetto. Era pur sempre stato il suo capitano. 

Yuriy entrò in cucina producendo impronte bagnaticce; si fermò un momento sull’uscio quando vide Kai. 

- Cavolo ... – lo squadrò da capo a piedi – Non ero pronto per accogliere un imprenditore – Concluse, riferendosi all’abbigliamento estremamente elegante.

Kai gli si avvicinò, tirandogli un pugno amichevole sul braccio.

- Sei uno stronzo Ivanov –

- Piano con le parole, non sono io che ho telefonato ululando cose senza senso come una zitella isterica –

- Vaffanculo –

- Ti ringrazio per l’offerta, ma rifiuto. Allora ... – si tolse il cappotto fradicio, che finì gettato a sgocciolare su una delle sedie – Come va la vita con il nonno?-

Kai sospirò. Non si sarebbe aspettato altro; sapeva che in quella casa non sarebbe scampato alle frecciatine sulla sua relazione con il caro nonnino.

- La mia vita va molto, molto bene, caro. Sono più interessato alle vostre prodezze –

Yuriy alzò le spalle, portandosi dietro il capo le ciocche rosse sgocciolanti. Era evidente che aveva lasciato l’ombrello a casa, come quasi tutte le mattine.

- Si sopravvive – 

- Come, tutto qui? –

- Avresti preferito un racconto piccante su quanto noi due scopiamo la notte?-

- Sì, a dire il vero mi aspettavo qualcosa del genere –

Boris tirò un calcio alla sedia di Kai, lanciandogli uno sguardo lascivo.

- Ti piacerebbe unirti a noi, vecchio pervertito?-

- Declino l’offerta, grazie –

Boris alzò verso di lui un ennesimo biscotto con un gesto teatrale – Non sai cosa ti perdi –

Yuriy stava per mandare l’amico amichevolmente a fanculo, e Kai stava per fare altrettanto, quando lo squillo del telefono del giapponese interruppe i probabili improperi. Kai frugò nella tasca del cappotto cavandone il cellulare, e senza accorgersene tirò fuori anche un altro piccolo oggetto.

Con un tintinnio metallico il piccolo anello finì sul pavimento. 

- Pronto? Ah sì ... sì, sono già arrivato – il giapponese raccolse da terra il solitario dorato. Si era dimenticato di averlo ancora nella tasca del cappotto. E si era anche dimenticato di lasciarlo a qualcuno in quella chiesa. Se lo rigirò tra le dita sotto lo sguardo curioso di Yuriy. 

- Sì certo ... perfetto – Chiuse la chiamata senza nemmeno salutare.

- Pensavi di chiedere la mano di qualche bella ragazza?-

Kai ruotò gli occhi al cielo. Infilò il cellulare in tasca e lanciò l’anello all’amico. Lui lo guardò, scarsamente impressionato.

- Potevi fare di meglio Kai. Con tutti i soldi che hai, almeno un bel diamante potevi mettercelo qui sopra.

- Non è mio, idiota –

- Non mi dire che è di tuo nonno –

- Lo ha perso una donna in chiesa –

Yuriy sogghignò – In ... chiesa? Lo ha perso una donna in chiesa? A chi hai spezzato il cuore all’altare?-

- Non in quel senso! ... Guarda, lascia stare, è una storia assurda ... –

- Dove?-

I due si voltarono. Boris stava guardando l’anello con occhi molto confusi, la fronte era corrugata in un’espressione pensierosa, come se si stesse sforzando di ricordare qualcosa.

Dove che cosa?-

- Dove lo hai trovato?-

- A venti chilometri da casa mia –

- In Giappone?-

- Aha –

Kai si sporse verso l’altro, assottigliando gli occhi.

- C’è qualcosa che non va?-

Poche volte nella sua vita Boris si era trovato impreparato davanti a un evento. Quando qualcosa non gli tornava si vedeva subito. 

Il ragazzo scosse il capo senza però distogliere lo sguardo dall’anello.

- No ... no ... – la sua voce era calata talmente tanto dal normale tono squillante che sembrava stesse parlando più a se stesso che a Kai.

- Mi sarò sbagliato –

- A proposito di sbaglio – Yuriy monopolizzò l’attenzione su qualcosa di più interessante – Hai saputo di Ivan?-

- Cosa ha combinato?-

- Quindi la zia aveva chiamato soltanto me –

Kai si drizzò sulla sedia. Si ricordava molto bene della zia.

- Quel rifugio funziona ancora?-

- Quando non devi essere trovato sì, funziona egregiamente –

- Chi lo cercava?-

Yuriy scosse il capo – Uomini, non molto esperti nel pedinamento, ma abbastanza pedanti da convincerlo a rifugiarsi altrove –

- E la situazione era così grave da farlo venire a Londra? Una fuga in piena regola –

- Un suo vicino gli ha detto di aver visto gente strana attorno a casa sua. Ha preferito non rischiare e sparire per un po’ –

Kai tamburellò le dita sul tavolo. Si passò un dito sulle labbra, tirate in un mezzo sorriso.

- Cavolo ... Questo mi fa ricordare i bei vecchi tempi ... –

- Quelli in cui stavamo più a fuggire per strada che a casa?-

- Aha -

- Tu avevi scelto di restare –

- Già ... Comunque, non mi sembrate preoccupati per il piccolo nano malefico. È stato pur sempre pedinato. Avete pensato che potesse essere qualche nostra vecchia conoscenza?–

Yuriy alzò le spalle 

– Erano talmente sprovveduti che lo escluderei. Può essere fossero solo ladri e tenessero d’occhio casa sua da un po’. Sai come si fa, no? Prima studi le abitudini del proprietario, poi ti infili in casa quando non c’è nessuno –

- Mmh, parla la voce dell’esperienza –

- E poi ha detto di avere delle ferie arretrate –

- Quindi la fuga alla fine è una vacanza –

- Diciamo di sì –

- Restando in tema di vacanze, ho incontrato Igor di recente – Boris si inserì nella discussione con disinvoltura – Ma è diventato uno squilibrato –

- Igor chi?- 

- Dai Kai, quello del monastero ... ma non se lo ricorda nessuno ‘sto uomo?-

La porta d’ingresso cigolò e ne emersero una serie di improperi. Yuriy non era l’unico ad essersi dimenticato l’ombrello quella mattina.

Kai si alzò finalmente dalla sedia, stiracchiando la schiena ancora indolenzita da quei maledetti sedili d’aereo. Anche la prima classe stava perdendo di comodità. Abbandonò il cappotto su una sedia, lontano da quello ancora fradicio di Yuriy, andando ad accogliere il terzo vecchio membro della squadra.



  
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